I misteri di via D’Amelio, Fiammetta Borsellino: “Un tema che stava molto a cuore a mio padre era il rapporto tra la mafia e gli appalti. Infatti mi chiedo come mai il suo dossier fu archiviato il giorno dopo l’uccisione. Il più grande della storia italiano, un depistaggio grossolano. La Procura di Caltanissetta non ascoltò mai un testimone fondamentale dopo la morte di mio padre che era il procuratore Giammanco, colui il quale conservava nel cassetto le informative dei Ros che annunciavano l’arrivo del tritolo. Fino a quando Giammanco poco tempo fa è morto. C’è stata una grande mole di anomalie e omissioni che hanno caratterizzato indagini e processi. Le indagini furono affidate a Tinebra, appartenente alla massoneria. C’erano magistrati alle prime armi che dichiararono di non avere competenze in tema di criminalità organizzata palermitana. Fu un depistaggio grossolano. Le indagini furono totalmente delegate ad Arnaldo La Barbera, una persona che era un poliziotto da un lato e dall’altro riceveva buste paga dal Sisdi per condurre una vita dissoluta in giro per l’Italia. Venne presa una persona, il cosiddetto pupo, ovvero Scarantino che fu vestito da mafioso. Non furono fatti sopralluoghi come quello nel garage Orofino, dove fu detto che era nascosto il tritolo.
Scarantino non aveva neanche parentele mafiose, al massimo vendeva sigarette di contrabbando alla Guadagna. Venne determinato alla calunnia da coloro che lo gestivano, in primis poliziotti e più in alto i magistrati. Non sono stati fatti confronti importantissimi tra Scarantino e altri falsi pentiti come Candura e Androtta, persone che si rincorrevano nelle loro dichiarazioni. I mafiosi veri non riconoscevano Scarantino e questi confronti però non sono stati depositati. Questa esigenza è venuta fuori da un percorso privato. Avevo la necessità di dare voce a un dolore profondo che era stato inflitto non solo alla mia famiglia ma alla società intera. Lo chiamo il mio viaggio nell’inferno dei silenzi, dei cancelli. E’ stato però un viaggio di speranza. Io dico sempre alla mie figlie che non bisogna mai smettere di sognare. Forse quando intrapresi quel viaggio ero io stessa quella bambina che spera nel cambiamento, nel cambiamento delle coscienze. Il sentimento prevalente non è stata la rabbia o il rancore ma tanta tristezza e dolore per chi non fa quel passo in più che dà dignità a una persona. Mio padre è morto con dignità. Ma credo che possa vivere e morire con dignità chi dopo aver fatto del male riconosce i suoi sbagli e ripara il danno che ha arrecato, invece di stare muto in galera. Quello è un fallimento
PALERMO TODAY 4.2.2019