15.10.2024 𝗠𝗮𝗳𝗶𝗮 𝗶𝗻𝘀𝗮𝗯𝗯𝗶𝗮𝘁𝗮? 𝗦𝗶 𝘀𝗴𝗼𝗻𝗳𝗶𝗮 𝗹𝗮 𝗽𝗿𝗼𝘃𝗮 𝗿𝗲𝗴𝗶𝗻𝗮 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗡𝗮𝘁𝗼𝗹𝗶

 
Giuseppe Pipitone sul Fatto del 15/10/2024
L’ultima novità dell’inchiesta che coinvolge Gioacchino Natoli viene dal modello 37 della Procura di Palermo, il registro dove vengono appuntate tutte le operazioni d’intercettazione. Anche quelle di 32 anni fa. È per un fascicolo archiviato nel 1992 che è finito nei guai l’ex magistrato del Pool antimafia, oggi indagato per favoreggiamento a Cosa Nostra.
La Procura di Caltanissetta lo accusa di aver partecipato all’insabbiamento dell’inchiesta sui fratelli Nino e Salvatore Buscemi, imprenditori mafiosi vicini a Totò Riina, divenuti soci del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini. Oltre ad aver chiesto l’archiviazione di quell’inchiesta, infatti, il 25 giugno del 1992 Natoli firma anche un provvedimento con cui ordina la smagnetizzazione delle bobine con le intercettazioni effettuate nell’indagine. In quell’atto compare un’aggiunta a penna che dispone pure la “distruzione dei brogliacci”, cioè gli appunti che riassumono il contenuto degli ascolti.
Perché l’ex pm ha ordinato di cancellare ogni elemento relativo alle registrazioni degli indagati? Se lo è chiesto la procura di Caltanissetta, che contesta a Natoli di aver voluto smagnetizzare le bobine per “occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche”.
Le indagini difensive dei legali di Natoli, però, hanno fatto emergere dal passato decine di provvedimenti praticamente identici a quello incriminato.
Analizzando il registro delle intercettazioni della procura di Palermo, gli avvocati Fabrizio Biondo ed Ettore Zanoni hanno trovato almeno 62 documenti con la scritta a macchina che “ordina la smagnetizzazione dei nastri” e l’aggiunta a penna per “la distruzione dei brogliacci”.
Secondo la tesi difensiva, quello non era un documento unico ma un prestampato, fotocopiato integralmente (compresa l’aggiunta a penna) centinaia di volte e poi compilato coi numeri dei fascicoli dei procedimenti, la firma del magistrato che ordinava la smagnetizzazione (non era obbligatoriamente il titolare dell’inchiesta) e la “presa in carico per l’esecuzione” (anche questa a penna) della segreteria dell’Ufficio Intercettazioni. Ecco perché nell’atto relativo all’indagine dei fratelli Buscemi, Natoli riconosce come sue solamente le firme.
L’aggiunta a penna, in effetti, sembra appartenere a una mano diversa: secondo Francesco Rende, grafologo forense interpellato dal Fatto, si tratta “verosimilmente” della grafia di Giuseppe Pignatone, che nel 1992 era il magistrato addetto alle intercettazioni della procura.
Oggi è indagato con l’accusa di essere “l’istigatore” dell’insabbiamento dell’inchiesta sui Buscemi, insieme a quello che all’epoca era il suo capo, Pietro Giammanco, deceduto ne 2018. Nell’indagine è coinvolto anche il generale Stefano Screpanti, che nel 1992 era un giovane capitano della Guardia di Finanza.
AGLI ATTI dell’inchiesta della Procura di Caltanissetta, dunque, adesso arrivano i documenti ritrovati dai legali di Natoli. Riguardano ordini di smagnetizzazione di intercettazioni realizzate per indagare su vari reati (mafia, droga), archiviate o andate a sentenza tra il 1992 e il 1998. In pratica dopo la cancellazione delle registrazioni considerate irrilevanti, i brogliacci diventavano inutili e dunque venivano distrutti. Nel registro modello 37 è riportato anche quando le bobine venivano effettivamente cancellate. Era stato creato persino un timbro che riportava la dicitura “smagnetizzato”: un elemento che suggerisce come quella seguita nell’inchiesta sui Buscemi potesse essere una procedura comune.
Una “prassi” l’ha definita Natoli. Davanti ai pm nisseni, l’ex magistrato si è avvalso della facoltà di non rispondere, come ha fatto pure Pignatone. Prima di scoprire di essere indagato, invece, Natoli era stato ascoltato dalla Commissione Antimafia. Aveva chiesto di replicare alle tesi di Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino e legale dei figli del giudice ucciso in via D’Amelio, che era stato il primo a puntare i riflettori sulle intercettazioni dei fratelli Buscemi.
A PALAZZO San Macuto, Natoli aveva sostenuto che la smagnetizzazione dei nastri era una pratica “dettata sia dalla necessità di riutilizzare le bobine smagnetizzate per la nota carenza di fondi ministeriali fortemente presente in quel periodo, sia per la mancanza di spazi fisici per la conservazione dei nastri”. Insomma: mancavano soldi e archivi. Sempre l’ex pm aveva riferito, tra l’altro, che le bobine con le intercettazioni dei Buscemi in realtà non erano mai state cancellate: si trovavano ancora negli archivi del Palazzo di giustizia di Palermo. È lì che le ha recuperate la procura di Caltanissetta, guidata da Salvatore de Luca. Il riascolto di quei nastri, però, ha fatto emergere conversazioni che per i pm sono rilevanti: contengono addirittura “autonome notizie di reato”. Da qui l’accusa a Natoli, Pignatone e Screpanti di aver insabbiato l’indagine sui Buscemi, 32 anni dopo i fatti. In tutto questo tempo nessuno si era accertato che la distruzione di quelle intercettazioni fosse stata effettivamente portata a termine.