TRIZZINO: “Uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria”

 

 


 

di UMBERTO LUCENTINI
19 luglio 2023 Giornale di Sicilia

 

Il suo invito ad avere come prioritaria la ricerca della verità sui misteri che avvolgono la strage di via D’Amelio, senza divisioni, è caduto nel vuoto?

“Non posso che prenderne atto, con amarezza certo. D’altra parte, per certi versi, era prevedibile considerando che questa contrapposizione è la logica conseguenza di un diverso approccio alla questione di fondo relativa alla mancata verità su alcuni aspetti fondamentali di quella terribile stagione della nostra Repubblica” risponde Fabio Trizzino, avvocato dei figli di Paolo Borsellino e marito di Lucia. “Inutile ricordare che nei processi sulla strage di via D’Amelio si è consumato quello che è stato definito con sentenza definitiva uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana. Il punto è che non ci si concentra sulle vere cause di questa mancata verità, alla quale hanno concorso sia la volontà di proteggere interessi inconfessabili sia atteggiamenti gravemente negligenti da parte di altri, che erano investiti della responsabilità delle indagini e della conduzione di quei processi, e che sono ben individuabili”.

Cosa impedisce di andare oltre le divisioni su un tema come la strage Borsellino?

“Io credo che alla base di tutto vi sia la mancanza di un approccio scientifico alle questioni e della necessaria apertura al dubbio. Al contrario registro una adesione fideistica al verbo dichiarato da alcuni personaggi noti, del tutto avulso dall’esame dei dati storici e giudiziari. Si è imposta una logica da tifoseria, quasi che le indagini e i processi possano essere argomenti da bar. Epperò è una tendenza pericolosa alimentata fra l’altro anche da esponenti istituzionali che, così facendo, contribuiscono all’erosione della cultura della giurisdizione e al nichilismo istituzionale, con la conseguenza che nemmeno di fronte ad una sentenza della Cassazione che ha rigettato l’impianto dell’accusa il contrasto trova una composizione. Si resta, dunque, sulle proprie posizioni per fede, negando pari dignità ad altre piste altrettanto plausibili sul vero punto dolente della strage del 19 luglio 1992: l’accelerazione anomala nell’esecuzione e l’immediata sottrazione dell’agenda rossa del dottor Borsellino.
Ma mi creda è nulla rispetto al rischio di una rappresentazione di uno Stato corrotto e prono agli interessi della mafia e del malaffare. Un messaggio terribile per le nuove generazioni cui Borsellino, a buon diritto invece,  guardava con estrema fiducia”.  

Paolo Borsellino lo ha pensato fino alla fine dei suoi giorni: la lotta alla mafia non doveva essere una guerra tra bande...

“Il dottor Borsellino nutriva una enorme speranza nelle future generazioni. Ho sempre pensato che a reggere i suoi sforzi vi fosse il senso di una prospettiva alta di un cambiamento in meglio della nostra società civile. Ma non ha mai assunto gli atteggiamenti sacerdotali o moralistici che oggi vedo in certi cattivi maestri. Era un fine e disincantato giurista e come tale si è sempre mosso. Certo auspicava che la sua attività di magistrato potesse incidere sulle coscienze di tutti i cittadini, all’interno di un percorso segnato dal sacrificio di tantissime magnifiche vite umane.
La vera novità è che oggi la società civile ha ben altra consapevolezza di tali complessi fenomeni.  In questo le scuole hanno avuto e continueranno ad avere un ruolo fondamentale. Ecco mi piacerebbe che ci si concentrasse di più su questi aspetti di progresso storico e civile. Le faccio un esempio concreto: oggi i magistrati impegnati sul fronte della lotta alla criminalità organizzata dispongono di un corredo di norme sicuramente molto efficaci, rispetto al passato, quando bisognava proporre ardite interpretazioni del quadro normativo allora esistente, in una materia delicatissima come quella penale, giustamente garantita dal principio di legalità.  L’antimafia, dovrebbe, pertanto, alimentare il ricordo di questo percorso e parimenti interloquire con le Istituzioni su come meglio fronteggiare certe dinamiche sociali che in alcuni contesti potrebbero favorire il rigurgito di fenomeni criminali importanti.

Altro discorso ritengo debba farsi per quell’antimafia in molti momenti caratterizzata da una vuota autoreferenzialità o peggio divenuta ambito di elezione per coltivare interessi personali.

Cosa avrebbero meritato i figli di Borsellino questo 19 luglio?

“Maggiore attenzione a livello istituzionale. La vicenda dell’esposto di qualche anno fa al CSM è una ferita ancora aperta. Ma noi saremo sempre accanto alle Istituzioni perché questa è la vera eredità morale del giudice Borsellino. Lo Stato e le sue Istituzioni sono sacri proprio perché esse si reggono anche sul sacrificio di quelle vite violentemente spezzate.  Sacralità e sacrificio hanno la stessa radice semantica”.

Il processo sul depistaggio è finito in primo grado a Caltanissetta con un nulla di fatto? È corretta questa sintesi?

“Non è proprio così. Nella motivazioni – per quanto non del tutto convincenti – vi sono punti e passaggi che ci restituiscono in tutta la loro evidenza il livello di una particolare contaminazione e convergenza di interessi fra Salvatore Riina e soggetti esterni parimenti interessati alla esecuzione straordinariamente rapida di quella strage. Soggetti esterni, appartenenti a quel mondo politico-istituzionale ed imprenditoriale che da sempre convive con la mafia secondo rapporti di reciproca convenienza. Ecco il depistaggio si inserisce all’interno di questa cornice.
Sotto un profilo strettamente processuale, cercheremo con la forza delle argomentazioni riversate nell’atto di appello, di convincere della nostra tesi i giudici della Corte di Appello di Caltanissetta e, conseguentemente, rovesciare gli esiti del primo grado che ha comunque riconosciuto il reato di calunnia, benché prescritto”.

Lei ha detto che i figli di Borsellino non hanno potuto elaborare il lutto: arriverà una sentenza che consentirà di farlo?

Processualmente qualche dubbio lo nutriamo. Ma non per sfiducia nell’operato di chi con impegno anche oggi si sta prodigando con estrema dedizione impegno e senza lesinare alcuno sforzo, come la Procura di Caltanissetta retta dal dottor De Luca, cui sentiamo di rivolgere un sincero e doveroso ringraziamento. Un ufficio che, negli ultimi quindici anni, a partire dalla gestione del procuratore Sergio Lari, ha prodotto risultati straordinari. Supportato, mi sia consentito, dal magnifico lavoro anche degli avvocati di parte civile. È che il tempo trascorso è davvero tanto. E questo rende problematico gestire e valutare il materiale probatorio da parte loro. Ma lei non immagina quanto vorremmo tutti noi essere smentiti, ma forse per l’accertamento della verità si dovrebbe cominciare a pensare a strade diverse da quella giudiziaria, come l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sul depistaggio”.

 

 

 

 

 

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