I membri del partito della mafia insultano gli ex magistrati a rischio vita

 

Il forzista Pittalis vuole fuori Scarpinato dalla Commissione antimafia

 

“Presidente io debbo aprire una parentesi e chiedo se non vi sia qualche posizione in evidente conflitto di interessi e di opportunità di permanenza nella Commissione antimafia.
Questo lo dico per un dovere che ritengo debba essere in cima anche alla funzione che esercitiamo, delicata, in una Commissione dove penso che si debbano unire le forze, non per offendere gli auditi né per cercare di raccontare un’altra storia”.

Sono queste le gravissime parole che il deputato Pietro Pittalis, capogruppo di Forza Italia in commissione Antimafia, ha espresso questa mattina nei confronti dell’ex magistrato, oggi senatore, Roberto Scarpinato durante l’audizione di Lucia Borsellino e dell’avvocato dei figli di Borsellino, Fabio Trizzino in Commissione antimafia.

A lui si sono accodati immediatamente Mauro D’Attis, deputato di Forza Italia e vicepresidente della Commissione Antimafia, il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri (sempre di Forza Italia) e il leghista Gianluca Cantalamessa, anch’egli membro della Commissione parlamentare antimafia.

Tutto ciò è avvenuto mentre, nel corso dell’audizione, Scarpinato è stato interrotto dalla Presidente Chiara Colosimo, l’esponente di Fratelli d’Italia che fu ritratta in foto con l’ex terrorista nero dei Nar Luigi Ciavardini, mentre stava facendo una serie di domande agli auditi.

Domande legittime su argomenti che hanno riguardato ben tre audizioni della Commissione antimafia.

Unito e compatto il centrodestra si scaglia dunque contro magistrati ed ex magistrati che durante tutta la loro vita non hanno fatto altro che ricercare la verità sulle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese e che ancora oggi rischiano la vita.
Noi non dimentichiamo che nel settembre 2014 qualcuno entrò nell’ufficio dell’allora procuratore generale di Palermo, lasciando sulla scrivania un’inquietante lettera di minacce.

“Lei sta esorbitando dai suoi compiti e dal suo ruolo” era scritto nella missiva. Appena venti giorni dopo venne scoperta una parola, “Accura”, scritta sulla polvere della porta di fronte l’anticamera della stanza del pg.

In quel periodo la Procura generale stava preparando la memoria in vista della riapertura del dibattimento al processo Mori-Obinu e venivano effettuati accertamenti sulle visite in carcere di alcuni agenti dei servizi segreti a boss detenuti. 
  Sono solo alcune delle indagini compiute da Scarpinato nel corso della sua carriera.

E’ in quegli anni che si svilupparono una serie di minacce ed intimidazioni nei confronti di quei magistrati che si sono impegnati contro mafie e sistemi criminali.

Non dimentichiamo quelle nei confronti di Nino Di Matteo, con l’attentato chiesto ai boss di Palermo da Matteo Messina Denaro a fine 2012, per conto di “amici romani”. Una condanna a morte ancor più spinta dalle parole dell’ex capo dei capi Totò Riina che direttamente dal carcere, nel 2013, chiedeva di fargli fare “la fine del tonno”.

Per i fatti di oggi Scarpinato ha ricevuto la solidarietà immediata del magistrato Nino Di Matteo, ex consigliere del Csm ed oggi Sostituto Procuratore nazionale Antimafia, ed anche degli altri parlamentari del Movimento Cinque Stelle.

A ben vedere dovrebbero essere proprio i parlamentari di Forza Italia ad essere espulsi da qualsiasi Commissione inerente l’antimafia o la giustizia in quanto appartenenti ad un partito che è stato fondato, nei fatti, da un uomo della mafia a tutti gli effetti come Marcello Dell’Utri (condannato in via definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa) e da uno che la mafia l’ha pagata, come Silvio Berlusconi (oggi deceduto), almeno fino al 1992.

In questo Paese senza memoria (in tal proposito ci aspetteremmo un intervento del Capo dello Stato, Sergio Mattarella), vale la pena ricordare i fatti.

Fatti che sono certificati da quelle sentenze definitive che tanto vengono sbandierate ogni qual volta vi è un’assoluzione, ma che tutti dimenticano se vi sono state condanne.

Nella sentenza che ha condannato Dell’Utri vi è scritto nero su bianco che l’ex senatore per diciotto anni, dal 1974 al 1992, è stato il garante “decisivo” dell’accordo tra Berlusconi e Cosa nostra con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”.
Si legge ancora che “la sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Cinà (Gaetano Cinà, boss mafioso, ndr) sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”.

Che Forza Italia è il partito scelto dalla mafia immediatamente dopo le stragi è stato raccontato da decine e decine di collaboratori di giustizia.

E vi sono più sentenze che danno atto della scelta che le mafie attuarono proprio nei primi anni Novanta, abbandonando il progetto politico delle Leghe Meridionali, per far confluire i voti sulla nascente Forza Italia. Nulla hanno da dire in merito i politicanti di centrodestra?

Un altro esponente di Forza Italia, condannato definitivo a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa, è Antonino D’Alì, ex senatore ed ex sottosegretario all’Interno dal 2001 al 2006. Per i giudici è considerato vicino alla mafia trapanese e a Matteo Messina Denaro. Dallo scorso dicembre è rinchiuso nel carcere di Opera.

Altro politico colpito dal reato di contiguità con la criminalità organizzata è Nicola Cosentino. Ex deputato dal 1996 al 2013 per Forza Italia e PDL e nel quarto governo Berlusconi per poi divenire anche sottosegretario all’Economia e Finanze. In primo grado venne condannato a 9 anni per concorso esterno, divenuti poi 10 in Appello e infine confermati in Cassazione lo scorso aprile. Le sentenze lo ritengono il referente del clan dei Casalesi.

Ugualmente noi non dimentichiamo Amedeo Matacena, ex deputato di Forza Italia dal 1994 al 2002, condannato in via definitiva nel 2014 a tre anni di reclusione per essere stato contiguo alle ‘ndrine reggine, deceduto a Dubai da latitante nel 2022. Era accusato di avere richiesto l’appoggio elettorale della ‘Ndrangheta alla famiglia dei Rosmini. Nessuno ha mai preso pubblicamente le distanze da tutti questi soggetti. Anzi. Molti vengono ritenuti martiri ancora oggi. Senza alcun rispetto delle sentenze.

E le nuove proposte di legge, di fatto pro-mafia, che vengono presentate in Parlamento non fanno certo ben sperare.

No, noi non ci stiamo. Ed anzi diciamo che a dimettersi in blocco dovrebbero essere tutti i membri di Forza Italia. Se ne vadano loro dal Parlamento. Ma prima chiedano scusa agli italiani per aver offeso e vilipeso le nostre Istituzioni con le loro meschinità.

ANTIMAFIA DUEMILA – Giorgio Bongiovanni