STRAGE DI CAPACI – Articoli 2° Parte

.. E  GIOVANNI BRUSCA, U VERRU SCANNA CRISTIANI AZIONO’ IL RADIOCOMANDO

COSI’ HO UCCISO GIOVANNI FALCONE, FRANCESCA MORVILLO, ANTONIO MONTINARO, ROCCO DICILLO E VITO SCHIFANI  Il primo lavoro era quello di riuscire a entrare nel cunicolo e vedere com’era fatto. Io ero un po’ stanco per tutto ciò che avevo fatto poco prima. Nel momento in cui provai a infilarmi nel cunicolo sentii un po‘ d’affanno, mi mancò l’aria. E pensai: <>. La stessa cosa accadde a La Barbera. Nel frattempo arrivò Gioè, più riposato, più fresco. E disse: <>. Entrò al buio, tranquillo. Si infilò nel cunicolo e gridò: <>.  Ci eravamo procurati uno skateboard, quello che usano i ragazzini per giocare. Pensavamo di metterci i fustini sopra e di trasportarli in posizione orizzontale. All’inizio, abbiamo fatto una vita da cani. Prima entravamo con le mani davanti e i piedi che restavano fuori, spingendo i fustini uno a uno. Dentro il cunicolo c’era un tubo da un pollice che usavamo come guida e che ci consentì di individuare il punto esatto dove collocare l’ultimo fustino a metà dell’autostrada. Entravamo a turno, io, Gioè, La Barbera.  Bagarella e Battaglia, in quella fase, ci coprivano le spalle. Mentre noi lavoravamo, loro, armati, si guardavano intorno. Tant’è vero che arrivò una pattuglia dei carabinieri, ma erano due poveretti che forse erano andati a fare pipì. Scesero, si fermarono, fecero quello che dovevano fare e se ne andarono senza vederci perché in quella zona ci sono alberi e cespugli e noi ci eravamo nascosti in tempo. Hanno rischiato di essere uccisi, e l’attentato sarebbe saltato. Continuammo il nostro lavoro. Avevamo piazzato solo tre fustini e con difficoltà enormi. Con le mani in avanti e la faccia a terra. Per non lasciare impronte, calzavamo guanti da muratore, quelli di cuoio. Fu a questo punto che mi venne un’idea. Dissi a Gioè:<<Perché non ci mettiamo con la pancia sopra lo skateboard? Mettiamoci al contrario: con i piedi all’interno e spingiamo i fustini con i piedi, con la testa verso l’uscita. Tanto il primo fustino che ci fa da segnale c’è già. Ci leghiamo una corda al torace. Basta strattonarla e tu capisci che è il momento di tirarmi fuori>>. E così abbiamo fatto. Appena arrivavamo in fondo, ci fermavamo e quello che era fuori tirava senza fare fatica e ci faceva uscire. Con i primi tre fustini avevamo impiegato un tempo infinito e con sforzi non indifferenti. Con gli altri, in un’oretta e mezzo, ci eravamo sbrigati. Infatti avevamo già posizionato il fustino più grosso con il detonatore dentro. Per evitare di rompere il filo del detonatore lo passammo sotto il tubo, in modo che non venisse danneggiato. Il filo attraversava i fusti, dal detonatore all’uscita.  Infine sistemammo altri fusti. Il cunicolo non lo chiudemmo. Mettemmo solo un po di erbacce. Non l’abbiamo murato perché avremmo suscitato sospetti. Poi c’era Troia che, abitando a Capaci, poteva controllarlo giornalmente. Fra l’altro, l’ultimo tratto del cunicolo era libero e quindi dall’esterno non si vedeva niente. Lì vicino c’erano dei materassi che servivano da punto di riferimento.  


Brusca “si dispiace” di non avere colpito in pieno il giudice  Il motivo per cui Brusca non era riuscito a colpire in pieno l’auto su cui viaggiava il giudice insieme alla moglie va ricercato in un fattore imprevisto: in quegli istanti sulla Fiat Croma si stava verificando l’episodio delle chiavi disinserite dal quadro, che aveva causato il rallentamento dell’automobile guidata in quel momento dal dottor Falcone Sull’esplosione l’unico contributo che ha offerto l’istruttoria dibattimentale è costituito dalla deposizione di Giovanni Brusca, che ha svelato di aver azionato la levetta solo alla terza sollecitazione di Gioè, che evidentemente aveva ritenuto già da prima che fosse stata raggiunta dalle macchine la posizione utile per provocare un’efficace esplosione. Ora bisogna tenere presente che secondo La Barbera, Gioè era colui che interloquiva nel corso della telefonata durata 325 secondi: deve ritenersi allora che Brusca, collocato accanto a Gioè, avesse la trasmittente in mano e disponesse del cannocchiale. Esaminando le dichiarazioni di Brusca parrebbe, ad una prima analisi, che vi fosse stata esitazione, perchè Gioè, secondo il suo racconto lo avrebbe incitato per ben tre volte a dare il segnale, e lui, di contro non si sarebbe mosso se non dopo l’ultima sollecitazione. Egli, infatti, aveva voluto essere sicuro che l’esplosione coinvolgesse la seconda macchina, quella bianca, sulla quale sapeva viaggiare il giudice: l’esitazione si spiega perchè Brusca per ottenere tale effetto, aveva intuito che doveva aspettare di più rispetto a quanto non facesse durante le prove di velocità, perchè Gioè gli aveva sicuramente comunicato la velocità delle macchine. Gioè quindi lo incitava perchè, ad occhio nudo non poteva cogliere con precisione la velocità con cui le macchine si avvicinavano al cunicolo, ma vedeva solo che le macchine genericamente stavano raggiungendo il punto ove era stata collocata la carica: era stato corretto pertanto da parte di Brusca aspettare, perchè solo in questo modo sarebbe stato sicuro che l’esplosione avrebbe centrato in pieno la macchina che gli interessava. Così però non era stato, perchè come si è visto nella parte introduttiva della presente trattazione, solo la prima Croma era stata investita dall’esplosione, mentre la seconda era stata colpita dai riflessi dell’onda di urto provocata dalla detonazione della carica esplosiva.

E FALCONE TOLSE LE CHIAVI DAL CRUSCOTTO  Il motivo per cui Brusca non era riuscito a ottenere l’effetto desiderato va ricercato in un fattore imprevisto, dovuto al fatto che in quegli istanti sulla Fiat Croma si stava verificando l’episodio delle chiavi disinserite dal quadro, che aveva determinato un rallentamento della marcia dell’autovettura, per cui, quando Brusca aveva azionato la levetta si era trovato spiazzato, perchè l’auto guidata dal dott. Falcone, che avrebbe dovuto trovarsi secondo i suoi calcoli più avanti, era rimasta invece indietro per effetto del rallentamento dovuto al disinserimento delle chiavi dal cruscotto. Se tale episodio non si fosse verificato, la seconda macchina sarebbe probabilmente stata investita da un’onda d’urto di intensità analoga a quella che aveva colpito la prima. Le argomentazioni esposte in ordine a quanto era accaduto nel momento in cui si era proceduto all’azionamento della levetta ben si armonizzano con i tempi tecnici impiegati dal segnale per pervenire alla ricevente: va infatti riportato che il tempo necessario all’impulso elettrico per provocare l’interruzione del circuito è dell’ordine di grandezza di 1/4-1/2 millisecondo, per cui, tenuto conto anche della distanza che il segnale inviato dalla postazione a monte doveva coprire, il tempo impiegato, nel complesso, risulta ben compatibile con la sequenza temporale indicata dall’imputato. Superato così il momento dell’esplosione, era cominciata per tutti gli operatori la fase del rientro, preceduta, per il gruppo appostato sulla collina dalla distruzione degli oggetti materiali che erano serviti alla realizzazione dell’attentato nella sua ultima fase, e cioè il cannocchiale, la trasmittente ed il piedistallo, che come al solito erano stati distrutti da Battaglia. Brusca si era diretto allora con la Renault Clio di Biondino verso la casa di Guddo, La Barbera era andato a prenderlo al parcheggio, ed insieme si erano diretti verso Altofonte, dove erano stati raggiunti da Gioè e Di Matteo. Ferrante prima aveva accompagnato Biondo a casa, poi se n’era andato in P.zza San Lorenzo, dove aveva incontrato un suo conoscente, Pietro Cocco, con cui si era intrattenuto per crearsi un eventuale alibi. Tale circostanza, cioè l’incontro con il Cocco, è stata riscontrata in dibattimento in esito alla deposizione del predetto, che ha confermato l’episodio narrato dall’imputato. E’ possibile poi, in base all’esame dei traffico telefonico evidenziato nei tabulati, trovare traccia documentale dei contatti fra Brusca e La Barbera: il primo è registrato alle 18.39, allorchè Brusca aveva chiamato La Barbera, verosimilmente per dirgli di andarlo a prendere da Guddo. Successivamente, alle 19.49, La Barbera aveva richiamato Brusca, ed è verosimile che questa fosse la telefonata nella quale egli, preoccupato del ritardo di Brusca, lo aveva chiamato per avere spiegazioni, e aveva capito quindi di aver sbagliato il posto dell’appuntamento. Brusca quindi lo aveva richiamato alle 19.53, alle 19.55, e alle 21.03, mentre La Barbera gli aveva telefonato ancora alle 20.06 e alle 20.15: in definitiva si tratta di telefonate probabilmente aventi ad oggetto questioni relative alla localizzazione dell’appuntamento per prelevare Brusca dalla villetta di Guddo. Quel che può affermarsi con relativa certezza è che i due si erano incontrati dopo le 20.15, ed è quindi da tale orario in poi che si erano messi dunque in moto per tornare ad Altofonte. In ordine allo sviluppo della serata è possibile registrare nella sostanza un’apprezzabile convergenza fra le dichiarazioni di Brusca, Di Matteo e La Barbera, che rende pertanto superfluo soffermarsi partitamente su ogni singolo passaggio. Quel che occorre sottolineare, invece, è il rilievo che assume la riunione a casa di Girolamo Guddo, sull’esistenza della quale hanno concordato Brusca e, sia pur con una certa fatica, Salvatore Cancemi. Si tratta in pratica della riunione che aveva chiuso la fase esecutiva dell’attentato, che aveva visto la presenza, oltre che di Brusca e Cancemi, anche e soprattutto, dei capi, come Salvatore Riina e Raffaele Ganci, nonchè di altri rappresentanti di spicco di altri mandamenti, quali Salvatore Biondino e Michelangelo La Barbera, riunione durante la quale tutti aspettavano che la notizia della strage venisse data in televisione per commentare le gesta compiute. Ed è proprio raccontando di questo accadimento che Cancemi e Brusca si sono sforzati reciprocamente l’uno di dipingere l’altro come il mostro che “ aveva gioito per la notizia della morte del giudice” o , dall’altro lato, come colui “ che aveva sputato sulla televisione” alla notizia della morte di Giovanni Falcone. Con riferimento a fatti successivi alla strage, l’elemento più importante che occorre sottolineare per la rilevanza dell’apporto probatorio che fornisce alla ricostruzione degli eventi, è la convergenza che si ricava dalle dichiarazioni degli imputati, segnatamente La Barbera, e le deposizioni di tutti i testi che in veste di funzionari di polizia giudiziaria si sono occupati del covo di via Ughetti. Che detto immobile fosse stato occupato fra gli altri anche da Gioè e La Barbera, lo si evince dal fatto che tale circostanza è stata riscontrata oggettivamente perchè gli appartenenti alla Dia hanno riferito di aver visto Gioè affacciarsi alle finestre dell’appartamento durante il periodo in cui si svolse l’appostamento, periodo che temporalmente è coincidente con quello indicato dall’imputato. Quel che rileva in questa fase è l’ammissione, da parte dell’imputato, dell’effettivo svolgimento della conversazione con Gioè relativa alla localizzazione di Capaci come il luogo dove essi realizzarono “l’attentatone”, come risulta documentato dal tenore della relativa intercettazione ambientale documentata in atti.

GIOÈ FERMATO DAI CARABINIERI Con riferimento poi alla posizione di Antonino Gioè, merita segnalazione la convergenza delle deposizioni di Di Matteo, La Barbera, ed in ultimo di Brusca, sulla questione della predisposizione dell’alibi di Antonino Gioè. Tutti hanno concordato sul fatto che Gioè aveva raccontato ai Cc, che lo avevano sentito poco dopo la strage, che aveva trascorso i momenti immediatamente precedenti all’eccidio in compagnia del geometra Di Carlo, che era stato invitato dal Gioè a confermare tale versione. Brusca poi si è inserito su tale scia, riferendo che era sua intenzione approfittare di tale alibi, per via del fatto che le contestazioni che avrebbero potuto muovere a lui sarebbero state le stesse ascritte al Gioè, posto che i due erano insieme appostati sulla collina al momento dell’esplosione. Orbene a fronte di tale ricostruzione, va posta la deposizione del geometra Di Carlo, escusso alle udienza dibattimentale del 25 ottobre 96, dalla quale possono trarsi numerosi spunti che avvalorano le dichiarazioni degli imputati chiamanti in correità: innanzitutto, Di Carlo ha affermato di essere stato sentito dai Carabinieri di Capaci il 24 maggio 92, e quindi subito dopo l’evento delittuoso, con ciò confermando la circostanza che gli investigatori vollero sentirlo subito dopo Gioè, per controllare dunque tempestivamente se l’alibi proposto da questi fosse fondato o meno. Si segnala poi che il teste ha ammesso di conoscere da tempo il Gioè, e di non essere in grado di collocare con precisione il giorno in cui avvenne l’incontro con il predetto, su cui si era concentrata l’attenzione degli investigatori. A riprova di tale circostanza si deve considerare che, sulla base delle rivelazioni degli imputati chiamanti in correità, l’episodio a cui faceva riferimento Gioè per precostituirsi l’alibi non era infondato in radice, ma si era effettivamente verificato in quel periodo, per cui l’unica cosa che si richiedeva al Di Carlo era trasporre un evento vero ad un giorno diverso da quello in cui realmente si era verificato, cioè al 23 maggio. Il dato che però costituisce l’elemento di maggiore perplessità in ordine alla deposizione del teste risiede nelle oscillazioni delle affermazioni relative alla fissazione dell’orario dell’incontro con Antonino Gioè, che è il miglior indice per arguire che la titubanza del Di Carlo è stata frutto del timore di ripercussioni personali ad opera di quella parte di persone vicine a Cosa Nostra, gravitanti nel gruppo di Altofonte, non ancora colpito da provvedimenti restrittivi. A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA


La decisione fu presa dopo la morte del consigliere Rocco Chinnici Cosa Nostra aveva progettato già da tempo vari attentati contro il dottor Falcone che, con il suo instancabile lavoro, costituiva una seria minaccia per gli affari mafiosi Un primo dato certo dal quale iniziare tale indagine è costituito dall’individuazione in Giovanni FALCONE del soggetto che doveva essere eliminato nell’attentato di Capaci. […] Peraltro, l’organizzazione mafiosa di cui ci si occupa aveva già da tempo progettato vari attentati ai danni del predetto Magistrato, come risulta da molteplici dichiarazioni di collaboratori di giustizia convergenti in tal senso. In particolare MUTOLO Gaspare ha riferito di un progetto risalente al 1984/85 che prevedeva l’uccisione del Magistrato con dei piccoli lanciamissili del tipo Katiuscia lungo il tratto di strada alberato della Favorita che lo stesso doveva percorrere per raggiungere un villino di Valdesi, ove in quel periodo villeggiava, sito nei pressi di un gioielliere a nome FIORENTINO. Detto progetto era stato però accantonato perché il dottor FALCONE era scortato da vari agenti e si volevano evitare le conseguenze dello scontro armato che inevitabilmente ne sarebbe derivato. Analoghe indicazioni ha fornito il FERRANTE, secondo il quale nel periodo estivo compreso tra il 1983 ed il 1986, periodo durante il quale GAMBINO Giuseppe aveva retto il mandamento di San Lorenzo, in cui ricadeva il territorio interessato, questi lo aveva incaricato di verificare la possibilità di compiere un attentato al Magistrato mentre soggiornava in una villetta di Piazza Valdesi, nella discesa di Mondello, sita nei pressi del ristorante LA SIRENETTA, di cui era direttore il cognato del FERRANTE a nome MINNECI Sebastiano, che gli avrebbe consentito di osservare dalle finestre di quel locale gli spostamenti del dottor FALCONE. Ed ha aggiunto il FERRANTE che si era pensato a due diverse modalità di esecuzione dell’attentato, la prima prevedeva l’uso di un fucile di precisione dal piano superiore rispetto all’ufficio del MINNECI per colpire il Magistrato allorché questi saliva nel terrazzo alle spalle della villetta per fare della ginnastica, progetto che però era stato poi scartato perché avrebbe consentito agli investigatori di individuare facilmente il luogo da cui sarebbero stati esplosi i colpi e, quindi, di risalire al MINNECI. Il secondo piano prevedeva l’impiego di due bazooka mentre il Magistrato percorreva la strada della Favorita che collega Palermo alla villetta, progetto questo che era stato abbandonato dopo che si era verificata la scarsa potenzialità dei bazooka.

I PIANI PER UCCIDERE IL GIUDICE Le indicazioni del FERRANTE trovano riscontro in quelle di BRUSCA Giovanni, il quale, nel confermare il progetto riferito dal FERRANTE ha anche riferito che il bazooka era stato provato nel 1985, proprio in vista di un attentato al dottor FALCONE, su degli speroni rocciosi di una collina, all’interno di un terreno sito in San Giuseppe Iato di proprietà di suo zio BRUSCA Pasquale e se ne era accertata l’inidoneità, poiché l’arma non possedeva l’effetto dirompente voluto. Della prova del bazooka aveva riferito anche DI MAGGIO Baldassare nelle sue dichiarazioni rese al P.M. in data 4 maggio 1993, dichiarazioni acquisite al fascicolo del dibattimento, essendosi lo stesso avvalso della facoltà di non rispondere, ai sensi dell’art. 513 c.p.p., poiché era stata data lettura di tali dichiarazioni prima dell’entrata in vigore della legge n. 267/1997 e prevedendo in tal caso le disposizioni transitorie di cui al secondo comma dell’art. 6 della legge medesima l’utilizzabilità degli atti, salvo che le parti non richiedano la citazione del dichiarante per un nuovo esame, richiesta che nella fattispecie non è stata avanzata all’udienza del primo settembre 1997, prima che la Corte si ritirasse in Camera di consiglio per la deliberazione finale. Nelle predette dichiarazioni il DI MAGGIO ha riferito di tale prova del bazooka, verificatasi alla sua presenza, ed in proposito sono stati effettuati dei rilievi tecnici e fotografici in atti che hanno accertato gli effetti dell’esplosione provocata dall’arma sugli speroni rocciosi. Dell’attentato al Magistrato nel periodo in cui si trovava nella villetta estiva di Mondello ha riferito anche ANZELMO Francesco Paolo, che ha detto che si erano occupati dell’organizzazione del medesimo il GAMBINO e MADONIA Antonino e che egli aveva fatto un sopralluogo con i predetti, nonché con GANCI Raffaele, per osservare la villetta in cui trascorreva le vacanze il dottor FALCONE, vicina alla SIRENETTA.

COSA NOSTRA VOLEVA ELIMINARE FALCONE DOPO CHINNICI Il BRUSCA ha anche riferito di un altro progetto di attentato, precedente a quello di Piazza Valdesi, perché risalente al 1983, poco dopo la strage in cui aveva trovato la morte il Giudice Rocco CHINNICI, capo dell’Ufficio Istruzione degli Affari penali del Tribunale di Palermo in cui lavorava anche il dottor FALCONE. All’epoca, secondo le dichiarazione del BRUSCA, questi aveva ricevuto l’incarico dal RIINA insieme a MADONIA Antonino di controllare gli spostamenti del dottor FALCONE ed era stato progettato di ucciderlo collocando dell’esplosivo, da innescare con un telecomando a distanza, in un vespone o in un furgoncino posteggiato tra i pilastri all’ingresso del Tribunale. Questo progetto era stato poi abbandonato, dopo un periodo di osservazione protrattosi per una decina di giorni, per non coinvolgere un numero assai elevato di persone, tra cui i familiari dei detenuti che frequentavano le aule giudiziarie. Il BRUSCA ha, inoltre, riferito nella stessa udienza di altro antico progetto di attentato, che prevedeva l’uso di fucili e mitragliatori, da eseguire sulla strada che da Palermo a Castellammare, che a volte percorreva il Magistrato per andare a trovare degli amici nella zona del Trapanese, ove lo stesso aveva lavorato in precedenza per alcuni anni. Di altro progetto di attentato, risalente al periodo 1985/86 e da eseguirsi in via Notarbartolo di Palermo, ove il Magistrato abitava, hanno riferito GANCI Calogero e lo ANZELMO. Il primo ha dichiarato che all’epoca, dopo la collaborazione del BUSCETTA ed avendo il dottor FALCONE istruito il maxiprocesso di Palermo contro COSA NOSTRA, si era pensato di ucciderlo all’uscita dalla predetta abitazione, appostandosi con dei mitragliatori nella villa POTTINO sita all’angolo opposto del portone dello stabile, progetto questo che era stato però accantonato in considerazione dell’efficace controllo delle forze dell’ordine che si effettuava nella zona. Lo ANZELMO ha dichiarato che nel 1985, dopo l’omicidio del Commissario CASSARA’, si era progettato di uccidere con la stessa tecnica il dottor FALCONE, colpendolo non appena usciva dall’abitazione di via Notarbartolo e prima che salisse in auto, ma il Magistrato, dopo la tragica fine del predetto funzionario di polizia, aveva adottato ulteriori cautele ed aveva fatto salire l’auto blindata sul marciapiede antistante il portone d’ingresso, in modo da non rimanere allo scoperto.

IL FALLITO ATTENTATO DELL’ADDAURA Mentre però tutti i progetti summenzionati non erano mai giunti ad uno stadio giuridicamente rilevante, neanche sotto il profilo del tentativo, discorso diverso vale per l’attentato all’Addaura, sul quale occorre sia pur brevemente soffermarsi. In data 21 giugno 1989 personale della Polizia di Stato rinveniva tra gli scogli, a pochi metri dalla riva, una borsa sportiva, collocata a fianco del passaggio obbligato per la discesa al mare che avrebbe dovuto percorrere il Magistrato dalla villa presa in locazione per il periodo estivo. All’interno del borsone si trovava un ordigno esplosivo, costituito da cinquantotto cartucce, per un presumibile peso complessivo di oltre undici chili, con detonatori collegati ad un’apparecchiatura elettrica azionabile con comando a distanza e forse innescabili anche con dispositivo a contatto. Dagli accertamenti compiuti emergeva, altresì, che l’ordigno, che era stato fatto brillare poco dopo il rinvenimento, era stato collocato in quel luogo tra le ore 11 e le ore 14 del giorno precedente e che dal 18 giugno si trovava a Palermo una delegazione di Magistrati e di funzionari di polizia elvetici, condotti dalla dottoressa Carla DEL PONTE, per effettuare una rogatoria nell’ambito di indagini sul riciclaggio internazionale di denaro proveniente dal traffico di stupefacenti. Per questa ragione la delegazione si era incontrata con Giovani FALCONE, che stava conducendo indagini collegate nell’inchiesta denominata “Pizza Connection”, al fine di organizzare una serie di interrogatori. In ordine alla matrice di tale attentato vanno segnalate, per la loro provenienza da fonti direttamente informate dei fatti e qualificate ad avere una conoscenza dei medesimi, le dichiarazioni del FERRANTE e del BRUSCA. Il primo ha riferito che pochi giorni prima che i mass media dessero la notizia del fallito attentato dell’Addaura egli aveva prelevato per ordine del BIONDINO un quantitativo di circa 30-40 chili di esplosivo in candelotti da circa 3-4 centimetri, esplosivo che, secondo quanto riferitogli dal BIONDINO, era stato richiesto da MADONIA Antonino, figlio del capomandamento di Resuttana, nel cui territorio ricadeva l’Addaura. Il BRUSCA ha dichiarato di aver incontrato il RIINA pochi giorni dopo questo attentato e di aver sentito lo stesso esprimere disappunto per la sua mancata riuscita, in quanto egli diceva che sarebbe stato il momento giusto per attuarlo, essendo il Magistrato bersaglio di critiche delegittimanti provenienti da una parte dell’ambiente giudiziario e potendosi più facilmente attribuire la responsabilità dell’attentato a personaggi dei servizi segreti. Sullo stesso argomento il BRUSCA era tornato a parlare con il RIINA quando era stata divulgata la lettera anonima in cui si muovevano delle accuse all’operato di magistrati palermitani, tra i quali il dottor FALCONE, ed in quell’occasione il RIINA, oltre a rammaricarsi ancora del fallimento dell’attentato gli diceva chiaramente che esso era stato posto in essere da COSA NOSTRA. Ulteriore conferma di tale circostanza il BRUSCA aveva poi avuto dal RIINA allorché i mezzi di informazione avevano dato notizia delle indagini sul dottor DI PISA quale possibile autore della lettera anonima summenzionata. A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA


Dopo la strage, gli assassini brindano con lo champagne davanti alla tv Giovanni Brusca si ritrova a casa con Gioacchino La Barbera, Mimmo Ganci e Salvatore Cancemi. I mafiosi non sanno ancora se il giudice è vivo o morto. Quando arriva la notizia Brusca ricorda: «Cancemi si alza dalla sedia e va verso il televisore e comincia a sputare. Cornuto, finalmente, meno male, di qua, di là, si alza mette mani in tasca… c’era un ragazzo, un certo Giovanni, Giovanni u siccu… esce i soldi dalla tasca e gli dice: vai a comprare una bottiglia di Champagne…»  […] Al momento della telefonata, che era arrivata da Palermo, sia sul cellulare di La Barbera che su quello di Ferrante, si trovavano nel villino TROIA, GIOE’ e LA BARBERA, che dopo la telefonata erano andati via subito, perchè dovevano accompagnare La Barbera alla sua macchina, per poi andare ad azionare la ricevente. Brusca aveva appreso che o Gioè o La Barbera ne avevano verificato il funzionamento. Lui, insieme a Biondino e Battaglia, si era invece avviato alla postazione, dove poi era stato raggiunto da Gioè ed erano passati prima dal casolare dove era stata nascosta da Battaglia la trasmittente.  Ferrante invece si era avviato verso l’aeroporto: «Dunque, per come già ho raccontato nelle disposizioni che già avevamo prestabilito, cioè il gruppo di PALERMO di GANCI, CANCEMI e GANCI DOMENICO, poi non so se c’erano altre persone per come poi ho saputo, che dovevano controllare PALERMO per verificare quando la macchina del corteo partiva per andare a PUNTA RAISI, e doveva chiamare sia al FERRANTE che a noi, a noi riguardava il telefonino di LA BARBERA, in modo che il FERRANTE si doveva mettere all’uscita dell’autostrada di CARINI in modo che quando vedeva passare le macchine per andare all’aeroporto potesse seguirle, in modo che arrivando all’aeroporto si fermasse in un punto dove vedeva uscire il Dottore FALCONE mettersi in posizione molto chiara per vedere in faccia proprio, doveva vedere visivamente il Dottore FALCONE per dire 100 per 100 è sulla macchina; dopo avere preso questa conferma al 100 per 100 il FERRANTE doveva chiamare a LA BARBERA, però già noi avevamo avuto la stessa telefonata che il FERRANTE aveva avuto perché mentre lui faceva questa opera di andare all’aeroporto noi dovevamo andare ad azionare la ricevente nel cunicolo, dunque, nel mentre che FERRANTE va all’aeroporto in attesa che il giudice FALCONE scende dall’aereo e si metta in macchina, il gruppo quello che siamo nel casolare, siamo io, FERRANTE, io, LA BARBERA, GIOE’, TROIA, BATTAGLIA e BIONDINO. E allora, BATTAGLIA, TROIA, GIOE’ e LA BARBERA se ne vanno, perché dovevano andare ad azionare il, la ricevente.. eravamo nel villino adiacente. Dunque, e subito ci, no, ci spostiamo poi nel casolare per 5 minuti, 10 minuti perché il BATTAGLIA è andato a prendere subito, no è andato a prendere l’avevamo già a disposizione nel casolare, dal casolare parto io, BIONDINO, io e BIONDINO partiamo per la collina e BATTAGLIA GIOVANNI, GIOE’, LA BARBERA e TROIA scendono verso giù, uno perché devono andare ad azionare il, la ricevente, due perché dovevano accompagnare il LA BARBERA nella macchina in quanto non l’aveva posteggiata nelle vicinanze del villino per non credere troppa confusione. Il GIOE’ dopo avere azionato il telecomando avendo contastato 100 per 100 che tutto era al posto veniva…GIOE’, non so io, da lì sono partiti GIOE’, LA BARBERA e TROIA che dovevano azionare la ricevente ed accompagnare il LA BARBERA per mettersi in macchina per andarsi al punto dove stabilito nella strada parallela all’autostrada, quindi poi se l’ha azionato LA BARBERA o l’ha azionato GIOE’ questo non glielo so dire perché io non ero presente, però a me mi interessava che GIOE’ quando tornava aveva la conferma 100 per 100 che tutto era al posto».  Sul punto ritorna in esito a contestazione del Pm tratta dal verbale del 4 settembre 96 e spiega così il senso delle dichiarazioni rese: «Signor Presidente, come ho detto questa mattina io non posso ricordare con precisione quello che hanno potuto fare gli altri, io mi ricordo precisamente quello che ho fatto io. Quindi, sugli altri ci può essere sempre un momento di confusione, non di confusione, penso una cosa e possibilmente ne può aver fatto un’altra, però quello che ricordo che quelli che hanno avuto l’incarico di andare ad azionare il telecomando è stato: LA BARBERA, GIOE’ e il TROIA. Il TROIA perchè doveva accompagnare al LA BARBERA nella macchina in quanto la macchina non l’aveva posteggiata vicino al casolare, ma bensì l’aveva posteggiata in un posteggio nella periferia, vicino la statale 113. Quindi, il TROIA necessariamente doveva andare ad accompagnare il LA BARBERA. Il GIOE’ ci doveva essere ugualmente perchè venendo poi a trovare me, confermandomi che tutto era andato a posto, cioè era stato azionato il telecomando, era stata levata la custodia del chiodo, del chiodo per fare la massa alla ricevente. E tutto era stato appeso l’antennino, perchè nell’antenna abbiamo messo una bacchettina, cioè per stare all’impiedi, per avere una efficienza molto più proficua. Quindi, in linea di massima credo che non ci sia un grosso spostamento di quello che ho detto allora e quello che sto dicendo oggi. Io ricordo precisamente che questi tre hanno avuto questi compiti, se poi fra di loro li hanno cambiati non glielo so dire».  Espletati questi adempimenti preliminari, era tutto pronto per passare all’azione: il commando operativo che si trovava sul luogo scelto per azionare la carica, era formato da Brusca, Gioè, Battaglia, ( quest’ultimo doveva poi distruggere tutto quanto era servito per l’esplosione), e Biondino, che era rimasto di guardia all’inizio della stradella.

SQUILLANO I CELLULARI  Di lì a poco era arrivata la telefonata di La Barbera, preavvisato a sua volta da Ferrante, che aveva preannunciato l’arrivo del corteo delle macchine, ed aveva fatto intendere all’interlocutore, Gioè, che la velocità delle auto era inferiore rispetto a quella che loro avevano preventivato: «Dopodiché il LA BARBERA se ne va per il suo compito, per andare al punto specifico per andarsi a posizionare nella strada parallela all’autostrada, il GIOE’ mi viene a trovare e si mette alla posizione del cannocchiale, io mi metto con il telecomando in mano, il BATTAGLIA in attesa che tutta l’operazione per prendersi il telecomando, lo sgabello e il cannocchiale; il BIONDINO mi aspetta all’entrata della stradella perché era ostruita da un recinto dal terriccio e noi dovevamo fare circa 100-120 metri, 150 metri a piedi e il BIONDINO ci aspettava all’inizio della stradella. Quindi, dopo tutto questo preparativo ognuno al suo posto, dopodiché arriva la telefonata, cioè il FERRANTE doveva telefonare al LA BARBERA, LA BARBERA doveva telefonare a noi, e così è successo. Il LA BARBERA telefona e telefona, la telefonata la prende GIOE’, perché GIOE’ era con il telefonino e con il cannocchiale per vedere il, cioè l’andamento delle macchine, però anche io ad occhio nudo vedevo il corteo, dalla velocità che ci avevano, cioè il LA BARBERA ci dice 120-130 già questo, la differenza di velocità già LA BARBERA ce l’aveva detto, cioè facendoci dire, non mi ricordo con quale parola convenzionata, comunque dalla parola convenzionata noi capivamo il tipo di velocità che il corteo aveva, dopodiché il LA BARBERA stacca la telefonata e noi aspettiamo che noi arriva il corteo di macchina al punto stabilito. Ad un certo punto GIOE’ mi dice vai, ma io non lo so per quale motivo cioè ero bloccato ad azionare quel telecomando, anche perché vedevo che il corteo la velocità che mi avevano detto non era, era molto, molto più lenta e d’istinto io non aziono il telecomando quando il GIOE’ mi dice via, infatti il GIOE’ mi dice via, via, cioè me lo dice 3 volte, alla terza volta io aziono il telecomando, dopodiché vedo non vedo niente vedo solo una fumata, un rumore e non vedo più niente, dopodiché abbiamo consegnato tutto al BATTAGLIA il binocolo, cioè il cannocchiale, il piedistallo che avevamo fatto costruire e il telecomando, io e GIOE’ ce ne siamo andati con la sua CLIO e il BIONDINO con la sua CLIO».  Brusca era riuscito anche a distinguere, pur se sommariamente, la dinamica dell’effetto deflagratorio: «Ho visto una grande fumata, una vampa di fuoco e non tutta in una volta ma bensì a ripetizione, secondo me erano i fustini che man mano, cioè fra di loro si andavano, per forza, non so come viene descritta…ho visto questo tipo di fiammantazione, cioè partendo al centro poi tutto evade e si andava facendo questo tipo di esplosione, però non ho visto più niente, cioè ho visto solo queste due cose…ho provato, non lo so la fine del modo, cioè ho visto una cosa molto, molto terribile. Cioè effettivamente un momento di esitazione l’ho avuto, anche in quel momento, non perché oggi lo sto dicendo, perché non è molto facile».

I MAFIOSI SCAPPANO  All’esplosione era seguita immediatamente la fase di allontanamento dalla collinetta alla volta di Palermo, che era stato operato attraverso strade secondarie per l’ovvia impossibilità di prendere l’autostrada; con Biondino si erano separati appena arrivati sulla circonvallazione, mentre essi avevano proseguito fino all’abitazione di Guddo, dove erano attesi da Raffaele Ganci e Cancemi.  Una volta giuntivi, Gioè era andato via subito, per tornare ad Altofonte e vedere se era possibile farvi rientrare Brusca, che gli aveva chiesto espressamente di avvisare telefonicamente La Barbera, che poi sarebbe passato a prenderlo, se ci fossero stati movimenti delle forze dell’ordine: «…Abbiamo passato il paese di CAPACI, siamo pasti per TORRETTA, siamo saliti alla strada che porta a BOCCADIFALCO, MOTELEPRE, e siamo andati per BOCADIFALCO, arrivati a BOCCADIFALCO precisamente dove c’è l’ENEL scendendo più sotto, prima di arrivare alla CINCONVALLAZIONE della VIA LAZIO con BIONDINO ci siamo fermati, ci siamo salutati lui se ne è andato per i fatti suoi e noi per i fatti nostri, siccome in previsione che il GIOE’ poteva essere controllato visto quello che era successo, siccome avevo già con GANCI RAFFAELE e con CANCEMI avevamo stabilito di vederci nella casa di GUDDO GIROLAMO dietro VILLA SERENA, e la prima tappa, io e GIOE’ l’abbiamo fatta in quella casa, arrivando in quella casa io scendo e mi metto assieme a loro due ad aspettare la notizia in televisione, GIOE’ se ne va al ALTOFONTE sia per vedere il movimento se era controllato cosa succedeva per poi chiamarmi e farmi rientrare..lui chiamava al LA BARBERA e poi io mi sentivo con LA BARBERA perché GIOE’ non aveva più telefonino, perché io avevo quello del DI MATTEO e LA BARBERA aveva il suo, e con GIOE’ siamo rimasti che lui chiamava dal telefonino dalla pompa, cioè dal telefono credo quello pubblico, non so, credo che chiamasse dalla pompa, dal distributore di benzina, chiamasse al LA BARBERA e poi il con LA BARBERA ci siamo messi d’accordo per venirmi a prendere per portarmi poi ad ALTOFONTE».

SI ASPETTA LA NOTIZIA DELLA MORTE DI FALCONE  La riunione era stata organizzata per attendere che la notizia venisse data dalla televisione ed avere la conferma che l’obiettivo era stato raggiunto: «A casa si commentò io, LA BARBERA, io, GANCI e CANCEMI commentavamo, non sapevamo se era, se il Dottore FALCONE era morto, era vivo, nel frattempo si accende la televisione e già la televisione parlava di questo fatto, e dava la notizia che il Dottore FALCONE era vivo, nessuno dei tre parlava però ad un certo il CANCEMI comincia a fare apprezzamenti molto, ma molto negativi che anche io stesso solo a sentirli mi veniva da, non lo so ma chistu è pazzo, non so cosa, cosa stia dicendo, questo di qua, questo là, se questo rimane vivo ci distrugge, se questo, cioè non ho il coraggio neanche di ripetere quello che diceva…questo cornuto, questo, tutte queste cose…cioè questo cornuto ci fa il dietro così, ce lo fa grosso, ci distrugge, ci, cioè queste erano tutte parole solo ed esclusivamente di CANCEMI infatti io e GANCI RAFFAELE ci guardavamo in faccia per dire ma chistu che cosa sta dicendo, nel frattempo dopo un mezz’oretta, 20 minuti, dopo tutti questi apprezzamenti, sulla televisione esce una striscetta che il Dottore FALCONE era morto, e un’altra volta il CANCEMI si alza dalla sedia e va verso il televisore e comincia a sputare, cornuto, finalmente, meno male, di qua, di là, si alza mette mani in tasca, c’era un ragazzo che era anche lui un certo GIOVANNI, GIOVANNI U SICCU chiamato che poi so che ad un certo, non mi ricordo come si chiama, è stato individuato e poi è stato arrestato, esce i soldi dalla tasca vai a comprare una bottiglia si CHAMPAGNE, e si prepara a guardare il CANCEMI, sia io e GANCI RAFFAELE, dice anche se io non bevo perché forse il CANCEMI non beve o è astemio, non lo che cosa è, brindiamo, facciamo, diciamo, e così è avvenuto. Abbiamo preso questa bottiglia, abbiamo stappato, preso 3 bicchieri, c’era questo GIOVANNI pure, il padrone della casa pure, però quelli non capivano a che cosa, hanno intuito poi dalla televisione cosa stavamo brindando, e questo è avvenuto quando è successo dentro la casa di GUDDO GIROLAMO, dopodiché, nel frattempo io mi sentivo con LA BARBERA che lui non so come mai si era andato a recare nella casa di VIA IGNAZIO GIOE’ e poi dalle telefonate gli ho detto di recarsi a VILLA SERENA, di aspettarmi a VILLA SERENA che io mi sarei fatto accompagnare. Credo dalla casa di GUDDO GIROLAMO a VILLA SERENA se non ricordo male o GIOVANNI U SICCU, o GANCI RAFFAELE mi accompagnò nel, a VILLA SERENA, nel parcheggio, nel posteggio, dopodiché ci siamo messi in macchina…lì c’era il LA BARBERA ad aspettarmi, mi sono messo in macchina con LA BARBERA e mi sono recato ad ALTOFONTE. Il LA BARBERA mi raccontò che quando, dopo averci dato il segnale non so dove, a CAPACI, a CANINI, non mi ricordo dove, che essendo che c’era traffico, traffico perché si era creato un ingorgo con molta confusione, il LA BARBERA aveva il finestrino aperto e sentiva il commento della gente, dicendo, non sapeva se c’era FALCONE o meno: “lo hanno ucciso, che peccato – dice – mi raccomando” il LA BARBERA diceva c’era chi piangeva e tutti questi commenti…credo che nel tragitto ci sia stata una telefonata da parte di GIOE’ a LA BARBERA per dirci: tutto a posto, cioè, vi siete visti, non vi siete visti? Credo che questo sia avvenuto. Questo contatto è perché ci dava il via libera che a ALTOFONTE era tutto a posto e che potevamo proseguire tranquillamente».  Una volta giunti ad ALTOFONTE, i due si erano recati nell’abitazione di Di Matteo, quella adiacente alla sua casa in paese e vi erano restati solo per poco, una mezzora circa, perchè Di Matteo aveva un impegno con un certo MATTIA GIUSEPPE per festeggiare l’acquisto di un attrezzo agricolo. Erano andati allora a cenare a casa di Gioè, e con loro c’era anche un tale BENTIVEGNA SALVATORE, che era all’ oscuro di ogni cosa, e nell’occasione aveva commentato l’accaduto, ma solo in termini generici a causa della presenza di Bentivegna: «In quell’occasione il GIOE’ diceva che era successo un fatto storico perché in SPAGNA era successo non so, un re che gli avevano fatto quasi un attentato simile, e che questo aveva superato quell’azione, però parlando così genericamente senza riferimento siamo stati noi, non siamo stati noi perché c’era la presenza del BENTIVEGNA che ascoltava e non potevamo dire niente,… nel senso che la televisione parlava di servizi segreti, parlava di questo cioè commentavamo quello che diceva la televisione, perché c’era il BENTIVEGNA e non potevamo parlare apertamente davanti al BENTIVEGNA per dire che eravamo stati noi, ma il fatto generico che parlavamo, guardi non mi ricordo cosa dice, però genericamente ne parlavamo, l’unico fatto che mi è rimasto impresso è stato questo fatto, cioè il fatto che in SPAGNA era subito questo attentato e che, e chi aveva fatto, GIOE’ diceva così, chi aveva fatto questo aveva superato gli spagnoli». Finita la cena, Brusca aveva appreso da Di Matteo della presenza dei carabinieri nei pressi del luogo ove si rifugiava, (una casa che era intestata alla moglie di DI MATTEO MARIO SANTO, VERSELLESE FRANCA), dove fra l’altro abitava un altro latitante, tale Capizzi Benedetto, ed allora, per precauzione, si era fatto accompagnare a Piana degli Albanesi, dove aveva trovato rifugio nell’abitazione di un altro uomo d’onore, Matranga Giovanni: «Dopo avere abbandonato questa abitazione siccome il DI MATTEO aveva avuto segnali che nella casa dove io abitavo c’era stato un movimento da parte dei Carabinieri, quindi non sapevamo se era per me o per CAPIZZI BENEDETTO in quanto là ci abitava la cognata, quindi siccome io latitante, CAPIZZI BENEDETTO latitante, non sapevamo se i Carabinieri, cioè in borghese a bordo di una FIAT UNO perché cosa, cioè cosa andavano a controllare, perché questo sospetto, perché il punto dove io abitavo si ci doveva andare appositamente, non era un posto di passaggio, siccome chi ha visto questo movimento ha avvisato il DI MATTEO, dice senti ho visto del movimento strano, quando io sono rientrato il DI MATTEO mi avverte di questo fatto al che io non ho voluto andare più in quella casa, infatti, mi vado prendere tutta la biancheria, mi vado a prendere tutta la biancheria e la moglie del DI MATTEO mi aveva lavato un paio di tennis e si era premunita subito di andarmi a prendermi questo paio…scarpe di tennis dicendo tutto a posto, hai bisogno, non hai bisogno, già la televisione tutti avevano detto quanto era successo, naturalmente lei aveva visto, si premuniva se io avevo di bisogno di qualcosa, no, ho detto FRANCA non ho bisogno di niente, dopodiché mi sono preso le scarpe da tennis, mi sono preso la biancheria che avevo in quella casa, mi sono messo a bordo della mia Y10 che io avevo e LA BARBERA E GIOE’ mi hanno accompagnato a PIANA DEGLI ALBANESI, strada facendo quando abbiamo passato, abbiamo visto il DI MATTEO, la moglie e LO PETTO che si trovavano a passare, ci hanno salutato e noi ce ne siamo andati a PIANA, io arrivando a casa di MATRANGA GIOVANNI, uomo d’onore della famiglia di PIANA DEGLI ALBANESI, mi sono fermato, mi sono fermato lì. Dopodiché loro se ne sono tornati, mi ricordo che piovigginava quella sera, dopodiché loro se ne sono tornati e ci siamo rivisti non so se dopo 2-3-4 giorni. Poi ho saputo che in quella abitazione di Capizzi è stata effettuata effettivamente una perquisizione, credo la mattina, la mattina dopo il 24 sia sta effettuata la perquisizione, me lo ha detto LA BARBERA e GIOE’, loro, sempre loro mi informavano chi sapeva, cioè mi hanno detto sai quel movimento ci iro a fari perquisizione dal cognato di CAPIZZI BENEDETTO, cioè io non so loro me lo hanno detto». L’imputato ha ricordato, oltre agli avvenimenti legati alla realizzazione materiale della strage, anche un episodio successivo, verificatosi nel mese di luglio, relativo ad interventi tesi alla sistemazione del terreno dove erano state effettuate le prove dell’esplosivo, di cui però non si è trovato alcun riscontro: «Dunque, nel mese di luglio, nel mese di luglio, giugno, comunque estate, arriva DI CARLO CALOGERO, uomo d’onore della famiglia di ALTOFONTE, cognato di LA BARBERA GIOACCHINO, avendo effettuato un colloquio con lo stesso, cioè con il collaborante LA BARBERA GIOACCHINO, gli dice di andare a levare cioè togliere il pezzo di risulta, cioè il pezzo di cemento quello che avevamo fatto la prova, quello che avevamo fatto la prova in contrada REBOTTONE che questo materiale lo avevamo spostato vicino alla casa cioè quando abbiamo fatto l’esplosivo il LA BARBERA GIOACCHINO l’aveva spostato con il suo mezzo vicino la casa del DI MATTEO al ché il LA BARBERA, non so, perché aveva intuito che c’era qualcosa che non andava o ha saputo dell’omicidio di GIOE’, non sapendo cosa avesse detto, comunque manda il cognato, o perché già c’era DI MATTEO che collaborava, non mi ricordo qual era il motivo, comunque manda il cognato per togliere questo, questa prova. Io non è che mi vedo direttamente per la prima volta con il cognato? A me mi arriva tramite ROMEO, ROMEO lo fa sapere a VASSALLO GIUSEPPE, per dire: CALOGERO venendo dal colloquio dice di andare a togliere questo, questo materiale, siccome l’unico che sapeva di questo fatto ero io allora cosa ho fatto? Per non creare equivoci, problemi e cose varie, mi do appuntamento con DI CARLO CALOGERO direttamente in contrada REBOTTONE nella casa del DI MATTEO, io non prendo la strada quella normale ma bensì ci vado di sopra che c’è un’altra entrata e arrivo un pochettino prima perché mi spavento che il DI CARLO può essere seguito e CALOGERO arriva dalla strada normale; quando arriviamo sul luogo vediamo che il materiale, cioè quello che avevamo, l’esplosivo e dal materiale di risulta, non c’era più al ché dico: CALO’, CALOGERO, non c’è più, non c’è nessun motivo da preoccuparsi. Cosa pensiamo lì per lì? Siccome il DI MATTEO aveva costruito una stalla nuova e credo che abbia utilizzato questo e altro materiale per riempire i fondamenti, solo così ci potevamo spiegare perché quel pezzo di cemento assieme al tubo non c’era più». Ha riferito altresì l’imputato delle macchinazioni ordite per approfittare dell’alibi che si era precostituito Antonino Gioè, grazie al coinvolgimento del geometra Di Carlo, che era stato invitato a trasporre al giorno della strage quanto invece si era effettivamente verificato giorni prima: «Non so se lo stesso giorno, ma credo l’indomani, il GIOE’ viene chiamato dai Carabinieri, viene invitato ad andare in caserma per degli accertamenti allora il GIOE’ intuendo, cioè capendo che poteva essere per la strage di CAPACI, prima di andare in caserma, passa da un suo amico e gli dice: “senti, quello che abbiamo fatto ieri trasportalo a oggi, paro, paro”. Cioè, siccome il giorno prima erano andati a fare dei sopralluoghi, avevano andati a misurare del terreno assieme ad altre persone e l’orario era precisamente quando è avvenuta l’esplosione quindi non c’è voluto niente, bastava che quello, il DI CARLO dichiarava, cioè quello che doveva dire prima lo dicesse, per dire, non è successo oggi ma bensì il giorno della strage e tutto era, tutto era risolto e così è successo. Il GIOE’ va in caserma, viene interrogato, chiama a testimoniare il DI CARLO, il DI CARLO, il geometra DI CARLO..l’amico di GIOE’. Arriva in caserma, conferma quanto gli aveva detto il GIOE’ e il GIOE’, avevano chiamato pure il CASTELLESE, il sindaco, cioè il cognato del DI MATTEO, ma il maresciallo gli ha detto: no, non c’è di bisogno, già è sufficiente quanto ci ha detto. E hanno liberato a tutti e due e questo era quello che io volevo sfruttare come prova a mio discapito, perché se non c’era GIOE’ non ci potevo essere anche io». A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA


LA COLLOCAZIONE DELL’ESPLOSIVO AVVENNE A FINE APRILE, QUESTA VOLTA DI NOTTE.   Il buco era già stato scelto: era perfetto, stretto, piccolino, come mi aveva detto il mio parente. Poteva avere un’efficacia come quella che poi in realtà ebbe. Avevamo le idee abbastanza chiare. Sapevamo anche che l’auto di Falcone correva sempre nella corsia dei sorpassi. Misurammo l’autostrada, da un punto all’altro, con una corda. Dovevamo riempirne di esplosivo solo metà. Ci siamo riportati questa misura all’interno del cunicolo. Per arrivare a metà dell’autostrada bastava contare i tubi del cunicolo che misuravano un metro ciascuno e avevano un diametro di 50 centimetri. Nell’altra corsia non collocammo l’esplosivo: si solleverà solo per effetto dell’esplosione… Mettevamo nel conto anche il passaggio di qualche auto di <>. Ma era una possibilità su mille e ci augurammo che non si affiancasse nessuno alla macchina di Falcone. La consideravamo un’ipotesi molto remota perché, di solito, le macchine di scorta fanno allontanare le altre auto. Avevamo previsto anche questo. Quindi, fatti tutti questi conteggi, tutte le prove, sistemato il frigorifero, arriviamo ai primi di maggio. La notte in cui completammo l’operazione eravamo io, Gioè, Bagarella, Biondino, Salvatore Biondo il <>, Ferrante, Giovanni Battaglia, Pietro Rampulla e la Barbera. Abbiamo cominciato al tramonto. Avevamo i telefonini. Biondino e Ferrante, quando li avremmo chiamati, avrebbero dovuto portarci l’esplosivo che avevamo depositato nella villa di Troia. (Saverio Lodato – HO UCCISO GIOVANNI FALCONE- La confessione di Giovanni Brusca)