14 giugno 2017 Audizione procuratore di Caltanisetta ANDREA BERTONE in Commissione Antimafia

 

Rif. Camera Rif. normativi
XVII Legislatura

 

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere
Testo del resoconto stenografico

Seduta n. 211 di Mercoledì 14 giugno 2017 PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 20.20.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l’attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta, Amedeo Bertone.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta, Amedeo Bertone, accompagnato dai procuratori aggiunti Lia Sava e Gabriele Paci e dai sostituti procuratori Stefano Luciani e Cristina Lucchini.
L’audizione odierna è dedicata a molti argomenti: alle risultanze del processo Borsellino quater, a un aggiornamento sulle principali inchieste in corso di svolgimento presso la procura di Caltanissetta. Ricordo il caso Saguto, la vicenda Montante, il caso Collovà e da ultimo – argomento di cronaca – le intercettazioni Graviano.
Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell’audizione libera e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta. Ringrazio pertanto il dottor Bertone e i procuratori che lo accompagnano e cedo loro volentieri la parola. Sarà poi il procuratore, eventualmente, ad affidare approfondimenti sui vari argomenti agli aggiunti e ai sostituti. Prego, procuratore.

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. La domanda generica sui temi…

  PRESIDENTE. Se vuole faccio subito le domande. C’è Borsellino, Saguto, Montante…

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Per quanto riguarda il procedimento Borsellino quater, è stato definito il processo con il dispositivo di condanna nei confronti degli imputati per i quali era stata richiesta la condanna. Con riferimento alla posizione di uno degli imputati, Scarantino, si è dichiarato di non doversi procedere per prescrizione del reato, essendo stata riconosciuta l’attenuante della induzione. Quindi, siamo in attesa della sentenza. Credo che sarà necessario molto tempo. Peraltro, siamo anche in attesa del deposito della sentenza del Capaci ter, quindi non facciamo una previsione, almeno allo stato, di immediato deposito della sentenza.
  Ovviamente il dispositivo della sentenza ultima pone qualche problema, perché è stata disposta la trasmissione per l’ulteriore corso alla procura di Caltanissetta, però l’indicazione è generica, quindi dovremmo attendere il deposito della motivazione per sapere quali sono questi ulteriori profili sui quali la procura di Caltanissetta dovrà ulteriormente approfondire le indagini. Dico questo malgrado, ovviamente, ci siamo posti subito il problema che un’attesa così lunga potrebbe pregiudicare Pag. 4la ricerca ulteriore della prova, e comunque è il nostro lavoro, e abbiamo richiesto al presidente della corte di assise di dirci… Lo abbiamo fatto formalmente, ma il presidente ha risposto che qualunque indicazione fosse stata fornita in questo momento sarebbe stata un’anticipazione. Quindi, sotto questo profilo siamo un po’ bloccati perché, ovviamente, cerchiamo di capire quali sono gli ulteriori approfondimenti che la corte, nella valutazione del materiale probatorio esaminato, ha ritenuto di dover svolgere.
  La sentenza del Capaci ter (del luglio dell’anno scorso), tranne un’assoluzione, è stata di accoglimento delle richieste della pubblica accusa. Però, ripeto, siamo ancora in attesa di conoscere l’esito, lo sviluppo, il contenuto della motivazione nei suoi vari passaggi.
  Ovviamente, come abbiamo chiarito nel corso della requisitoria, della memoria, io ho preparato dei dischetti in cui ho fatto riportare sia le memorie sia le sentenze, quelle con rito abbreviato, che sono state definite. Quindi, metterò questi dischi a disposizione della Commissione. Ripeto, ci sono ulteriori punti da sviluppare, questo è sin troppo evidente. Svilupperemo questi ulteriori spunti che il processo ha fornito nel corso dei dibattimenti, sia quello del Capaci, sia quello del Borsellino quater.
  Se ci sono altre domande possiamo anche coinvolgere i procuratori aggiunti.

  PRESIDENTE. Procediamo argomento per argomento? Se io formulo la domanda «quali novità apporta il Borsellino quater all’intera ricostruzione delle stragi di via D’Amelio» chi mi risponde?

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Io posso fare già una prima indicazione, poi possiamo dare la parola sia al procuratore aggiunto Paci che al dottor Luciani.
  È evidente che il dibattimento può senz’altro ritenersi fonte della necessità di ulteriori approfondimenti. Mi riferisco ad alcune indicazioni che riguardano il coinvolgimento di poliziotti nell’attività di induzione…

  PRESIDENTE. Chi sono?

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. I poliziotti che erano addetti alla scorta di Scarantino, lato sensu, che seguivano lo Scarantino nel periodo in cui stava collaborando. Quindi, ci sono alcuni spunti da sviluppare sotto questo profilo. Ovviamente c’è sempre il punto della eventuale individuazione di concorrenti ulteriori rispetto a quelli che sono stati oggetto dell’approfondimento dibattimentale.
  Comunque posso dare, se il presidente mi consente, la parola ai due colleghi.
  Voglio fare una premessa: il dottor Luciani è il sostituto che ha seguito tutte le indagini del Borsellino e del procedimento Falcone dal momento in cui è iniziata la collaborazione di Spatuzza, nel giugno 2008.

  STEFANO LUCIANI, sostituto procuratore. Io aggiungo solo, rispetto a quello che ha da poco detto il procuratore – su quello che emerge circa Scarantino magari il procuratore aggiunto dottor Paci vi parlerà più approfonditamente – che c’è un aspetto che complessivamente emerge dal Borsellino quater, cioè che da un punto di vista prettamente esecutivo si focalizza ormai definitivamente l’attenzione sul mandamento di Brancaccio.
  Questa è la novità più evidente, la novità che porta la collaborazione di Gaspare Spatuzza ed è una novità non da poco, perché i due processi precedenti, il Borsellino 1 e il Borsellino bis delineavano un protagonismo del mandamento di Brancaccio in maniera molto sfumata e confusa rispetto agli appartenenti al mandamento mafioso di Santa Maria del Gesù e della Guadagna, che era la famiglia mafiosa del cognato di Scarantino, cioè Salvatore Profeta. Quello che consente di fare il Borsellino quater da un punto di vista esecutivo è capire che il mandamento di Brancaccio è protagonista assoluto anche di questa strage; questo va a unirsi all’ulteriore novità che emerge dal Capaci bis, secondo la quale anche lì il mandamento mafioso di Brancaccio è il protagonista, uno dei protagonisti del segmento esecutivo relativo al reperimento Pag. 5del tritolo residuato di ordigni bellici, che poi andò a comporre la carica esplosiva stipata sotto il cunicolo di Capaci, quindi con un unico filo rosso che parte dal 23 maggio del 1992 e arriva fino all’aprile del 1994 col fallito attentato a Totuccio Contorno.
  È evidente che questo consente, oggi che il lavoro è terminato da questo punto di vista, anche una rivisitazione più completa di materiale probatorio che già la procura di Caltanissetta, così come le altre procure impegnate sulle stragi, aveva a disposizione. Ma è una rivisitazione e una rilettura in maniera più mirata e più conducente, perché abbiamo un dato processuale finalmente – si spera – veritiero che va a cancellare quello falso introdotto da Scarantino Vincenzo.
  È evidente che, anche nell’ottica cui accennava il procuratore, quindi anche nella ricerca di altro e di ulteriori responsabilità, tanto da un punto di vista interno all’organizzazione mafiosa, tanto da un punto di vista esterno all’organizzazione mafiosa, questo materiale che si è stratificato nel corso degli anni e che fino all’altro ieri era letto in una certa dimensione e con una certa lente di ingrandimento, oggi deve necessariamente essere diretto e messo a fuoco alla luce della novità di Gaspare Spatuzza.
  Questo è, secondo me, uno degli aspetti fondamentali che emerge dalla sentenza del Borsellino quater. Mi permetto di dire che è una sentenza che non è che processa… Se la guardiamo in questa prospettiva, non è un processo fatto a quattro macellai dell’organizzazione mafiosa, ma è una doverosa ricostruzione dei fatti, perché un palazzo non si costruisce dal tetto, ma dalle fondamenta. Se le fondamenta non ci sono o sono traballanti, possiamo tirare su tutto il palazzo, ma dopo due mesi viene giù. Adesso speriamo di avere delle basi e delle fondamenta solide.
  E quando si dice che il lavoro della procura di Caltanissetta sul Borsellino quater è stato un lavoro fatto a processare il grado basso e infimo dell’associazione mafiosa e non si è teso ad altro, forse non si riesce a comprendere che il lavoro si costruisce per piani, quindi se andiamo a mettere un primo piano solido forse possiamo mettere un secondo piano solido, che è la conseguenza di un primo piano finalmente centrato e finalmente aderente alla realtà dei fatti.
  Per quanto riguarda la vicenda Scarantino, il dottor Paci può certamente intervenire più di me.

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. Andando per punti, il processo Borsellino quater fa affiorare il corto circuito del sistema giudiziario. Se noi magistrati, il mondo dell’informazione e chiunque ha girato intorno a questa vicenda pensa di glissare il problema e di non fare una seria riflessione su quello che è successo, secondo me sbaglia, perché è successo qualcosa di gravissimo. Due sentenze passate in giudicato hanno emesso, sulla base di false prove, la condanna di persone che non avevano commesso la strage.
  Quindi c’è qualcosa che non funziona. Forse nel nostro sistema c’è qualcosa – con riguardo alle dichiarazioni dei collaboratori, alla giurisprudenza che ha elaborato i principi sulla famosa frazionabilità delle dichiarazioni – che va meditato. Lo dico come considerazione generale. Se noi perdiamo questa occasione e facciamo finta che non è successo nulla, perdiamo un’occasione seria per meditare sui nostri errori, come sistema giudiziario, quindi in violazione delle garanzie difensive e anche per i limiti che sono emersi nell’elaborazione delle prove.
  Sotto il profilo contenutistico, tre anni e mezzo di processo hanno portato alla ribalta una serie di questioni, di vicende, che prima non c’erano. Oltre alle dichiarazioni di Spatuzza, sostanzialmente vengono alla luce delle vicende che per anni nessuno aveva sentito la necessità di rammentare, perché alla base c’è la collaborazione del signor Ciancimino, diversamente valutata.
  Comunque sia, quando Ciancimino inizia a parlare, improvvisamente abbiamo delle dichiarazioni che rilanciano vicende che non erano state mai rappresentate all’autorità giudiziaria. Faccio riferimento alle dichiarazioni della dottoressa Ferraro e dell’onorevole Martelli, sulla vicenda che riguarda la cosiddetta «trattativa». Quindi, Pag. 6per vent’anni noi non abbiamo saputo che il colonnello De Donno si era recato dalla dottoressa Ferraro, che la dottoressa Ferraro aveva parlato con l’onorevole Martelli, che la dottoressa Ferraro aveva parlato all’aeroporto di Fiumicino, il 28 giugno, con il dottor Borsellino, che qualche giorno prima si era riunito con il ROS alla caserma Carini, dove si era recato senza la propria scorta. Il dottor Borsellino – e qui c’è l’altro punto che emerge dal processo…
  Se vado per le lunghe…

  PRESIDENTE. No, anzi, vada per le lunghe. Non si preoccupi. Va bene così.

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. Il dottor Borsellino confida a due magistrati, due sostituti procuratori della procura di Marsala, che la procura di Palermo è un nido di vipere e che una persona a lui cara lo ha tradito. Al punto che il dottor Borsellino, per la prima volta, ha un momento di commozione e inizia a piangere dinanzi a questi due giovani, al tempo giovani sostituti. Anche questa è una vicenda su cui bisogna meditare.

  PRESIDENTE. Ci fa i nomi?

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. La dottoressa Camassa e il dottor Massimo Russo.

  PRESIDENTE. Grazie.

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. Questa cosa noi la dobbiamo leggere collegandola a quello che dice la signora Borsellino, perché lo dice la signora Borsellino.
  Massimo Russo e Alessandra Camassa dicono che Borsellino piangendo disse che un amico l’aveva tradito e che la procura di Palermo era un nido di vipere, ma alla moglie dice ben altro: che ci sono contatti tra uomini dello Stato, istituzioni, e appartenenti all’organizzazione mafiosa, e soprattutto indica l’allora capo del ROS, generale Subranni, alla moglie come «punciutu».
  Ora, queste sono considerazioni che, ben prima che la corte ci dia le sue preziose indicazioni, devono entrare in quelle che sono le indagini che dobbiamo sviluppare. Non c’è solamente il discorso della trattativa che emerge e che abbiamo più volte evidenziato nel corso del processo, c’è il discorso del rapporto mafia-appalti. Discorso mafia-appalti che inizia nel 1989 e che vede quel famoso rapporto che l’allora colonnello Mori e il capitano De Donno depositano, se non sbaglio nel febbraio del 1991, e che consegnano a Giovanni Falcone. Ma Giovanni Falcone il giorno dopo o qualche giorno dopo migra per Roma, e quindi viene passato all’allora procuratore della Repubblica di Palermo Giammanco.
  Quel rapporto contiene, nei suoi allegati, elementi molto circostanziati che riguardano non solo la tangentopoli siciliana, che però rispetto alla tangentopoli milanese ha il problema che l’altra gamba del tavolino è rappresentata da cosa nostra, ma contiene anche degli elementi che riguardano proprio il dottore Giammanco. Allora, di quel rapporto Paolo Borsellino chiederà copia quando si trova ancora a Marsala, quando è ancora procuratore della Repubblica di Marsala.
  Altro dato che emerge inquietante è che – spesso ci siamo soffermati a pensare a quest’aspetto – già nel 1991 cosa nostra vuole organizzare un attentato a Paolo Borsellino a Marsala. Per quest’attentato che non va in porto muoiono due mafiosi, i fratelli D’Amico, i capi famiglia della famiglia di Marsala. Muoiono perché si dice si oppongano all’eliminazione di Paolo Borsellino a Marsala.
  Che cosa ha fatto Paolo Borsellino nel 1991 di particolare? Questo è un altro rovello che ha spesso accompagnato i nostri approfondimenti. Paolo Borsellino viene a conoscenza del rapporto tra mafia e appalti, di tutto quello che è collegato a mafia e appalti. Non viene a conoscenza del fatto solamente che c’è un’appendice del rapporto tra mafia e appalti a Pantelleria. Evidentemente, viene a conoscenza di quelle famose notizie che riguardano la De Eccher, il rapporto con imprenditori del nord e, soprattutto, la vicenda che riguarda l’amministratore della società, che adesso non ricordo come si chiama, comunque legato mani e piedi al potere politico romano. Pag. 7
  Che cosa esce dal processo Borsellino quater? Esce una serie di elementi che consentono un puzzle i cui tasselli vanno messi al loro posto, ma che ci consente in questo momento di avere quantomeno un’idea abbastanza chiara sulle future indagini.
  Per finire e per cenni sulla vicenda di Scarantino, c’è una cosa che è emersa su Scarantino che abbiamo rilevato nel corso della requisitoria e che troviamo estremamente inquietante. Abbiamo ripetuto spesso in requisitoria che ci furono abusi e forzature che portarono Scarantino alla falsa collaborazione, ma la cosa più strana, sulla quale dobbiamo fermare la nostra attenzione, è l’abuso che venne fatto dello strumento dei colloqui investigativi.
  Una serie di colloqui investigativi fatti dalla squadra mobile di Palermo si incrocia con dei colloqui investigativi fatti con Andriotta. In che cosa sta la particolarità? Sta nel fatto che Andriotta è già collaboratore di giustizia e, siccome noi sappiamo che Scarantino comincia ad aprirsi agli uomini del dottor La Barbera ben prima del 24 giugno 1994, ci chiediamo perché furono autorizzati e perché vennero eseguiti, cosa che dal processo non emerge. Nessuno ha avuto memoria di queste vicende, del motivo per cui lo strumento del colloquio investigativo è stato utilizzato per ascoltare un soggetto che già collaborava con i magistrati, Andriotta, della cui assoluta inaffidabilità tutti oggi sappiamo.
  Attenzione, ci sono anche delle date estremamente importanti. Il colloquio con Scarantino viene fatto il 22 dicembre, e il giorno 23 dicembre 1993 viene richiesto… Immaginiamo il 23 dicembre 1993, quindi la fretta di tornare dal luogo dove è stato svolto il colloquio investigativo con Scarantino, che evidentemente doveva aver dato qualche frutto, e la necessità di chiedere un’autorizzazione per fare un colloquio investigativo il 23, e sottolineo il 23 dicembre, con Andriotta già collaboratore. Penso che di carne al fuoco ne abbiamo già ancor prima che la corte d’assise ci dia le sue indicazioni.

  LIA SAVA, procuratore aggiunto. Per quanto riguarda Capaci, è tutto molto più semplice, tutto molto più sintetico.
  Il processo ha evidenziato, come avevano evidenziato le indagini in un filone di perfetta continuità col precedente procedimento di Capaci, quindi senza nessuna rottura, come invece è stato per le indagini e per il processo Borsellino, la responsabilità del mandamento di Brancaccio nella strage di Capaci.
  La sentenza di condanna, con la sola eccezione di Vittorio Tutino, ha messo ben in evidenza… Aspettiamo le motivazioni, ma il dispositivo ha riconosciuto la fondatezza dell’impostazione accusatoria della procura.
  È chiaro che, anche con riferimento al processo di Capaci, le indagini non si fermano. Noi continueremo, stiamo continuando a verificare la possibilità di ulteriori elementi, ulteriori tasselli da collocare.
  Credo, però, che sia importante evidenziare ancora una volta come in quel dibattimento la procura di Caltanissetta abbia versato tutte le indagini pazientemente svolte a seguito degli atti di impulso della Direzione nazionale antimafia, quindi con riferimento al mostro, a una serie di altri collaboratori di giustizia. La procura di Caltanissetta con estrema pazienza ha seguìto, sviluppato, indagato e poi messo a disposizione dei giudici del processo di Capaci le relative risultanze che, secondo l’esito delle indagini, ripeto versate nel pubblico dibattimento, e quindi messe a disposizione anche del controesame delle difese, non sono state conducenti ad alcunché.
  Resta fermo che, come abbiamo detto in requisitoria, le indagini e gli sviluppi futuri non si escludono con riferimento alla strage di Capaci. Questo è tutto con riguardo a Capaci.

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Presidente, vorrei aggiungere soltanto una piccola annotazione con riguardo alla vicenda di Scarantino.
  Qualche testata giornalistica ha polemicamente, come se non avesse assistito alle udienze e alla requisitoria del pubblico Pag. 8ministero… C’è un articolo in cui si titola: «È tutta colpa di Scarantino» messo tra virgolette. Si tratta di un’affermazione che non risponde né alla forma né al pensiero dell’ufficio della procura di Caltanissetta e per cui si era anche chiesta una precisazione, o quantomeno da parte del sottoscritto si era formulata una precisazione con riguardo a questo tema.
  Con riguardo alla vicenda di Scarantino, certamente c’è stata un’attività da parte degli operatori di Polizia lato sensu che, anche attraverso la prospettazione di vantaggi, sicuramente attraverso degli abusi e l’uso assolutamente improprio del colloquio investigativo, soprattutto il colloquio fatto durante l’itinerario della collaborazione di Scarantino e di Andriotta, ha nuociuto.
  È comunque utile, a mio modo di vedere, sottolineare che Scarantino, come pure l’Andriotta, hanno avuto certamente un interesse ad assecondare le richieste invasive e pressanti fatte dagli investigatori.
  Voglio ricordare – è un tema che ho anche sottolineato nel corso delle requisitorie – che Scarantino si è autoaccusato di ben dieci omicidi, forse nove o otto, ma credo dieci, perché questo era il numero degli omicidi. Di questi omicidi noi sappiamo soltanto che sono stati dalla procura di Palermo archiviati, ma è assai sintomatico che, all’inizio della collaborazione di Scarantino, una delle prime domande che vengono fatte il primo giorno – non vorrei ricordare male – o durante l’interrogatorio successivo, sia su un duplice omicidio, l’omicidio Lucera, domanda assai particolare.
  Evidentemente, se allo Scarantino, nel corso del primo o del secondo interrogatorio, viene fatta una domanda su quest’omicidio, gli si fa capire che ci sono elementi nei suoi confronti, a carico dello stesso Scarantino. Volevo dire comunque che, nel corso della sua presunta collaborazione, lo Scarantino si è autoaccusato, oltre che della strage, di dieci omicidi, il che fa pensare che, al di là degli abusi che sono stati commessi dagli operatori di Polizia, certamente c’è stata una fragilità dello Scarantino e una sua disponibilità ad assecondare i progetti, proprio perché aveva intuito che lo spettro delle indagini si stava allargando, sì da coinvolgerlo in altre vicende, di cui non sappiamo nulla, se non della richiesta di archiviazione. Ovviamente, si tratta di episodi per alcuni dei quali ha chiamato in correità altri soggetti.

  PRESIDENTE. Io avrei due domande su questo punto.
  La prima è su quali sarebbero gli interessi e i progetti di chi ha indotto o costretto Scarantino a offrire una collaborazione falsa, che poi ha portato a questo corto circuito al quale prima si faceva riferimento.
  Collegata a questa domanda c’è l’altra: se non ricordo male, Ilda Boccassini aveva segnalato, molto prima che si scoprisse la falsa collaborazione, che Scarantino non era affidabile.
  Secondo voi, perché non è stata ascoltata? Che cosa ha tardato…
  L’altra domanda è collegata a questa. Il procuratore Bertone ha detto che Scarantino ha avuto il suo interesse. A me sembra di aver capito che Scarantino non è stato condannato perché era stato sottoposto a violenze. Se aveva un suo tornaconto, voi avete intenzione di ricorrere contro l’assoluzione di Scarantino, soprattutto dopo l’approvazione del reato di depistaggio?

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Inizio a rispondere io, poi i colleghi potranno intervenire.
  La prima considerazione che ritengo doveroso fare è che si arriva a Scarantino sulla base di alcuni elementi certi emersi nel corso della primissima attività istruttoria. Delle intercettazioni telefoniche delineavano il sospetto di Valenti Pietrina, cioè della proprietaria dell’autovettura utilizzata, nei confronti di Candura.
  Anche Candura si è autoaccusato di un omicidio, ha fatto una serie di dichiarazioni con una progressione veramente stucchevole nel corso di più interrogatori sullo stesso episodio. Prima si è dichiarato presente, poi ha escluso, quindi con una sequenza di atti che dimostra come anche il Candura avesse qualche interesse, a parte Pag. 9la fragilità psicologica di tutti questi soggetti.
  Voglio dire, però, che sicuramente le prime indagini nei confronti di questi soggetti facevano immaginare uno scenario che riguardasse la zona, il territorio della Guadagna. Non è fuor di luogo ricordare che tanto era l’interesse, la convinzione degli investigatori all’inizio che quella potesse essere la strada, che addirittura un funzionario di Polizia venne inserito in un contesto relazionale che riguardava una ragazza, amica del Candura, in modo che potesse attingere notizie sulle vicende.
  Peraltro, anche le intercettazioni… Io sto parlando, credo e voglio parlare in termini di assoluta obiettività per raccontare questo momento iniziale, poi quello che è successo dopo è veramente grave. Le indagini si focalizzano su quell’insieme di persone, perché ci sono dei fatti oggettivi, che sono le intercettazioni iniziali che vanno in questa direzione.

  PRESIDENTE. Procuratore, per capire, lei mi sta dicendo che Scarantino poteva essere in una prima fase credibile? Vorrei capire. Quello che vogliamo capire è questo: da chi è stato costruito Scarantino e con quali finalità? Siete arrivati ad accertarlo? Ci sono degli elementi o delle piste di ulteriore approfondimento in proposito?
  È chiaro che questo è un punto…

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Vorrei concludere il mio pensiero e poi dare la parola anche ai colleghi.
  Sto cercando di rappresentare…

  PRESIDENTE. Forse il senatore Lumia su questo vuole aggiungere qualcosa.

  GIUSEPPE LUMIA. Vorrei intervenire su questo punto. Il procuratore sa che la Commissione è informata della vicenda processuale, tecnicamente, di Scarantino, ma il punto vero è, con la domanda che faceva il presidente, capire se ci sono state responsabilità dal vostro punto di vista dolose, dal nostro punto di vista istituzionali.
  Con chi si organizzò all’interno del sistema carcerario questa grande opera di depistaggio? Quali altri soggetti istituzionali parteciparono oltre alle Forze dell’ordine nel campo della magistratura e dei servizi? Questo complesso e articolato contesto di depistaggio ha avuto anche soggetti esterni? Per la Commissione, questo è il punto essenziale da capire: comprendere se c’è stato, se le vostre indagini hanno aperto filoni di questo tipo o è stato un depistaggio figlio semplicemente della volontà di sbattere il mostro in prima pagina, citando un vecchio…

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Se posso finire, esprimerò compiutamente il mio pensiero.
  Io ho semplicemente voluto dire che all’inizio le indagini degli investigatori si focalizzarono sul gruppo Scarantino-Candura sulla base di elementi oggettivi, evidentemente interpretati successivamente in modo esagerato, ma all’inizio c’erano delle intercettazioni che facevano pensare che quello fosse l’autore del furto. Successivamente, Candura chiama in causa in modo abbastanza pressato Scarantino.
  Dagli atti, però, emerge che sicuramente Scarantino e Candura qualche contatto delinquenziale in passato l’avevano avuto. Malgrado ci sia stata la ritrattazione, alcuni punti nel corso del confronto cui sono stati sottoposti i due soggetti sono rimasti insoluti. Candura continua a dire che in passato ha rubato macchine per conto di Scarantino, Scarantino nega questa circostanza. Comunque, questo è un passaggio assai importante.
  È importante anche l’altro passaggio, secondo il quale – sto per giungere alla sua risposta, mi dia soltanto il tempo, presidente – certamente lo Scarantino ha potuto essere il mandante di altre attività illecite sempre nel settore dei furti.
  Un’altra circostanza assai delicata è rimasta irrisolta nel confronto: Candura dice di essere andato da Scarantino dopo il furto dell’autovettura perché Valenti Pietrina chiedeva spiegazioni su questo furto. È una cosa illogica pensare che ancora, malgrado il confronto e la risoluzione del Pag. 10contrasto, sia rimasto irrisolto questo profilo.
  Venendo alla sua, alla vostra domanda, bisogna intenderci sulle risposte. Noi facciamo indagini e cerchiamo di dare delle soluzioni che possano reggere in esito al dibattimento. La possibile indicazione se quest’attività di depistaggio sia stata funzionale a nascondere altre responsabilità, ed è questo – credo – il senso della vostra domanda, allo stato possiamo formulare soltanto delle ipotesi, e quella che sembra più accreditata è quella in base alla quale gli investigatori hanno insistito su questa ricostruzione e, a un certo punto, debbono necessariamente essersi resi conto che quella strada non portava da nessuna parte.
  Per quanto riguarda il riferimento alla collega Boccassini, debbo dire che non proverei a fare una graduatoria dei bravi e di coloro che non sono stati bravi nella conduzione…

  PRESIDENTE. Non era mia intenzione… La domanda era solo per capire perché il contenuto della sua lettera a Tinebra è stato ignorato.

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Questo è un altro discorso. Tutti i protagonisti di questa vicenda – ma ora darei la parola anche ai miei colleghi – alcuni di questi colleghi non avevano notizia di questa lettera.
  Non so chi vuole intervenire…

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. Noi arriviamo dopo, sapendo più cose, quindi è antipatico e poco professionale da parte nostra dire che noi abbiamo capito e gli altri no. Noi abbiamo una serie di elementi che gli altri non avevano. Possiamo dire questo. Farei, però, alcune considerazioni.
  La prima è questa e va fatta. È vero che noi arriviamo con Spatuzza, e quindi abbiamo un’arma fondamentale, che ci aiuta a capire quello che è successo. Quando Spatuzza comincia a parlare, chi lo sente per la prima volta, il dottor Lari e il dottor Luciani, abbassano lo sguardo e pensano che è pazzo. Capite che ci sono due sentenze passate in giudicato che dicono che la macchina l’ha presa Scarantino: se arriva uno e dice che la macchina l’ha presa lui, la prima reazione è quella di fargli il TSO.
  Che cosa fa la procura di Caltanissetta per capire se il pazzo è Scarantino, se il collaboratore tarocco è l’uno o l’altro? Chiama la signora Valenti e le chiede dove ha posteggiato la macchina quella sera. La signora Valenti dice dove ha parcheggiato la macchina. Poi si chiama Candura, quello che diceva di aver preso la macchina, e gli si chiede di spiegare dove l’ha presa. Quello dice che non si ricorda, che sta da un’altra parte, mentre Spatuzza dà esattamente l’indicazione conforme a quella che dà la signora Valenti. Lo hanno fatto Sergio Lari e Stefano Luciani nel 2008. Se si fosse fatto nel 1992, magari…
  Detto questo, ovviamente non possiamo avere la sfera di cristallo. Tirando fuori un fatto come questo, ci troviamo di fronte una marea di «non ricordo», «non so», «sono passati venticinque anni, abbia pazienza». Ci siamo trovati di fronte questa situazione. Il depistaggio lo abbiamo tirato fuori noi, ma dopo venticinque anni, per capire esattamente quello che è successo, ci vuole… Ovviamente, ci sono dei buchi neri e, tra un buco nero e l’altro, si arriva con lo strumento tradizionale logico, deduttivo e induttivo.
  Con questo strumento possiamo dire una cosa, e devo dire che in questo ci aiutano l’esperienza e la parola del dottor Genchi, un funzionario di Polizia, al tempo stretto collaboratore di La Barbera, con il quale La Barbera a un certo punto rompe i rapporti. Che cosa dice il dottor Genchi?
  Alla domanda sul perché vada via sbattendo la porta, o cacciato via – questo è un rovello sul quale è inutile stare ad approfondire, a un certo punto va via dal gruppo Falcone-Borsellino – risponde che è convinto (nel 1992, con la vicenda Contrada che incombe) che le indagini debbano essere sviluppate verso la possibile pista Sisde-Contrada, quindi possibili traditori, possibili uomini delle istituzioni all’interno del Sisde che possano aver avuto intenzione, una volta saputo che Mutolo stava collaborando, Pag. 11che il sistema stava franando loro addosso, di salvarsi e uccidere Paolo Borsellino e fare la strage di via D’Amelio.
  Che cosa dice il dottor Genchi? «Io dico questa cosa a La Barbera e La Barbera mi dice: “Guarda, fatti gli affari tuoi. Qua continuano a scoppiare le bombe. Abbiamo bisogno di dare una risposta subito, perché la gente vuole e perché io voglio fare il questore e c’è una promozione per te già pronta”». Questo è il racconto di Genchi, in sostanza, sul tentativo di portare e approfondire le indagini su un versante ben più insidioso, ma anche con trame che potevano partire dal Sisde e sviluppate per chissà quale indirizzo con, viceversa, l’impronta minimalista di La Barbera.
  Genchi dice questo. È uno dei pochi, anzi forse l’unico, ad avere memoria di quei fatti, quindi prendiamolo. Comunque, è persona che non ragiona attraverso dichiarazioni di altri, non riferisce, ma ha precisa memoria di quello che ha vissuto. Facciamo poi la considerazione, a questo punto, anche di natura deduttiva. Questa la facciamo noi sulla base delle carte che leggiamo.
  Come ha detto e sottolineato il dottor Luciani, il cuore del problema sono i Graviano. Anche le conversazioni intercettate ribadiscono che il perno della vicenda passa per Brancaccio e attraverso i fratelli Graviano. Se tutto questo va oltre cosa nostra, quindi, è perché i Graviano hanno avuto un’interlocuzione con ambienti istituzionali.
  Questo ce lo domandiamo e ve lo rassegniamo: è normale, secondo voi, organizzare un disagio per impedire che si faccia luce sull’eventuale ulteriore livello e far dire a Scarantino che i responsabili della strage erano i fratelli Graviano? È possibile che abbiano fatto questo e abbiano detto a Scarantino di fare il nome di Scotto Gaetano, l’altro tramite per i rapporti con gente dei servizi? È logico tutto questo? Non è logico, francamente.
  Se l’intenzione fosse stata effettivamente quella di oscurare un settore particolarmente sensibile, delicato, che quindi non andava esplorato, e il dottor La Barbera, che era stato a sua volta collaboratore dei servizi, poteva essere l’uomo adatto per fare questo depistaggio e impedire che si andasse in quella direzione, un nome doveva coprire, il nome dei fratelli Graviano. E Scarantino, fino a prova contraria, tira in ballo Giuseppe Graviano sia nella famosa riunione di Villa Calascibetta sia nella fase organizzativa esecutiva. È Scotto Gaetano a maggior ragione l’uomo che doveva fungere da tramite con gli apparati dei servizi.
  Ripeto che questi sono i dati su cui ragionare. Il nostro ragionamento nasce dagli elementi di fatto che… È una deduzione. A voi, naturalmente, sta se condividerla o meno. Questa è una nostra deduzione, ma ripeto fondata su questi elementi. Se, francamente, ci fosse stato un depistaggio teso a impedire che si arrivasse a quelle verità, ebbene, nasce male, perché nasce attraverso un’indicazione che non si capisce quale congruità possa avere con il fine.

  PRESIDENTE. E quindi?

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. È una mia opinione, ma se rassegniamo dei fatti, poi facciamo delle deduzioni. Tutti, però, possono fare le deduzioni. Io faccio questa deduzione. A voce alta dico che, secondo me, se l’intento di La Barbera fosse stato quello di nascondere queste verità…
  Una nota del Sisde ci ha sempre inquietati, una nota del 13 agosto 1992, quando ancora non è nata la pista Scarantino, che dice: «Il centro Sisde di Palermo comunica alla direzione Sisde di Roma…». Tra le tante cose che abbiamo fatto, siamo andati a chiedere gli atti, abbiamo fatto numerosi accessi presso le agenzie di sicurezza, e abbiamo avuto la massima collaborazione da parte dei responsabili, ma devo anche dire francamente che non abbiamo trovato una carta di interesse nell’ambito delle agenzie di sicurezza. Negli archivi che ci sono stati messi a disposizione abbiamo trovato ritagli di giornale e appunti sugli scenari, ma non abbiamo trovato un elemento fattuale di elaborazione fatta dal Sisde che possa avere una rilevanza nell’ambito Pag. 12delle nostre indagini, tranne questo documento e, naturalmente, il fatto che è noto a tutti è che il dottor La Barbera negli anni ’80 era un collaboratore del Sisde.
  Questa è la nota del Sisde, che ripeto è del 13 agosto 1992, appena pochi giorni dopo la strage: «A seguito di contatti informali con gli investigatori della questura di Palermo, anticipazioni sullo sviluppo delle indagini relative alla strage di via D’Amelio circa gli autori del furto della macchina ed il luogo ove la stessa sarebbe stata custodita prima di essere utilizzata nell’attentato». Dà notizie relative a un passo avanti fatto dalle indagini. A quel tempo, sinceramente, non era dato comprendere quale fosse esattamente… se non il fatto, che era noto a tutti, della vicenda che riguardava Orofino e la carrozzeria di Orofino, che aveva denunciato tardivamente il furto delle targhe.
  A parte questo, che rassegno in quanto fatto, che quindi può esservi utile per elaborare un pensiero, una deduzione su quello che è successo, altrettanto onestamente devo dire che argomento pregnante è questo: io penso che, se La Barbera avesse voluto depistare nel senso che abbiamo detto, quei nomi mai e poi mai avrebbe dovuto, potuto indicarli, cioè sollecitare Scarantino. Abbiamo detto, infatti, e la sentenza questo dice, che Scarantino è stato indotto a fare nomi. Se è stato indotto a fare nomi, con suggerimenti, in modo palese, in modo indiretto, ebbene questi nomi non dovevano assolutamente essere inseriti nei verbali di interrogatorio, se quello fosse stato il fine…

  PRESIDENTE. Era, quindi, solo la fretta di concludere le indagini.

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. Questo immaginiamo, ma ripeto che noi arriviamo dopo venticinque anni, presidente. È difficile, dopo venticinque anni, in assenza di prove certe e con una serie infinita di «non ricordo», «non so», «non c’ero», «non ho visto», elaborare un dato obiettivo. Questo è un ragionamento che si fonda su queste considerazioni che io vi ho rassegnato, che, come tutti i ragionamenti, può essere ribaltabile.
  Ci può essere chi non è d’accordo, chi ha altri elementi, ma questa è una considerazione che giudichiamo decisiva. Se i Graviano fossero stati l’ultimo anello della catena, si poteva dire che un nome valeva l’altro, ma siccome i Graviano sono il centro, il cuore del problema, ebbene può essere stato un depistaggio teso proprio a mettere il dito sul cuore del problema? Io penso che un depistaggio con quelle finalità doveva essere teso a un’inversione a 180 gradi per condurre per mano i magistrati del tempo verso…
  E, invece, no, ci stanno. Insieme a tanti altri falsi obiettivi, ci stanno i Graviano.
  Ricordo che i Graviano sono stati condannati, e non c’è nessuna revisione che riguardi i Graviano, nonostante nelle conversazioni leggiamo che oggi dice di essere innocente.

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Per completezza, interverrei per un’ultima notazione.
  Lei ha citato la collega Boccassini con riferimento…

  PRESIDENTE. Non per fare una graduatoria tra magistrati. È sempre per capire perché un avvertimento di quel genere non è stato ascoltato.

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Ho capito. Ho detto che io non volevo fare la graduatoria. Non ho messo in bocca a lei quest’affermazione.
  Voglio anche sottolineare che in sede di esame dibattimentale il collega Di Matteo ha fatto delle considerazioni con riferimento al coinvolgimento di Scotto e, quindi, alla contraddittorietà tra un’indicazione di depistaggio nel senso di coprire le responsabilità dei servizi e l’indicazione fatta nei confronti di Scotto, che invece portava proprio all’ambiente dei servizi. Per completezza di informazione, volevo sottolineare che anche il collega Di Matteo ha fatto considerazioni analoghe.

  PRESIDENTE. Su questo punto vorrebbero intervenire gli onorevoli Sarti e Mattiello.

Pag. 13

  GIULIA SARTI. Una prima considerazione sta nel fatto che, a ogni modo, siete stati comunque voi a ritenere di dover chiedere la condanna di Scarantino e l’archiviazione nei confronti dei tre poliziotti, Bo, Salvatore La Barbera e Ricciardi. La pista per cui Scarantino sarebbe stato indotto a rendere false dichiarazioni non era una pista su cui, a questo punto, si sono mosse le vostre indagini in tutti questi anni, le vostre convinzioni, altrimenti non si sarebbe chiesta con così tanta convinzione la sua condanna.
  Probabilmente, il fatto che oggi si è chiarito, grazie a tutto quello che è emerso nel dibattimento, che quest’induzione a rendere false dichiarazioni c’è stata, significa anche che è assurda la tesi secondo cui una persona come Scarantino si autoaccusa della strage più eclatante… Per quale convenienza? Per sfuggire a qualche altro reato di furto di macchine? Non è possibile una considerazione di questo tipo. È chiaro che non c’era nessun tipo di convenienza nell’autoaccusarsi della strage di via D’Amelio, quindi da questo punto molto semplice probabilmente si poteva partire per capirne di più.
  Ora, nei confronti di quei tre poliziotti che erano sotto il comando di Arnaldo La Barbera, sono stati anni in cui potevano essere svolte delle indagini ulteriori, invece abbiamo letto tutti la richiesta di archiviazione che poi è stata accolta, ma tantissimi elementi non sono mai stati presi in considerazione per continuare su quella pista, perché da solo Scarantino non poteva aver organizzato tutto. Questa è la considerazione su cui tutti ci stiamo basando.
  Vorrei quindi capire con voi perché non andare avanti (e spero nelle indagini ulteriori che potrete fare) su queste piste, esaminando tutti gli elementi che sono stati introdotti nel dibattimento.
  Un altro punto molto importante riguarda proprio il giorno della strage, cioè sulla sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino ci sono immagini di quella giornata che tutti abbiamo visto e voi avete esaminato sicuramente più di tutti gli altri proprio per capire ogni frammento di quella giornata, di quei minuti successivi allo scoppio del tritolo.
  Da quelle immagini si vede chiaramente la presenza del dottor Giuseppe Ayala, la presenza del dottor Arcangioli; si sa chiaramente che Giuseppe Ayala prelevò la borsa di Paolo Borsellino dalla macchina, alterando quindi anche il luogo del delitto e consegnandola a non si sa chi (l’unica immagine che abbiamo è quella del dottor Arcangioli con in mano quella borsa), e si sa che dentro quella borsa era riposta l’agenda rossa e che magicamente quell’agenda rossa oggi non c’è più.
  Su questo, dato che nel dibattimento sono emersi moltissimi elementi, ci sono ulteriori indagini o un’idea che vi siete fatti sulla sparizione dell’agenda e sulle persone coinvolte, che non sono mai state né indagate, né processate, a parte la posizione di Arcangioli che poi è finita come sappiamo?
  Dato che ha voluto rinunciare alla prescrizione e ci sono ancora elementi per indagare, tutte le persone che erano presenti quel giorno sono state ben individuate (ne avete parlato anche voi durante la requisitoria), dopo venticinque anni è il caso di percorrere anche questa pista nel modo più opportuno oppure non ci sono ancora abbastanza elementi per capirne di più da chi quel giorno era lì presente – lo ripeto – soprattutto alla luce delle dichiarazioni di Gaspare Mutolo, che tirano in ballo una grossissima responsabilità di Giuseppe Ayala nel corso di quegli anni?
  Concludo perché passo la parola ai colleghi e su Capaci bis magari torniamo dopo.

  PRESIDENTE. Direi di sentire anche l’onorevole Mattiello, così magari ci dà una risposta più…

  DAVIDE MATTIELLO. Grazie, presidente. Faccio una domanda anche per capire se un passaggio della dottoressa Sava andasse già in questa direzione, torno ai mesi di giugno, luglio e settembre del 2013, quando alla Direzione nazionale antimafia, procuratore nazionale facente funzioni il dottor Sciacchitano, scoppia il caso Donadio.
  Siamo ormai abituati a considerarlo il caso Donadio, anche se (lo dico di passaggio) Pag. 14tutto il lavoro oggetto del caso Donadio, di Donadio, se non ho capito male, è lavoro che viene negli anni delegato e quindi autorizzato dal procuratore Grasso, che però in quella fase, in quei mesi di giugno, luglio e settembre del 2013 (a settembre sarà già arrivato il dottor Roberti) ha già lasciato l’incarico.
  Vorrei solo farvi questa domanda, senza entrare nel merito della vicenda che si sviluppa a partire da quei mesi e che è ancora pendente, vorrei soltanto capire, visto che adesso siamo nel 2017, se vi sia qualcosa di ciò che in quegli anni venne messo a fuoco dall’attività del dottor Donadio, delegata dal procuratore nazionale Grasso, che si sia rivelata utile o no? Grazie.

  STEFANO LUCIANI, sostituto procuratore. Innanzitutto intendiamoci sui termini: Scarantino è stato condannato, cioè noi ne abbiamo chiesto la condanna e Scarantino è stato condannato, cioè Scarantino è stato dichiarato prescritto, che non significa assolto, perché altrimenti dovremmo ripescare casi molto più famosi e dare ragione a chi continua a sostenere che in quei casi quell’imputato è stato assolto perché prescritto.
  L’aver chiesto la condanna di Scarantino ha quindi trovato accoglimento da parte della corte. Non un’assoluzione perché poi, nel gioco dei minuti successivi alla sentenza quella condanna, che è una condanna, è diventata un’assoluzione.
  Cominciamo quindi a chiarirci su una cosa: la procura di Caltanissetta ha, come lei evidenziava, ostinatamente o pervicacemente chiesto la condanna di Scarantino e ha ottenuto la condanna di Scarantino. Questo è un primo dato che va sottolineato. A questo, se non ho compreso male, lei legga l’archiviazione fatta a Bo, Ricciardi e La Barbera, per derivarne il fatto che non si sia coltivata questa pista.
  Ho compreso dalle sue parole che lei ha letto la richiesta di archiviazione, quindi, avendola letta, non credo che ci sia bisogno che ricordi che sino al 2010 Vincenzo Scarantino non punta il dito contro nessuno.
  Lei avrà modo di leggere i verbali di Vincenzo Scarantino dopo la ripresa delle indagini sulla strage di via D’Amelio, quindi dopo la collaborazione di Gaspare Spatuzza, tutti gli interrogatori che la procura di Caltanissetta fa a Scarantino dal 2009 in poi, e troverà un paio di verbali in cui Scarantino continua a mantenere ferma la sua posizione e uno in cui, dopo aver svolto un confronto con un altro collaboratore di giustizia catanese, Ferone, si determinerà a ritrattare per l’ennesima volta la versione già offerta in passato.
  In quei verbali però (lo abbiamo scritto e lo ripeteremo sempre, perché è la realtà dei fatti) Scarantino rende dichiarazioni del tutto impalpabili ed evanescenti su responsabilità di poliziotti, magistrati, chiunque vogliamo chiamare in causa nella sua falsa collaborazione. Questa è l’oggettività dei fatti, se poi vogliamo sostenere altro lo possiamo sostenere, ma noi da magistrati non possiamo che raccogliere le carte, leggerle e trarre le conclusioni.
  Lei saprà meglio di me che Scarantino Vincenzo ricomincia a formulare accuse più precise e dettagliate su soggetti che lo avrebbero indotto a rendere quelle dichiarazioni soltanto nel febbraio del 2014, quando i termini di indagine nei confronti del dottor Bo, del dottor Ricciardi e del dottor La Barbera erano ampiamente scaduti. A questo si aggiunge il fatto che le altre fonti d’accusa nei confronti di questi signori erano Salvatore Candura e Francesco Andriotta, fonti che – mi consentirà di dire – sono a dir poco scivolose.
  Il dovere di magistrato è quello di non lasciarsi guidare dalle opinioni, ma di mettere in fila le fonti di prova, valutarle in una proiezione dibattimentale e dire: «io ho tre fonti di prova, una non accusa, due hanno queste caratteristiche intrinseche» laddove, se lei metterà in fila, come avrà fatto, le dichiarazioni di Francesco Andriotta dal 2009 in poi, non troverà una dichiarazione uguale all’altra, anche su particolari estremamente rilevanti.
  A questo aggiunga il fatto che questi soggetti non chiamano mai in causa terze persone in grado di asseverare la loro versione dei fatti (non così Candura, non così Andriotta), quindi noi saremmo dovuti andare a processo su tre fonti di questa Pag. 15natura e con questi elementi, senza avere elementi oggettivi di riscontro aliunde, che andavano doverosamente acquisiti in fase di indagini preliminari.
  Allora l’archiviazione era un atto non doveroso, ma stra-doveroso, perché la strage di via D’Amelio ha già patito troppi errori giudiziari e non ci possiamo permettere nel 2017 di continuare a fare errori per perseguire tesi e convinzioni personali di questo o di quello.
  Mi permetto anche di dirle che gli elementi di cui lei ha parlato, che sono stati introdotti nell’ambito del processo Borsellino quater sempre sul tema della responsabilità dei poliziotti, sono stati introdotti dalla procura di Caltanissetta, perché, quando Scarantino Vincenzo nel 2014 riformula le accuse, doverosamente la procura di Caltanissetta ha avviato un’ulteriore attività di indagine sui soggetti chiamati in causa da Scarantino Vincenzo, continuando a fare indagini su questo tema e puntualmente riversandole a processo a disposizione delle parti nel contraddittorio, perché la procura di Caltanissetta nel Borsellino quater è stata una casa di vetro.
  Abbiamo fatto un’istruttoria dibattimentale di oltre 300 testi, mettendo a dibattimento anche temi che potevano sembrare un fuor d’opera rispetto alla singola imputazione processuale, ma che abbiamo ritenuto doveroso mettere a disposizione di tutte le parti, perché dopo venticinque anni era doveroso far capire tutto quello che la procura di Caltanissetta ha fatto e metterlo a disposizione delle parti affinché un giudice lo valutasse.
  Quegli elementi di cui parliamo, che sono stati introdotti a processo, sono stati introdotti perché la procura di Caltanissetta, parallelamente al processo, su un altro fascicolo processuale, ha continuato a svolgere indagini per verificare attentamente le dichiarazioni di Scarantino Vincenzo e, laddove è stato necessario, sono state messe a disposizione delle parti processuali, perché tutti si rendessero conto e avessero una visione completa di quello che poteva essere accaduto e di quello che è accaduto, quindi – mi perdoni se la correggo – non è aderente a completa realtà che non ci siano state indagini ulteriori, perché la procura di Caltanissetta ha un altro fascicolo aperto.
  Noi sosteniamo e continueremo a sostenere, benché questa possa sembrare una posizione scomoda, che a processo si va laddove Scarantino, laddove Andriotta, laddove Candura sono confortati da elementi esterni oggettivi, in grado di asseverarne le dichiarazioni, di sostenerle, quasi da rendere marginale il contributo di questi soggetti, la cui affidabilità è quella che è.
  Penso di essere stato chiaro, perché questo è il lavoro doveroso del magistrato, che non persegue un’ipotesi, ma fa un processo nella proiezione di una condanna, quindi non so quali sarebbero questi elementi che non sarebbero stati presi in considerazione dalla procura di Caltanissetta e che sarebbero emersi dal dibattimento, mentre è vero il contrario, ossia che quegli elementi che sono stati introdotti a dibattimento sono stati introdotti perché noi li abbiamo portati a processo.
  Mi consenta anche di dirle che è impreciso continuare a sostenere che abbiamo consentito a Bo, La Barbera e Ricciardi di non rispondere, perché in sede di richieste 507 abbiamo chiesto l’esame di Bo, La Barbera e Ricciardi, dopo aver ottenuto l’archiviazione da parte del GIP costoro sono venuti in dibattimento, hanno reso la loro deposizione, che è stata valutata dalle parti processuali e verrà valutata dal giudice nell’ambito della sentenza del Borsellino quater.
  Per quanto riguarda la sparizione non so se volete parlare…

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. Io volevo solamente agganciarmi a quanto hai detto per rispondere all’onorevole Sarti, ricordando, onorevole Sarti, che noi dobbiamo elaborare un’ipotesi di reato che non sia prescritta, quindi dobbiamo sia nel fatto che nell’elemento psicologico individuare qualcosa che resista all’usura del tempo giudiziario, quindi o un concorso in strage o un concorso in calunnia.
  Lei ha citato la richiesta di archiviazione, scusate se cadiamo nel tranello di autocitarci, però la rivendichiamo tutta, perché siamo arrivati a queste conclusioni Pag. 16in cui, se posso leggerle brevemente, c’è la summa di quello che abbiamo detto sulle indagini che abbiamo fatto, perché ovviamente non tutto quello che facciamo è ostensibile, ma alla fine, se abbiamo accertato ad esempio di chi era la grafia degli appunti considerati di Scarantino, è perché abbiamo fatto una consulenza tecnica nell’ambito di un separato procedimento.
  Noi concludiamo quel procedimento dicendo che il materiale in atti, dopo che li avevamo risentiti a dibattimento per farci un’idea di cosa dovevamo scrivere in questa archiviazione, «lascia intravedere sullo sfondo il compimento di condotte di sbalorditiva gravità, commesse in spregio dei più elementari doveri di lealtà e correttezza da parte di chi avrebbe dovuto invece collaborare con serietà, diligenza e scrupolo per l’accertamento della verità.
  Il fatto che non si sia riusciti a raggiungere un’apprezzabile soglia probatoria nei confronti degli odierni indagati non significa, infatti, che si sia maturata la convinzione che soggetti come Candura, Andriotta e Scarantino possano essere ragionevolmente riusciti, da soli e senza alcun tipo di ausilio, ad imbastire una trama tanto complessa e in fin dei conti risultata convincente in più gradi di giudizio».

  PRESIDENTE. Scusi, procuratore, questa è la requisitoria?

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. No, questa è la richiesta di archiviazione nei confronti del dottor Bo, del dottor Ricciardi e del dottor La Barbera.

  PRESIDENTE. Questa è la richiesta di archiviazione nella quale dite sostanzialmente…

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. Non abbiamo le prove per poter dire che questi abbiano… attenzione, noi scriviamo questa richiesta di archiviazione di un fascicolo, se non sbaglio aperto nel 2011, nell’ambito del quale non potevano neanche essere utilizzate, perché a termini scaduti, le dichiarazioni successive che Scarantino rende nel 2014 e che contengono il succo delle sue accuse, perché prima non le aveva fatte, per cui arriviamo a fare questa richiesta di archiviazione a bocce ferme, ci rendiamo conto che è successo qualcosa di gravissimo in relazione a fatti ormai prescritti.
  Il senso della mia affermazione rivolgendomi all’onorevole Sarti era questo: dobbiamo imbastire un’ipotesi di reato che non sia prescritta, concorso in strage o concorso in calunnia nei confronti di personaggi che hanno subìto l’ergastolo, altrimenti non ne usciamo, perché tutto quello che possiamo elaborare su queste che definiamo nefandezze è prescritto.
  Stiamo quindi archiviando il concorso in calunnia perché non abbiamo le prove, dicendo che non riusciamo con gli elementi in nostro possesso, che sono costituiti da materiale fluido, come ha detto il collega, perché Candura, Andriotta e Scarantino sono personaggi che non si possono portare in un processo, perché hanno detto talmente tante corbellerie, si sono contraddetti nel corso della parvenza di collaborazione che hanno offerto che non puoi andare a processo e sostenere un’accusa con quelle fonti di prova, hai bisogno di altro e ben più sostanzioso che corrobori le loro indicazioni.

  PRESIDENTE. Qualche processo con le loro collaborazioni è stato fatto e purtroppo… quindi sostanzialmente in questa richiesta di archiviazione c’è scritto: «noi riteniamo che… ma non siamo in grado di…»?

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. Non abbiamo le prove, non abbiamo elementi di supporto tali che possano sostenere l’accusa in giudizio di concorso di questi tre funzionari di polizia, ai quali però addebitiamo senz’altro comportamenti gravissimi, che però, se sono sfociati in reati, sono sfociati in reati che non possono essere perseguiti nel 2014, perché sono prescritti da 15 anni. Questo è il concetto.
  Se devo andare oltre e dire che questi erano consapevoli, lo posso dire, è chiaro che alla luce di quello che emerge nel corso Pag. 17del processo in cui, come ha detto il dottor Luciani, Scarantino cambia per l’ennesima volta pelle e comincia a puntare ad alzo zero nei confronti sia di alcuni magistrati che di alcuni poliziotti. Quanto sia credibile e fino a che punto sia credibile…
  Noi riteniamo (e la corte ha accolto la nostra tesi) che, pur responsabile, sia stato fortemente condizionato nella sua attività collaborativa, perché è chiaro (e qui torno al discorso del black-out del sistema) che, se tu vai senza un avvocato a parlare con un signore e vai a ventilare l’ipotesi che possa passare tutta la vita in carcere, gli fai dei nomi, gli fai capire qual è la tua tesi e quali sono i soggetti che vuoi perseguire, quindi in qualche modo lo induci a fare una scelta tra stare in carcere e non vedere più la moglie (magari utilizzando anche un linguaggio deciso, se non addirittura minaccioso) oppure… Scarantino, che non è un eroe, alla fine capisce qual è la strada che deve scegliere.
  Questi non sono metodi che possono essere utilizzati, perché il colloquio investigativo è uno strumento che è previsto dalla norma, ma che non ha quella finalità. Se viene piegato e viene utilizzata in questo modo, crea queste mostruosità.
  È ovvio che il dottor La Barbera è morto e diciamo che questa è una vicenda che vedeva sostanzialmente il dottor La Barbera ideatore e promotore di questo tipo di attività, questo deve essere chiaro. Il dottor La Barbera (chi lo ha conosciuto è in grado di capire meglio il senso delle mie parole) era un funzionario di polizia vecchia maniera, non era facile dire di no al dottor La Barbera da parte di chi aveva il dovere di osservare e di eseguire i suoi ordini.

  LIA SAVA, procuratore aggiunto. Passiamo alla domanda relativa al Capaci bis e ai colloqui investigativi. Cercherò di essere estremamente sintetica.
  Quando sono arrivati i colloqui investigativi, doverosamente abbiamo avviato tutta l’attività di sviluppo delle indicazioni dei colloqui investigativi. Lei ci chiedeva se c’è stata una qualche utilità di quel materiale. Ebbene, se un’utilità c’è stata, secondo me è stata questa: abbiamo potuto approfondire nuovamente degli elementi, verificare determinate risultanze e metterle poi a disposizione dei giudici del Capaci bis, del giudice dell’abbreviato, che ha già pronunciato una sentenza, e del giudice del dibattimento, del quale aspettiamo una sentenza.
  Penso ad esempio a guanto, mastice e torcia (uno dei colloqui investigativi verteva su questo argomento) trovati a poca distanza dal cratere, con l’ipotesi della presenza esterna di soggetti che potessero avere lasciato mastice, torcia e guanti lì, noi cosa facciamo? Diciamo che sono passati ventitré anni e abbiamo strumenti scientifici più approfonditi, quindi andiamo a verificare se, come ci dice il colloquio investigativo, possiamo ricavare qualcosa in più. Cosa abbiamo ricavato? Abbiamo fatto le comparazioni, dopo ventitré anni c’è il tempo che toglie, ma il tempo qualcosa ti dà, il progresso delle attività scientifiche, e abbiamo trovato un’impronta, l’impronta di Biondo Salvatore che, però, invece di dare riscontro alla pista di una mano esterna, dava riscontro alla pista mafiosa, confrontando vecchie risultanze. Questo è soltanto un esempio.
  Abbiamo sviluppato anche altre piste, la pista faccia da mostro, la pista Aiello, che è suggestiva ed è interessante, però nulla è venuto fuori a sostegno, con riferimento semplicemente al discorso di Capaci (non apro altri possibili, eventuali coinvolgimenti, mi limito a Capaci), eppure abbiamo sviluppato tutto, assumendo a sommarie informazioni persone, acquisendo documentazione, andando negli archivi, e abbiamo messo a disposizione queste risultanze.
  Come dicevano i colleghi, il processo Borsellino è stato una casa di vetro, ma anche il processo Capaci. Ricordo a me stessa che il fatto che abbiamo messo in lista testi tutte le risultanze delle attività investigative fatte a seguito dei colloqui investigativi è stato il massimo della trasparenza, dando ai difensori la possibilità di controesaminare, alle parti civili la possibilità di verificare quello che avevamo fatto e ai giudici di verificare la fondatezza della nostra ricostruzione.
  Saremmo stati ben felici di avere degli altri risultati, abbiamo avuto questi risultati, Pag. 18lo stato dell’arte è questo, quindi l’utilità è stata andare a sviluppare ancor di più, però utilità concrete per individuare mandanti esterni, doppi cantieri, assolutamente no. Però l’utilità è approfondire, ricercare la verità anche a distanza di venticinque anni è sempre utile.

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Volevo soltanto dare comunicazione del fatto che lasciamo agli atti, perché possano essere acquisiti dalla Commissione, due CD, in modo che tutti possano avere contezza dell’iter motivazionale che ha seguito l’ufficio di Caltanissetta, contenenti la sentenza di Capaci bis,cioè il rito abbreviato, le sentenze di Borsellino quater rito abbreviato, l’archiviazione nei confronti dei poliziotti cui si faceva riferimento poc’anzi e le requisitorie formulate, con le relative memorie, sia del Capaci bis che del Borsellino quater, dove sono sviluppate anche alcune considerazioni sulle quali forse affrettatamente qualcuno ha indugiato (non dei miei colleghi ovviamente).
  Vorrei anche che venisse acquisita su CD una nota che la procura di Caltanissetta nel marzo del 2015, a firma del procuratore Lari e degli altri colleghi qui presenti, ha depositato alla procura nazionale, nella quale si formulavano alcune osservazioni critiche sulla conduzione o comunque sulle conseguenze sul piano dell’attendibilità dei collaboratori nel momento in cui si apprestavano a rendere dichiarazioni al pubblico ministero e quindi successivamente al dibattimento, alcune suggestioni che sono state inevitabilmente provocate dalla conduzione di questi colloqui investigativi che spesso avvenivano tra un interrogatorio e l’altro del pubblico ministero, quindi si utilizzavano anche emergenze provenienti da altri interrogatori.
  Siccome la nota è accompagnata dalla trascrizione di questi verbali, credo che la Commissione possa avere elementi sufficienti per farsi un’idea sul modo e sull’utilità di questi colloqui investigativi.

  PRESIDENTE. Sull’agenda rossa ci sono elementi? Volevo anche chiedere se a proposito dell’amico che tradiva si siano fatti un’idea di chi potrebbe essere (si può anche secretare).

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Il discorso dell’amico che tradiva deve essere sviluppato, voi direte che tante cose vanno sviluppate, però sono ovviamente tanti problemi che sono emersi e che ancora non hanno una soluzione definitiva.
  Tenete presente che sull’amico che ha tradito bisogna farsi un quadro preciso, tenendo conto di quello che hanno detto alcuni testi, la Camassa e Massimo Russo, a proposito del Subranni, perché Subranni, secondo la Camassa in particolare, poteva essere considerato un amico del dottor Borsellino. Mentre la vedova del dottor Borsellino escludeva che il Subranni potesse essere considerato un amico, perché si trattava di persona con la quale c’erano soltanto dei rapporti istituzionali.

  PRESIDENTE. Poteva essere un magistrato?

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Poteva essere anche un magistrato, però – ripeto – elementi precisi… ci sono alcune indicazioni dell’istruttoria dibattimentale che possono offrire con un ulteriore approfondimento…

  PRESIDENTE. Quali, ad esempio, procuratore?

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. C’è un riferimento… possiamo forse secretare questa parte.

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. I lavori procedono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Sull’agenda rossa non ci sono indicazioni?

Pag. 19

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Sull’agenda rossa ci sono delle discordanze evidenti che emergono dalle dichiarazioni rese da tutti i soggetti che sono stati sentiti. Ovviamente si terrà conto della possibilità di riaprire le indagini, tenuto conto che c’è già una sentenza di proscioglimento nei confronti del maggiore Arcangioli. Emergendo ulteriori elementi, non escludiamo di poter riaprire questo… Ovviamente, bisogna ricostruire la vicenda in tutte le sue particolarità.

  PRESIDENTE. Il dottor Ayala è mai stato sentito riguardo a questo…?

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Sì. Infatti, ci sono delle discordanze solo tra le dichiarazioni di Ayala, le dichiarazioni di Arcangioli e le dichiarazioni anche di altri soggetti che sono testimoni della vicenda.

  PRESIDENTE. Le faccio un’altra domanda: non sarebbe possibile ritornare sulla richiesta di archiviazione sia per i tre poliziotti, sia per Scarantino?

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. In che senso?

  PRESIDENTE. La domanda che ci facciamo noi è che… Io capisco, guardate – lo sostengo da molto tempo – che, dopo venticinque anni, la sede giudiziaria sia una sede impervia per poter accertare la verità. Probabilmente le sedi sono altre, ma dovrebbero avere a disposizione strumenti che forse non hanno. Consegnate, però, tante domande anche voi, più che risposte, in qualche modo. Anche formulare le domande giuste credo sia importante.
  A noi uno dei perni di tutta questa vicenda… la domanda che ci si fa è: se Scarantino ha depistato in maniera così evidente, o dice perché… Se non lo dice, perché continua a non collaborare, non lo sa?

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. Scarantino non è il prototipo del buon collaboratore, presidente.

  PRESIDENTE. Ho capito, ma, più che collaboratore, lui non è che…

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. Abbiamo di fronte un personaggio che va conosciuto, nel senso che Scarantino non è solamente…

  PRESIDENTE. Anche i poliziotti, possibile che tutto questo sia avvenuto…? Anche i magistrati, evidentemente, senza mettere nessuno senza prove nel banco degli accusati, ma… È partito lei dicendo che c’è un corto circuito giudiziario su questa vicenda che fa in qualche modo impallidire tutti. Perché archiviare? Si possono riaprire?

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. Sì, si possono riaprire le indagini. Certo che si possono riaprire. Il problema adesso è che… Innanzitutto attendiamo la motivazione della corte, perché la motivazione della corte sarà fondamentale sotto questo profilo anche per capire quale parte del nostro ragionamento la corte abbia condiviso.
  Tuttavia, ripeto, innanzitutto noi facciamo una richiesta di archiviazione nei confronti di tre soggetti. Posso pensare che nei confronti di almeno due soggetti questa richiesta di archiviazione non abbia, allo stato, grosse possibilità di essere…

  PRESIDENTE. Neanche nei confronti di Scarantino?

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. Scarantino in che senso, scusi? Scarantino è stato processato.

  PRESIDENTE. Voi parlate di prescrizione, no?

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. A Scarantino il processo è stato fatto ed è finito con l’assoluzione per prescrizione. Una volta applicate le circostanze attenuanti… questo è un reato che rimane Pag. 20ancora vivo perché è contestata una circostanza aggravante. Se viene applicata la circostanza attenuante… posso fare una prognosi: essendo i poliziotti incensurati, sarebbe difficile non applicarla.
  Comunque sia, questo non entra nel gioco delle nostre valutazioni. Il problema è che, ripeto, c’è stato un momento di fibrillazione. Questo momento, secondo me, è questo discorso che vi ho fatto a proposito dei colloqui investigativi. Questi colloqui investigativi che si intrecciano con Andriotta e con Scarantino hanno sicuramente lasciato una traccia che non ha una spiegazione e sulla quale bisogna lavorare.

  STEFANO LUCIANI, sostituto procuratore. Giusto per far comprendere nel concreto, le faccio l’esempio di una dichiarazione che attinge il dottor Ricciardi da parte dell’ex collaboratore Andriotta. Andriotta sostiene in un primo interrogatorio di essere stato avvicinato nel carcere di Busto Arsizio per convincerlo a rendere false dichiarazioni da due persone, di cui una in borghese, di cui non ricordava le fattezze.
  In un altro interrogatorio queste persone divengono tre, il dottor Arnaldo La Barbera, il dottor Salvatore La Barbera e un altro soggetto che non ricordava. Gli chiediamo se sia il dottor Ricciardi. Dice di non ricordare.
  Gli mostriamo un album fotografico nell’interrogatorio successivo. Riconosce il dottor Ricciardi, dicendo che era una persona che gli ricordava qualcuno, ma che non era la persona che era nel carcere di Busto Arsizio assieme al dottor Arnaldo La Barbera.
  Nel successivo interrogatorio il dottor Ricciardi diventa certamente come presente a Busto Arsizio col dottor Arnaldo La Barbera e come quello che gli aveva anche dato uno scappellotto sulla testa per convincerlo.
  Faccio questo, che è un esempio banale, per far comprendere – torno a ripetermi – che un conto sono le convinzioni personali, un conto sono le prove che si portano a un processo. Andare a un processo con queste fonti non vestite da ulteriori elementi oggettivi esterni è un processo destinato a non vedere condanna. Non credo che si faccia un buon servizio nel fare un processo a tutti i costi per arrivare a un’assoluzione, perché significa non avere neanche un vaglio dibattimentale per verificare l’ulteriore ipotesi di cui lei parlava.
  Diverso è, invece, il caso in cui quella fonte processuale, che possa essere Scarantino, che possa essere Andriotta, o che possa essere Candura, risulti assistita da una serie di elementi oggettivi esterni talmente forti da corroborare quella fonte e farla divenire quasi autosostenibile a dibattimento.

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. I lavori procedono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).

  LAURA GARAVINI. Grazie presidente, io innanzitutto volevo esprimervi grande apprezzamento e spronarvi a proseguire nel lavoro che state conducendo dal 2008. Noi abbiamo avuto il piacere e l’onore, anche come Commissione antimafia nella precedente legislatura, di accompagnare un pochettino i vostri lavori e apprezzare il sistema, il metodo, che avete adottato. Quindi non posso che spronarvi a continuare così, senza avventurarvi, avventurarci in ipotesi, in congetture, ma appunto seguendo il sistema di chi attraverso tutta una serie di ricerche, anche molto dettagliate, cerca le prove oggettive e, quindi, procede a piccoli passi, anche con il coraggio di mettere in discussione sentenze passate in giudicato. Esprimo, quindi, grande apprezzamento e grande riconoscimento per questo lavoro, con l’invito a proseguire in questi termini, proprio perché è importante che si cerchi, con tutte le difficoltà del caso, a venticinque anni di distanza, di fornire delle risposte a queste terribili stragi che abbiamo avuto.
  Detto questo, procuratore Paci, lei ha fatto un riferimento prima al fatto che sia emerso che tre procuratori all’epoca avevano collusioni con la mafia. Può, per cortesia, riprendere questo passaggio e fornirci Pag. 21elementi più dettagliati in merito? Questo passaggio è rimasto completamente nell’ombra.
  Senza volermi avventurare io su ipotesi, potrebbe essere in qualche modo possibile che, anziché esserci un depistaggio legato alla polizia giudiziaria, ci fosse, invece, un depistaggio legato all’autorità giudiziaria? È in qualche modo un’ipotesi fattibile?
  Detto questo, su Graviano anche l’età potrebbe indurre a un possibile ripensamento. Forse, presidente, la risposta andrà segretata. È stata valutata l’ipotesi di riproporre oggi, in tempi recenti, anche alla luce di tutti gli elementi che sono emersi, una possibilità di collaborazione ai due fratelli?

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. I lavori procedono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).

  La seduta, sospesa alle 23.05, riprende alle 23.30.

  PRESIDENTE. Riprenderei la vicenda Saguto. Non so se possiamo subito coordinarla con la vicenda Collovà.

  LIA SAVA, procuratore aggiunto. Allo stato, per quanto ci riguarda, quando c’è stata la trasmissione delle Iene, noi ci siamo immediatamente attivati, chiedendo gli atti agli archivi del tribunale di Caltanissetta. Questi atti li abbiamo poi inseriti in un contesto investigativo, delegando indagini alla polizia giudiziaria per cercare di individuare se in questo contesto fossero ravvisabili, in primo luogo, ipotesi di reato di nostra competenza o, in secondo luogo, ipotesi di reato in astratto di competenza di altra autorità giudiziaria. In astratto intendo la procura di Catania.
  In questa fase, veramente molto, molto brevemente, stiamo procedendo all’analisi del materiale proveniente da altri fascicoli. Allo stato, per quello che risulta, non ci sono collegamenti immediati e diretti fra questa vicenda e la vicenda Saguto.

  PRESIDENTE. Sulla vicenda Collovà non siete in grado di dirci altro, per adesso.

  LIA SAVA, procuratore aggiunto. Allo stato, è questo. È in progress.

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. C’è una plusvalenza relativa a un terreno comprato e iscritto a bilancio nella Palmintelli, una società controllata del gruppo Di Vincenzo, per 1.471.000 euro, terreno comprato dalla società Sinergie Srl, la società che viene costituita dall’amministratore Collovà per il gruppo Zummo, alla modica cifra di 6.400.000 euro. Quindi, c’è una plusvalenza di 5 milioni, sulla base di una perizia di stima di tre pagine redatta da un coadiutore del Collovà.

  LIA SAVA, procuratore aggiunto. La presidente ci ha chiesto se ci siano collegamenti con il caso Saguto. Non ci sono collegamenti col caso Saguto.

  PRESIDENTE. Poiché anche quella è una vicenda che riguarda l’amministrazione giudiziaria di beni confiscati, visto che parliamo del caso Saguto, allarghiamo anche al caso Collovà, se avete elementi già acquisiti.

  GABRIELE PACI, procuratore aggiunto. Per il momento, gli elementi sono questi. C’è questa enorme e improvvisa lievitazione del prezzo del… sulla quale stiamo indagando, ovviamente, ma in questo momento le indagini sono ancora in corso.

  PRESIDENTE. Veniamo al caso Saguto.

  AMEDEO BERTONE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta. Darò subito la parola alla collega Lucchini, che ha svolto e coordinato le indagini che riguardano questa vicenda, che ha avuto grande eco sulla stampa e comunque nel dibattito.
  Il procedimento nei confronti di Saguto e di altri 18 imputati è stato definito con l’esercizio dell’azione penale in data 17 marzo 2017. Si tratta di 19 imputati e di 77 capi di imputazione. Pag. 22
  Per rifare la storia, debbo dire che nell’ottobre del 2016 è stato eseguito un provvedimento di sequestro, finalizzato alla confisca anche per equivalente, di denaro e beni determinati in oltre 900.000 euro, costituenti il prezzo, il profitto, il prodotto di delitti di corruzione, concussione, peculato, truffa aggravata e riciclaggio a carico, tra gli altri, di Silvana Saguto, Gaetano Cappellano Seminara, Carmelo Provenzano, Roberto Nicola Santangelo e Walter Virga.
  Le indagini sono state avviate a seguito della trasmissione dalla procura di Palermo, ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale, del procedimento che era stato iscritto a carico di Walter Virga, amministratore giudiziario nella procedura Rappa, e di suoi collaboratori e coadiutori.
  Le attività di intercettazione disposte dalla procura di Palermo sulle utenze delle persone sottoposte a indagini e nei locali della Nuova Sport Car Spa, società che faceva parte del compendio in sequestro, consentirono di accertare gravi indizi di condotte illecite soggettivamente qualificate. In questo contesto veniva riscontrata una serie di ingerenze indebite da parte della dottoressa Silvana Saguto nella gestione dei patrimoni in sequestro, con profili di responsabilità, per cui gli atti venivano trasmessi alla procura di Caltanissetta.
  Sostanzialmente, su questi rapporti corruttivi che si andavano delineando si sono sviluppati due vincoli associativi, che sono stati contestati – ora do subito la parola alla collega Lucchini – finalizzati alla commissione indeterminata di delitti di corruzione, peculato, falso materiale ideologico, abuso d’ufficio e truffa aggravata rispettivamente, da una parte, a carico di Silvana Saguto, Gaetano Cappellano Seminara e Lorenzo Caramma, e, dall’altra, a carico della stessa Saguto, di Carmelo Provenzano, di Roberto Nicola Santangelo e di Lorenzo Caramma.
  In definitiva, gli associati, sfruttando le qualifiche soggettive e i ruoli ricoperti nell’ambito delle procedure di prevenzione e facendo perno sul sistema della gestione dei patrimoni in sequestro e dei relativi procedimenti di liquidazione dei compensi per le attività dell’amministrazione giudiziaria, erano riusciti a creare un sistema di arricchimento illecito improntato sostanzialmente a criteri familistici e clientelari. C’è stato il provvedimento del tribunale del riesame per alcune posizioni, ma sostanzialmente l’accusa ha trovato fondamento nell’esito di questa prima fase.
  Do la parola alla collega Lucchini.

  CRISTINA LUCCHINI, sostituto procuratore. Desiderate che faccia un quadro degli accertamenti svolti, mi sembra di aver capito, un’introduzione. Sì, si dice che l’essenza di una cosa sia la sua origine. L’origine è una serie di accertamenti su una procedura, la procedura Rappa, che erano stati intrapresi dalla procura di Palermo.
  Immediatamente, a seguito della trasmissione degli atti dalla procura di Palermo, non solo si è proseguita l’attività di intercettazione telefonica sulle utenze già monitorate, come si è fatto cenno, ma l’atto di indagine più utile per l’accertamento dei fatti è stato l’attivazione di un’attività di intercettazione ambientale all’interno dell’ufficio della dottoressa Saguto presso il tribunale di Palermo. Quest’attività di intercettazione ambientale ha consentito di cogliere una serie di dialoghi tra la stessa dottoressa Saguto e alcuni amministratori giudiziari e coadiutori giudiziari che sono stati il punto di partenza per accertamenti successivi.
  In sostanza, a partire dalle conversazioni captate sono state fatte delle acquisizioni documentali massicce, ma mai indiscriminate, sempre proprio a partire dall’esito delle intercettazioni telefoniche, e sono stati esaminati gli atti di oltre 50 procedure di prevenzione, pendenti o definite non soltanto presso il tribunale di Palermo, ma anche presso i tribunali di Agrigento, Caltanissetta e Trapani.
  Lo dico a grandi linee – poi, nel caso vi fossero elementi di interesse, siamo qui per rispondere – perché è stata accertata l’esistenza di due rapporti corruttivi fondamentali, uno tra Silvana Saguto e l’avvocato Cappellano Seminara, che era amministratore giudiziario di diverse procedure, e un altro tra Silvana Saguto e un coadiutore, Carmelo Provenzano, che, però, aveva le Pag. 23velleità e i comportamenti dell’amministratore giudiziario.
  Ora, per quanto riguarda il primo, la peculiarità di questo sinallagma (in realtà, sono caratteristiche che si riscontrano anche nel secondo, sebbene più limitato nel tempo) è data dal fatto che sono rapporti che si sono sviluppati nel tempo, quindi non si tratta di fatti di corruzione che corrispondono alla tradizione romanistica della compravendita, cioè l’atto antidoveroso contro un’utilità corrisposta.
  Essendo, appunto, rapporti di durata si atteggia metaforicamente meglio il contratto di somministrazione. A fronte di atti antidoverosi commessi dal pubblico ufficiale corrotto – in questo caso la dottoressa Saguto – venivano corrisposte utilità di varia guisa (prestazioni personali, dazioni di denaro o anche di atti di gestione).
  Come ho anticipato, l’avvocato Cappellano Seminara era amministratore giudiziario, dunque a sua volta pubblico ufficiale. Dagli accertamenti svolti, essendo lui il corruttore, la corruzione è aggravata proprio per la sua qualifica di pubblico ufficiale.
  Il rapporto di somministrazione corruttiva consente, pertanto, di non legare in maniera stretta l’utilità al singolo atto antidoveroso, ma di riuscire a contestare un flusso di dare e avere. In questo contesto, quali sono i termini accertati dello scambio?
  Per quanto riguarda il primo rapporto corruttivo, si è constatato un tentativo di dissimulazione. Infatti, il marito della dottoressa Saguto – ingegnere che veniva nominato quale consulente presso altri tribunali – riceveva incarichi di coadiuzione o professionali, senza la qualifica di pubblico ufficiale, in procedure amministrate dall’avvocato Cappellano Seminara, spesso, anzi per lo più, in tribunali diversi da quello di Palermo, proprio per annacquare il legame tra la dottoressa Saguto e l’avvocato Cappellano Seminara.
  L’ingegner Lorenzo Caramma riceveva, dunque, incarichi a Trapani, Agrigento e Caltanissetta.
  Questo è il quadro di massima che riguarda il rapporto corruttivo tra Cappellano Seminara e Saguto, nel quale si è anche accertata la corresponsione di somme di denaro da parte dell’avvocato Cappellano Seminara.
  Successivamente, l’attività fondamentale per la misura cautelare personale disposta dalla procura di Caltanissetta in via d’urgenza, poi convalidata dal GIP e, per alcune posizioni, cioè quelle che hanno fatto istanza di riesame, anche dal tribunale del riesame, è stata quella di definire in modo netto e, comunque, a favore delle persone sottoposte alle indagini, i termini del prezzo e del profitto della corruzione.
  Si è cercato, infatti, di adattare alla vicenda che si poneva alla nostra attenzione i princìpi della più recente giurisprudenza di legittimità sul profitto confiscabile e il profitto non confiscabile, riducendo all’osso, per evitare di ragionare in termini generici di volume d’affari.
  Il profitto della corruzione, in questo caso, erano i vantaggi che l’avvocato Cappellano Seminara otteneva dagli atti antidoverosi commessi dalla dottoressa Saguto, che spesso consistevano in provvedimenti di liquidazione.
  Non sempre si è riusciti a capire quali di questi compensi fossero di derivazione diretta dalla causa illecita, cioè dal rapporto corruttivo e quali fossero frutto dell’esecuzione di una prestazione di un ufficio pubblico. Tuttavia, nei casi in cui si disponeva di parametri certi di riferimento, si è riusciti a calcolare il profitto sequestrabile ai fini della confisca per equivalente.
  È il caso di una procedura che ha concentrato gli sforzi non dico maggiori, vista la sua complessità, ma ha dato sicuramente il profitto sequestrato di maggiore entità. A fronte di una liquidazione di circa un milione di euro disposta dalla dottoressa Saguto, nella procedura Aiello, in cui l’avvocato Cappellano Seminara figurava quale consulente legale, l’amministratore giudiziario di quella stessa aveva espresso una valutazione in termini di congruità del compenso di molto inferiore.
  Si è fatta, quindi, la differenza tra il compenso liquidato dalla dottoressa Saguto e quello che sarebbe spettato, anche alla luce di altri accertamenti, sentendo a sommarie Pag. 24informazioni delle persone, appunto, informate sui fatti. Si è riusciti, così, a ricostruire quale fosse il profitto sequestrabile ai fini della confisca per equivalente.
  Ugualmente si è fatto per la determinazione del prezzo. In questo caso, a differenza di quanto accade per il profitto, non c’è giurisprudenza di legittimità sul prezzo sequestrabile ai fini della confisca perché, normalmente, il prezzo della corruzione si riduce nella «mazzetta», che è una quota di denaro. Non si pone, dunque, il problema di quale sia il prezzo.
  Invece, in questa vicenda – questo è stato un elemento interessante dell’indagine – abbiamo dovuto cercare di riflettere sulla determinazione del prezzo perché nel caso di conferimento di incarichi da parte dell’avvocato Cappellano Seminara al marito della dottoressa Saguto si poneva questo problema.
  L’ingegner Caramma aveva – ripeto – degli incarichi di coadiuzione degli uffici pubblici o consulenze o comunque incarichi non costituenti ufficio pubblico. Si trattava, quindi, di chance lavorative offerte dall’avvocato Cappellano Seminara, ovvero di occasioni di lavoro. Come determinare, in questo caso, il prezzo, visto che le prestazioni spesso venivano svolte dall’ingegner Caramma?
  In alcuni casi, là dove sono stati contestati delitti di falso ideologico e truffa, siamo riusciti ad accertare che le prestazioni svolte dall’ingegner Caramma non corrispondevano a quelle descritte nell’istanza di liquidazione; in altri, invece, le prestazioni svolte dall’ingegner Caramma corrispondevano a quelle descritte nell’istanza di liquidazione. Quindi, a fronte di un’origine illecita del rapporto, quelle prestazioni erano comunque svolte.
  Nelle moderne forme di corruzione si innesca, dunque, una sequenza di scansioni successive che rendono remota la causa illecita.
  Allora, sempre in un’ottica di favor per le persone sottoposte a indagini, si è deciso di sequestrare, ai fini della confisca, soltanto quei compensi che l’ingegner Caramma, concorrente nel delitto di corruzione della dottoressa Saguto, sua moglie, aveva ricevuto per prestazioni mai svolte, o che consistevano in una duplicazione di pagamenti già ricevuti oppure in pagamenti privi di una reale giustificazione.
  Sono stati, pertanto, esaminati gli atti di tutte le procedure in cui l’ingegner Caramma aveva ricoperto incarichi e soprattutto tutti i provvedimenti e le istanze di liquidazione per riuscire, appunto, a definire questi importi.
  Chiaramente, non ci siamo limitati alla mera analisi della documentazione delle procedure, ma c’è stato anche un lavoro di analisi della documentazione bancaria e contabile.
  Soprattutto, è stato più proficuo un dialogo tra le varie acquisizioni probatorie perché, sempre a partire dall’attività di intercettazione telefonica, abbiamo voluto decifrare ogni riferimento a ogni singola procedura. Nessun nome doveva restare privo di un riferimento; nessun bene doveva restare privo di una collocazione; nessun provvedimento di liquidazione doveva restare lettera morta, ma doveva essere acquisito per capire di che cosa si trattasse.
  Questa circolarità delle acquisizioni probatorie ha consentito di sentire, alla luce delle intercettazioni, le persone che venivano menzionate, dunque di procedere ad acquisizioni documentali e spesso a richiamare tre, quattro, cinque o anche sei volte le persone menzionate, in un procedere sempre più approfondito, per chiarire i contesti cui si faceva riferimento nelle intercettazioni telefoniche.
  È stata così riscontrata una sussistenza di «moduli criminosi». Li definirei in questo modo perché c’erano dei metodi ricorrenti nell’attività, visto che si trattava di rapporti di durata.
  Per esempio, per quanto riguarda il rapporto tra Silvana Saguto e l’avvocato Cappellano Seminara, vi è non solo il metodo della nomina dell’ingegner Lorenzo Caramma in procedure in cui l’avvocato Cappellano Seminara svolgeva il ruolo di amministratore giudiziario, ma vi sono anche delitti di falso ideologico connessi teleologicamente a delitti di truffa, nel caso in cui vi fossero delle istanze di liquidazione che Pag. 25attestavano fatti falsi per ottenere liquidazioni che non spettavano.
  Inoltre, sono stati contestati delitti di peculato. Come è stato ricordato dal procuratore, è stato contestato anche il delitto di associazione per delinquere, i cui partecipi sono Silvana Saguto, il marito Lorenzo Caramma e l’avvocato Cappellano Seminara, nonché un delitto di associazione per delinquere in cui i partecipi sono – mi esprimo all’indicativo, ma è da intendere tutto al condizionale perché il processo deve ancora cominciare; l’udienza preliminare sarà il 22 giugno – Lorenzo Caramma, Silvana Saguto, Carmelo Provenzano e Roberto Nicola Santangelo.
  Si è constatato che in entrambi i rapporti associativi veniva utilizzata una struttura preesistente, quella dell’apparato amministrativo giudiziario, cui le varie procedure di prevenzione facevano riferimento. Questo ha consentito di dare corpo al coefficiente dell’organizzazione, necessario per ritenere integrato il reato associativo.
  Per quanto riguarda il rapporto corruttivo tra Silvana Saguto e Carmelo Provenzano si è, invece, accertato che vi è stato un avvicendamento.
  Nel momento in cui Gaetano Cappellano Seminara non era più, per la dottoressa Saguto, una fonte valida da cui attingere, per le polemiche che avevano caratterizzato soprattutto il 2014 e per l’attenzione che era stata suscitata sulla sua figura dal servizio «Le Iene» – questo è stato il vertice delle polemiche e degli attacchi mediatici – l’interesse della dottoressa si è spostato su un’altra figura, Carmelo Provenzano, un ricercatore dell’università «Kore» di Enna, il quale aveva sempre ottenuto incarichi di coadiuzione giudiziaria.
  Era stato, infatti, nominato come coadiutore con il compito di direzione strategica, come si legge nei vari provvedimenti di nomina, in procedure in cui l’amministratore giudiziario era Roberto Nicola Santangelo, amico di vecchia data di Carmelo Provenzano e, secondo quanto emerso dall’assunzione di notizie da persone informate sui fatti, di fatto la cinghia di trasmissione tra Silvana Saguto e Carmelo Provenzano, dal momento che la dottoressa Saguto non poteva, sempre secondo quanto emerge da fonti dichiarative, nominare Carmelo Provenzano in quanto era colui che seguiva suo figlio negli studi.
  In questo caso, il rapporto di somministrazione corruttiva implicava anche utilità di diversa natura rispetto a quelle che corrispondeva Gaetano Cappellano Seminara, perché coinvolgeva prestazioni personali quali, appunto, seguire il figlio negli studi, ma soprattutto redigergli la tesi di laurea, consegna di beni di consumo e anche in questo caso dazioni di denaro.
  Si è riscontrata, come peculiarità e come modello organizzativo criminoso in questo rapporto corruttivo, su cui si è poi innestato il reato associativo, anche un’utilizzazione dei provvedimenti di liquidazione che venivano, di fatto, redatti da Carmelo Provenzano o Roberto Nicola Santangelo e non dal tribunale in composizione collegiale.
  L’attività di intercettazione ambientale ha consentito di captare dei dialoghi in cui – tutte le intercettazioni ambientali e telefoniche sono state personalmente ascoltate dal pubblico ministero, non si è lasciato nulla alla mediazione della polizia giudiziaria, che pure ha fatto un lavoro straordinario, perché spesso alcuni elementi che sembravano apparentemente irrilevanti hanno acquisito rilevanza solo alla luce delle acquisizioni documentali svolte in un momento successivo – si coglie addirittura il rumore della stampante. Roberto Nicola Santangelo dava la chiavetta con i provvedimenti fatti; Silvana Saguto li stampava e li firmava. Insomma, erano delitti di falso materiale e in alcuni casi anche di falso ideologico, spesso funzionali a condotte di peculato. Infatti, la caratteristica del rapporto con Carmelo Provenzano, rispetto a quello con l’avvocato Cappellano Seminara, era la presenza di una dimensione familistica molto pregnante perché Carmelo Provenzano aveva inserito nelle amministrazioni giudiziarie la moglie, la cognata, nipoti e cugini.
  Di fatto, vi era tutta la famiglia allargata. Spesso queste persone non svolgevano gli incarichi che venivano attestati nelle istanze di Pag. 26liquidazione, quindi i provvedimenti di falso materiale redatti dalla dottoressa Saguto decretavano il contributo concorsuale nelle condotte di peculato che sono state poi accertate.
  Questo è, in sintesi, il quadro.

  PRESIDENTE. Faccio due domande e poi vi lascio.
  La prima è questa. Sappiamo che anche questa volta è stato merito di Caltanissetta, perché credo sia partito tutto da voi. Tuttavia, come è possibile che questo sistema – è chiaro che lo era – si sia potuto costruire, realizzare e andare avanti per anni senza che nessuno se ne sia accorto? Vi chiedo se vi siete fatti un’idea di questo.
  L’altra domanda è quella che si fa il cittadino comune. Quante altre persone nella stessa posizione di Silvana Saguto sono già in carcere? Siccome riteniamo che non avete fatto dei favori a nessuno, la domanda che ci facciamo è perché non c’erano gli elementi per misure restrittive.

  CRISTINA LUCCHINI, sostituto procuratore. Parto da questa seconda domanda per arrivare alla prima. Noi ci siamo posti fin da subito il problema dell’eventualità di chiedere una misura cautelare personale. Il momento in cui chiederla, ovvero in cui c’erano le esigenze cautelari attuali, sarebbe stato settembre 2015.
  In quel momento, però, non disponevamo dei gravi indizi di colpevolezza, perché avevamo soltanto delle emergenze che provenivano dall’attività tecnica, che andavano riscontrate e approfondite, con tutto quel compendio di documenti che sono stati analizzati nell’arco di molti mesi e, soprattutto, con tutti i riscontri legati alle acquisizioni della documentazione bancaria e contabile, che sono stati fondamentali.
  Inoltre, sono state sentite circa 150 persone. Spesso si è trattato di atti che duravano intere giornate, con amministratori giudiziari, su questioni molto tecniche e complicate. Questa attività di riscontro e di approfondimento ha richiesto molti mesi.
  In questi mesi, altri organi istituzionali si sono fatti carico della cautela. Penso, per esempio, all’azione predisciplinare o, comunque, all’attività della procura generale e soprattutto del Ministero della giustizia e dell’ispettorato. Infatti, è stata disposta un’ispezione mirata.
  Non solo il trascorrere del tempo, quindi, ma l’iniziativa solidale di altre istituzioni, che hanno creduto immediatamente nel lavoro della procura di Caltanissetta, ha determinato la sospensione della dottoressa Saguto dal suo incarico e i trasferimenti degli altri colleghi coinvolti (se vorrete potremo soffermarci anche sulla loro posizione, anche se è veramente marginale rispetto a quello che è emerso a carico della dottoressa Saguto).
  All’esito, quando abbiamo avuto i gravi indizi di colpevolezza – poco prima di depositare il sequestro, cioè nel tempo di finire di scrivere, il che è servito per mantenere ordine nelle indagini – ci siamo riuniti più volte, ci siamo guardati in faccia e abbiamo condiviso che non c’erano gli elementi per chiedere una misura personale.
  Avevamo tutto pronto. Avremmo potuto aggiungere, nella parte finale, che chiedevamo anche delle misure restrittive, ma onestamente non ritenevamo che le esigenze cautelari fossero attuali. Questa è la risposta.
  In sostanza, quando c’erano le esigenze cautelari attuali, non c’erano i gravi indizi. Nel momento in cui abbiamo avuto solidi gravi indizi di colpevolezza – anche nel sequestro, non ci siamo mai espressi in termini di fumus, ma abbiamo voluto, per la delicatezza degli accertamenti, parlare di gravi indizi di colpevolezza – e questo è stato confermato non solo dal GIP nella convalida, ma anche dal tribunale del riesame, perché entrambi i vari vagli provenuti dai giudici si sono espressi in termini di gravi indizi di colpevolezza, abbiamo preferito ricostruire quello che era successo.
  Le misure restrittive, però, ci sembravano inutilmente afflittive. Peraltro, ci siamo detti più volte che l’idea che abbiamo della nostra funzione è quella di essere filtro della giurisdizione. Allora, in un’ottica pacata di favor per le persone sottoposte alle indagini, ci è sembrato inutile perché non c’erano i presupposti per chiedere una misura personale.
  Questo sulla misura, per quanto riguarda il sistema, l’idea che ci siamo fatti è che i Pag. 27magistrati – questo, però, riguarda non solo l’incarico e il ruolo di giudice delegato nelle misure di prevenzione, ma può riguardare anche altri incarichi – non hanno la preparazione per interloquire fondatamente con dei professionisti quali gli amministratori giudiziari nella gestione di compendi in sequestro.
  Il sistema, per come è strutturato, si fonda, di fatto, sulla capacità di controllo del giudice delegato sulle attività di amministratori giudiziari e sulla onestà degli amministratori giudiziari nella gestione dei compendi in sequestro. Ci sono, dunque, variabili troppo fragili per consentire una gestione improntata a criteri di legalità e di efficienza.
  Questo è il presupposto. Dovremmo fare un’analisi spietata e onesta e dire che forse noi, come magistrati, non abbiamo le competenze per svolgere quella funzione. Questo non riguarda l’indagine. Visto, però, che lei ci ha chiesto come mai è stato possibile, dico che è perché si è lasciato tutto all’onestà, in questo caso alla disonestà, del presidente della sezione misure di prevenzione. Poi, quando si sono avvertiti i primi scricchiolii, perché sono iniziate le prime denunce, la reazione è stata – mi permetto di dirlo, credo anche della Commissione antimafia – di incredulità e di difesa netta dell’operato della sezione misure di prevenzione.
  Noi abbiamo chiesto gli atti delle audizioni. Li abbiamo letti, esaminati, studiati e abbiamo preso spunto per fare degli accertamenti ulteriori sulle procedure che erano state citate.
  Poi, si pone il problema dei controlli interni al tribunale di Palermo, a fronte delle prime denunce che arrivavano. Insomma, si è creata una specie di congiuntura, per cui era quasi impossibile intaccare quello che sembrava un santuario.
  Allora, rispetto a queste barricate che erano state erette sull’operato della sezione misure di prevenzione, il tempo ha giocato a favore per la costruzione di questi due rapporti corruttivi, che poi si sono sviluppati nei rapporti associativi che abbiamo cercato di delineare.
  Le responsabilità, o comunque le ragioni, per le quali si è creato questo sistema – quello che si è accertato è soltanto per la sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo – sono molteplici.

  GIULIA SARTI. Vorrei chiederle per quanto tempo sono andati avanti questi rapporti corruttivi che ha descritto. Inoltre, quando parlava degli incarichi all’ingegner Caramma, che avete analizzato scientemente e che si sono così susseguiti nel corso del tempo, di quale quantità stiamo parlando?
  Avrei, poi, una considerazione. Lei diceva che tutto si è basato su un rapporto di onestà, quindi di fiducia. Siamo sicuri, però, che nel momento in cui arriva la confisca definitiva e la palla passa all’Agenzia dei beni confiscati non possa instaurarsi, o non si sia già instaurato anche lì, una sorta di rapporto basato sull’onestà reciproca e sulla fiducia nell’affidarsi sempre alle stesse persone?
  Come abbiamo visto per le misure di prevenzione e nel contesto palermitano, con questi due casi specifici accertati, che speriamo siano un unicum, abbiamo anche un’Agenzia dei beni che ha agito sostanzialmente in modo similare. Penso, per esempio, al patrimonio Piazza.
  Riguardo a Cappellano Seminara, il suo successore è Andrea Gemma. È inutile ripeterlo qui, ma le vicinanze di Andrea Gemma con il Ministro Alfano sono chiare. Le conosciamo tutti.
  Questa non è assolutamente una colpa. Tuttavia, proprio perché si è detto più volte che questa indagine nei confronti del «sistema Saguto» (chiamiamolo così, anche se non è corretto) non deve assolutamente minare tutto il contesto delle misure di prevenzione, che sono uno strumento molto efficace, mi chiedo se anche da parte vostra si sia ragionato sul fatto che, nel momento ulteriore, quando interviene l’Agenzia, gli incarichi che vengono dati non possano portare ad altri esempi simili.
  Poi, se ci saranno indagini future o ci sono già, finora non è emerso niente…

  PRESIDENTE. Qualche regola l’abbiamo messa adesso…

  GIULIA SARTI. Sì, ma non è ancora legge. Lo spero, ma deve ancora ritornare Pag. 28da noi alla Camera dopo l’approvazione in Senato.

  CRISTINA LUCCHINI, sostituto procuratore. Partirei da quest’ultimo punto per dirle che questo non ha riguardato i nostri accertamenti, quindi non mi esprimo. I nostri ragionamenti non contano, se non hanno uno sviluppo in indagini o in procedimenti. Questo può riguardare uno scambio di opinioni, ma non credo sia questa la sede.
  Le nostre indagini non hanno riguardato il profilo dell’Agenzia. Quello che posso dire è che sono stati inviati degli esposti, che sono stati trasmessi per competenza alle sedi opportune, sulla dimensione, sull’operato dell’Agenzia e sui rapporti con gli amministratori. Liquido così questo argomento.

  LIA SAVA, procuratore aggiunto. È un problema di competenza territoriale.

  CRISTINA LUCCHINI, sostituto procuratore. Non c’era l’articolo 11.

  LIA SAVA, procuratore aggiunto. Caltanissetta era competente per Saguto perché c’era l’articolo 11. Sull’Agenzia sono arrivati degli esposti, ma non siamo competenti. Non scattando l’articolo 11 abbiamo trasmesso gli atti, in base alle regole sulla competenza territoriale.

  PRESIDENTE. Una domanda che ogni tanto ci viene fatta, e che fa parte anche delle interpretazioni che girano: il ruolo di Telejato c’è stato nell’inizio del procedimento o no?

  CRISTINA LUCCHINI, sostituto procuratore. La risposta secca è no. Abbiamo parlato dell’origine dell’indagine. Il procuratore faceva riferimento alla trasmissione di atti dalla procura di Palermo. In sostanza, la procura di Palermo ha trasmesso, a distanza di pochi giorni, nell’aprile 2015, il fascicolo a carico di Walter Virga, quindi alla gestione della procedura Rappa, e degli atti relativi all’indagine, che all’epoca era coperta da segreto, a carico di Giuseppe Maniaci e di altri mafiosi.
  Non che Maniaci lo sia, ma era un’indagine DDA in cui compariva, a un certo punto, anche Giuseppe Maniaci.

  PRESIDENTE. Diciamo che si serviva della mafia…

  CRISTINA LUCCHINI, sostituto procuratore. Comunque, ha trasmesso delle intercettazioni che erano state captate sull’utenza di Giuseppe Maniaci. Nel corso di queste intercettazioni telefoniche con i soggetti più disparati, Giuseppe Maniaci faceva riferimento – questo è ricostruito nel decreto di sequestro d’urgenza – al rapporto tra Silvana Saguto e Tommaso Virga in relazione a un procedimento disciplinare che Tommaso Virga, in quanto membro della consiliatura del CSM tra il 2010 e il 2014, avrebbe archiviato e, immediatamente dopo, la dottoressa Saguto avrebbe nominato il figlio di Tommaso Virga quale amministratore della procedura Rappa.
  Palermo ci manda queste intercettazioni. Noi iscriviamo, anche alla luce di altri elementi nel frattempo raccolti, il dottor Tommaso Virga e iniziamo gli accertamenti anche su quel filone.
  Detto questo, la figura di Giuseppe Maniaci emerge solo in quanto soggetto intercettato, quindi i suoi servizi non hanno avuto alcun peso e alcuna considerazione nell’indagine che abbiamo svolto.
  Torno alle domande dell’onorevole, che chiedeva i tempi dei due rapporti corruttivi. Per quanto riguarda il rapporto tra Cappellano Seminara e Silvana Saguto, è stato contestato dal 2010 al 2015.
  Devo fare una premessa. Ricordo prima di tutto a me stessa che la giurisprudenza più recente di legittimità sul delitto di corruzione ammette la possibilità che vi sia il tradimento della funzione, nel quale si innestano degli atti antidoverosi, e che il delitto di corruzione, anche per il rapporto strutturale tra le fattispecie degli articoli 318 e 319 del codice penale, si consuma con l’ultima utilità ricevuta.
  Di fatto, nei capi di imputazione che abbiamo contestato, la consumazione è settembre Pag. 292015, ma in realtà la durata del rapporto corruttivo accertata è, per Cappellano Seminara, dal 2010 al 2015 e, per Carmelo Provenzano, dal 2013 al 2015.
  Rispetto a questo rapporto corruttivo, devo dire che inizialmente, nel decreto di sequestro, era stato contestato soltanto nei mesi che vanno dal maggio al settembre 2015. Poi, nella fase successiva alla convalida del GIP, sono stati svolti ulteriori accertamenti – in realtà, c’erano già molti elementi, ma non avevamo raggiunto la soglia dei gravi indizi di colpevolezza che ci eravamo prefissati per chiedere il sequestro – sentendo soprattutto a sommarie informazioni diverse altre persone e acquisendo altri documenti. Questo ci ha consentito di ampliare la contestazione dal 2013 al 2015.
  Devo anche dire che, invece, per quanto riguarda Cappellano Seminara, ci sono non gravi indizi di colpevolezza, ma spie e indizi che il rapporto corruttivo fosse addirittura antecedente, perché sono state contestate delle anomalie in alcune procedure. Penso, per esempio, alla procedura Finocchio nell’ambito della quale era stato nominato Caramma a Palermo, con Silvana Saguto giudice e Cappellano Seminara.
  In quel momento, però, non c’erano le polemiche, quindi non era necessario dissolvere il nodo corruttivo. Questo non lo abbiamo accertato in termini di gravi indizi di colpevolezza. Tuttavia, ci sono delle spie sintomatiche del fatto che ci fossero quantomeno cointeressenze economiche anche prima. La contestazione, in quest’ottica di garanzia e di rigore nell’accertamento, è, tuttavia, dal 2010 al 2015.
  Riguardo agli incarichi di Lorenzo Caramma, gli accertamenti sono stati strutturati per territorio perché siamo partiti da Palermo, dove era incardinata la procedura Buttitta, nell’ambito della quale Cappellano Seminara era amministratore giudiziario e Lorenzo Caramma era stato nominato coadiutore, con compiti legati alla manutenzione.
  Lui era ingegnere meccanico. Siccome tra i beni del compendio in sequestro c’erano delle cave, lui si occupava della manutenzione dei mezzi.
  Silvana Saguto aveva ricoperto, sia pure per brevi periodi, l’incarico di giudice delegato della procedura. Questa è l’unica procedura, a Palermo, in cui tutti e tre figurano con i ruoli di pertinenza.
  Tra l’altro, in questa procedura, è stato accertato il delitto di falso ideologico, anche in questo caso connesso teleologicamente al delitto di truffa aggravata. Infatti, nel 2012 Cappellano Seminara aveva chiesto un aumento dei compensi per l’ingegner Caramma per l’incarico, motivandolo sulla base di una serie di attività che lo stesso avrebbe compiuto. Tuttavia, sentendo i vari dipendenti della società, con acquisizioni documentali si è accertato che Caramma non aveva mai svolto quegli incarichi. Di fatto, tutti i compensi che aveva ricevuto negli anni, per circa 36.000 euro, erano un profitto di truffa aggravata.
  Poi, negli altri tribunali vi sono altre procedure. Per esempio, a Caltanissetta ci sono due procedure, la Padovani e la Allegro, nelle quali Cappellano Seminara era l’amministratore giudiziario e Caramma aveva incarichi che si atteggiavano diversamente. Chiaramente, qui non compare Silvana Saguto come giudice delegato perché lavorava a Palermo, ma nel frattempo stava compiendo atti antidoverosi per dare altri vantaggi e profitti a Cappellano Seminara.
  Ad Agrigento ci sono altre due procedure, la Leone e la Di Bella. Sono diverse, sono tutte descritte nelle contestazioni.

  PRESIDENTE. Ci sono filoni investigativi sui quali dovete lavorare?

  CRISTINA LUCCHINI, sostituto procuratore. Sì. Oltre al fascicolo principale, nell’ambito del quale sono stati riuniti altri procedimenti e sono stati fatti confluire atti in copia di altri procedimenti, sono arrivati circa cento procedimenti legati, quasi che la procura di Caltanissetta fosse diventata competente per tutto, anche da altri territori.
  Alcuni di questi procedimenti sono stati definiti; altri sono stati trasmessi alle procure competenti. Adesso sono rimaste in piedi delle indagini. Non so, però, se si può…

Pag. 30

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. I lavori procedono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).

Comunicazioni della presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che lunedì 19 giugno p.v. una delegazione della Commissione si recherà in missione a Salerno, per completare il programma di visita nei distretti giudiziari.