Prima di morire lesse il dossier su un imprenditore vittima dei boss. Lavorava al rapporto dei Ros su mafia e aziende?
C’è una sfilza di documenti inediti che riscrivono – ancora una volta – la storia della morte di Paolo Borsellino. È merito della commissione Antimafia e della determinazione del presidente Chiara Colosimo, che ha deciso di declassificare e rendere pubblici verbali, manoscritti e questo appunto riservato, se oggi si può fare davvero luce sulla morte del magistrato. Perché sappiamo qual è stata l’ultima cosa che Borsellino ha fatto sabato 18 luglio 1992, il giorno prima di morire: ha prelevato dagli archivi della Procura di Palermo un fascicolo sulla morte di un imprenditore, lasciando al suo posto un foglio firmato per dire «l’ho preso io». Perché? Se ne accorse l’allora aggiunto Vittorio Aliquò il 17 ottobre del 1992, che ne chiedeva la restituzione a chi, a Caltanissetta, stava gestendo l’archivio del pm ucciso in Via D’Amelio il 19 luglio 1992.
Cosa c’era nel fascicolo numero 5261/90? Le indagini sull’omicidio dell’imprenditore palermitano Luigi Ranieri, ammazzato da Salvatore Biondinocon tre colpi di lupara il 14 dicembre del 1988.
La sua famiglia si occupava di costruzioni da generazioni, i nonni avevano realizzato la stele della Madonna di Messina che si vede dai traghetti, lui stesso si era occupato del rifacimento del Teatro Massimo e di una commessa all’aeroporto di Punta Raisi. La colpa? Non essersi assoggettato con la sua Sageco al modus operandi disvelato dal famoso dossier «mafia-appalti», il rapporto dei carabinieri del Ros al quale Borsellino intendeva lavorare dopo la morte di Giovanni Falcone ma definitivamente archiviato a fine estate 1992. È il sistema degli appalti decisi intorno a un tavolino, messo in piedi da Cosa Nostra e da imprenditori collusi. La resistenza di Ranieri alle lusinghe dei boss è stata confermata da vari pentiti, tanto che Totò Riina è stato condannato all’ergastolo come mandante dalla Cassazione con la sentenza 573/1998.
Ma cosa cercava Borsellino? È pacifico, ricorda uno degli inquirenti dell’epoca, che Ranieri dava fastidio a Cosa nostra non solo perché non si voleva piegare, ma perché grazie a un know how di tutto rispetto faceva affari a dispetto dei boss. Mandando un messaggio distonico rispetto al do ut des tra mafia e imprenditori spregiudicati. Un accordo, dirà Giovanni Falcone negli appunti (anch’essi declassificati) del suo discorso a Castel Utveggio del 15 marzo 1991, difficile da cristallizzare per la mancanza di indagini attendibili e precise: «In concreto ignoriamo la portata dell’infiltrazione mafiosa nel tessuto economico, non lo sappiamo ancora con precisione», scriveva il magistrato saltato in aria a Capaci il 23 maggio 1992. Il condizionamento «è più grave di quello che appare», fece capire il magistrato.
Ma quelle indagini che invocava Falcone non si fecero mai. Anzi. Lo scontro dentro la Procura di Palermo potrebbe essere stato fatale per entrambi.
Per Fabio Trizzino, legale della famiglia e marito di Lucia Borsellino, pochi giorni prima che Borsellino morisse il pm Guido Lo Forte gli nascose di avere firmato l’archiviazione dell’inchiesta mafia-appalti.
Anche il generale dei carabinieri Mario Mori, nel libro La verità sul dossier mafia-appalti scritto con Giuseppe De Donno, è convinto che quel dossier frettolosamente accantonato sia il vero movente delle stragi di Capaci e Via d’Amelio e che Borsellino «fu scientemente ostacolato da qualche collega in procura a Palermo». Per l’ex pm Roberto Scarpinato c’entrano i invece i soliti servizi segreti, italiani e stranieri.
Ma c’è un’altra vicenda che unisce idealmente i due giudici. Sappiamo per certo che Borsellino il 17 luglio aveva visto Gaspare Mutolo, che mesi prima Falcone aveva interrogato nel carcere di Spoleto, uscendone persuaso del fatto che non fosse intenzionato a collaborare, come invece farà. Sappiamo che altri inquirenti erano al corrente di alcune sue dichiarazioni ma non gliene ne fecero cenno. «È molto probabile siano stati uccisi proprio per le rivelazioni di Mutolo – dirà Gioacchino Genchi in una frase ripresa nel libro I Diari di Falcone di Edoardo Montolli (edito da Chiarelettere nel 2018) – non a caso le sue dichiarazioni con Borsellino faranno accelerare la strategia stragista».
C’è un filo rosso che lega Mutolo all’omicidio Ranieri e al dossier mafia-appalti? È uno dei nodi che questa Antimafia, finalmente libera dai troppi condizionamenti ideologici che l’hanno paralizzata in passato, dovrà sciogliere.
Se il movente sulla morte dei due giudici ammazzati dalla mafia e da pezzi di Stato è frammentata e claudicante è anche per chi ha convinto la magistratura a scandagliare piste inconsistenti che ancora oggi tengono lontana la verità.