28 luglio 1992 Al termine di un’audizione a Roma di fronte al Csm sullo stato della giustizia palermitana il procuratore Pietro Giammanco legge una lettera con cui chiede ufficialmente di essere trasferito ad altro incarico. Durante l´audizione Giammanco sottolinea il pieno accordo che e’ sempre esistito sia con Giovanni Falcone (con lui qualche piccolo screzio dovuto alla differenza di temperamento, e giudicando semplici sfoghi le accuse contenute nel suo diario), da lui difeso proprio davanti al Csm, sia con Paolo Borsellino, al quale concedeva una delega ben piu’ ampia del dovuto e sul conto del quale proprio il giorno prima della strage si era espresso in termini lusinghieri, proponendolo per incarichi direttivi superiori. Giammanco rivendica la sua assoluta indipendenza dai partiti politici, esibendo le sue “medaglie antimafia” (“ho fatto perquisire immediatamente studi e abitazioni dell’europarlamentare Salvo Lima dopo la sua uccisione”) e giudica “un prodotto dell’ emotivita’ ” il documento degli otto sostituti palermitani dimissionari che definisce opportunisti e strumentalizzati politicamente.
Nello stesso giorno viene ascoltato dal CSM anche il PM palermitano Roberto Scarpinato, uno degli otto dimissionari, il quale dichiara: “Noi rinunceremo alle dimissioni solo a una condizione, che vengano assicurati i livelli di sicurezza adeguati per i magistrati e per le scorte. Occorre subito fare qualcosa, abbiamo chiesto un incontro col ministro Mancino, ma aspettiamo ancora una risposta. Comunque non si deve far credere alla gente che quello di Palermo sia un problema di faide tra magistrati. Non sono atteggiamenti personalistici. Si tratta di problemi di livello istituzionale. Qui parliamo di mafia, di vita o di morte negli uffici giudiziari”.