Parlare di Paolo Borsellino come di uno degli eroi della lotta alla mafia gli fa onore, ma rischia di mettere in ombra la singolare statura professionale, umana e spirituale di questo testimone, allo stesso tempo, del coraggio civico e di una fede profonda e vissuta con totale coerenza. Anche facendo ricorso a documenti inediti e a interviste con testimoni qualificati, l’autore mostra che il movente ultimo dell’uccisione di Borsellino è da ricercare nelle sue indagini sul territorio e nell’individuazione delle alleanze e delle complicità che Cosa nostra aveva intessuto con la borghesia mafiosa e con la grande imprenditoria siciliana e nazionale.
Alleanze e complicità che erano anche al centro delle investigazioni di Giovanni Falcone e che ne avevano causato la morte. Ma la lettura delle azioni e delle parole di Borsellino durante l’ultimo periodo della sua vita porta a legare il movente della sua uccisione anche alla religiosità del magistrato: egli viene ucciso perché è un cristiano che vive nella storia quella fede su cui ha intessuto la sua esistenza.



Vincenzo Ceruso, nato a Palermo nel 1973, è laureato in filosofia, ed è stato ricercatore presso il centro studi Pedro Arrupe, dove si è occupato di criminalità mafiosa. Componente della Commissione diocesana per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, ha diretto per circa vent’anni la Scuola della Pace della Comunità di Sant’Egidio per i minori a rischio devianza, nel centro storico di Palermo. Collabora con il Comitato Addiopizzo e scrive sulle riviste «Segno», «Narcomafie», «Aggiornamenti sociali» e «Livesicilia.it». Tra le sue pubblicazioni, Le Sagrestie di Cosa nostra (2007), un’inchiesta sui rapporti tra religiosità e mafia, e Uomini contro la mafia (2008), storia dei principali protagonisti della lotta a Cosa nostra
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