Borsellino nasce a Palermo il 19/1/1940. La famiglia vive e vivrà in un quartiere borghese di Palermo: la Magione. Borsellino è molto attaccato a questo quartiere dove ha trascorso tutta la giovinezza. Ambedue i genitori erano farmacisti.
Anche il rapporto con i figli è molto forte. Cerca di proteggerli dalla realtà che è intorno a lui e, nello stesso tempo, di trasmettergli il proprio modo di essere e di agire.
Un episodio per comprendere la fatica e la difficoltà di questo rapporto lo si può trovare nel momento in cui, in piena attività antimafia, Borsellino viene trasferito con Falcone sull’isola dell’Asinara per motivi di sicurezza. Fiammetta, figlia di Borsellino, sta male, viene allontanata dall’isola è malata di anoressia. La veglia la notte e cerca di aiutarla in tutti i modi. Per tutta la sua esistenza quel senso di protezione, quel senso di colpa per aver provocato problemi così grandi alla sua famiglia e, soprattutto, la volontà di stare vicino a sua figlia non lo abbandoneranno.
Dopo avere frequentato il Liceo classico “Meli” si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Palermo. All’Università, nel 1959 Borsellino si iscrive all’organizzazione FUAN Fanalino. Membro dell’esecutivo provinciale, delegato al congresso provinciale, viene eletto come rappresentante studentesco nella lista del Fuan Fanalino. In questi anni l’attività politica lo prende molto e riesce a conciliare politica e studio senza grossi problemi.
Il 27 giugno 1962, all’età di appena 22 anni, Borsellino si laurea con 110 e lode e, pochi giorni dopo, subisce la perdita del padre. Ora è affidato a lui il compito di provvedere alla famiglia. Si impegna con l’ordine dei farmacisti a tenere la farmacia del padre fino al conseguimento della laurea in farmacia di sua sorella. Tra piccoli lavoretti e le ripetizioni Borsellino studia per superare il concorso in magistratura. Ci riesce nel 1963.
Fare il magistrato a Palermo ha un senso profondo, non è una professione qualunque. L’amore per la sua terra, per la giustizia gli danno quella spinta interiore che lo porta a diventare magistrato senza trascurare i doveri verso la sua famiglia.
Nel 1965 Borsellino viene mandato al tribunale civile di Enna come uditore giudiziario.
Nel 1967 ha il primo incarico direttivo, Pretore a Mazara del Vallo nel periodo del dopo terremoto.
Il 23 dicembre del 1968 Borsellino si sposa, continua a lavorare a Mazara facendo avanti e indietro da Palermo, anche più volte al giorno.
Nel 1969 viene trasferito alla pretura di Monreale dove lavora fianco a fianco con il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile.
Nel 1975 Borsellino viene trasferito al tribunale di Palermo e a luglio entra all’Ufficio istruzione processi penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Con il Capitano Basile lavora alla prima indagine sulla mafia e da questo momento comincia il suo impegno senza sosta per sconfiggere l’organizzazione mafiosa.
Nel 1980 arriva l’arresto dei primi sei mafiosi. Nello stesso anno il capitano viene ucciso in un agguato. Per la famiglia Borsellino arriva la prima scorta con le difficoltà che ne conseguono. Da questo momento il clima in casa Borsellino cambia e il giudice stesso deve relazionarsi con “quei ragazzi” che gli sono sempre a fianco e che cambieranno per sempre le abitudini sue e della sua famiglia.
Il suo modo di fare, la sua decisione influenzano il “sentire” dei suoi familiari. Dalle parole della moglie, ancora, si può comprendere il rispetto e la sofferenza che si alternano nei loro cuori: “…Il suo modo di esercitare la funzione di giudice lo condivido perché anch’io credo nei valori che lo ispirano….Non penso mai, per egoismo, per desiderio di una vita facile di ostacolarlo….Non è stato un sacrificio immolare la sua vita al mestiere di giudice: ama tantissimo cercare la verità, qualunque essa sia.”
La scorta costringe il giudice e la sua famiglia a convivere con un nuovo sentimento: la paura. E’ così che Borsellino ne parla e la affronta: “La paura è normale che ci sia, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti.”
Il Pool Antimafia
Il Pool comprende quattro magistrati. Falcone, Borsellino e Barrile lavorano uno a fianco all’altro, sotto la guida di Rocco Chinnici. Si intravede e, lentamente, si instaura un legame comunitario tra i giudici che appartengono al pool.
E’ nei giovani la forza su cui contare per cambiare la mentalità della gente e i magistrati lo sanno. Vogliono scuotere le coscienze e sentire intorno a sé la stima della gente. Sia Falcone sia Borsellino hanno sempre cercato la gente. Borsellino comincia a promuovere e a partecipare ai dibattiti nelle scuole, parla ai giovani nelle feste giovanili di piazza, alle tavole rotonde per spiegare e per sconfiggere una volta per sempre la cultura mafiosa.
Fino alla fine della sua vita Borsellino, nel tempo che gli rimane dopo il lavoro, cercherà di
incontrare i giovani, di comunicargli questi nuovi sentimenti e di renderli protagonisti della lotta alla mafia.
Parallelamente continua il lavoro nel pool. Questa squadra funziona bene, ma si comprende che per sconfiggere la mafia il pool, da solo, non è sufficiente. Si chiede la promozione di pool di giudici inquirenti, coordinati tra loro ed in continuo contatto, il potenziamento della polizia giudiziaria, l’istituzione di nuove regole per la scelta dei giudici popolari e di controlli bancari per rintracciare i capitali mafiosi. I magistrati del pool pretendono l’intervento dello stato perché si rendono conto che il loro lavoro, da solo, non basta.
Borsellino lavora senza sosta, firma provvedimenti, indaga, ascolta con dedizione e responsabilità. Per questo Chinnici scrive una lettera al presidente del tribunale di Palermo per sollecitare un encomio nei confronti suoi e di Giovanni Falcone, importante per eventuali incarichi direttivi futuri. A proposito di Borsellino così scrive Chinnici: ” Magistrato degno di ammirazione, dotato di raro intuito, di eccezionale coraggio, di non comune senso di responsabilità, oggetto di gravi minacce, ha condotto a termine l’istruzione di procedimenti a carico di pericolose associazioni a delinquere di stampo mafioso”. L’encomio richiesto, non è mai arrivato.
Poi il dramma. Il 4 agosto 1983 viene ucciso il giudice Rocco Chinnici con un’autobomba. Borsellino è distrutto dopo Basile anche Chinnici viene strappato alla vita e il vuoto si fa sentire molto. Ancora la moglie di Borsellino racconta il legame di Borsellino con Chinnici: “Con Rocco, mio marito ha un rapporto di amicizia e di fiducia intensa e reciproca. Una collaborazione durata tanti anni, fondata sulla massima intesa…per Paolo la sua uccisione è un altro dolore atroce…”.
Il “capo” del pool, il punto di riferimento, viene a mancare e si ha l’impressione che la mafia, questa entità che tutto vede e tutto osserva, abbia ben compreso lo spirito ed il nuovo modo di lavorare dei giudici siciliani. Borsellino con molta preoccupazione commenta: “La mafia ha capito tutto: è Chinnici la testa che dirige il Pool”.
A sostituire Chinnici arriva a Palermo il giudice Caponnetto e il pool, sempre più affiatato continua nell’incessante lavoro raggiungendo i primi risultati: “Sentiamo la gente fare il tifo per noi”. Il Pool non vuole sentirsi solo, cerca lo Stato e i cittadini, vuole una mobilitazione generale contro la mafia.
Nel 1984 viene arrestato Vito Ciancimino e si pente Buscetta, Borsellino sottolinea in ogni momento il ruolo fondamentale dei pentiti nelle indagini e nella preparazione dei processi.
Comincia la preparazione del Maxiprocesso e viene ucciso il commissario Beppe Montana . Ancora sangue, per fermare le persone più importanti nelle indagini sulla mafia e l’elenco dei morti è destinato ad aumentare. Il clima è terribile Falcone e Borsellino vengono immediatamente trasferiti all’Asinara per concludere le memorie, predisporre gli atti senza correre ulteriori rischi.
All’inizio del maxiprocesso l’opinione pubblica inizia a criticare i magistrati, le scorte e il ruolo che si sono costruiti.
Paolo Borsellino chiede il trasferimento alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Marsala per ricoprire l’incarico di Procuratore Capo. Il Consiglio Superiore della Magistratura, con una decisione storica e non priva di strascichi polemici – si veda l’articolo di Leonardo Sciascia sui “Professionisti dell’ antimafia” – accoglie la relativa istanza sulla base dei soli meriti professionali e dell’esperienza acquisita da Paolo Borsellino negando per la prima volta validità assoluta al criterio dell’anzianità. Sicché il 19.12.1986 Paolo Borsellino prende servizio a Marsala dove per cinque anni guiderà una delle Procure più impegnate sul fronte della lotta alla criminalità organizzata. Al centro (Palermo) Falcone e a Marsala Borsellino in modo da scoprire tutti i collegamenti esistenti tra la mafia di Palermo e quella della provincia. Nel corso di questo quinquennio, denso di scottanti inchieste giudiziarie e numerose soddisfazioni personali, Paolo Borsellino è dapprima nominato Segretario provinciale della corrente di Magistratura Indipendente, e, successivamente, Presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati. Vive in un appartamento nella caserma dei carabinieri per risparmiare gli uomini della scorta. In suo aiuto arriva Diego Cavaliero, magistrato di prima nomina, lavorano tanto e con passione. Sempre fianco a fianco, Borsellino è un esempio per il giovane, non si risparmia mai. Teme che la conclusione del maxiprocesso attenui l’attenzione sulla lotta alla mafia, che il clima scemi e si torni alla normalità. Per questo Borsellino cerca la presenza dello Stato, incita la società civile a continuare le mobilitazioni per tenere desta l’attenzione sulla mafia e frenare chi pensa di poter piano piano ritornare alla normalità.
Invece, il clima comincia a cambiare. Il fronte unico che aveva portato a grandi vittorie della magistratura siciliana e che aveva visto l’opinione pubblica avvicinarsi agli uomini in prima linea e stringersi intorno a loro, comincia a cedere.
Nel 1987 Caponnetto è costretto a lasciare la guida del Pool a causa di motivi di salute. Tutti a Palermo aspettavano la nomina di Falcone al suo posto, anche Borsellino è ottimista. Presto, però, si rende conto che il CSM (Consiglio superiore della magistratura) non è dello stesso parere e si diffonde il terrore di veder distruggere il Pool. Borsellino scende in campo e comincia una vera e propria guerra, parla ovunque e racconta cosa stia accadendo alla procura di Palermo; sui giornali, in televisione nei convegni, continua a lanciare l’allarme. A causa delle sue dichiarazioni Borsellino rischia il provvedimento disciplinare. Solo Cossiga, Presidente della Repubblica, interviene in suo appoggio chiedendo di indagare sulle dichiarazioni del magistrato per accertare cosa stesse accadendo nel palazzo di giustizia di Palermo.
Il 31 luglio il CSM convoca Borsellino che rinnova le accuse e le sue perplessità.
Il 14 settembre si pronuncia il CSM Falcone perde e Antonino Meli, per anzianità, prende il posto che doveva essere suo. Paolo Borsellino viene riabilitato, torna a Marsala e riprende a capofitto a lavorare. Nuovi magistrati arrivano a dargli una mano, giovani e, a volte di prima nomina. Il suo modo di fare, il suo carisma ed i suo impegno in prima linea li contagiano; lo affiancano con lo stesso fervore e con lo stesso coraggio nelle indagini su fatti di mafia. Cominciano a parlare i pentiti e le indagini su connessioni tra mafia e politica a prendere forma. Borsellino è convinto che per sconfiggere la mafia i pentiti abbiano un ruolo fondamentale. Anche i giudici, però, dovranno essere attenti, controllare e ricontrollare ogni dichiarazione, ricercare i riscontri ed intervenire solo quando ogni fatto possa essere provato. E’ un’opera lunga ma i risultati non tarderanno ad arrivare.
Da questo momento gli attacchi a Borsellino diventano forti ed incessanti. Le indiscrezioni su Falcone e Borsellino sono ormai quotidiane; si parla di candidature alla Camera o alla carica di Sindaco. I due magistrati smentiscono ogni cosa. Comincia, intanto, il dibattito sull’istituzione della Superprocura e su chi porre a capo del nuovo organismo. Falcone, intanto, va a Roma come direttore degli affari penali e preme per l’istituzione della Superprocura. A Palermo era stato isolato, i magistrati del vecchio Pool vengono ormai assediati all’interno e all’esterno del Palazzo di giustizia. Per questo si sente la necessità di coinvolgere le più alte cariche dello stato nella lotta alla mafia. La magistratura da sola non può farcela, con Falcone a Roma si sente di avere un appoggio in più, Borsellino decide di tornare a Palermo, lo seguono il sostituto Ingroia e il maresciallo Canale. E’ in prima fila e tenta di ricostruire quel clima che, ai tempi del Pool, aveva permesso di raggiungere grossi risultati. Così, maturati i requisiti per essere dichiarato idoneo alle funzioni direttive superiori – sia requirenti che giudicanti – Paolo Borsellino, pur rimanendo applicato alla Procura della Repubblica di Marsala chiede e ottiene di essere trasferito alla Procura della Repubblica di Palermo con funzioni di Procuratore Aggiunto. Grazie alle sue indiscusse capacità investigative, una volta insediatesi presso la Procura di Palermo in data 11.12.1991 è delegato al coordinamento dell’attività dei Sostituti facenti parte della Direzione Distrettuale Antimafia.
I Magistrati, con l’arrivo di Borsellino trovano nuova fiducia. A Borsellino vengono tolte le indagini sulla mafia di Palermo dal procuratore Giammanco, e gli vengono assegnate quelle di Agrigento e Trapani. Ricomincia a lavorare con l’impegno e la dedizione di sempre. Nuovi pentiti, nuove rivelazioni confermano il legame tra la mafia e la politica, riprendono gli attacchi al magistrato e lo sconforto ogni tanto si manifesta. In una dichiarazione si può riassumere lo stato d’animo di Borsellino in quel momento: “Un pentito è credibile solo se si trovano i riscontri alle sue dichiarazioni. Se non ci sono gli elementi di prova, la sua confessione non vale nulla. E’ la legge che lo dice…e io sono un giudice che questa legge deve applicarla. I rapporti tra mafia e politica? Sono convinto che ci siano. E ne sono convinto non per gli esempi processuali, che sono pochissimi, ma per un assunto logico: è l’essenza stessa della mafia che costringe l’organizzazione a cercare il contatto con il mondo politico. …è maturata nello stato e nei politici la volontà di recidere questi legami con la mafia? A questa volontà del mondo politico non ho mai creduto”. Con questa consapevolezza il giudice, invece di scoraggiarsi, si immerge nel lavoro con ancora più convinzione, come se la sconfitta della mafia dipendesse solo dal suo operato e quello dei magistrati che lo circondano.
Intanto a Roma viene finalmente istituita la superprocura e vengono aperte le candidature; Falcone è il numero uno ma, anche questa volta, sa che non sarà facile. Borsellino lo sostiene a spada tratta sebbene non fosse d’accordo sulla sua partenza da Palermo. Il suo impegno aumenta quando viene resa nota la candidatura di Cordova. Borsellino esce allo scoperto, parla, dichiara, si muove: è di nuovo in prima linea. I due magistrati lottano uno a fianco all’altro, temono che la superprocura possa divenire un arma pericolosa se in possesso di magistrati che non conoscono la mafia siciliana.
Nel Maggio 1992 finalmente Falcone raggiunge i numeri necessari per vincere l’elezione a superprocuratore. Borsellino e Falcone esultano, ma il giorno dopo Falcone viene ucciso insieme alla moglie, a Capaci; la mafia sa che in quel posto il giudice Falcone era troppo pericoloso.
Borsellino soffre molto, il legame che ha con Falcone è speciale e lui è morto tra le sue braccia. Tutti i momenti trascorsi insieme, da quelli più belli a quelli più brutti, gli tornano alla mente.
Dalle prime indagini nel pool, alle serate insieme, alle battute per sdrammatizzare, ai momenti di lotta più dura quando insieme sembravano “intoccabili”, al periodo forzato all’Asinara fino al distacco per Roma. Una vita speciale, quella dei due amici-magistrati, densa di passione e di amore per la propria terra. Due caratteri diversi, complementari tra loro, uno un po’ più razionale l’altro più passionale, entrambi con un carisma, una forza d’animo ed uno spirito di abnegazione esemplari.
Gli viene offerto di prendere il posto di Falcone nella candidatura alla superprocura, ma Borsellino rifiuta, sebbene sia consapevole che quella sia l’unica maniera che ha per condurre in prima persona le indagini sulla strage di Capaci. Così risponde al Ministro: “…La scomparsa di Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento….”. Resta a Palermo, nella procura dei veleni per continuare la lotta alla mafia, diventando sempre più consapevole che qualcosa si è rotto, che il suo momento è vicino.
Ad un mese dalla morte dell’Amico Falcone, tra le fiaccole e con molta emozione parla di lui, cerca di raccontarlo: “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione….per amore. La sua vita è stata un atto d’amore verso questa città, verso questa terra che lo ha generato. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene. ..Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo, continuando la loro opera…dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo”.
Vuole collaborare alle indagini sull’attentato di Capaci di competenza della procura di Caltanissetta. Le indagini proseguono, i pentiti aumentano e il giudice cerca di sentirne il più possibile. Arriva la volta dei pentiti Messina e Mutolo, ormai Cosa Nostra comincia ad avere sembianze conosciute. Spesso i pentiti hanno chiesto di palare con Falcone o con Borsellino perché sapevano di potersi fidare, perché ne conoscevano le qualità morali e l’intuito investigativo. Continua a lottare per poter avere la delega per ascoltare il pentito Mutolo. Insiste e alla fine il 19 luglio 1992 alle 7 di mattina Giammanco gli comunica telefonicamente che finalmente avrà quella delega e potrà ascoltare Mutolo.
Lo stesso giorno Borsellino va nella casa del mare, a Villagrazia, con la scorta. Si distende, va in barca con uno dei pochi amici rimasti. Dopo pranzo torna a Palermo per accompagnare la mamma dal medico e con l’esplosione dell’autobomba sotto la casa, in via D’Amelio, muore con tutta la scorta. E’ il 19 luglio del 1992.
La morte
Borsellino ha un forte rapporto con la morte; è presente in ogni parte della sua vita.
Teme per gli altri, per la sua famiglia, per I ragazzi della scorta. E’ molto protettivo con i suoi collaboratori e con la sua famiglia. Parla spesso della morte un po’ per scherzarci sopra un po’ per ricordarsi sempre che non è poi così lontana. “Se muoio adesso, il mio compito l’ho svolto”.
Ha visto morire molte persone, uomini di valore morale ed intellettuale e sa benissimo di non essere esente da una fine simile. Eppure a volte scherza con la morte, se ne prende gioco, ci ride sopra con un unico cruccio: quello di aver preparato i propri figli ad affrontare la vita.
“Non sono né un eroe né un kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell’aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento…Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno”.