ARCHIVIO 🟧 26 novembre 2021 🔴 Udienza a Caltanissetta: Scarpinato, Lo Forte, Pignatone e le loro verità

 

AUDIO deposizioni al processo depistaggio


“Eredi” o “amici” nel “covo di vipere” non ce ne sono mai stati

Si è svolta lo scorso 26 novembre, a Caltanissetta, l’udienza del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio denominato “Mario Bo e altri”, presieduto da Francesco D’Arrigo. Nel corso dell’udienza, come annunciato in chiusura della precedente, sono stati sentiti Roberto Scarpinato, Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone, al tempo magistrati applicati presso la Procura di Palermo.
Più che “testi”, il dottor Scarpinato, il dottor Lo Forte e il dottor Pignatone sono sembrati degli “accusati”, o perlomeno si sono sentiti tali, proprio per il tipo e la modalità della loro esposizione. Non una semplice testimonianza sui fatti, peraltro arbitraria e contestabile ed è ciò che hanno evidenziato il pm Stefano Luciani e l’avvocato Fabio Trizzino, ma una vera e propria difesa.
Altra particolarità delle loro deposizioni è quella di aver trovato il colpevole cui addebitare la colpa per potersi dichiarare “innocenti” e ancora, in comune, le tre deposizioni hanno la linea, quella dettata da un’evidente difesa comune.
Questo è il profilo che emerge dall’escussione dei tre testi che non hanno amato essere contraddetti né dal pm Luciani tantomeno dall’avvocato Trizzino perché, a loro dire, la verità l’avevano in tasca da sempre e siamo noi a non aver capito che il nemico non fossero loro ma, come al solito, il ROS.

Il focus delle loro testimonianze è stato il dossier “mafia-appalti” anche perché, come emerso dalla sentenza d’appello del “Borsellino quater”, da quell’indagine sarebbero risultate collusioni  tra mafia, politica e imprenditoria e ciò sarebbe stato il movente principale dell’accelerazione dell’attentato a Borsellino che a marzo 1992 era arrivato, come aggiunto, in Procura a Palermo.

I testi convocati hanno avuto, anche se in tempi diversi, la titolarità delle indagini risultanti dal dossier e, nello specifico, il dottor Scarpinato e il dottor Lo Forte hanno firmato la richiesta di archiviazione in data 13 luglio 1992 archiviata poi il 14 agosto 1992, il giorno prima di un incontro avvenuto in Procura in cui lo stesso dottor Borsellino chiese di mettere nuove energie proprio in quelle indagini.
Sia il dottor Scarpinato sia il dottor Lo Forte hanno dichiarato che i carabinieri del ROS comunicarono solo nel settembre 1992 il nome dei politici implicati e che furono loro taciuti dal ROS con dolo, essendo quindi all’oscuro dell’esistenza delle intercettazioni del 1990 che avrebbero potuto evitare la richiesta di archiviazione e soprattutto che avrebbero potuto portare molto prima a indagini su politici e pezzi dell’imprenditoria italiana che poi la Procura comunque portò avanti ma, in realtà, questa tesi è stata smentita in aula, ma diversi atti già lo facevano, dal pm Luciani e dall’avvocato Trizzino, legale dei figli del dottor Borsellino.
Il pm Luciani pone le domande giuste mettendo in luce le incongruenze del loro racconto contrapponendo le evidenze dovute agli atti e si chiede, chiedendolo al teste, se il dottor Scarpinato avesse visionato gli atti e messo in evidenza che, a fronte dell’annuncio del ROS sui suoi contenuti esplosivi, avesse obiettato che da u’analisi del dossier non fossero emersi.
È evidente che, nonostante la deposizione fino a quel momento “liscia e filata”, i testi cadono in contraddizione e sembrano incerti e pieni di “mi sembra di ricordare” anche se, proprio nell’imperfetto ricordo, risulta strana la precisione con cui, ad esempio, il dottor Scarpinato cita le date e le testate che avevano a quel tempo contestato l’operato della Procura di Palermo ma, forse, i giornalisti quando scrivono la verità non gli sono molto simpatici.
«Non mi risulta – ha dichiarato anche il dottor Scarpinato – che Borsellino si sia lamentato che l’indagine non avesse avuto il respiro che meritava»

L’interesse del dottor Paolo Borsellino è già stato invece confermato, in diverse occasioni. Audito dalla Commissione Antimafia Siciliana il dottor Antonio Ingroia, ha dichiarato «Borsellino aveva l’impressione che alla Procura di Palermo stessero insabbiando il dossier “mafia-appalti”». Ferdinando Imposimato, a metà anni ’90 ebbe il coraggio di firmare una “storica” relazione di minoranza all’interno della Commissione Antimafia per puntare l’indice su quell’esplosivo dossier che era sulla scrivania di Giovanni Falcone alcuni mesi prima di essere trucidato. Ne parla nell’audizione, sempre in Commissione Antimafia, l’attuale procuratore capo di Trapani, Gabriele Paci che fa riferimento all’epoca in cui Borsellino era procuratore capo a Marsala: «Di quel rapporto “mafia-appalti” Borsellino chiese copia quando si trova ancora a Marsala». Non solo interesse da parte di quel dossier da parte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, chiave di volta per altri omicidi eccellenti di quel maledetto 1992 come quello del maresciallo Guazzelli e di Salvo Lima, perché i due magistrati avevano capito che i due omicidi erano strettamente collegati al dossier “mafia-appalti” a partire da quanto dichiara l’allora pm Vittorio Teresi in un verbale di assunzione di informazione del 7 dicembre 1992, acquisito per il processo “Bagarella e altri”.
Sia Guazzelli sia Lima sarebbero quindi stati uccisi perché avrebbero rifiutato di far attenuare le posizioni di alcuni indagati il cui nome era nel dossier dei Ros.
Qualche tempo fa, nel corso di una sua partecipazione a un programma sull’emittente La7, ma lo racconta anche nella sua escussione proprio al “Bagarella e altri”, quel procedimento che un gruppo irredimibile di persone continua a chiamare “processo trattativa” nonostante la sentenza d’appello del procedimento, il dottor Antonio Di Pietro ha raccontato che da un lato era stato contattato da Borsellino perché, proprio dal rapporto “mafia-appalti”, sviluppasse le indagini su alcuni imprenditori del Nord, dall’altro lato era stato contattato dall’allora capitano De Donno il quale lo pregò di occuparsi appunto della questione “mafia-appalti” perché a Palermo il ROS non trovava ascolto da parte della Procura.

Nel caso del dossier “mafia-appalti”, è stata cavalcata dai testi, ancora una volta, la già smentita tesi della doppia informativa al fine di spostare le responsabilità del suo insabbiamento sui ROS dimenticando, invece, quanto fece, e soprattutto non fece, la Procura di Palermo, cui erano applicati, in quei mesi.

«Dopo la morte di Paolo Borsellino – ha dichiarato Roberto Scarpinato – precisamente a settembre del 1992, il ROS dei carabinieri depositò la cosiddetta informativa SIRAP in cui si sosteneva che dietro le illecite aggiudicazioni degli appalti in Sicilia c’erano politici come Nicolosi, Mannino e Lima. Scoprimmo allora che i carabinieri erano in possesso di intercettazioni a carico di questi e altri personaggi “illustri” già dal 1990 e che fino al 1992, nonostante nel ‘91 ci avessero consegnato una prima informativa, non vi avevano fatto cenno» e che «la Procura di Palermo non ha mai insabbiato i nomi dei politici Lima, Mannino e Nicolosi. Per il semplice motivo che il ROS depositò l’informativa “Mafia e appalti” con questi nomi dopo la strage di via D’Amelio e la morte di Paolo Borsellino. Questo deposito avvenne il 5 settembre 1992. Nell’informativa depositata in precedenza, nel febbraio 1991, non si fa alcun cenno a questi, anche se le intercettazioni risalivano al maggio 1990».

Lo fa, ma forse non ha avuto tempo e modo di documentarsi nonostante durante la sua escussione abbia costantemente fatto riferimento a una quantità enorme di atti che aveva con sè e che aveva approntato appositamente, ma soprattutto dimenticando quanto è scritto nell’Ordinanza di Archiviazione emessa dalla Giudice dott.ssa Gilda Loforti a seguito della «richiesta di archiviazione, reiterata dal P.M. in sede, in data 7.07.99, in esito alle indagini suppletive disposte da questo Ufficio, a seguito di udienza camerale, con ordinanza del 27.01.1999, nel procedimento n. 2108/97 RGNR e n. 959/98 R. Gip nei confronti dei dottori Pietro Giammanco, Guido Lo Forte, Giuseppe Pignatone ed Ignazio De Francisci tutti magistrati in servizio – o già in servizio – presso il Distretto Giudiziario di Palermo, in atti generalizzati, sottoposti ad indagini preliminari in ordine ai reati di cui agli artt. 110, 319 in relazione all’art. 319 ter c.p. e nel procedimento n. 2285/97 RGNR nei confronti di Giuseppe De Donno e di Angelo Siino – in atti generalizzati -, entrambi sottoposti a preliminari indagini in ordine al reato di cui all’art. 368 c.p. in danno del dott. Guido Lo Forte, magistrato attualmente in servizio quale Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo» che dedica, proprio alla teoria della doppia informativa uno dei capitoli in cui si legge che «si è sostenuto da parte degli indagati – ed in particolare dal dott. Lo Forte e dal dott. Pignatone, al fine di dimostrare sia la già astratta impossibilità che la illecita divulgazione della informativa fosse stata opera di magistrati della Procura di Palermo sia la conseguente calunniosità delle dichiarazioni rese all’A.G. da De Donno ( cfr. memoria dott. Lo Forte datata 1°.06.98 e successive e memoria dott. Pignatone depositata l’11.09.98 e successive) – che la informativa illegittimamente divulgata all’esterno era informativa, in realtà, diversa, quanto ai contenuti, da quella ritualmente depositata in Procura, giacchè quest’ultima non conteneva alcuno dei nominativi degli esponenti politici, anche con incarichi di governo, del cui coinvolgimento aveva riferito la stampa nel periodo antecedente la emissione dei provvedimenti restrittivi, nè, tantomeno, quelli degli on.li Mannino e Nicolosi che sarebbero stati indicati al Siino dall’On.le Lima, nominativi che il Ros aveva comunicato all’A.G. di Palermo, solamente, con la successiva informativa del 5.09.1992, inerente le vicende della SIRAP e con quella del 1.10.92, denominata “Caronte” ed a firma De Donno, trasmessa al Pm di Catania, informative alle quali, per la prima volta, erano state allegate, talune trascrizioni di conversazioni telefoniche, risalenti al 1990, da cui emergevano i nominativi degli uomini politici prima menzionati».

Nella stessa Ordinanaza di Archiviazione si legge che la Procura aveva concordato con il ROS che parte delle intercettazioni mancanti o omesse nell’informativa del febbraio 1991 sulla SIRAP, ma che erano già indicate nel 1990 in un’informativa consegnata a Giovanni Falcone e Guido Lo Forte e in calce al documento c’è la loro firma per ricezione, sarebbero state poi successivamente depositate e che proprio il dottor Lo Forte autorizzò il ROS al riascolto di quelle intercettazioni, quindi già depositate e in possesso della Procura, verso la fine del mese di maggio 1992.
Difatti, sempre nell’Ordinanza di Archiviazione, ancora, si legge che l’informativa era stata redatta «a seguito del riascolto delle intercettazioni effettuate in occasione della prima “tranche” d’indagine, e chiariva il ruolo degli esponenti politici, ivi compreso l’on.le Lima, nella illecita manipolazione degli appalti pubblici».
Nello specifico «di non trascurabile significato appare anche la conversazione telefonica del 14.05.90, nella parte in cui sono contenuti riferimenti all’On.le Turi Lombardo ed all’on.le Lima ed, ancora, quelle del 30.05.90, del 2.06.90, del 5.06.90 e del 6.06.90 che contengono specifici riferimenti, sia pure in contesti di per sè non sufficientemente chiari, agli on.li De Michelis, Sciangula, Capitummino, Lima, Gunnella, Lauricella, Murana. Va, tuttavia, rilevato come, quanto all’on.le De Michelis, vi sia, nella richiamata conversazione telefonica, un evidente collegamento all’imprenditore Taibbi di Baucina ( il cui omicidio del settembre del 1989 aveva dato impulso alle dichiarazioni del prof. Giaccone, ex sindaco di Baucina ed alle successive indagini di p.g. in materia di appalti) che, verosimilmente, secondo le espressioni usate dagli interlocutori, il detto esponente politico aveva anche personalmente incontrato per il tramite dell’on.le Saladino. In relazione, invece, agli on.li Gunnella, Lauricella, Murana va ricordato il riferimento alle “spartizioni” che avvenivano presso l’abitazione di via Sciuti di Vito Ciancimino».

Il riferimento, che sconfessa quanto dichiarato dai testi, è anche all’informativa denominata «Annotazione relativa alle indagini di Polizia Giudiziaria esperite in merito ad una associazione per delinquere di stampo mafioso tendente al controllo e/o gestione degli appalti e servizi pubblici nel territorio della Regione Sicilia» presentata dal Capitano dei CC Giuseppe De Donno il 2 luglio 1990 indirizzata, come sopra indicato, al dottor Giovanni Falcone e al del dottor Guido Lo Forte nella quale si legge che «nel corso di servizi d’intercettazione telefonica, osservazione, controllo e pedinamento, si acquisiva la prova che elementi di spicco di tale organizzazione criminale (la compagine corleonese di Cosa nostra, ndr.), avevano il controllo e, verosimilmente, la gestione degli appalti indetti dalla società “Siciliana Incentivazioni Reali per Attività produttive S.p.A” (S.I.R.A.P.)» e che «il servizio d’intercettazione, tuttora in atto, tranne che l’ultima utenza, permetteva di acquisire elementi in ordine a una serie di attività e manovre politiche tendenti a mantenere in vita la società da più parti minacciata da imminente liquidazione e oggetto di attenzione di diverse forze politiche, a vario titolo interessate alle sue vicende».

Sempre nell’ordinanza di archiviazione sopra citata, inoltre, si legge che «risulta, ancora, che fu sempre richiesto ed autorizzato il ritardo nel deposito dei risultati delle intercettazioni ( cfr. richieste a firma De Donno del 23.04.90, del 30.04.90), così come emerge dagli atti processuali che il De Donno provvide, dopo aver comunicato l’esito positivo delle operazioni svolte, a ritualmente depositare in Procura le bobine delle intercettazioni ed i relativi brogliacci ( cfr. note a firma De Donno in data 3.05.90, 11.06.90, 23.07.90). Proprio da tale rituale deposito scaturì, successivamente, la necessità per il ROS di richiedere l’autorizzazione al riascolto delle citate telefonate, allorché si trattò di redigere la informativa “SIRAP”, poi depositata il 5 settembre 1992: autorizzazione al riascolto che fu concessa dal dott. Lo Forte, in data 28.05.92, con provvedimento in calce alla richiesta formulata, il precedente 26.05.92, dal De Donno ( cfr. f.674, faldone IV atti successivi alla ordinanza di questo Ufficio del 27.01.99). Se ne deve dedurre, quindi, che l’omessa trasmissione, da parte dell’organo di p.g., nel febbraio del 1991, di parte delle intercettazioni telefoniche era ben nota ai dott. Lo Forte e Pignatone, i quali avevano autorizzato e seguito lo sviluppo delle intercettazioni ed erano, inoltre, in possesso – come Ufficio – dei brogliacci e delle bobine, sicché erano bene in condizione, sia di leggere i primi, che, rilevata l’assenza delle trascrizioni delle intercettazioni sulle utenze SIRAP, di richiederne la immediata trascrizione allo stesso organo di p.g., ovvero di disporla, ancora, essi stessi nelle forme della consulenza tecnica. Se così essi non hanno operato, benché avessero già ricevuto le note del ROS con le quali si comunicava l’esito “positivo” di quelle operazioni, è logico ritenere che, come ha riferito il De Donno, il deposito delle trascrizioni delle conversazioni relative alle utenze SIRAP era stato differito ad un momento successivo per concorde valutazione del Pm e dell’organo di p.g.. E di tale ultimo assunto, in verità, vi è riscontro documentale anche nella c.n.r. datata 30.08.90, indirizzata al dott. Falcone, nella quale si preannunciava, come imminente, il deposito di una informativa di carattere complessivo, precisando, tuttavia, che “sono in atto ulteriori complessi accertamenti tesi alla identificazione di personaggi legati al mondo economico – politico nazionale, che in base alle funzioni ed agli incarichi svolti, valenti sull’intero territorio dello Stato, forniscono valido ed insostituibile aiuto al raggiungimento degli scopi illegali dell’organizzazione stessa”» e ancora «perchè alle richieste di proroga, via via avanzate dal Ros, risultavano allegate le trascrizioni di talune conversazioni telefoniche, onde dimostrare l’esito positivo delle operazioni tecniche già svolte e legittimare la richiesta di proroga delle operazioni di intercettazione» e che «se ne deve dedurre, quindi, che la omessa trasmissione, da parte dell’organo di p.g., nel febbraio del 1991, di parte delle intercettazioni telefoniche era ben nota ai dott. Lo Forte e Pignatone, i quali avevano autorizzato e seguito lo sviluppo delle intercettazioni ed erano, inoltre, in possesso – come Ufficio – dei brogliacci e delle bobine, sicchè erano bene in condizione, sia di leggere i primi, che, rilevata l’assenza delle trascrizioni delle intercettazioni sulle utenze SIRAP, di richiederne la immediata trascrizione allo stesso organo di p.g., ovvero di disporla, ancora, essi stessi nelle forme della consulenza tecnica».

Nei confronti, invece, del dottor Scarpinato, l’avvocato Trizzino pone una domanda, mirata a confutare la tesi, peraltro espressa anche dagli altri testi, che all’interno della Procura di Palermo esistesse un circolarità delle informazioni ritenendo questa circolarità elemento non smentibile e supportante di quanto da lui dichiarato, ossia che il dottor Borsellino fosse a conoscenza dell’archiviazione e non avesse eccepito nulla. Al dottor Lo Forte, che ha dichiarato «Tutto il pool antimafia, compreso Paolo Borsellino, sapeva della richiesta di archiviazione», la medesima domanda, la pone invece il pm Luciani.

A entrambi è stato chiesto se fossero a conoscenza di un procedimento, inviato dalla Procura di Massa Carrara dal dottor Lama, già sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa Carrara. Il dottor Lama aveva trasmesso a Palermo, nell’agosto del 1991, alcuni atti relativi ad indagini espletate nei confronti della I.M.E.G., società riconducibile ai fratelli Antonino e Salvatore Buscemi e a Girolamo Cimino, cognato di Antonino Buscemi e Francesco Bonura. Per quel procedimento, inviato da Lama, fu richiesta archiviazione il 1 giugno 92, l’ archiviazione avvenne il 19, e il 25 giugno fu richiesta dallo stesso pm Natoli la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci. Era lo stesso periodo in cui la procura stava decidendo le posizioni da archiviare dell’indagine mafia appalti.

Ebbene sia Scarpinato sia Lo Forte dicono di non avere alcun ricordo di ciò, che nulla ricordano di quel procedimento, di cui aveva titolarità il dottor Natoli e che loro nello stesso periodo stavano preparando la richiesta di misure patrimoniali contro Antonino Buscemi ma di quel procedimento non hanno alcun ricordo e non ne conoscono il contenuto. Ma come, e la sbandierata circolarità delle informazioni dove è finita? Si ricorda che Buscetta, Calderone, Mannoia e Contorno avevano già indicato i fratelli Buscemi e Bonura come reggenti del mandamento di Passo di Rigano-Uditore e che tra l’1 giugno 1992 e il 14 agosto dello stesso anno, nei confronti di Antonino Buscemi venne effettuata l’archiviazione di ben due procedimenti, diversi, ma entrambi riguardanti gli affari del Buscemi nel mondo dell’imprenditoria e gli appalti.

A proposito della posizione dei Buscemi, vale la pena di ricordare che Angelo Siino, accusò inizialmente taluni magistrati di Palermo per aver favorito soprattutto loro, i fratelli mafiosi Buscemi  e aver dato – dietro una lauta somma – il dossier in mano ai mafiosi e imprenditori coinvolti. Quando Siino si pentì, da collaboratore fu gestito dai pm di Palermo e cambiò versione accusando i ROS di averlo costretto a muovere accuse contro i magistrati palermitani ma, ancora una volta la gip Gilda Loforti certifico’, nella già citata Ordinanza di Archiviazione, che il dossier “mafia-appalti” fu divulgato illecitamente da ambienti della procura di Palermo, anche non si è potuto risalire al magistrato infedele.

A proposito, invece, della riunione tenutasi in Procura il 14 luglio 1992 il dottor Domenico Gozzo, come da verbale del Csm datato 29 luglio 1992, ebbe a dichiarare: «È stata l’ultima a cui ha partecipato Paolo Borsellino, era seduto due sedie dopo di me. Era una riunione che era stata convocata per i saluti prefestivi e per parlare anche di tutta una serie di problemi che dopo la morte di Falcone erano apparsi sui giornali – in questo momento non mi ricordo la scaletta, mi ricordo, tra gli altri, i processi mafia e appalti – cioè i vari colleghi erano chiamati a riferire sui processi che avevano gestito».

E ancora Gozzo ricorda: «sul “mafia-appalti”, quindi, c’era il collega Pignatone, se non ricordo male, (in effetti c’era il dottor Lo Forte, ndr) e doveva esserci anche il collega Scarpinato che però non poté venire per problemi di famiglia (…) Ho visto proprio questo contrasto più che latente, visibile, perché proprio Borsellino chiese e ottenne che fosse rinviata, perché al momento aveva dei problemi, la discussione su questo processo e fece degli appunti molto precisi tipo come mai non fossero inserite all’interno del processo determinate carte che erano state mandate…».

Nella riunione Lo Forte, Scarpinato era assente per motivi di famiglia, fu chiamato a relazionare sull’indagine, ma dalle testimonianze dei presenti non risulta che la parola “archiviazione” fu mai pronunciata e da ciò si evince che il dottor Borsellino non fu informato. Alla faccia della circolarità delle informazioni ma, forse, qualcuno aveva “i carboni bagnati”.

Tutti “amici” di Paolo Borsellino? Dall’ascolto dei tre testi sembra di sì ma vale la pena di evidenziare, lo dichiarno gli stessi testi, che nessuno di loro sapeva, al tempo, dell’incontro che Paolo Borsellino ebbe il 25 giugno 1992 con gli ufficiali del ROS nella loro caserma – e non in Procura – segno che, probabilmente Paolo Borsellino sentiva l’aria pesante che aleggiava all’interno del “Palazzo” come emerse dalle testimonianze rese durante il procedimento di primo grado del processo “Borsellino quater”, il 20 maggio 2014, da Massimo Russo, allora giovane magistrato, che dichiarò che un mese prima di morire Paolo Borsellino «appariva come trasfigurato, senza più sorrisi.
Era provato, appesantito, piegato». Da poche settimane la mafia aveva ucciso il suo amico Giovanni Falcone e lui continuava a lavorare nel suo ufficio di procuratore aggiunto a Palermo, che però considerava «un nido di vipere».
Questa dichiarazione si lega a quella di Alessandra Camassa altra ”allieva” di Borsellino presente all’incontro di giugno del 1992 nel quale Borsellino confidò di essere stato “tradito” da un amico: «Paolo si distese sul divano che c’era nella stanza e cominciò a lacrimare in modo evidente dicendo “Non posso credere che un amico mi abbia potuto tradire”». Peraltro non è possibile dimenticare i sospetti che lo stesso Paolo Borsellino il giorno prima dell’attentato aveva confidato alla moglie Agnese, quando le disse «che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò accadesse». Senza dubbio “la fiducia è una cosa seria che si da alle persone serie” e, pare, che Paolo Borsellino negli ultimi mesi della sua vita non regalasse fiducia a molti in quel “Palazzo”. 29 Novembre 2021 Gli Stati Generali di Roberto Greco