La Convenzione di Palermo

Di Leonardo Guarnotta   La Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato internazionale, in vigore dal 2003, ha trovato la propria ragion d’essere in quelle ineludibili esigenze di contrasto della criminalità organizzata, in quanto fenomeno transnazionale, che riguardano. come è noto, non soltanto il profilo europeo ma anche, in una prospettiva più vasta, l’intera comunità internazionale. Non vi è chi non veda come, ormai, il crimine organizzato abbia assunto la dimensione di un fenomeno di portata mondiale, contro il quale nessuna iniziativa di contrasto e di prevenzione potrebbe raggiungere soddisfacenti, positivi risultati ove non fosse frutto condiviso di una coordinazione e di una maggiore armonizzazione, in materia di lotta contro la criminalità organizzata, tra più Stati a livello non solo europeo ma addirittura universale. L’esperienza dell’ONU verso una lotta coordinata al crimine organizzato si è condensata e realizzata nella Convenzione siglata a Palermo nel dicembre 2000 da 189 su 193 paesi con la quale si è inteso ampliare al massimo la portata della norma sovranazionale in cui rilevano le attività connesse al crimine organizzato. Forti di questa consapevolezza le Nazioni Unite si sono impegnate nell’adozione di strategie di contrasto su scala globale e, a seguito di un cammino a tappe graduali, sono pervenute all’elaborazione di veri e propri “standard normativi”, destinati a costituire il minimo comune denominatore dei sistemi penali degli Stati membri La Conferenza di Palermo si è adoperata, quindi, nell’opera di definizione del concetto di “gruppo criminale organizzato” inteso come un “gruppo strutturato che persegue reati gravi”, una formula questa che, in realtà, è stata ritenuta non molto chiara e viziata da eccessiva vaghezza. Ma la scelta operata dalla Convenzione si deve probabilmente all’influenza che in essa ha avuto la tradizione dei sistemi penali di Common Law, nei quali la figura della Conspiracy abbraccia tanto le forme di mero accordo volto a compiere un reato quanto la realizzazione di uno o più reati da parte di un gruppo organizzato. Una duplicità riprodotta perfettamente nella definizione delle condotte incriminate dal testo della Convenzione a titolo di partecipazione all’organizzazione criminale. Tuttavia, nel complesso, la definizione della Convenzione è apparsa soddisfacente sia perchè esclude che sia necessaria la rigida definizione di ruoli e compiti all’interno del gruppo criminale organizzato sia perchè può attagliarsi anche a fenomeni di organizzazione criminale diversi dal gruppo strutturato e consistere in “aggregazioni mutevoli di soggetti volti a perseguire le più svariate attività criminose”.
In sostanza la Convenzione ONU richiede per la punibilità dei singoli la partecipazione diretta alle attività criminali, la suddivisione dei compiti fra almeno tre sodali, la previsione del mero accordo tra gli stessi, finalizzato alla perpetrazione dei reati, la conoscenza da parte degli associati della attività illecite svolte dal gruppo o delle finalità illecite derivanti da esse. E’ palese l’intento della Convenzione di ampliare al massimo la portata della norma sovranazionale in cui rilevano le attività connesse al crimine organizzato. Era assolutamente indispensabile, quindi, che tale modello avesse piena attuazione negli ordinamenti nazionali perchè l’importanza della Convenzione risiede soprattutto nel messaggio che ha inteso trasmettere e cioè che la sua ragion d’essere non risiede tanto nell’introduzione di questa o quella singola misura di contrasto più o meno innovativa, più o meno efficace, quanto nell’avere ricercato e, in gran parte ottenuto un linguaggio comune nell’azione di contrasto al crimine organizzato.   Non c’è chi non veda, dunque, come la Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale sia il principale strumento internazionale nella lotta contro tale crimine e rappresenti un importante passo avanti nella strategia di contrasto allo stesso perchè ha significato il riconoscimento da parte degli Stati membri della gravità dei problemi posti da una criminalità organizzata in tutte le sue articolazioni: dal terrorismo alle mafie, dal traffico di esseri umani al riciclaggio, dal traffico di armi a quello di sostanze stupefacenti.
Ma sbaglierebbe di grosso chi ritenesse che la lotta al crimine organizzato possa conseguire positivi risultati se non a medio-lungo termine perchè la ciminalità organizzata vive ed opera pienamente inserita nel XXI secolo ed è in grado di sfruttare sino in fondo tutte le opportunità offerte dal progresso tecnologico. Con l’abbattimento delle frontiere e la conseguente globalizzazione, beni, servizi e capitali circolano con grande facilità in ogni parte del mondo ed in Europa tutte le persone, anche quelle dedite ad attività illecite, possono liberamente spostarsi da uno Stato ad un altro dell’Unione, praticamente senza limite alcuno.      
Ed allora, era assolutamente necessario ed indefettibile che le Istituzioni adottassero una comune strategia globale di contrasto, cioè armonizzata a livello internazionale per compiere ogni sforzo al fine di individuare e aggredire l’oligopolio criminale.   Senonchè, a dispetto dell’internalizzazione e globalizzazione del crimine organizzato, sembra persistere, purtroppo, un carattere ancora prevalentemente e prettamente nazionale e nazionalistico delle normative penali finalizzate all’azione di contrasto. Si tratta di una differenza o disomogeneità dei sistemi penali vigenti nei vari Paesi interessati alla repressione del crimine organizzato che, non solo non facilita e non agevola, ma anzi inceppa l’efficacia e la tempestività degli interventi preventivi e repressivi sino a narcotizzarli e sclerotizzarli. Addirittura, la mancanza di cooperazione e coordinamento può persino operare come fattore criminogeno. Ed invece, in nessun altro campo come quello del contrasto alla criminalità organizzata transnazionale occorre che le Istituzioni dei Paesi interessati adottino una comune strategia globale di contrasto, cioè armonizzata a livello internazionale per compiere ogni sforzo al fine di individuare ed aggredire l’oligopolio criminale. Sottoscrivendo la Convenzione finale, circa due terzi degli Stati aderenti all’ONU hanno assunto il formale impegno di inserire nel proprio ordinamento una serie di misure “pensate” con riferimento alla realtà delle organizzazioni criminali, quale emersa dall’esperienza investigativo-giudiziaria acquisita e maturata in decenni di lotta alla organizzazione criminale di tipo mafioso in particolare nel nostro paese, ma più in particolare in Sicilia. La conferenza di Palermo, dunque, ha posto le basi per una solida piattaforma di integrazione internazionale nella lotta al crimine organizzato, premessa necessaria per rompere il muro dei confini, sino ad allora invalicabili, per le indagini e per la riduzione degli interstizi e delle zone grigie della “modernità” entro cui le mafie sanno bene incunearsi.

Conclusivamente, l’impegno dell’Unione Europea nella lotta alla criminalità appare ispirato da due linee guida.

La prima segnala che per una efficace lotta al crimine organizzato occorrono il dialogo e l’intesa tra gli Stati e con le Istituzioni comunitarie, non essendo più giustificabile, se non tollerabile, l’autarchia nelle scelte di politica criminale.
La seconda indica che nei rapporti di assistenza tra gli Stati è il principio dell’affidamento e non quello della indifferenza preconcetta e tanto meno della ostilità, a dover prevalere.
Ed in applicazione di tali linee che da tempo, in Europa, è in corso un processo lineare ed univoco di rafforzamento della cooperazione investigativa e giudiziaria tra gli Stati.
L’ultima tappa di questo percorso è stata Vienna dove, nel mese di ottobre 2018, si sono ritrovati i rappresentanti di 189 Paesi per fare il punto sulla sua applicazione.
Al termine dei lavori, è stata approvata all’unanimità la risoluzione che apre ad una revisione dell’accordo e ne rende ancora più stringenti gli impegni con la creazione di meccanismi di controllo volti ad accertare che tutti gli Stati abbiano adeguato i loro codici a quanto previsto dalla Convenzione. Uno strumento prezioso per colmare le ultime lacune legislative e per rafforzare la collaborazione tra le forze di polizia e le magistrature di tutte le Nazioni che Giovanni Falcone già 40 anni fa auspicava.