Dura una notte la protesta degli agenti: «Siamo carne da macello» e la gente applaude La rabbia delle scorte travolge Parisi Sputi e una scarpa contro il prefetto.
Alla fine il prefetto Parisi si ferma: «Resta un problema in piedi», dice, «quello di limitare le scorte a chi ne ha assoluto bisogno e per esigenze legate a compiti ufficiali. Troppo sangue è stato versato». E una critica da fare, al Parlamento: «Naturalmente, le scelte ulteriori sono politiche. C’è il decreto 304 che noi vorremmo vedere convertito, ci sono altri provvedimenti da prendere. Borsellino stava lavorando con alcuni pentiti di grossissimn portata. Era in lotta con il tempo ppr riuscire ad avere dei risultati. Aveva il timore, me l’aveva confidato quattro giorni fa, di non farcela, che il provvedimento non fosse convertito. Era preoccupato delle obiezioni di ordine costituzionale, obiezioni di cui anch’io ero preoccupato e di cui sono tanto “tupito. Qui si lotta per la vita». La grande protesta degli agenti forse si quieta cosi. Dopo una mattinata di ribellione le guardie hanno accettato di riprendere servizio. Palermo è come paralizzata, dall’odore di morte, dall’eco della violenza. Ma in queste ore terribili, di fronte a questo tragico bilancio, il capo della polizia ha mai pensato di dare le sue dimissioni? «No, mai. Sarebbe troppo facile in certi casi, dottore, ritirarsi. E sarebbe addirittura comodo, mi creda. Si può essere sempre avvicendati se il problema si pone come problema politico. Ma io non posso nemmeno valutare il mio operato, non tocca a me farlo. Faccio il mio dovere, con dignità. Già dopo la strage di Capaci abbiamo avuto modo di verificare che non era prevenibile un attentato di quel genere, come non è preveni¬ bile un attentato di questo genere. In questo periodo abbiamo chiesto aiuto a tutte le forze armate del mondo, a tutte le polizie del mondo, e questa ricerca ha permesso di accertare che non esistono dispositivi in grado di rilevare la presenza di ordigni di questo tipo». Una dichiarazione di impotenza, signor prefetto. «No. La verità è che noi abbiamo movimenti terroristici come l’Ira che nel tempo hanno fatto registrare oltre duemila morti e questi movimenti hanno agito con metodi similari. Ma l’unica soluzione è quella di una lotta ferma contro la mafia, dell’utilizzazione di tutti gli strumenti che ci sono per continuare ad andare avanti con questo impegno. Perché una cosa è certa, con l’azione svolta è stato toccato davvero qualcosa di grosso, qualcosa di importante. Se no la mafia non avrebbe reagito in questa maniera». L’atrio della prefettura si svuota, si allontana anche la mamma dell’agente Traina dila- niato dalla bomba di via D’Amelio, una povera donna piegata dalle lacrime. «Ridatemi mio figlio», implorava. Ma che cosa resta oltre a questo dolore? «Molta tristezza, ma anche molta determinazione. Non vi è flessione nel coraggio, nell’impegno, nel senso di responsabilità. Abbiamo visto come le scorte abbiano deciso di riprendere servizio. Tutti noi continuiamo la nostra battaglia, al nostro posto». Sembra un po’ più lontana, adesso, la notte cupa della strage, neanche 24 ore fa, quando nella città violentata la rabbia degli agenti si è scatenata contro il procuratore capo Giammanco, contro il prefetto Parisi. Insulti, sputi, lancio di monetine. Persino una scarpa. Com’è lugubre Palermo senza la luce del giorno. I lampeggianti, le sirene, i piccoli cortei pieni di rabbia che si incrociano. Le urla, i pianti, e i cori: «Basta con le scorte votate alla morte». Tutto comincia nella sera. Due cortei spontanei, uno di 500 cittadini e l’altro degli agenti. Gli uomini delle scorte passano fra due ali di folla. La gente applaude, li incita: «Forze dell’ordine, forze dell’ordine». I gruppi si incontrano, si uniscono. Ci sono anche esponenti della Rete, del pds, del Movimento sociale. Vanno verso la prefettura. Scandiscono: «Non si può continuare così». Urlano: «Prefetto assassino, prefetto incapace». Arrivano davanti alla villa presidiata, sfondano il cordone dei carabinieri. E’ il caos. Qualcuno li affronta. Un funzionario: «Fate piano, fate piano». Voce dalla folla: «Noi non ce ne andiamo a casa». Un urlo: «Voi andate a casa a fare i ladri mentre noi abbiamo a casa le famiglie che piango¬ no*. Cori: «Giustizia, giustizia». Uno, in testa alla fila: «Noi le scorte non le vogliamo più fare». Dietro di lui, applaudono. Un maresciallo, accento romano: «Così t’abbassi i pantaloni e dici alla mafia che ha vinto». L’altro: «Ci devono pensare loro». Maresciallo: «Ci sono modi e modi di fare le cose». Funzionario alza la testa, parla alla folla: «Picciotti, calmiamoci, andiamo fuori». Crocchi di discussioni, grande tensione, voci concitate. «Minchia, perché dobbiamo bisticciare fra di noi?», dice uno di quelli che difende la prefettura. Non lo ascoltano. Uno: «Vogliamo avere un colloquio». Un altro: «Macché colloqui con quelli lì. L’unica cosa che devono sapere è che non vogliamo più fare le scorte». Le voci si accavallano. Mani e pugni levati al cielo. Circondano il cronista di radio radicale, Sergio Scandurra. «Lei tiene il microfono nascosto. Guardi, non ce n’è bisogno. Dobbiamo dire semplicemente che le scorte non le vogliamo più, perché non servono, non perché abbiamo paura. Al posto di morire una persona sola, ne muoiono quattro, dieci, cento». Si intrecciano le proteste, i racconti. «Siamo costretti a servizi umilianti». «Ci sono mogli di magistrati e politici che si telefonano fra loro: tu quanti uomini hai, tre, quattro? Mio marito è più importante». Un dirigente alza la voce: «Basta, non create problemi». Uno gli risponde: «Signor dirigente, i problemi non li creiamo noi. I problemi dovrebbero crearglieli quelli che ammazzano i suoi uomini». Uno: «Non vogliamo morire più». Un altro, subito zittito: «La pena di morte, la pena di morte!» Funzionario: «Vabbe, anche se spacchiamo le corna a tutti quanti qui non concludiamo niente». All’improvviso, la folla ricomincia ad agitarsi, a premere. «Parisi! Ecco Parisi! Quello è Parisi!» Insulti, lancio di monetine. Il prefetto passa davanti a un cronista: «Non ho niente da dire. Parlerò domani agli uomini delle scorte». Attorno, si leva il coro: «Dimissioni, dimissioni». Passa il procuratore Giammanco. La macchina viene circondata. Sputi, calci, pugni. «Buffoni, dimissioni». Gli strappano i tergicristalli. «Fuori la mafia dallo Stato». La protesta va avanti fino alle una e trenta. E continua nella mattinata di ieri con la decisione di sospendere i servizi di scorta. Alla lunga assemblea partecipa l’on. Carmine Mancuso della Ret» Nel pomeriggio, l’incontro con il prefetto. E Parisi attenua i toni della polemica: «Una certa rabbia è normale. Ma gli insulti non c’entrano, quelli venivano da extraparlamentari che si erano infiltrati». La protesta si stempera, la tragedia continua. Anche nelle parole di padre Pinta cu da: «Palermo, noi tutti avevamo fatto quello che potevamo. Adesso continueremo a farlo con maggior disperazione». Il capo della polizia contro ipolitici «Temporeggiano e qui si muore» A sinistra il capo della polizia Parisi, qui a fianco il dolore di due colleghi degli agenti uccisi. LA STAMPA 21 luglio 1992