C’è un ex magistrato che oggi siede in Parlamento e che potrebbe dire cose interessanti su uno dei nodi irrisolti della storia recente del nostro paese: la stagione delle bombe del 1992 , le stragi che – nel pieno dell’inchiesta Mani Pulite eliminarono, insieme alle loro scorte, prima Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino. L’ex magistrato si chiama Roberto Scarpinato, eletto con i 5 Stelle, e membro della Commissione Antimafia.
C’era anche lui l’altro ieri ad ascoltare la deposizione di Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino: ed è stato direttamente chiamato in causa.
È Scarpinato, dice Trizzino, ad avergli rivelato che nei terribili giorni seguiti alla morte di Falcone Borsellino chiese e ottenne di incontrare riservatamente il comandante del Ros dei carabinieri, Mario Mori, e il suo ufficiale Giuseppe De Donno.
Sono i giorni, racconta Trizzino, in cui Borsellino si convince che il procuratore di Palermo, Pietro Giammanco, è un «infedele» e che andrebbe arrestato.
Giammanco è l’affossatore del dossier su Mafia e appalti, l’indagine che solo oggi, a distanza di decenni, prende forma come movente della strage di via d’Amelio e probabilmente anche dell’attentato di Capaci.
Borsellino la conosceva, ne conosceva il potenziale. E quando decide di muoversi non va certo dal capo «infedele» Giammanco, ma non va neanche da un altro collega affidabile.
No, va dai carabinieri.Va dal reparto di punta dell’Arma, quello che verrà attaccato e offeso dalla magistratura: prima (ed è un passaggio mai scavato a fondo) con l’indagine della procura di Brescia sul vicecomandante del Ros Paolo Ganzer, poi con quelle delle procura di Palermo su Mori e De Donno, e su altri ufficiali di pregio come Antonio Subranni e Sergio De Caprio.
Perché il Ros, il reparto da cui era partita l’indagine su Mafia e appalti, finisce nel mirino della magistratura? Che rapporti hanno quelle indagini con un altra morte tragica, il suicidio di Raul Gardini appena quattro giorni prima della strage di via Palestro?
Intorno a tante domande, una certezza: Paolo Borsellino si fidava dei carabinieri, al punto di andare a confrontarsi con loro nei giorni più drammatici della sua vita.
Gli stessi carabinieri che altri magistrati avrebbero poi incriminato, erano per Borsellino fedeli servitori dello Stato. Delle due l’una: o Paolo Borsellino era così inesperto, così ignaro delle cose, da sbagliare clamorosamente la sua valutazione; oppure la narrazione propinataci in questi anni, di un’Arma inquinata che trama contro le oneste Procure, era finalizzata a coprire tutt’altro.
Cosa ha da dire il senatore Scarpinato?