Colosimo è finita dentro lo stesso “gioco troppo grande” che isolò Falcone…

Gli attacchi contro la presidente della commissione Antimafia si spiegano facilmente: per decenni si è cercato di imporre una narrativa suggestiva che ora viene smantellata 

La causa del brutale attacco a Chiara Colosimo, presidente della Commissione Antimafia, va ricercata nell’aver posto fine alla narrativa distorta su ciò che Paolo Borsellino stava investigando febbrilmente negli ultimi giorni della sua vita. Dopo 32 anni, grazie alla collaborazione con la Procura nissena, sono emerse le indagini che il giudice, poi dilaniato in Via D’Amelio, stava conducendo per svelare la verità sulla strage di Capaci.

Il nervosismo è comprensibile. Per decenni, una certa Antimafia – trasformatasi in una potente lobby e tuttora operante – in assenza dei documenti custoditi per decenni nei cassetti, ha proposto una narrativa suggestiva. Inizialmente, si sosteneva che fosse stato ucciso perché avrebbe scoperto “la trattativa”, rivelatasi poi una mera falsità. In seguito, perché avrebbe individuato l’eversione nera dietro la strage di Capaci – un’altra illazione.
Ancor prima, per aver presuntamente scoperto il ruolo di Berlusconi – un’ulteriore manipolazione scaturita dal travisamento dell’intervista ai francesi. L’attuale Commissione Antimafia, desecretando per ora solo l’indice dei documenti (e appunti manoscritti di cui sarebbe prezioso conoscere il contenuto) in possesso di Borsellino, ha smantellato questo artificio.

Se da un lato ci sono stati giochi suggestivi, dall’altro la presidente dell’Antimafia si è ritrovata coinvolta in un “gioco troppo grande” per aver semplicemente adempiuto al proprio dovere. Giovanni Falcone ha illustrato questo meccanismo nel suo ultimo libro “Cose di Cosa Nostra”, scritto in collaborazione con Marcelle Padovani.
Pur non essendo siciliana, Chiara Colosimo si ritrova catapultata in quel mondo. Come ha lucidamente spiegato il giudice assassinato a Capaci, il condizionamento dell’ambiente siciliano e la conseguente “atmosfera globale” generano situazioni spiacevoli attraverso determinate dichiarazioni e comportamenti. Non desta sorpresa, dunque, quando si mette in moto la macchina del fango, con tentativi di delegittimazione finalizzati a creare isolamento.

Non è detto, tuttavia, che tale strategia risulti efficace. Rispetto al passato, il fronte non è più così monolitico. Attualmente – fatto mai verificatosi prima – la Procura di Caltanissetta, guidata da Salvatore De Luca, sta indagando proprio su quelle piste investigative che Borsellino stava ripercorrendo.
Certamente non è sufficiente. Sono trascorsi 32 anni durante i quali un intero apparato mediatico e giudiziario, che include interi partiti, ha creato sovrastrutture profondamente radicate, tanto da aver influenzato anche le precedenti commissioni antimafia. È emblematico che persino il centrodestra, attraverso l’allora presidente della commissione Giuseppe Pisanu, abbia avallato il teorema della trattativa Stato-Mafia.

Dopo 32 anni e dopo la breve parentesi di Ottaviano Del Turco (vittima di fuoco amico), una commissione finalmente adotta un metodo d’indagine razionale che parte dalle fondamenta anziché dai massimi sistemi. Ed è qui che scatta una feroce delegittimazione di cui, purtroppo, il Partito Democratico si fa complice. Si giunge persino a mistificare la questione “mafia appalti”. Non si tratta di una pista alternativa né di un’ipotesi esplicativa: è precisamente la causale individuata in tutte le sentenze sulle stragi del 1992.

La sentenza Capaci bis del 2017 ha evidenziato che l’attentato fu motivato da un intreccio di interessi tra Cosa Nostra, politica e imprenditoria, particolarmente nel settore degli appalti pubblici. Il cosiddetto “gioco troppo grande” consisteva in una rete che coinvolgeva anche settori della magistratura e mirava all’isolamento di Falcone. Quest’ultimo – come si può leggere nel suo ultimo libro – ha considerato che la crescente ricchezza di Cosa Nostra le conferiva un potere amplificato, che “l’organizzazione cerca di usare per bloccare le indagini”.

Anche Paolo Borsellino aveva compreso questo gioco, decidendo di approfondire quelle connessioni che lo hanno condotto all’isolamento, alla solitudine, alla perdita di fiducia in alcuni colleghi. Borsellino era diventato troppo pericoloso, tanto che Riina fu costretto ad accelerare l’esecuzione dell’attentato di Via D’Amelio. La lobby, invece, preferisce parlare di “entità”, di trattative, “facce da mostro”, persino di donne bionde. Guai a rivelare che Borsellino era una persona seria e pragmatica. Più di qualcuno teme la verità nuda e cruda che, di fatto, vanifica i piccoli e grandi giochi.