13.7.1989 ARCHIVIO 🟧 FALCONE

 

Falcone

 «Vedo dietro le cosche spie e poteri occulti» PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «In tutto il mese di giugno ho fatto il bagno due volte. Eppure la bomba l’hanno messa sulla stradina che da casa mia scende verso il mare. La mafia non si è basata sulle mie abitudini, ma sulle segnalazioni di qualcuno che conosce i miei programmi». Giovanni Falcone ha parlato per due ore, nel suo ufficiobunker nel palazzo di Giustizia di Palermo, al giudice che indaga sull’attentato del 21 giugno. Due ore in cui ha confermato i sospetti, le accuse mosse nei giorni scorsi. Falcone ne è convinto: c’è una talpa, un traditore che lo ha «venduto» alle cosche e le teneva informate di tutti i suoi spostamenti. Un informatore che probabilmente vive nel suo stesso ambiente, gli uffici giudiziari che sono in prima linea nella lotta alla mafia. «Quel pomeriggio — ha ribadito Falcone agli inquirenti — avevo invitato nella mia villa all’Addaura due colleghi svizzeri, Claudio Lehman e Carla Del Ponte, a Palermo per l’inchiesta sul riciclaggio del denaro sporco. Volevamo scendere in spiaggia per una gita sulla barca di mio cognato Alfredo Mondilo, membro del pool antimafia della Procura della Repubblica. Ma sulla stradina che porta da casa mia al mare, tra gli scogli c’erano cinquantatré candelotti di gelatina collegati con un sofisticato congegno per l’esplosione a distanza. E meno male che i ragazzi della scorta se ne sono accorti». Ma la «talpa», della cui presenza Falcone si è detto certo, in ogni caso sarebbe soltanto una pedina in mano a Cosa Nostra. Il problema è stabilire chi e perché aveva deciso di eliminare il magistrato. Falcone ha parlato nei giorni scorsi di «menti raffinatissime» che cercano di orientare certe azioni della mafia e di «punti di collegamento tra i vertici delle cosche e centri occulti di potere che hanno altri interessi». Da questa trama sarebbe nato il progetto dell’attentato contro Giovanni Falcone, pròprio alla vigilia della sua promozione a procuratore della Repubblica aggiunto a Palermo: un incarico che gli consentirà di proseguire con maggiori responsabilità e poteri le inchieste contro la criminalità organizzata. L’ipotesi della «talpa» manovrata da forze occulte è conte¬ nuta nel rapporto che la squadra mobile ha presentato al procuratore Celesti. Ma non va scartata un’altra pista, collegata alle delicate istruttorie che il magistrato sta per ultimare, a cominciare da quelle sui delitti politici e sui riciclaggi, a livello internazionale, dei narcodollari, per finire a quella sulla nuova «guerra di mafia» che tra le sue 21 vittime comprende anche i tre fratelli Puccio, uccisi uno dopo l’altro. Anche di queste indagini Falcone ha parlato ieri. Con la sua deposizione, venuta ad integrare il rapporto della squadra mobile, l’inchiesta sul fallito attentato acquista ora più precisi contorni. Una testimonianza lunga, quasi uno sfogo davanti al procuratore della Repubblica di Caltanissetta, Salvatore Celesti, che è andato a Palermo per evitare al collega i rischi di una trasferta. Uno sfogo come l’intervista che Falcone ha rilasciato all’«Unità». Al quotidiano comunista il giudice nemico nùmero uno della mafia ha confidato fra l’altro di sentirsi solo, più o meno come Carlo Alberto Dalla Chiesa nei suoi cento giorni da prefetto a Palermo. E Falcone ha previsto che i boss riproveranno a toglierlo di mezzo. Affermazioni e accuse di cui parlerà oggi al Consiglio superiore della magistratura. Una talpa, una spia a Palazzo di Giustizia o in Questura. Riaffiora il sospetto che aveva avvelenato il clima degli ambienti giudiziari altre volte: la prima quattro anni fa, quando i killer assassinarono il vicequestore Numi Cassarà e l’agente che lo scortava, Roberto Antiochia. Con un sorriso di manièra, al termine dell’interrogatorio Giovanni Falcone non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Non ha neppure confermato che il colloquio con il collega arrivato apposta da Caltanissetta sia avvenuto: «Non dico né sì, né no», ha risposto ai cronisti che lo aspettavano fuori del Palazzo di Giustizia. Ma indirettamente è arrivata la smentita del procuratore Salvatore Celesti, che ha parlato di un «confronto utile». A che cosa? «S’intende, all’inchiesta». Poi basta. Qualcosa in più il magistrato aveva detto l’altro giorno a Caltanissetta, la città in cui lavora, quando aveva definito Giovanni Falcone «il nostro miglior informatóre». Antonio Ravida LA STAMPA
 
Chiaromonte «La mafia è severe più aggressiva e to Stato si accontenta dei proclami» ROMA. La solitudine di Falcóne, le apocalittiche profezie su una possibile «estate di sangue» a Palermo. Si prepara una strage? «E chi può saperlo? Io non ho arti divinatorie». Gerardo Chiaromonte, comunista, presidente della commissione parlamentare per la lotta contro la mafia, prima di pronunciarsi chiede una puntualizzazione che lui definisce «pregiudiziale». Dice il senatore Chiaromonte: «Sono stato molto in dubbio se accettare questo colloquio, perché sono convinto che i membri della commissione Antimafia meno dichiarazioni fanno, meno giudizi esprimono, meno previsioni offrono alla stampa, e meglio è per tutti. Anche agli stessi effetti della lotta contro la mafia». Allude all’allarme lanciato dal senatore Calvi? «Non solo. A fare previsioni ormai sono in tanti». Le preoccupazioni, sta dicendo, sono eccessive, ingiustificate? «Non è questo il punto. La situazione complessiva mi sembra molto grave, specie dopo l’attentato, fortunatamente fal¬ lito, contro il giudice Giovanni Falcone. Ciò non vuol dire che debba sentirmi legittimato a fare, previsioni. Credo, anzi, che simili attività siano impossibili per un organismo politico qual è la commissione parlamentare Antimafia. Ritengo invece che spetti agli organi investigativi dello Stato valutare i rischi reali e, mi auguro, provvedere di conseguenza. Anche in questo caso sarebbe auspicabile che eventuali provvedimenti si mettessero in atto, senza fermarsi alla fase dell’annuncio più o meno solenne». Pensa ai blitz annunciati, come quello in Aspromonte? «Ed anche ad altro. Per esempio a certi atteggiamenti degli investigatori, o di certi giudici a Palermo. Ma non mi sembra questo l’aspetto più grave. La preoccupazione fondamentale che ho deriva dalla constatazione che l’impegno complessivo dello Stato nella lotta contro la mafia si è attenuato nel corso degli ultimi tempi. Questo è un dato inconfutabile che noi sottoporremo anche al Presidente della Repubblica. E’ lui che nel¬ l’agosto dell’anno scorso, dopo la drammatica denuncia del giudice Paolo Borsellino, aveva chiesto se si fosse allentata la tensione sul fronte della lotta alla criminalità organizzata. Adesso, dopo un anno, noi siamo costretti a rispondere: sì, si è attenuata». In che senso? Non si fanno più indagini? «Non escludo che siano in corso anche ottimi lavori da parte di magistrati e investigatori, ma mi pare manchi una spinta organica. Non vedo insomma l’impegno politico complessivo del governo. Non è ammissibile che solo dopo l’iniziativa della mamma di Cesare Casella si sia decisa la costituzione di un gruppo speciale antisequestri. Mi sembra, insomma, che manchi l’impegno generale che contraddistinse la lotta al terrorismo». Per questo il giudice Falcone può parlare di solitudine? «Ho troppa stima di Falcone per pensare che faccia affermazioni improvvisate, come qualche volta è accaduto ad altri. Anche in questo caso, però, è necessa- ria qualche precisazione: sul piano politico Falcone ha avuto solidarietà, a Palermo ed anche fuori. Un intero Consiglio comunale si è pronunciato a favore del suo lavoro. Il Consiglio superiore della magistratura, dopo anni di tergiversazioni, gli ha espresso finalmente il giusto riconoscimento. Questi sono fatti positivi da non dimenticare. Ma Giovanni Falcone, evidentemente, allude ad altro. All’opera che è stata compiuta, per mesi e mesi, in direzione dello smantellamento dei pool antimafia e, quando parla di solitudine, pone interrogativi irrisolti su quello che è stato l’atteggiamento di una parte della magistratura siciliana o di parti dell’apparato dello Stato. Sono domande inquietanti che giriamo a chi di competenza, cioè al Csm, da una parte, e, dall’altra, al governo». Francesco La Licata I giudice Giovanni Falcone oggi spiegherà i suoi sospetti al Csm LA STAMPA