PAOLO BORSELLINO: “LA CERTEZZA CHE TUTTO QUESTO PUÒ COSTARCI CARO” 

 

L’ultima intervista televisiva Paolo Borsellino la concesse a Lamberto Sposini, per il tg5, venti giorni prima di morire nella strage di via D’Amelio (19/7/1992) insieme con i cinque poliziotti della sua scorta. “Terra”, settimanale di approfondimento del tg5, la ha riproposta il 24 marzo 2001.

 

Le due Le ultime  due risposte sono particolarmente significative

 

Dopo la morte di Falcone come è cambiata la vita di Borsellino?  (lungo sospiro) La mia vita è cambiata innanzitutto perché….dalla morte….di questo mio vecchio amico e compagno di lavoro è chiaro che io sono rimasto particolarmente scosso e sono ancora impegnato, ad un mese di distanza, a recuperare e, vorrei dire, tutte le mie possibilità operative sulle quali il dolore ha inciso in modo enorme. E’ cambiata anche perché sia per la morte di Falcone, sia per taluni altri fatti, mi riferisco alle dichiarazioni ormai pubbliche di quel collaboratore che ha parlato e ha detto di essere stato incaricato di uccidermi e la notizia è arrivata alla stampa in concomitanza con la notizia della strage di Capaci.  Le mie condizioni…., sono state estremamente appesantite le misure di protezione nei miei confronti e nei confronti dei miei familiari. E’ chiaro che in questo momento io ho visto completamente, quasi del tutto, anzi, vorrei dire del tutto, pressoché abolita la mia vita privata. Ho temuto nell’immediatezza della morte di Falcone una drastica perdita di entusiasmo nel lavoro che faccio. Fortunatamente, se non dico di averlo ritrovato, ho almeno ritrovato la rabbia per continuarlo a fare.
Posso chiederle se lei si sente un sopravvissuto?  Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninnì Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo. Mi disse: “Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano”.
La…. l’espressione di Ninnì Cassarà io potrei anche ripeterla ora, ma vorrei poterla ripetere in un modo più ottimistico. Io accetto, ho sempre accettato più che il rischio, la condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli.
La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in….in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare e….dalla sensazione che o financo, vorrei dire, dalla certezza che tutto questo può costarci caro.