Salvatore Grigoli (Palermo, 5 luglio 1963) Collaboratore dell’Arma dei Carabinieri, ex mafioso al soldo dei fratelli Graviano. Vissuto fra i quartieri di Cosa Nostra, con 46 omicidi alle spalle risulta uno dei più spietati killer, presenziando inoltre alle stragi di Firenze e a vari attentati a Roma, nonché a un attentato ai danni di Maurizio Costanzo. I fratelli Graviano, assieme a un altro mafioso, Gaspare Spatuzza, lo incaricarono dell’omicidio ai danni di don Giuseppe Puglisi, che con il centro “Padre Nostro” toglieva tanti giovani ragazzi a Cosa Nostra. L’omicidio si svolse il giorno del compleanno del parroco di Brancaccio, allora uno dei cuori della mafia a Palermo. Stando ai racconti di Grigoli, Spatuzza si affiancò a un tranquillo don Puglisi dicendo: “Padre, questa è una rapina”. Il prete avrebbe ribattuto, con un sorriso: “Me l’aspettavo”.
Dopo aver sparato un colpo alla nuca, sempre stando ai racconti del pentito, la morte di Puglisi sembrò una maledizione, dati i continui fallimenti a cui andavano incontro. Stanco della vita mafiosa, arrestato, confessò tutti i delitti e cominciò una collaborazione, che lo portò ad essere sotto scorta e a vivere con continui spostamenti per evitare vendette da parte della mafia, dalla quale si esce “solo con il sangue” (Leonardo Sciascia). La collaborazione di Grigoli ha contribuito all’arresto di molti mafiosi. Ha collaborato, inoltre, con la diocesi palermitana per il processo di beatificazione di don Puglisi.
IL ‘CACCIATORE’ CONFESSA ‘HO UCCISO PADRE PUGLISI’ Ha abbracciato la moglie e i tre figli che non vedeva da molti mesi. Ha chiesto di poter parlare con loro per qualche minuto. Poi si è rivolto agli investigatori: “Ho deciso di collaborare con la giustizia. Portate i miei familiari in un luogo sicuro e vi racconto tutto quello che so…”. A Salvatore Grigoli, il killer di fiducia della cosca di Brancaccio, catturato venerdì sera dopo quattro anni di latitanza, sono bastate appena cinque ore per decidersi a compiere il grande passo. Grigoli, soprannominato ‘il cacciatore’ , ha ammesso di essere il sicario che la notte del 16 settembre 1993 uccise il sacerdote palermitano Pino Puglisi. Lo avevano accusato numerosi collaboratori di giustizia, ma adesso la conferma è arrivata anche dal diretto interessato. Grigoli, invece, ha negato con forza di aver avuto un ruolo nel delitto dell’ imprenditore edile Angelo Bruno, assassinato in Corso dei Mille un paio di ore prima dell’ arresto del killer latitante. Nel covo gli agenti della Squadra mobile avevano trovato una pistola dello stesso calibro di quella usata per uccidere il costruttore edile, e proprio dalle 19 alle 20 di venerdì scorso – l’ orario nel quale Bruno è stato ucciso – il sicario era fuori dalla sua abitazione. Un buco di un’ ora che aveva fatto convergere proprio su Grigoli i sospetti degli inquirenti. Angelo Bruno, tra l’ altro, sarebbe caduto per mano del racket delle estorsioni, un business che a Brancaccio avrebbe fatto capo proprio a Salvatore Grigoli dopo gli arresti dei fratelli Graviano e di Antonino Mangano. Ma la perizia balistica della polizia scientifica ha escluso che la 7.65 Parabellum con silenziatore trovata nel rifugio di via Camarda sia quella usata dai sicari per uccidere l’ imprenditore. La parte di proiettile trovata nella testa della vittima, infatti, presenta sei rigature sinistrorse, mentre l’ arma di Grigoli ne ha solo quattro e per giunta destrorse. Da ieri, dunque, i familiari del killer (la moglie e i figli di 12, 10 e 4 anni, ndr) si trovano in una località segreta. Ma la posizione di Grigoli non è ancora quella del collaboratore di giustizia: gli investigatori, infatti, vogliono valutare a fondo le confessioni del boss prima di prendere una decisione. Grigoli, insomma, è allo stato un semplice “dichiarante”, come il boss di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca. Le prime dichiarazioni verbalizzate dai magistrati della direzione distrettuale antimafia sono quelle legate all’ omicidio di don Puglisi. Il sacerdote della parrocchia di San Gaetano dava fastidio alla cosca di Brancaccio per il suo impegno contro la criminalità organizzata. Ai fratelli Graviano non andava giù che quel prete pronunciasse dal pulpito della sua chiesa parole di fuoco contro la mafia e i suoi rapporti con la politica e il mondo degli affari. E così, in una calda notte di settembre di quattro anni fa, il sacerdote venne assassinato con diversi colpi di pistola esplosi da distanza ravvicinata. Assieme a Grigoli, che sarebbe stato l’ esecutore materiale del delitto, c’ era anche Gaspare Spatuzza, latitante di spicco, alla guida della moto utilizzata dai killer. Il processo per l’ omicidio Puglisi è cominciato qualche mese fa: alla sbarra ci sono come mandanti i fratelli Graviano e presto Grigoli potrebbe essere chiamato a testimoniare dai pubblici ministeri. Intanto le attenzioni degli investigatori sono incentrate anche sui numerosi appunti trovati nel marsupio del killer, assieme alla pistola e al portafogli. Una serie di foglietti pieni di numeri, probabilmente le somme chieste ai commercianti taglieggiati di Brancaccio. E anche sul fronte delle estorsioni la collaborazione del boss potrebbe risultare determinante. La cosca di Brancaccio, infatti, era quella incaricata di raccogliere il pizzo a Palermo per conto dei “corleonesi” di Totò Riina. Ieri pomeriggio la Squadra mobile ha arrestato un altro presunto killer di mafia: Antonino Tinnirello, 35 anni, detto “Madonna”, latitante dall’ 89. Il pentito Francesco Marino Mannoia lo ha indicanto come uno dei sicari del gruppo di fuoco di Ciaculli: con Giuseppe Lucchese, Giovanni Drago e Agostino Marino Mannoia, Tinnirello sarebbe autore di decine di omicidi della seconda metà degli anni Ottanta. Lucio Luca
Il “pentimento” di Salvatore Grigoli Per quel che riguarda il procedimento in esame, il predetto imputato, all’udienza del 7 luglio dello stesso anno 1997, rendeva spontanee dichiarazioni, riportate nella sentenza di primo grado e che appare opportuno qui trascrivere testualmente, nei passi più salienti, costituendo la sua collaborazione una svolta decisiva, la chiave di lettura dell’omicidio di Padre Puglisi, in quanto il predetto ha espressamente indicato causale, mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio, primo fra tutti se stesso.
Il Grigoli ha così esordito: “Io vorrei collaborare….con la giustizia, quindi definendomi collaboratore”.
“Però, per quanto riguarda questo processo, vorrei definirmi io più che altro un pentito, perché mi sono pentito realmente di aver commesso questo omicidio”.
“Riguardo ….io cominciai già a pensare qualcosa del genere all’incirca, riguardo sul pentirmi, un sei mesi addietro a questa parte…. E mi ha dato modo di pensare questo il fatto che da un anno a questa parte io non ero più sostenuto da nessuno, né economicamente né ….cioè in poche parole io non ero più in condizioni di campare, come si suol dire la famiglia; mi sono dovuto persino impegnarmi dell’oro che avevo io per potere mandare dei soldi a casa….e fare….altre cose; addirittura farmi prestare dei soldi per potere tirare avanti i miei figli e questa cosa mi ha cominciato a fare pensare io con chi…per tutta…per gran parte della mia vita, con chi ho avuto a che fare, se è stato giusto le cose che ho commesso, i delitti….cioè questa cosa mi cominciò a far pensare se era stato giusto quello che avevo fatto io per conto di questa organizzazione. E da questo, ecco, che io ho deciso anche di collaborare con la giustizia”.
“Adesso vorrei dire io cosa sono a conoscenza e le mie responsabilità riguardo il delitto di Padre Puglisi”.
“Vorrei premettere un’altra cosa, che io….tengo a precisare che non è assolutamente vero il fatto che io mi sia vantato, dopo aver commesso questo omicidio, perché non ne trovavo le ragioni, non me ne vantavo per altri omicidi….figuriamoci di questo che già….anche perché, dopo averlo commesso, ci pensavo spesso a questo omicidio e non vedevo la ragione per cui è stato fatto….anche se i motivi ne sono a conoscenza, ma non mi sembravano motivi validi per uccidere un prete”.
“Prima….volevo precisare un’altra cosa, prima dell’omicidio, ho commesso un altro reato, lo dico perché secondo me è attinente a questo omicidio. Fummo incaricati io, Spatuzza e Guido Federico di bruciare tre porte di tre famiglie di uno stabile di via Azolino Hazon, nei dintorni di questa via…perché queste persone erano vicine a padre Puglisi”.
“I fatti che io conosco, le responsabilità dell’omicidio sono quelli che un giorno…non ricordo se fu lo Spatuzza o Nino Mangano che un giorno mi disse che dovevamo commettere questo omicidio, che deve essere stato lo Spatuzza anche perché la persona che conosceva il padre. Già aveva parlato con Giuseppe Graviano e si doveva commettere questo omicidio, sicuramente ne parlai anche con Nino Mangano, perché io non facevo niente se non ne parlassi con lui”.
“Quindi una sera….cercammo di vedere i movimenti, gli spostamenti del padre e lo incontrammo a Brancaccio, in un telefono pubblico. Non mi ricordo se già ero armato o dopo averlo visto…ci recammo per armarci, anche se poi l’unico a essere armato ero io e lo attendemmo nei pressi di casa”.
“Così fu, eravamo io, lo Spatuzza, Giacalone Luigi e Lo Nigro Cosimo. Eravamo comunque…non avevamo né macchine rubate, né motociclette, niente di tutto questo, eravamo con le macchine….una era di disponibilità del Giacalone, un BMW e una Renault 5 di proprietà del Cosimo Lo Nigro. Scese Spatuzza dalla macchina del Lo Nigro, perché Spatuzza era con Lo Nigro ed io ero con Giacalone. Il primo ad arrivare fu lo Spatuzza, ricordo che il padre si stava accingendo ad aprire il portone di casa, ….lo Spatuzza si ci affiancò, perché il padre aveva un borsello, gli mise la mano nel borsello e gli disse: padre questa è una rapina”.
“Allorchè il padre neanche si era accorto di me….e il padre, fu una cosa questa qui che non posso dimenticare, perché ogni volta che penso a questo episodio mi viene in mente questa visione del padre che sorrise, non capii se fu un sorriso ironico o sorrise….sorrise e gli disse allo Spatuzza “me l’aspettavo”. Allorchè io gli sparai un colpo alla nuca e il padre morì sul colpo senza neanche accorgersene di essere stato ucciso”.
“Dopo di ciò chiaramente il borsello fu portato via dallo Spatuzza… Dopo di ciò ci recammo in uno stabilimento della zona industriale cosiddetto Valtras, uno stabilimento di export-import…una specie di spedizionieri erano e lì fu controllato il borsello. Ricordo bene che c’era una patente, lo ricordo bene perché lo Spatuzza aveva la mania, perché lui all’epoca già era latitante, di togliere le marche da bollo che potevano servire per eventuali documenti falsi e tutti i documenti e tolse le marche da bollo”.
“Tra le altre cose ricordo che c’era una lettera…non ricordo se è stata inviata al padre o….c’era una busta con un foglio, una lettera di una persona che gli aveva scritto che, se non ricordo male, gli facesse gli auguri non so di cosa, all’incirca trecento mila lire e poi altri pezzettini di carta…”
“Vorrei premettere che il borsello fu portato via, perché si voleva far credere che l’omicidio….cioè l’omicidio dovevano pensare gli inquirenti che era stato fatto da qualche tossicodipendente o da qualche rapinatore, ecco perché fu utilizzata la 7,65, non è un’arma consueta agli omicidi di mafia”. “Questo è quello che io sono a conoscenza….”.
Al termine di dette dichiarazioni spontanee il Pubblico Ministero chiedeva l’esame di Grigoli Salvatore, che la Corte di Assise ammetteva e che veniva espletato all’udienza del 28 ottobre 1997, nel corso del quale sono stati approfonditi, nel contraddittorio fra le parti, i temi già spontaneamente enunciati dal predetto imputato.
A richiesta della difesa di Graviano Filippo, poi, venivano acquisiti i verbali delle dichiarazioni rese dal Grigoli il 24 giugno 1997 al Procuratore della Repubblica di Firenze ed al Procuratore della Repubblica di Palermo il 26 giugno successivo.
Frattanto l’istruzione dibattimentale proseguiva con l’esame dei testi addotti dalla difesa degli imputati Graviano Giuseppe e Graviano Filippo.
Il processo di primo grado subiva una battuta d’arresto a causa di una prolungata assenza per malattia del Presidente nonché per il trasferimento ad altro ufficio del giudice a latere di quella Corte.
Quest’ultima circostanza rendeva necessaria la rinnovazione del dibattimento disposta con ordinanza del 21 settembre 1998 a seguito della quale quella Corte, nella nuova composizione, dichiarava utilizzabili gli atti dell’attività istruttoria fino ad allora compiuta, disponendo solo un nuovo esame dell’imputato Grigoli Salvatore che veniva espletato all’udienza del 27 ottobre 1998.
Esaurita l’assunzione delle prove si svolgeva la discussione finale, nel corso della quale il Pubblico Ministero e successivamente i Difensori delle parti civili e degli imputati formulavano ed illustravano le rispettive conclusioni.
Ultimata la discussione, orale, il presidente dichiarava chiuso il dibattimento e subito dopo la Corte si ritirava in camera di consiglio per la deliberazione. ITALY FLASH 4.9.2020
GRIGOLI Salvatore Avvicinato sin dal 1985-86 a COSA NOSTRA tramite QUARTARARO Filippo e MANGANO Antonino, quest’ultimo rappresentante della “famiglia” di Roccella, inserita nel mandamento di Brancaccio, insieme a quelle di Brancaccio, Ciaculli e Corso dei Mille. Già intorno al 1986-87 il GRIGOLI aveva commesso un omicidio a Ficarazzi di una persona di Belmonte Mezzagno e poi vari altri omicidi. Il MANGANO gli aveva spiegato che doveva ritenersi un “uomo d’onore riservato” della “famiglia” di Roccella, senza spiegargliene il motivo, anche se egli sapeva di avere un cognato carabiniere, fatto questo che costituiva un ostacolo alla rituale affiliazione in COSA NOSTRA. Inserito gradualmente in un gruppo di fuoco composto da “uomini d’onore” di Brancaccio, come CANNELLA Cristofaro, BARRANCA Giuseppe, GIACALONE Luigi, CELIDONIO Francesco, D’AMICO Cosimo e successivamente anche da ROMEO Pietro, DI FILIPPO Pasquale e TUTINO Vittorio, ebbe a commettere circa quaranta omicidi, su disposizione di GRAVIANO Giuseppe, capo del mandamento di Brancaccio, del MANGANO e successivamente del BAGARELLA. Tra l’altro aveva partecipato con SPATUZZA Gaspare, CANNELLA, GIACALONE e GIULIANO al sequestro del piccolo Giuseppe DI MATTEO, per paralizzare la collaborazione del di lui padre DI MATTEO Mario Santo, nonché all’omicidio del sacerdote PUGLISI, sospettato di aver infiltrato nella sua comunità uomini della D.I.A. per consentire l’arresto di GRAVIANO Giuseppe, mandante dell’omicidio. Intrattenne rapporti con MANGANO Antonino, dal quale aveva appreso varie regole di COSA NOSTRA, nonché soprattutto con “uomini d’onore” del mandamento di Brancaccio e della provincia di Trapani come MESSINA DENARO Matteo e SINACORI Vincenzo, data la vicinanza di questi ultimi ai GRAVIANO ed avendo egli trascorso in quella provincia parte della sua latitanza, iniziata nel 1995 dopo la collaborazione del DI FILIPPO. Arrestato il 19.6.1997, aveva iniziato lo stesso giorno a collaborare con l’A.G., spiegando tale scelta con l’intento di sottrarre i figli all’ambiente criminale nel quale sarebbero altrimenti vissuti e di riscattare i crimini commessi, da lui prontamente confessati. GRIGOLI è stato rilevante soprattutto per conoscere le vicende e l’organigramma del mandamento di Brancaccio, coinvolto nella strategia stragista non solo per il crimine per cui è processo, bensì anche per le stragi di Firenze, Milano e Roma, relativamente alle quali nel processo celebratosi innanzi alla Corte di Assise di Firenze ebbe a riportare la condanna a diciotto anni di reclusione, usufruendo della diminuente di cui all’art.8 del D.L. n. 152/1991 per la collaborazione che è stato in grado di fornire.
a cura di Claudio Ramaccini Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco