L’ira di Borsellino contro il Csm

 
 
 
 
«Giovanni condannato da qualche giuda nell’88, quando gli fu preferito Meli» Palermo in 100 mila per Falcone Il delitto Falcone mobilita la piazza.
Centomila persone sono attese oggi a Palermo con navi, treni, aerei speciali, pullman per la più grande manifestazione antimafia mai organizzata dai sindacati italiani. E ieri l’assise nazionale di movimenti, gruppi di volontariato e associazioni ha lanciato all’Università una petizione popolare per raccogliere un milione di firme in Sicilia.
Il progetto è più ambizioso: chiedere firme anche nel resto del Mezzogiorno insanguinato dalla criminalità; in Campania contro la camorra, in Calabria contro la ‘ndrangheta, in Puglia per fermare la crescita della sacra corona unita.
Le firme poi verranno raccolte nel Centro-Nord. Si punta a un referendum per una serie di iniziative legislative contro la criminalità ma pure la corruzione e la confusione. Non si placano intanto le polemiche e si proiettano sempre più le ombre di una nuova estate di veleni che metta tutti contro tutti facendo felici i boss che sullo scontro dei loro avversari giocano la loro carta di maggior valore. Paolo Borsellino, il procuratore aggiunto della Repubblica di Palermo subentrato nell’incarico a Giovanni Falcone del quale era uno dei più cari amici, intervenendo alla Biblioteca Comunale alla presentazione di un numero della rivista «Micromega» sulla strage di Capaci ha detto che Falcone «cominciò a morire» nel 1988 quando gli fu preferito Antonino Meli nella carica di Consigliere istruttore del tribunale di Palermo.
Una tesi, questa, sostenuta con parole di fuoco dopo la strage anche da Antonino Caponnetto che lasciando quello stesso incarico aveva pensato proprio a Falcone come suo successore. «Il Csm con motivazioni risibili – ha affermato Borsellino – e mentre qualche Giuda prendeva in giro Giovanni gli preferì Meli».
Borsellino si è chiesto se in realtà non si fosse cominciato tuttavia a «far morire Falcone l’anno prima quando Leonardo Sciascia sul “Corriere della Sera” bollava me come un professionista dell’antimafia e l’amico Leoluca Orlando come professionista dell’antimafia nella politica».
Un accenno fortemente polemico, dunque, al grande scrittore scomparso, una delle coscienze critiche più alte, e ai contrasti che culminarono al Csm quando, avendo dichiarato che «lo Stato abbassa la guardia nella lotta alla mafia», Borsellino fu chiamato a renderne conto davanti all’organo di autogoverno della magistratura.
Da poco erano stati sciolti i pool antimafia. «Compii quel passo – ha sostenuto Borsellino – perché mi ero reso conto che stavano distruggendo Falcone e ciò che più mi addolorava era il fatto che Falcone sarebbe morto professionalmente nel silenzio, senza che nessuno se ne accor- gesse».
E nel giudicare formalmente lui, di fatto il Csm «puntava a eliminare Falcone». Borsellino ha anche detto che il Csm fu obbligato dal gran clamore levatosi «a rimangiarsi in parte le scelte compiute e il 15 settembre del 1988 seppur zoppicante il pool antimafia fu rimesso in piedi». «La protervia del consigliere Meli, l’intervento nefasto della Cassazione cominciato allora e continuato sino a ieri, non impedirono a Falcone di continuare a lavorare con impegno» ha pure detto Borsellino che ha confermato l’autenticità di quanto lasciato scritto al «Sole 24 ore» («Falcone mi aveva fatto leggere quelle pagine»).
Borsellino ha ribadito che parlerà nelle sedi competenti del trasferimento di Falcone al ministero della Giustizia «Non perché aspirasse – ha precisato – a un posto privilegiato, non perché si era innamorato dei socialisti o di Claudio Martelli, ma perché a un certo punto della sua vita, da uomo delle istituzioni, ritenne di continuare a svolgere a Roma un ruolo importante». Accanto a Borsellino, Leoluca Orlando ha insistito subito dopo sulla sua tesi già illustrata altre volte: Falcone «dovette» lasciare Palermo dove il lavoro contro i boss evidentemente dava fastidio.
I leader sindacali sono a Palermo da ieri. Bruno Trentin, intervenuto al mattino con Ottaviano Del Turco a un convegno della Cgil su come impedire il riciclaggio del denaro «sporco», Sergio D’Antoni e Pietro Larizza stamattina saranno uno a fianco all’altro sul palco in piazza Politeama dove alle 11 si concentreranno i cinque cortei che partiranno dal porto, dalle due stazioni ferroviarie cittadine, dalla presidenza della Regione e da piazza Vittorio Veneto dove si erge la statua della Libertà.
Nel pomeriggio i leaders sindacali hanno incontrato a Palazzo di Giustizia i magistrati con Franco Ippoliti segretario dell’Associazione nazionale magistrati, Nicolò Amato, direttore generale per le carceri, Antonino Lo Sciuto, segretario del Siulp per il quale «bisogna cominciare a violare qualche tabù come quello del pluralismo dei corpi di polizia». Sono stati rinforzati i servizi di sicurezza, specialmente lungo l’itinerario dei cinque cortei. Da ieri posti di blocco e pattuglie di polizia, carabinieri e Guardia di Finanza vigilano su Palermo come mai accaduto. Antonio Ravidà Dure accuse anche a Sciascia Un milione di firme anti-criminalità II giudice Paolo Borsellino. A sinistra una manifestazione antimafia a Palermo A sinistra Leonardo Sciascia che criticò i «professionisti dell’antimafia» Giovanni Falcone, dopo la sua morte a Roma e in Sicilia sembra cominciare una nuova stagione dei veleni.
 
 
 
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