A Caltanissetta il processo in corte d’appello
“Sono uscite notizie di stampa in merito alle indagini condotte dalla procura della Repubblica sul ritrovamento dell’agenda rossa, riguardo alle perquisizioni nell’appartamento dei familiari di Arnaldo La Barbera. Indagini che hanno portato a risultati ma che sono coperte dal segreto. Dopo la pubblicazione delle notizie c’è stata una richiesta da parte delle parti civili per accedere agli atti. In questo momento da parte della procura c’è stata una risposta negativa perché le indagini sono coperte da segreto”. Il pubblico ministero Maurizio Bonaccorso lo ha detto nel corso del processo che si celebra a Caltanissetta, dinanzi alla Corte d’Appello, sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, il 19 luglio 1992 a Palermo. Gli imputati del processo sono i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ex appartenenti al gruppo d’indagine Falcone- Borsellino. “Tutto ciò che riguarda la perquisizione di atti di indagine – ha continuato Bonaccorso – è rigorosamente coperto dal segreto investigativo ma do avviso ai difensori che nella segreteria del pm sono depositati verbali di sommarie informazioni. Si tratta di sommarie informazioni di poliziotti alcuni dei quali sono stati sentiti soltanto nel 2019. Poliziotti che si sono recati presso il luogo della strage e sostanzialmente ci chiariscono dei punti su quello che accadde con la borsa del dottore Borsellino. Questi poliziotti sono riusciti a fornire spunti nuovi relativamente al passaggio della borsa di Borsellino”.
L’accusa “Zerilli uomo dei misteri”
“In data 15 novembre 2023 ho formulato un’altra richiesta alla Procura generale di Palermo, che sta trattando, come è noto, il processo per l’omicidio di Nino Agostino. In questo procedimento era stato sottoposto al padre della vittima un album fotografico per cercare di identificare dei soggetti che si erano presentati al signor Vincenzo Agostino come poliziotti. La numero 6 di queste foto ritrae Vincenzo Scarantino. Il verbale di identificazione fotografica su Scarantino è sottoscritto anche da Maurizio Zerilli che sta cominciando a diventare l’uomo dei misteri. Chiediamo di sapere perché era stato inserito anche Scarantino”. Lo ha detto il pm Maurizio Bonaccorso nel corso dell’udienza di questa mattina del processo sul depistaggio della strage di via D’Amelio in cui sono imputati tre poliziotti appartenenti al gruppo Falcone-Borsellino. Sono accusati di calunnia aggravata per aver indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulla strage di via D’Amelio.
Qualche settimana fa la procura di Caltanissetta ha notificato un avviso di conclusione delle indagini per depistaggio a quattro poliziotti. Gli indagati sono Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco. Le indagini sono scaturite dal processo di primo grado sul depistaggio: secondo l’accusa i quattro poliziotti hanno reso false dichiarazioni deponendo come testimoni.
Gli smemorati di via d’Amelio: processo ad altri quattro poliziotti. Depistaggio Borsellino
24.11.2023 Via D’Amelio e il DEPISTAGGI DI STATO: si aggravano le accuse per 4 poliziotti
14.11.2023 – Processo Borsellino, depistaggi: procura chiede processo per 4 poliziotti
La procura di Caltanissetta ha chiuso le indagini ed e’ pronta a chiedere il processo per quattro poliziotti che fecero parte del pool “Falcone e Borsellino”.
I quattro agenti, Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco, secondo il procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore De Luca e il Pm Maurizio Bonaccorso, durante il processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio, nei confronti di altri tre poliziotti, avrebbero dichiarato il falso.
Durante la sua deposizione, come emerge dalle motivazioni della sentenza del tribunale di Caltanissetta nell’ambito del processo sul depistaggio, in particolare Maurizio Zerilli, pronuncio’ 121 “non ricordo”.
Anche la deposizione di Angelo Tedesco fu costellata da tanti “non ricordo”, oltre cento quelli pronunciati e da ricordi che affiorarono all’improvviso senza che egli sia stato in grado di fornire una valida spiegazione. Sulla stessa scia Giuseppe Di Gangi. Vincenzo Maniscaldi invece avrebbe riferito circostanze false. L’avviso di chiusura indagini e’ gia’ stato notificato ai quattro indagati. Ad assisterli gli avvocati Giuseppe Panepinto, Giuseppe Seminara e Maria Giambra. FATTO NISSENO 14.11.2023
14.11.2023 Depistaggio Borsellino, altri quattro poliziotti rischiano il processo. La procura di Caltanissetta: “Hanno mentito in aula” – FQ
“PROCESSO DEPISTAGGIO” – Nell’ambito della sentenza arrivata dopo quattro anni e 85 udienze con la quale viene assolto un imputato e dichiarato prescritte le accuse per altri due, il tribunale ha disposto la trasmissione alla Procura delle deposizioni di quattro poliziotti, ex colleghi di Bò e Mattei, che non avrebbero detto tutta la verità in aula: sotto accusa ci sono ora Maurizio Zerilli, Angelo Tedesco, Vincenzo Maniscaldi e Giuseppe Di Gangi.
L’aveva detto il pm Stefano Luciani nella requisitoria: «In questo processo, ci sono stati testimoni convocati dall’accusa che non hanno fatto onore alla divisa che indossano.
Si sono trasformati in testi della difesa in maniera grossolana».
È stato il processo di tanti silenzi, di molte bugie e dei non ricordo.
È stato il processo in cui la famiglia Borsellino ha chiesto per l’ennesima volta di sapere la verità. Che resta ancora lontana.
17.7.2023 Borsellino, 31 anni dopo fra depistaggi, bugie e nuove indagini
Sono stati convocati per domani. Il giorno prima del trentunesimo anniversario della strage di via D’Amelio, quattro poliziotti saranno interrogati dai magistrati della Procura di Caltanissetta. Secondo l’accusa, gli agenti avrebbero mentito durante il processo sul cosiddetto “depistaggio Borsellino”. Prima ancora di entrare nel merito c’è una evidente anomalia. Ed è il tempo trascorso prima dell’atto istruttorio che riguarda Maurizio Zerilli, Angelo Tedesco, Giuseppe Di Gangi e Vincenzo Maniscaldi. I poliziotti facevano parte del gruppo investigativo sull’eccidio.
I pubblici ministeri ipotizzano che, chiamati a testimoniare, non abbiano detto la verità.
Quale verità? Ed ecco il cuore della questione. Per decenni ci si è fatti condurre per mano dai pentiti farloccchi. Su tutti, Vincenzo Scarantino, un malacarne di borgata che per qualcuno aveva davvero partecipato alla riunione in cui fu deliberata la strage. Altri collaboratori di giustizia, veri capimafia considerati attendibili, lo schernivano. Meno distratti dei colleghi di allora sono stati i magistrati in servizio a Caltanissetta che sono ripartiti dalle macerie delle sentenze divenute carta straccia.
Qualcuno ci ha provato anche in tempi recenti.
Il pentito Maurizio Avola si è svegliato dal torpore per raccontare la sua verità. Mente, dicono i pm che lo hanno incriminato per calunnia e hanno chiesto l’archiviazione dell’inchiesta nata dalle sue dichiarazioni. Ha detto di essere stato in via D’Amelio il giorno della strage. Era vestito da poliziotto. Il superstite della strage, Antonino Vullo, lo smentisce.
Avola ha detto di avere imbottito di tritolo la Fiat 127 usata per l’attentato, ma ha condotto gli investigatori in un garage dall’altra parte della città rispetto al vero luogo dove avvenne quella fase delicata. Ha aggiunto di avere fatto un sopralluogo a Palermo il 17 luglio, ma si è scoperto che quel giorno era stato fermato ad un posto di blocco a Catania. Ha spiegato di avere armeggiato con il tritolo, ma in realtà non poteva perché aveva il braccio fratturato e ingessato. Era un gesso falso, si è difeso. Altra bugia, smentita dal referto dell’ospedale Cannizzaro. Avola è riuscito nell’impresa di rendere “persona offesa” delle sue calunnie il boss Aldo Ecolano, con cui disse di avere fatto il sopralluogo a Palermo.
La scorsa estate il tribunale di Caltanissetta ha dichiarato prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini. Assolto il terzo imputato, Michele Ribaudo. Erano imputati di calunnia aggravata dall’avere favorito la mafia. Il venire meno dell’aggravante aveva determinato la prescrizione del reato. Il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca e il sostituto Maurizio Bonaccorso hanno fatto ricorso in appello. Restano convinti che i poliziotti parteciparono al “disegno criminale” che ha coperto “i mandanti esterni della strage”.
I buchi neri ci sono. Come quello che ha inghiottito l’agenda rossa del magistrato. Il movente della “sottrazione di un reperto così importante – hanno scritto i pm nei motivi di appello – da parte di soggetti che per funzioni svolte erano legittimati ad intervenire e operare sul luogo della strage e quindi esterni alla consorteria mafiosa, non può essere altro che quello di sviare le indagini, nel senso di impedire che le investigazioni potessero fuoriuscire dal perimetro delimitato dalla matrice esclusivamente mafiosa dell’attentato di via D’Amelio”.
Trentuno anni dopo la strage, alla vigilia di un nuovo giro di interrogatori, resta in piedi la domanda di sempre: quale verità abbiamo raggiunto in memoria delle vittime e dei parenti di Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli? Per anni si è seguita una narrazione, infine andata in frantumi. Si è postulato che la strage subì un’accelerazione perché Borsellino si era opposto alla trattativa Stato-mafia, che non è stata accertata giudiziariamente. Per raggiungere la verità servono prove, non dogmi come quello della Trattativa. Ed ora si torna a parlare dell’interesse di Borsellino per il rapporto mafia-appalti. Con colpevole ritardo, ancora una volta, si scandaglia una ipotesi plausibile. Riccardo Lo Verso LIVE SICILIA
7.4.2023. Gli smemorati di via d’Amelio: nuova indagine su quattro poliziotti. “121 non ricordo in una deposizione”
Il tribunale del processo depistaggio ha inviato alla procura di Caltanissetta i verbali delle deposizioni di alcuni testimoni ritenuti reticenti.
Adesso, ci sono quattro poliziotti sotto accusa per i misteri di via d’Amelio. Quattro testimoni dell’ultimo processo, quello per il depistaggio delle indagini e il falso pentito Vincenzo Scarantino: «L’ispettore Maurizio Zerilli ha detto 121 non ricordo, e non su circostanze di contorno», scrive il tribunale di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza che nel luglio scorso hanno giudicato altri tre poliziotti (uno assolto, altri due hanno beneficiato della prescrizione). di Salvo Palazzolo La Repubblica
15.7.2022 Depistaggio Via D’Amelio: la storia in quattordici processi senza una verità
Nuova inchiesta sul depistaggio, troppe reticenze – I nomi dei possibili indagati per una nuova inchiesta sul depistaggio della strage Borsellino. I nomi li ha fatti il tribunale che ha dichiarato la prescrizione per i due poliziotti dell’allora gruppo “Falcone Borsellino”.
Ecco chi sono: Maurizio Zerilli, Angelo Tedesco, Vincenzo Maniscaldi e Giuseppe Di Gangi, tutti componenti della squadra.
Per il tribunale, non avrebbero detto tutto quello che sanno. Questo il motivo per cui saranno iscritti nel registro degli indagati della procura nissena per falsa testimonianza. Sono troppi i “non ricordo” negli interrogatori fatti dai pubblici ministeri Gabriele Paci, oggi procuratore a Trapani e Stefano Luciani, oggi sostituto procuratore a Roma.
Il nuovo fascicolo è affidato al pubblico ministero di Caltanissetta Maurizio Bonaccorso, che già da qualche mese segue il caso depistaggio.
Al pm Bonaccorso e al procuratore capo Salvatore De Luca la decisione se fare appello contro la sentenza che ha fatto scattare la prescrizione per l’ex dirigente del gruppo “Falcone Borsellino” Mario Bò e per l’ispettore Fabrizio Mattei, il collegio presieduto da Francesco D’Arrogo ha deciso anche l’assoluzione per l’ex ispettore Michele Ribaudo. L’appello è quasi una certezza e anche la difesa punta al secondo grado di giudizio. Da TP24
AUDIO DEPOSIZIONI AI PROCESSI
8.4.2023 L’agenda rossa, le telefonate di Borsellino e i “non ricordo”
L’agenda rossa, le telefonate di Borsellino, i troppi “non ricordo”. Nelle oltre 1.400 pagine di motivazione della sentenza sul cosiddetto “depistaggio di via D’Amelio” (i poliziotti erano imputati per calunnia aggravata) si sono tre temi che descrivono il magma dentro cui si muove da decenni.
Chi ha rubato l’agenda rossa?
Chi ha rubato l’agenda rossa? Il Tribunale di Caltanissetta presieduto da Francesco D’Arrigo propone una chiave di lettura per esclusione: “A meno di non ipotizzare scenari inverosimili di appartenenti a Cosa nostra che si aggirano in mezzo a decine di appartenenti alle forze dell’ordine, può ritenersi certo che la sparizione dell’agenda rossa non è riconducibile a una attività materiale di Cosa nostra“.
“Il movente dell’eccidio di via D’Amelio certifica la necessità per soggetti esterni a Cosa nostra di intervenire per alterare il quadro delle investigazioni evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage”.
Il metodo è deduttivo. Si parte da una premessa, quasi postulata, e si arriva alla conclusione che “ne discendono due ulteriori logiche conseguenze. In primo luogo, l’appartenenza istituzionale di chi ebbe a sottrarre materialmente l’agenda”.
Un personaggio misterioso perché “gli elementi in capo non consentono l’esatta individuazione della persona fisica che procedette all’asportazione dell’agenda senza cadere nella pletora delle alternative logicamente possibili ma è indubbio che può essersi trattato solo di chi, per funzioni ricoperte, poteva intervenire indisturbato in quel determinato contesto spazio-temporale e per conoscenze pregresse sapeva cosa era necessario e opportuno sottrarre”.
Gestione “incredibile”
Al di là delle considerazioni dei giudici sul punto, che potrebbero prestarsi ad una lettura critica, c’è un dato incontrovertibile: “Quel che è certo è che la gestione della borsa di Borsellino dal 19 luglio al 5 novembre è ai limiti dell’incredibile: nessuno ha redatto un’annotazione o una relazione sul suo rinvenimento, nessuno ha proceduto al suo sequestro e, nonostante da subito vi fosse stato un evidente interesse mediatico scaturito”.
Le “amnesie” dei poliziotti
E quando si è cercato di capirne di più in aula ci si è scontrati con i troppi “non ricordo”, sconfinati in quella che viene bollata con “omertà istituzionale”. Quattro poliziotti rischiano l’incriminazione per falsa testioinianza. Il tribunale ha trasmesso alla Procura i verbali di Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Ganci, Angelo Tedesco e Vincenzo Maniscaldi. Ad occuparsi del caso è adesso il sostituto procuratore Maurizio Bonaccorso.
“Nel clima di omertà istituzionale il dibattimento ha consentito di cristallizzare quattro ipotesi nelle quali soggetti appartenenti o ex appartenenti alla polizia di stato e al gruppo Falcone e Borsellino hanno reso dichiarazioni insincere”, scrivono su di loro i giudici. I loro ricordi non sarebbero solo offuscati dal trascorrere del tempo.
Nella sentenza si parla anche dell’ex pm Giuseppe Ayala, che nel terribile pomeriggio di via D’Amelio ebbe in mano la borsa di Paolo Borsellino, consegnandola poi a un “ufficiale dei carabinieri” rimasto senza nome: “Appare inspiegabile — scrivono — il numero di mutamenti di versione rese nel corso degli anni in ordine alla medesima vicenda dal giudice Giuseppe Ayala pur comprendendosene lo stato emotivo profondamente alterato”.
Ayala non ci sta: “Continuo ad avere un grande rispetto per i giudici, ma sono davvero amareggiato per quello che scrivono. Io, in quel momento, mi ero appena imbattuto nel cadavere del mio amico Paolo, che era senza gambe e senza braccia. Ho fatto fatica a riconoscerlo. E c’era questa storia della borsa, ovviamente chiusa. Io ignoravo il contenuto e mi sono confuso”.
Le telefonate “sparite”
Gioacchino Genchi, ex funzionario di polizia ed esperto informatico, segnalò “una anomalia di significativo rilievo” e cioè la mancata acquisizione del traffico in entrata sull’utenza mobile di Paolo Borsellino. In aula Genchi era stato durissimo: “Il traffico telefonico del cellulare del dottor Paolo Borsellino in entrata è stato fatto scomparire.
Non è mai stato conferito al gruppo di indagine Falcone e Borsellino, non è mai stato depositato agli atti dei processi e lei non lo troverà da nessuna parte”.
Il traffico telefonico fu comunque sviluppato? La risposta sembrerebbe essere sì leggendo alcune informative del gruppo “Falcone e Borsellino” che indagava sulle stragi.
Il lavoro del gruppo, però, è lo stesso che ha prodotto il depistaggio e ha dato credito al falso pentito pentito Vincenzo Scarantino.
Se avesse ragione Genchi, scrivono i giudici del Tribunale, “non vi è dubbio che si tratterebbe dell’ennesima sottrazione di elementi utili alla ricostruzione della strage di Via D’Amelio”.
Ancora una volta, però, c’è una certezza: i tabulati non ci sono tanto che il collegio scrive: Invero, il non avere a disposizione le chiamate in entrata sul telefono del Dott. Borsellino ha indubbiamente sottratto importanti piste investigative che se percorse subitaneamente avrebbero consentito di ricostruire più agevolmente gli ultimi giorni di vita del Dott. Borsellino senza dover ricorrere, a distanza di molti anni, ad assunzioni testimoniali che per loro natura – a prescindere dalla buona o malafede del dichiarante – si prestano a maggiori imprecisioni”. LIVE SICILIA
Speciale “PROCESSO DEPISTAGGIO”
“Io non cerco vendetta, voglio sapere perchè è morto Paolo. Non importa quanto ci vorrà, fosse anche un’eternità. Io, di certo, non vivrò abbastanza per conoscerla. Non importa. E’ importante, invece, che la conoscano i cittadini italiani.Tutti dovrebbero pretenderla a gran voce. Perchè non basta il grande impegno della magistratura. No. Ci vuole molto altro per arrivare alla verità, ne sono convinta, adesso più che mai.Innanzitutto bisognerebbe aprire gli archivi di stato. E guardarci dentro. Perchè purtroppo tante verità sono dentro i palazzi delle istituzioni. Poi, la verità bisognerebbe chiederla a tanti uomini delle istituzioni, che sanno, ma non parlano.A loro non voglio rivolgere un appello. Sarebbe tempo perso. Perchè sono degli irriducibili.
Chissà, forse un uomo delle istituzioni ha in mano l’agenda rossa di Paolo. Sono sicura che esiste ancora quell’agenda.
Non è andata persa nell’inferno di Via d’Amelio, perchè era nella borsa di mio marito, borsa che è stata recuperata integra, con diverse altre cose dentro. Sono sicura che qualcuno la conserva ancora l’agenda rossa, per acquisire potere e soldi.”
Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere.
Agnese Borsellino