Ora in libreria LA STRAGE di Vincenzo Ceruso – FABIO TRIZZINO: “ Una ricostruzione basata su un metodo di ricerca rigoroso e su dati documentali.”

 

FABIO TRIZZINO
“Ho parlato con Vincenzo Ceruso che mi ha contattato e mi ha fatto avere il suo libro, che ho letto tutto d’un fiato. Al di là di quello che può liberamente pensare ciascun lettore, è indubbio, a mio avviso, il fatto che la sua ricostruzione è basata su un metodo di ricerca rigoroso e su dati documentali.
I punti importanti del suo libro sono diversi e ho dato la mia disponibilità a parlarne pubblicamente in una prossima presentazione.
Per quanto riguarda il mistero dell’agenda rossa, Vincenzo Ceruso ha tenuto a ribadirmi – notizia che mi aveva già dato, sia pure genericamente, senza cioè i particolari appresi oggi – che il suo racconto si basa su un’intervista scritta al dottor Pilato, i cui contenuti sono riportati integralmente, e su una conversazione successiva con lo stesso magistrato, anch’essa riportata integralmente nel libro. In questo secondo colloquio, il dottor Pilato ha ritenuto di precisare ulteriormente la vicenda, in parte suscitando peraltro, già a questa prima lettura, nuovi interrogativi su quanto è accaduto nelle ore immediatamente successive alla strage di via D’Amelio. Ma questo riguarda la Procura di Caltanissetta, ritenendo in questo momento poco opportuna qualunque altra considerazione”
 
 
 

Il FASCICOLO MUTOLO e la borsa del dottor Borsellino


 

FABIO TRIZZINO “SE FOSSE CONFERMATO LO SCENARIO RISULTEREBBE TUTTO CAMBIATO”

 

 

 

 

LA STRAGE L’agenda rossa di Paolo Borsellino e i depistaggi di via D’Amelio – INDICE

 

 

 

Perquisite le case dei familiari di LA BARBERA alla ricerca dell’agenda rossa di Borsellino. Un testimone: “È nascosta lì”


 

AUDIZIONI IN CORSO PRESSO COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA
In merito poi al contenuto della borsa del dottor Borsellino al momento della Strage:

 

DOTTORESSA LUCIA BORSELLINO
24.10.2023 … il carabiniere Arcangioli uno di coloro che aveva preso in mano materialmente la borsa, lui o Maggi, una delle altre persone che l’aveva presa prima di lui, ricordano che la borsa era pesante e piena.
Quella borsa ci è stata restituita solo con il costume di mio padre, le chiavi di casa, un pacchetto di Dunhill e un’agenda marrone. Noi sappiamo per certo, da quello che abbiamo acquisito successivamente, che la borsa di mio padre conteneva, oltre all’agenda rossa, anche il fascicolo di Mutolo, così come ha dichiarato il dottor Aliquò nelle audizioni innanzi al CSM nel 1992.
Mio padre non avrebbe mai portato con sé la borsa da lavoro solo per metterci il costume da bagno.
Ebbene, di questa borsa noi non abbiamo mai avuto un verbale né di acquisizione né di consegna.
Anzi prego questa Commissione di cercarlo vivamente e di rendercene edotti nel caso in cui fosse possibile – e in questo sono sicura che riuscirete più di noi – acquisirne copia. Ma quello che è ancora più grave, quand’anche ci fosse una repertazione …
Perché così dice il dottor Cardella, tra i testi che sono stati sentiti, che sembrerebbe avere dovuto repertare quella borsa che è stata per oltre cinque mesi abbandonata sul divanetto della stanza dell’allora capo della squadra mobile dottor Arnaldo La Barbera come un oggetto qualunque. 

AVVOCATO FABIO REPICI
6.11.2023  …mi permetto di segnalare è che è assolutamente un dato fuori dalla realtà, anzi contrario ai dati di realtà, il fatto che nella borsa di Paolo Borsellino ci fosse un fascicolo relativo a Gaspare Mutolo.
Questo è un dato assolutamente contrario alla realtà ed erroneamente, non so per quale motivo, riferito oralmente dal dottor Vittorio Aliquò in una qualche occasione.
Il contenuto della borsa del dottor Borsellino è quello che è stato repertato, nei reperti che sono stati lasciati dentro quella borsa e, per quello che sappiamo da fonti più che autorevoli, cioè dalla moglie e dai figli di Paolo Borsellino, l’unico elemento mancante era la agenda rossa.

 

 

 

DOC

AUDIO



FIAMMETTA BORSELLINO: “Perché via D’Amelio, la scena della strage (video) , non fu preservata consentendo così la sottrazione dell’agenda rossa di mio padre? E perché l’ex pm allora parlamentare Giuseppe Ayala, fra i primi a vedere la borsa, ha fornito versioni contraddittorie su quei momenti?”

Cos’è l’agenda rossa di Paolo Borsellino

 

È un’agenda con il simbolo dei Carabinieri sulla copertina rossa in pelle quella che non si trova: è conservata nella borsa che il magistrato ha sistemato nel bagagliaio della Croma blindata quando è partito da Villagrazia di Carini per andare a trovare la madre in Via D’Amelio, dove arriva alle 16.58 del 19 luglio 1992.
Il tritolo non risparmia nulla.
Ma l’agenda dentro la borsa resta integra, protetta dall’auto blindata.Questo è certo. Perché la borsa che la contiene è stata restituita alla famiglia.
Chi ruba l’agenda rossa sa già, probabilmente, cosa potrebbe esserci scritto.  Per questa ragione, non basta uccidere Borsellino.
Come è stato per Falcone, qualcuno ritiene che sia necessario cancellare anche le sue intuizioni.  Altrimenti, ancora un giudice che potrebbe essere più pericoloso da morto che da vivo.
«Da quell’agenda non si separava mai», ricorda la moglie Agnese al processo.
In quell’agenda c’è il filo delle indagini, sono segnati gli approfondimenti da fare dopo la morte di Giovanni Falcone.
Ma per stringere il cerchio attorno al cofano della Croma blindata di Borsellino mancano ancora diversi passaggi.
Una fotografia che ritrae un ufficiale dei Carabinieri mentre tiene in mano la borsa del magistrato assassinato ha fatto partire un’inchiesta, mai giunta al processo: perché troppo vaga, secondo un Giudice delle Indagini Preliminari, che ha così archiviato la posizione dell’ufficiale, mettendo persino in dubbio l’esistenza stessa dell’agenda. A poco è servito il ricorso in Cassazione della Procura di Caltanissetta […]. La Cassazione ha dato ragione al GIP, e ha chiuso il caso.  da “I Pezzi Mancanti”, di Salvo Palazzolo


Le testimonianze dei figli di Borsellino sull’agenda rossa

 

“Il giorno della sua morte, vidi mio padre mettere nella borsa, tra le altre cose, l’agenda rossa da cui non si separava mai”, ha raccontato la figlia del giudice, Lucia Borsellino, il 19 ottobre del 2015, quando è stata chiamata a testimoniare al quarto processo per la strage.
Le sue parole sono state confermate dal fratello Manfredi che ha ricordato l’immagine del padre che scriveva “compulsivamente sul diario”. “Dopo la morte di Giovanni Falcone– ha detto Manfredi Borsellino ai giudici della corte d’Assise – la usava continuamente. E non per appuntare fatti personali.
Era certamente un modo per segnare eventi e cose di lavoro importanti. Se non fosse andata persa, le indagini sulla sua morte avrebbero certamente preso un’altra direzione”.


 

L’ipotesi che il diario abbia resistito alla deflagrazione

Manfredi è certo che il diario abbia resistito, come l’altra agenda ritrovata intatta nella borsa del magistrato, alla deflagrazione di via D’Amelio in cui rimase ucciso Borsellino.
Ma la sorte del documento che entrambi i figli del giudice ritengono prezioso non si è mai scoperta. Come hanno raccontato i Borsellino, la valigetta del padre venne loro restituita dopo qualche settimana dalla morte del magistrato. Dentro c’era tutto tranne l’agenda rossa.

Corte d’Assise Caltanissetta: La Barbera “intensamente coinvolto nella sparizione”

La Corte d’Assise di Caltanissetta in una motivazione depositata il 30 giugno 2018 parla dell’omicidio di Borsellino come “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. I magistrati hanno anche dedicato parte della motivazione proprio all’agenda rossa. Secondo la Corte,  l’allora capo della Mobile Arnaldo La Barbera ebbe un “ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre”.


Video 

L’agenda rossa di Paolo Borsellino

 

«È un’agenda dell’Arma dei Carabinieri, con la copertina rossa, che il procuratore aggiunto Paolo Borsellino aveva avuto in dono all’inizio dell’anno e che è sparita subito dopo l’attentato di Via D’Amelio del 19 luglio del 1992.
Le testimonianze della moglie Agnese Piraino Leto e del figlio Manfredi lo confermano: Borsellino aveva riposto l’Agenda Rossa dentro la borsa 24 ore che è stata trovata praticamente intatta dentro l’auto blindata, in Via D’Amelio, dopo l’esplosione. Nella borsa sono stati trovati il costume da bagno che Borsellino aveva utilizzato poche ore prima a mare, un paio di occhiali da sole, altri effetti personali. Ma di quell’agenda nessuna traccia».
Perché è così importante?  «Paolo Borsellino era solito prendere appunti nelle agende annuali, dove registrava gli appuntamenti di lavoro, gli spostamenti privati e anche le spese di casa.
Nell’Agenda Rossa, secondo la testimonianza dei suoi più stretti collaboratori, e dopo l’attentato a Giovanni Falcone, Borsellino aveva iniziato a scrivere una serie di appunti su quei drammatici giorni seguiti alla strage di Capaci.
L’allora tenente Carmelo Canale, uno dei suoi fidati investigatori, lo aveva visto scrivere sull’Agenda Rossa pochi giorni prima del 19 luglio del 1992».
Cosa ha raccontato Canale a proposito di quell’agenda?  «Il Carabiniere era a Salerno con Borsellino, insieme erano lì per il battesimo del figlio di Diego Cavaliero, uno dei sostituti che aveva lavorato con il magistrato alla Procura di Marsala. Canale ha raccontato di essersi svegliato e di aver visto Borsellino, nella camera d’albergo che dividevano, intento a scrivere qualcosa nell’agenda. Canale, per cercare di alleggerire la tensione di quei giorni, scherza con Borsellino: “Ma che fa, vuole diventare pentito pure lei?”.
Riceve una risposta che lo gela: “Sono successi troppi fatti in questi mesi, anch’io ho le mie cose da scrivere”.
Quell’agenda, ha raccontato Canale, Borsellino dopo aver finito di scrivere quegli appunti l’ha riposta dentro la borsa 24 ore che portava sempre con sé».
Di cosa si occupava in quei giorni Borsellino?  «Da Procuratore Aggiunto a Palermo stava raccogliendo le prime rivelazioni di diversi “pentiti” di mafia di primissimo piano.
Con lui aveva iniziato a collaborare Gaspare Mutolo, ex autista dell’allora latitante Totò Riina, che svelò i nomi delle “talpe” di Cosa nostra nelle istituzioni come l’ex numero 3 del Sisde, Bruno Contrada, o il magistrato Domenico Signorino.
E in quei giorni aveva avuto notizia di un “dialogo” tra pezzi dello Stato e i mafiosi, cioè la “trattativa” di cui si sta occupando il processo appena aperto a Palermo a carico di alti ufficiali dei Carabinieri, mafiosi, politici.
L’1 luglio, nell’agenda grigia (un’altra agenda che Borsellino teneva a casa e che è stata ritrovata) è segnato il cognome del neo ministro degli Interni, Nicola Mancino, che Borsellino ha incontrato al Viminale. Mancino ha sempre detto di non ricordarsi quell’incontro».
Che fine può aver fatto l’Agenda Rossa scomparsa in Via D’Amelio?  
«Una traccia che ha fatto ripartire le indagini sulla sparizione dell’Agenda Rossa è stata trovata grazie ad una fotografia scattata subito dopo l’attentato di Via D’Amelio.
Nell’immagine, e poi nei filmati girati dalla Rai, si vede un Carabiniere in borghese che si allontana da Via D’Amelio con in mano la borsa. Ma, si scoprirà dalle indagini e dalle relazioni di servizio, la borsa viene “ufficialmente” ritrovata dentro l’auto blindata del magistrato solo dopo aver compiuto questo strano tragitto.
Il colonnello dei Carabinieri Giovanni Arcangioli, il Carabiniere in borghese che si è allontanato con la borsa in mano, è stato indagato per il reato di furto dell’Agenda Rossa con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa, e poi prosciolto “per non aver commesso il fatto”».
Chi può avere paura di cosa era scritto in quell’agenda?  «Hanno scritto gli aderenti al Movimento delle Agende Rosse, nato su iniziativa di Salvatore Borsellino, ingegnere, fratello di Paolo: “In quel diario sono contenuti appunti sugli incontri ed i colloqui che Borsellino ebbe con collaboratori di giustizia e con rappresentanti delle Istituzioni.
Si tratta di elementi determinanti per mettere a fuoco le complicità di pezzi dello Stato con Cosa Nostra.
Chi si è appropriato dell’agenda può oggi utilizzarla come potente strumento di ricatto proprio nei confronti di coloro che, citati nel diario, sono scesi a patti con l’organizzazione criminale”». da “L’Espresso”, del 18 luglio 2013, di Umberto Lucentini


L’intervista – Apparati dello Stato in via D’Amelio in attesa della strage per rubare l’Agenda Rossa

 

 

 

 

L’AGENDA ROSSA e le molteplici versioni processuali dell’On. Ayala

 

 

“Non fu la mafia a far sparire l’agenda rossa di Paolo Borsellino”

Nelle motivazioni della sentenza sul depistaggio nella strage di via D’Amelio i giudici sono chiari: non è stata attività di cosa nostra
L’agenda rossa di Paolo Borsellino non fu fatta sparire da uomini di cosa nostra. I giudici del tribunale di Caltanissetta lo mettono nero su bianco nelle motivazioni della sentenza emessa lo scorso luglio nell’ambito del processo sui depistaggi della strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino ed i cinque agenti della sua scora. Era il 19 luglio del 1992.
Secondo i giudici nisseni infatti non sarebbe stata la mafia a mettere le mani sull’agenda dove il magistrato annotava ogni sua intuizione investigativa e dove forse aveva scritto qualcosa di molto importante che aveva scoperto sui mandati della strage di Capaci.
“A meno di non ipotizzare scenari inverosimili di appartenenti a Cosa nostra che si aggirano in mezzo a decine di appartenenti alle forze dell’ordine – scrivono i magistrati nelle oltre 1500 pagine di motivazione della sentenza – può ritenersi certo che la sparizione dell’agenda rossa non è riconducibile a una attività materiale di Cosa nostra”.
Dunque qualcun altro si sarebbe occupato di farla sparire. Chi?  Questo purtroppo è ancora un mistero.
In questi anni sono state fatte mille ipotesi ma, almeno fino ad oggi, la verità non è mai venuta a galla.
Le piste battute dai magistrati di diverse procure sono state tantissime ma adesso, almeno per i giudici nisseni, unaertezza c’è: non è stata la mafia.
L’idea che ha preso sempre più campo è quella che a fare sparire l’agenda rossa del magistrato, siano stati esponenti dei servizi segreti deviati.
Ma anche su questo non ci sono mai state prove sufficienti.
Di certo c’è che i 3 poliziotti indagati in questo processo per il depistaggio non sono stati condannati. Due  perché i retai contestati sono stati prescritti ed un assolto.
Ma le loro testimonianze al processo erano piene di “non ricordo”.
Ed è su questi “non ricordo” che adesso potrebbe aprirsi una nuova inchiesta per falsa testimonianza.
Dunque, per i giudici, dietro la sparizione ci sarebbe la mano di qualche rappresentate delle istituzioni. Scrivono ancora: “Gli elementi in capo non consentono l’esatta individuazione della persona fisica che procedette all’asportazione dell’agenda senza cadere nella pletora delle alternative logicamente possibili ma è indubbio che può essersi trattato solo di chi, per funzioni ricoperte, poteva intervenire indisturbato in quel determinato contesto spazio-temporale e per conoscenze pregresse sapeva cosa era necessario e opportuno sottrarre”.
Insomma una certezza questa per il collegio giudicante, ma senza un sospettato preciso.
Ma c’è di più.
La strage, scrivono ancora, non fu pensata e messa in atto solo da cosa nostra. Nero su bianco c’è anche questo: “plurimi elementi che inducono a ritenere prospettabile un ruolo, tanto nella fase ideativa, quando nella esecutiva, svolto da soggetti estranei a Cosa nostra nella strage, vero e proprio punto di svolta nella realizzazione della strategia stragista dei primi anni Novanta”.
Insomma Paolo Borsellino aveva scoperto troppo e questo non faceva comodo alla mafia, ma non solo alla mafia. TG24 SKY 8.4.2023



VIDEO

 


LIBRO L’agenda_rossa


NEWS

 

 

 

Borsellino: Arcangioli, non ricordo perche’ avessi borsa  ma dentro nulla di interessante.

 

 ”Non ricordo come e perche’ avessi la borsa del giudice Borsellino, ne’ che fine abbia fatto”.
Cosi’ il col. Giovanni Arcangioli, l’ufficiale dell’Arma citato al processo per la strage di via D’Amelio e precedentemente indagato per il furto dell’agenda del giudice Paolo Borsellino, ha risposto al procuratore nisseno.
”Nella borsa – ha detto – non c’era nulla di rilevante.
Proprio perche’ non c’era nulla di interessante che non ricordo cosa feci della borsa dopo”. 14 MAGGIO 2013  (ANSA)


Borsellino, ufficiale dei carabinieri prosciolto dall’accusa di aver fatto sparire l’agenda del magistrato

 

Prosciolto per non aver commesso il fatto: il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, accusato di aver rubato il 19 luglio del 1992 l’agenda rossa del procuratore aggiunto Paolo Borsellino, esce assolto dall’udienza davanti al gup di Caltanissetta.
Resta quindi un altro buco nero attorno alla strage di via D’Amelio, costata la vita al magistrato antimafia di Palermo e a cinque agenti di scorta: chi ha rubato l’agenda da cui il magistrato non si separava mai e dove potrebbe aver scritto appunti riservati?
Il gup di Caltanissetta, Paolo Scotto Di Luzio, ha chiuso così uno dei filoni d’indagine legati alla strage di via D’Amelio aperto grazie ad un’immagine televisiva: quella in cui si vedeva Arcangioli, allora comandante della sezione omicidi dei carabinieri di Palermo, allontanarsi da via D’Amelio con in mano la borsa del magistrato.
La stessa borsa che pochi minuti dopo verrà ritrovata nell’auto blindata di Borsellino, e consegnata in Questura senza l’agenda che il magistrato portava sempre con sé e di cui hanno parlato i familiari e i principali collaboratori.
«Valuteremo cosa fare dopo aver letto le motivazioni della decisione che verranno depositate entro trenta giorni» ha spiegato il sostituto procuratore Rocco Liguori, che ha chiesto il rinvio a giudizio di Arcangioli per furto commesso al fine di favorire Cosa nostra (l’iscrizione nel registro degli indagati dell’ufficiale dei carabinieri era stata decisa dal gip Ottavio Sferlazza, che per due volte aveva respinto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura).
«È una sentenza di cui bisognerà leggere le motivazioni e che accogliamo col rispetto massimo» commenta l’avvocato Francesco Crescimanno, legale di parte civile.
«Ho la sensazione che non verificando a dibattimento le accuse nei confronti di Arcangioli si tagli la possibilità di capire per quale ragione e per quali percorsi questa agenda è stata sottratta dalla borsa del dottor Borsellino.
Di certo è che questa borsa è stata portato lontano dal posto in cui era e che poi è stata riportata. Il che vuol dire che si è voluto far finta che non fosse mai stata trovata».
Tramite i suoi legali, gli avvocati Diego Perugini e Sonia Battagliese, il colonnello Arcangioli ha spiegato durante l’udienza di voler rinunciare alla possibilità di chiudere il procedimento usufruendo della prescrizione.
«Resterebbe una macchia troppo grande su di me».
Durante le dichiarazioni spontanee, Arcangioli ha sostenuto che di quel 19 luglio ’92 ha ricordi confusi, scambiati per reticenze dalla pubblica accusa.
Sull’immagine che lo ritraeva con la borsa del procuratore aggiunto appena ucciso con un’autobomba, Arcangioli non dice nulla. Né, alla Procura di Caltanissetta, ha saputo spiegare perché si è allontanato per almeno 70 metri dal luogo della strage, e perché è tornato indietro e ha lasciato la borsa nell’auto di Borsellino dove è stata ritrovata “ufficialmente” da un assistente della polizia di Stato che l’ha portata in Questura.
Dentro, la polizia trovò un paio di occhiali da sole e un costume, non l’agenda rossa che il suo poliziotto di scorta, Antonio Vullo, ricorda di aver visto in mano al magistrato mentre saliva sull’auto blindata diretta verso via D’Amelio.
Attorno alla borsa di Borsellino resta quindi un buco di almeno sette minuti: diversi testimoni, tra cui l’ex pm Giuseppe Ayala, hanno detto di aver visto la borsa subito dopo la strage.
Ma tra poliziotti, carabinieri, appartenenti ai servizi segreti presenti quel terribile pomeriggio, non è stato ancora possibile identificare chi l’abbia presa. 2.4.2008 SOLE 24 ORE


«Agenda Borsellino, indagate sugli 007»

 

L’ufficiale inquisito per la borsa rubata: filmato un uomo che porta via un oggetto Mafia Il colonnello Arcangioli: non sono stati svolti accertamenti sui funzionari dei servizi in via D’Amelio

Il cuore del mistero è in una foto, ricavata da immagini televisive, che ritrae un uomo con una borsa in mano, in mezzo al fuoco e alle macerie.
La borsa è quella di Paolo Borsellino, appena dilaniato dal tritolo mafioso assieme ai cinque agenti di scorta; la stessa prelevata più tardi dall’auto del magistrato e portata negli uffici della Squadra mobile di Palermo.
Ma quando fu aperta, quel che tutti si aspettavano di trovare non c’era: l’agenda rossa di Borsellino, il contenitore di appunti e spunti d’indagine che il giudice assassinato aveva sempre con sé, sulla quale annotava — probabilmente — scoperte e ipotesi sull’omicidio del suo amico Giovanni Falcone.
Un «tesoro» che, secondo la testimonianza della moglie, Borsellino s’era portato dietro (nella borsa) anche il 19 luglio 1992, quando lasciò la casa al mare per andare a morire in via Mariano D’Amelio.
Che fine ha fatto l’agenda? Nessuno l’ha detto, nessuno l’ha più vista.
Ma il fotogramma dell’uomo con la borsa in mano, per il giudice di Caltanissetta chiamato a pronunciarsi sul mistero, è un grave indizio a carico della persona immortalata: il tenente colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, che nel ’92, da capitano, comandava una sezione del Nucleo operativo palermitano dell’Arma.
Da un mese — su ordine dello stesso giudice, dopo che i pubblici ministeri avevano chiesto per tre volte l’archiviazione del procedimento «contro ignoti » — Arcangioli è indagato per furto aggravato, con l’ulteriore contestazione di aver favorito l’associazione mafiosa Cosa nostra.
Accusa grave — infamante per l’ufficiale che si proclama estraneo a qualsiasi addebito—fondata su quell’immagine e su qualche interrogatorio zoppicante: di Arcangioli e di altri testimoni, tra i quali spicca l’ex magistrato Giuseppe Ayala.
Adesso, ricevuto l’avviso di conclusione indagini, il colonnello è passato al contrattacco.
Certo non può negare di aver avuto in mano la borsa, ma dell’agenda scomparsa—dice e conferma — non ha mai saputo nulla. E se bisogna cercarla, o scoprire chi l’ha fatta sparire, occorre guardare in tutte le direzioni.
Perché dalla stessa indagine condotta dalla Procura di Caltanissetta emerge che altri, non lui, erano interessati alla borsa (e forse all’agenda).
E altri ancora hanno reso dichiarazioni confuse o non riscontrate.
Gli avvocati del carabiniere inquisito, Diego Perugini e Sonia Battagliese, hanno presentato una memoria in cui chiedono, tra l’altro, di interrogare un lungo elenco di persone e personalità: dai principali pentiti di mafia ai vertici governativi, delle forze di polizia e dei servizi segreti dell’epoca. «Per fornire un contributo di chiarezza a un procedimento che pare assolutamente carente», scrivono i due legali.
Alla luce, ad esempio, della testimonianza dell’ispettore capo della polizia Giuseppe Garofalo, accorso in via D’Amelio subito dopo l’esplosione, il quale ha raccontato: «Ricordo di aver notato una persona, in abiti civili, alla quale ho chiesto spiegazioni in merito alla sua presenza nei pressi dell’auto (di Borsellino, ndr)…
Non riesco a ricordare se mi abbia chiesto qualcosa in merito alla borsa o se io l’ho vista con la borsa in mano…
Di sicuro ho chiesto chi fosse per essere interessato alla borsa del giudice, e lui mi ha risposto di appartenere ai Servizi». L’ispettore ricorda che l’uomo portava una giacca, e davanti all’immagine di Arcangioli ha detto: «Posso escludere che il soggetto di cui parlo sia quello effigiato in foto».
Sui funzionari dei servizi segreti presenti o assenti in via D’Amelio, lamentano gli avvocati, non risulta siano state svolte indagini adeguate. Così ora chiedono accertamenti presso l’ex Sisde, oggi Aisi, nonché di attribuire nomi e cognomi ad alcune persone inquadrate in altri fotogrammi tratti dai filmati girati sul luogo della strage, non ancora identificate o che sembrano muoversi con fare sospetto. Compreso «un soggetto che si allontana stringendo al petto un oggetto parzialmente coperto dal risvolto della giacca».
E altri che sembrerebbero «intenti a controllare» le auto blindate di Borsellino e della scorta. 
A parte l’istantanea che lo ritrae con la borsa in mano, ad accusare Arcangioli c’è—secondo il giudice—il contrasto tra le sue dichiarazioni e quelle dei testimoni da lui stesso citati, primo fra tutti Ayala.
Il carabiniere disse che l’ex magistrato (all’epoca già deputato), oppure un altro magistrato palermitano (che negò), aprì la borsa di Borsellino in sua presenza cercando l’agenda ma senza trovarla.
Poi cambiò versione, spiegò di non essere più sicuro quasi di niente: se davvero c’era Ayala, se lui o altri avevano guardato nella borsa, se l’aveva ricevuta o data a qualcuno.
Tra tanti «non ricordo», «ritengo» e «credo di ricordare», alla fine ha sostenuto di averla rimessa (o fatta rimettere) sulla macchina del giudice assassinato «per ricostituire la situazione preesistente».
La smentita di Ayala («non immune da alcune contraddizioni», ammette il giudice) si articola in tre diverse versioni: vidi un carabiniere in divisa che prendeva la borsa; presi io la borsa dall’auto e la consegnai a un carabiniere in divisa; un uomo senza divisa mi diede la borsa e io la passai al carabiniere in uniforme. In ogni caso senza aprirla.
Ma un appuntato della sua scorta ha fornito una versione ancora differente: Ayala vide la borsa nella macchina, l’appuntato la prese e fece per consegnargliela ma l’ex giudice gli disse di trattenerla, finché non gliela fece consegnare «a un uomo in abiti civili che mi indicò come ufficiale o funzionario di polizia ».
Guardando il fotogramma di Arcangioli con la borsa in mano e una placca distintiva dei carabinieri sul bavero del giubbotto, il testimone ha dichiarato: «Non sono in grado di riconoscere la persona che mi mostrate; posso aggiungere però che non ricordo assolutamente che la persona alla quale ho consegnato la borsa avesse una placca metallica di riconoscimento.
Di questo particolare ritengo che mi ricorderei ».
Ma nonostante un simile, non irrilevante particolare, per il giudice questa ricostruzione è «incontrovertibilmente compatibile» con i sospetti a carico del colonnello. Il quale, unico indagato nell’ennesimo mistero siciliano, chiede ora un’indagine a tutto campo. In particolare su eventuali agenti dei servizi segreti che, notoriamente, si muovono senza divise e senza distintivi. Giovanni Bianconi 05 marzo 2008


Ayala smentisce Arcangioli Chi prese la borsa del magistrato seleziono’ contenuto

 

”Qualcuno ha aperto la borsa di Paolo Borsellino, ha preso l’agenda e deciso, tradendo lo Stato, di farla sparire”. E’ l’opinione di Giuseppe Ayala, sentito come teste al quarto processo per la strage di via D’Amelio. ANSA 14.5.2008


La borsa di Paolo Borsellino e  la storia di una foto rimasta senza risposte. Strage di Via D’Amelio: “ero il primo fotografo ad arrivare sul luogo…

 

“Ero li. Il chilometro che mi separava dal luogo dove avevo lasciato l’auto le feci tutto di corsa. Ero il primo fotografo ad arrivare sul luogo di quella strage. E traguardavo attraverso il mirino della mia fotocamera. Sapevo già cose era accaduto e l’adrenalina non mi faceva sentire la fatica e mi controllava le emozioni.
Ero abituato a scene raccapriccianti e sapevo come fare per mantenere il sangue freddo e la mente lucida, quello fu uno dei miei primi scatti.
Lo vidi, lui era li. Si allontanava dal luogo dell’esplosione. Era un capitano dei Carabinieri che conoscevo bene. Giovanni Arcangioli si chiamava. Ci conoscevamo perché spesso ci vedevamo nei luoghi dei tanti omicidi di mafia che in quegli anni insanguinavano le strade di Palermo.
Mi favoriva, ci rispettavamo, ognuno per i suoi ruoli.
Mi colpì quel “fratino” (una specie di giubbino smanicato) azzurro.
Un colore troppo sgargiante e troppo delicato in quella scena di guerra, Si di guerra, perché sembrava di essere in Libano, dove in quegli anni le auto bomba erano la norma.
Scattai quella foto, perché dopo, a cose fatte volevo fargliela avere per poterlo un po’ prendere in giro e dirgli: “perché indossavi quel fratino di quello strano colore così fuori contesto?” Passai avanti, e avanti vidi l’inferno. Camminavo su pezzi di carne e non me ne rendevo conto.
Sulle narici tanfo pungente di bruciato, di gasolio e di morte.
Mi scordai di quel capitano e mi gettai in apnea in quello che doveva essere un servizio fotografico molto professionale da offrire alle redazioni dei giornali. Quello feci, e lo feci meccanicamente ma lucidamente.
Fotografare, registrare e documentare quell’orrore. Il resto è quello che immaginate faccia un fotoreporter: va in agenzia, sviluppa i rullini, stampa le foto e le porta in redazione.
Furono giornate intense passate tra Palermo e Milano, a vendere fotografie.
Poi i funerali, altro capitolo doloroso, poi le varie passerelle dei potenti, poi il silenzio.
Un silenzio durato anni, decenni.
Tutto archiviato, passato, fagocitato da altri avvenimenti non meno importanti. La rivalsa dello Stato contro i mafiosi. Che ci fu, caspita se non ci fu!
Poi vennero gli anni duemila, cominciava a prendere piede la rivoluzione digitale.
Si cominciava a scannerizzare tutti gli avvenimenti importanti degli anni precedenti. E toccò anche ai fotogrammi più interessanti della strage di via d’Amelio.
Con il lentino di ingrandimento guardavo quei vecchi fotogrammi, e lo vidi, anzi lo rividi quel capitano con quel fratino azzurro. Ma che cosa stringe sulla mano sinistra? Una borsa? Come una borsa?
Tutti in quegli anni cercavano l’agenda rossa che quella borsa che avrebbe contenuto. Ed io avevo davanti un fotogramma che mi diceva chiaramente chi aveva preso quella borsa. “Arcangioli!” mi dissi.
Lui prese la borsa. Bingo! Avevo uno scoop. Feci vedere quello scatto al mio socio, Michele Naccari, che rimase esterrefatto! “Arcangioli aveva preso la borsa di Borsellino?”
Vendiamoci la foto, e a caro prezzo! Tramite colleghi fidati contattammo varie redazioni e proponemmo quello scoop. Eravamo in trattative sia con l’Espresso che con Panorama.  
Fino a quando un collega giornalista ci vendette.
A chi? Ma alla procura della Repubblica! Raccontò al Procuratore che c’era un fotografo che aveva uno scatto importante per risalire all’agenda rossa.
Lo seppi perché in piena trattativa con quei rotocalchi cinque agenti della Direzione investigativa antimafia bussarono alla porta di Studio Camera, la mia agenzia di fotogiornalismo. “Buongiorno Franco – mi conoscevano, e io li conoscevo – tu hai una foto che ci interessa“. Mi arresi subito e annuii: “si, so di cosa parlate”. Gli consegnai lo scatto in questione.  
Da li partì tutto.
Tutta la fase istruttoria che portò all’incriminazione di quel capitano, ormai divenuto colonnello, e che comunque, mistero, non portò a nulla. Arcangioli fu assolto in tutti i gradi di giudizio perché il fatto non sussiste, e dell’agenda rossa, come sappiamo nessuna traccia. Attendo ancora di poter regalare a quell’ufficiale dei carabinieri quello scatto, e di consigliargli la prossima volta che deve andare per servizio sul luogo di una strage, di vestire in maniera più consona e discreta. Chissà, forse un giorno.  IL SALTO DELLA QUAGLIA  Franco Lannino 19  Luglio 2020 


 
«QUEI DUE UFFICIALI E LA SCOMPARSA DELL’AGENDA ROSSA» 

 

Un nuovo filmato fissa l’ora in cui la borsa di Borsellino fu prelevata e ripropone i quesiti sul ruolo dei carabinieri. Di Giuseppe Lo Bianco e Sandra RizzaL’uomo in divisa è l’allora tenente colonnello Emilio Borghini, all’epoca comandante del gruppo carabinieri di Palermo, prossimamente chiamato a deporre nel processo ai tre poliziotti per il depistaggio di via D’Amelio: nelle immagini di quel 19 luglio 1992 lo si vede lasciare l’auto di servizio in via Autonomia Siciliana per dirigersi a piedi, tra idranti, fumo e macerie, verso la Croma blindata di Paolo Borsellino, saltato in aria da pochi minuti con i cinque agenti di scorta.  
Sono le 17,28.
L’ora, calcolata misurando l’ombra del sole sul muro del palazzo di via D’Amelio, non lascia spazio a dubbi: è quella del prelievo (il primo) della borsa del magistrato con dentro l’agenda rossa.
Tre minuti dopo, alle17.31, si vede l’allora capitano Giovanni Arcangioli allontanarsi dal luogo dell’esplosione, con la borsa del giudice assassinato in mano, e dirigersi verso via Autonomia Siciliana. 
A 26 ANNI dalla strage, ecco le immagini inedite che, incrociate a vecchie testimonianze, gettano nuova luce sulla scena della sparizione della “scatola nera della Seconda Repubblica’’, com’è stata definita l’agenda rossa di Paolo Borsellino, custode dei segreti, degli incontri e delle riflessioni del giudice ucciso.
Gli ultimi 56 giorni della sua vita sono anche gli ultimi giorni della Prima Repubblica, cancellata dalle stragi del ’92 e del ’93.
Ed è stato un attivista delle Agende Rosse, Angelo Garavaglia Fragetta, a esaminare decine di ore di filmati dell’inferno di via D’Amelio, a controllare personalmente per anni quell’ombra sul muro per fissare con certezza i tempi delle misteriose manovre attorno alla borsa del magistrato, e a montare il video, proiettato in aula durante il Borsellino quater (e poi anche alla Camera, presente il presidente della  commissione Giustizia, Giulia Sarti), che mostra anche altri potenziali testimoni dei movimenti di quella valigetta in pelle: uno è il giudice Nicola Mazzamuto, mai interrogato, filmato a pochi metri di distanza, e l’altro è l’ex pm Giuseppe Ayala, che del prelievo della valigetta in pelle dall’auto carbonizzata di Borsellino ha fornito diverse ricostruzioni contrastanti.  
Da qualche giorno sul  web www.antimafiaduemia.com e www.19 luglio1992.com) con un appello rivolto “a chiunque abbia foto o materiale video di quel giorno”, affinché li metta a disposizione dell’autorità giudiziaria, il video testimonia passione civile in memoria del giudice ucciso e competenza tecnica, con qualche ingenuità visto che ipotizza un terzo prelievo della borsa, oltre ai due già accertati processualmente, e chiama in causa il generale Mario Mori.  
Nel filmato, infatti, si cita un’intercettazione di Calciopoli in cui Luciano Moggi legge una lettera del suo consulente Nicola Penta che indica Arcangioli come un ufficiale molto legato a Mori, intercettazione però smentita dal pm napoletano Pino Narducci, che fu titolare di quell’inchiesta. 
Al netto delle due ingenuità, il video alimenta tutti gli interrogativi sul ruolo degli apparati presenti quel pomeriggio in via D’Amelio, che i testi non hanno finora fugato.
Se, infatti, Ayala ha sempre ripetuto di aver avuto in mano la borsa e di averla consegnata “a un ufficiale dei carabinieri in divisa” di cui non conosceva il nome’, nel suo interrogatorio, l’8 febbraio 2006, Arcangioli (indagato e prosciolto dall’accusa del furto dell’agenda) dice di non ricordare se “al momento del prelievo della borsa dall’auto del dottor Borsellino” ci fosse accanto a lui anche “un collega ufficiale dei carabinieri in divisa”.
E aggiunge che, mentre si trovava in via Autonomia Siciliana, l’allora colonnello dei carabinieri Marco Minicucci gli comunicò “che erano state date dispsizioni affinché alle attività investigative della strage procedesse il Ros”.
E a chiusura del verbale, Arcangioli precisa che “se uno dei colleghi del Ros o di altro reparto” gli avesse chiesto “di visionare il contenuto della borsa ”non avrebbe avuto motivo “di rigettare tale richiesta”.
Ma il ROS dei carabinieri non è mai stato titolare delle indagini su via D’Amelio.
E Minicucci, sentito a sua volta dai pm, ha dichiarato coerentemente che “l’attività tecnica sul luogo fu lasciata nelle competenze della Polizia di Stato, in segno di rispetto per le perdite subite”.
Il contrario cioè di quanto affermato da Arcangioli.
Perché l’allora capitano davanti ai pm tira in ballo, a sorpresa, il gruppo investigativo all’epoca guidato operativamente da Mario Mori? Ed è l’ultimo interrogativo che si aggiunge ai misteri dell’agenda rossa sparita nel nulla con i segreti più inconfessabili della Seconda Repubblica al quale Borghini, citato dall’avvocato Fabio Repici a deporre nel processo ai tre poliziotti accusati di calunnia, è chiamato a fornire un contributo di memoria. FATTO QUOTIDIANO 22 Gennaio 2019


L’intercettazione Il 24 maggio 2010 la DIA di Caltanissetta, lavorando ad un’indagine diversa da quella sulla scomparsa dell’agenda rossa ha intercettato una telefonata tra Massimo Ciancimino, testimone e imputato nel processo in corso a Palermo sulla trattativa Statomafia, e la giornalista Elvira Terranova.

 

Durante la conversazione intercettata Ciancimino e Terranova parlano dell’agenda rossa e di un colonnello:

Terranova: “Per altro, all’uscita, il colonnello mi ha voluto fermare e mi ha detto: ‘Mi dispiace se le ho creato problemi … però … io, insomma mi sono trovato in grosse difficoltà ho dovuto querelare … quindi mi dispiace per averla fatta venire qui, capisco che è un momento un po’ così ma anche io, insomma ho avuto i miei problemi’… ho detto no, si figuri …”.

  • Ciancimino: “… Si … va bè … (si accavallano le voci) … fai … quello che piglia l’agen… quello che piglia la borsa … ma digli che se la vadano a pigliar… ”
  • Terranova: “… E infatti alla fine che abbiamo discusso, gli ho detto scusi, ma mi toglie una curiosità? … sta agenda rossa dove caspita è finita? …fa “allora non mi crede? … io non me lo ricordo a chi l’ho data la borsa e poi non è detto che ci fosse l’agenda rossa dentro”.
  • Ciancimino: “Si la moglie… che fa è pazza? Dai!! (si riferisce ad Agnese Borsellino, che testimoniò che il marito avesse con sè l’agenda quando partì per via D’Amelio quel giorno, NdA)”.
  • Terranova: “… Non lo so … la moglie … anche il figlio … pure Manfredi aveva detto che c’era l’agenda … bò, non lo so, io oggi (accavallano le voci) …”
  • Ciancimino: “Gli assistenti di Falcone!!! Dai … gli assistenti di Falcone … no, può essere che ancora prima che arrivasse lui qualcun altro l’ha levata, io questo non lo escludo”.
  • Terranova: “… No, lui ha fatto un po’ così … notare una cosa … dice: “Ayala, la prima cosa che ha fatto invece di preoccuparsi se era morto Borsellino mi ha fatto aprire con il piede di porco la blindata che era ovviamente tutta chiusa … (accavallano le voci)”.
  • Ciancimino: “… Allora chi è paraculo campa cent’anni …”
  • Terranova: “… Io ho detto va beh. Ma Ayala dico non è mai stato indagato … e lui fa: ‘Appunto, come mai’.”
  • Ciancimino: “… Ayala … non ricordo … ricordo … chi è paraculo campa cent’anni …”

Durante un’udienza del processo ‘Borsellino QUATER’ l’avvocato di Salvatore Borsellino, Fabio Repici, ha chiesto a Giovanni Arcangioli se conoscesse la giornalista Elvira Terranova e se a lui capitò mai di parlare con lei del processo e dell’agenda rossa. Nella sua risposta Arcangioli sembra confermare l’incontro di cui si parla nella telefonata intercettata:

“Elvira Terranova l’ho conosciuta molto dopo, perché a seguito delle notizie che sono uscite sulla mia persona ho presentato una serie di denunce e credo che la giornalista Elvira Terranova abbia oblato per il reato di pubblicazione di notizie coperte da segreto. Non ricordo di aver parlato della borsa di Borsellino al telefono, l’ho vista al tribunale di Catania quando ha oblato. Mi disse che le mie denunce le avevano provocato dei problemi (…) ed io le dissi che in questo modo dovevo tutelare la mia persona e la mia immagine (…). L’argomento si spostò… le dissi che io poiché ero stato, diciamo così, indagato e imputato perché i miei ricordi erano labili e sicuramente fallaci, e quindi ero stato per false indicazione al PM e poi per furto aggravato mentre lo stesso trattamento non era stato riservato ad altre persone il cui ricordo era altrettanto labile e le cui versioni si erano modificate nel corso degli anni. Feci riferimento in particolare al dottor Ayala”.

Conclusioni

Dopo aver letto queste testimonianze possiamo avere un quadro più chiaro su quelli che sono i dati accertati e sui vuoti di memoria ancora esistenti in merito a ciò che accadde in via D’Amelio il 19 luglio 1992 poco dopo la strage.
Dalle dichiarazioni fornite da Giuseppe Ayala, Giovanni Arcangioli e Rosario Farinella si evince che lo sportello dell’auto del giudice Borsellino fu aperto pochi istanti prima che fosse asportata la borsa del magistrato. Francesco Paolo Maggi, invece, trovò lo sportello già spalancato.
La versione dei fatti che sembra più probabile vede il dottor Ayala e il caposcorta Farinella arrivare tra i primi sul luogo della strage, aprire la macchina del giudice con l’aiuto di un vigile del fuoco, prelevare la borsa ancora integra e consegnarla ad una persona non meglio identificata. 
Qui c’è il primo vuoto: chi è questa persona? Era un ufficiale dei Carabinieri? Se si, era Giovanni Arcangioli? 
La borsa compare successivamente in mano al capitano Arcangioli, che si dirige con essa verso la fine di Via D’Amelio. 
Secondo vuoto: perché Arcangioli si sposta verso l’uscita della via? Cosa fa con la borsa? 
La borsa alla fine ricompare all’interno della macchina del giudice, dove è trovata dall’agente Francesco Maggi che la prende e la porta nella stanza del dirigente Arnaldo La Barbera.
Al momento del prelievo da parte di Maggi, la borsa presenta segni di bruciature. Da quando viene depositata nella stanza di La Barbera, passeranno ben tre mesi e mezzo prima che compaia il primo atto scritto riguardante questa borsa: un verbale di apertura redatto dalla Procura di Caltanissetta.
La ricostruzione cronologica dei passaggi di mano della borsa del giudice Borsellino presenta ancora dei ‘buchi neri’ ed i protagonisti degli eventi hanno fornito, durante le udienze del processo ‘Borsellino QUATER’, ulteriori versioni dei fatti rispetto a quanto dichiarato in precedenza.
Alla luce di queste considerazioni sorge spontanea la domanda: sono in corso nuove indagini sulla sottrazione dell’agenda rossa? L’autorità giudiziaria di Caltanissetta sta procedendo in questa direzione?
Ad oggi sappiamo che l’agenda rossa di Paolo Borsellino sparì nel pomeriggio del 19 luglio 1992, mentre i cadaveri del giudice e dei cinque agenti della sua scorta erano ancora caldi.
I familiari e colleghi di Borsellino ne denunciarono subito la scomparsa e l’importanza ma evidentemente le autorità competenti non ritennero di darle il peso cruciale che realmente aveva. Una telefonata anonima decise nel 2005 di far trovare una foto finita nel dimenticatoio per tredici anni, riaprendo il “caso dell’agenda rossa”.
Quando i ricordi affiorarono nuovamente alla mente di alcune persone, emersero palesi contraddizioni e comodi vuoti di memoria.
Ritardi, mancanze e leggerezze che hanno fatto si che, dopo ventidue anni, l’agenda rossa ed i responsabili del suo trafugamento non siano ancora pervenuti alla giustizia.
“Chissà, forse un uomo delle istituzioni ha in mano l’agenda rossa di Paolo: sono sicura che esiste ancora. Non è andata dispersa nell’inferno di via d’Amelio, ma era nella borsa di mio marito, borsa che è stata recuperata integra, con diverse altre cose dentro. Sono sicura che qualcuno la conserva ancora l’agenda rossa, per acquisire potere e soldi. Quell’uomo che ha trafugato l’agenda rossa sappia che io non gli darò tregua. Nessun italiano deve dargli tregua (Agnese Borsellino)”.   Federica Fabbretti (Paolo Borsellino e l’agenda rossa, 19 luglio 2014, www.19luglio1992.com)


E allora chi ha rubato l´agenda rossa?

 

di GIUSEPPE LO BIANCO Un uomo in borghese con una borsa di cuoio in mano,  l’espressione assorta, la gamba protesa in avanti nell’atto di camminare: la foto a colori e’ nitida, ed e’ un reperto prezioso e raro: e’ la foto di uno dei misteri italiani.
Per intenderci, e’ come se fosse arrivata a noi la foto di un uomo che apre la cassaforte di Dalla Chiesa a Villa Paino la sera del suo omicidio, il 3 settembre del 1982, la foto di chi prese in consegna le carte di Moro dal covo di via Montenevoso dalle mani del colonnello Umberto Bonaventura, restituendone poco piu’ di due terzi, la foto della lettera letta con enfatica suspence dal bandito Giuliano e poi bruciata poco prima di partecipare alla strage di Portella della Ginestra o quella degli appunti informatici di Giovanni Falcone spariti dal suo data bank probabilmente il giorno stesso della strage di Capaci. 
Per la prima volta la storia oscura d’Italia viene illuminata da un fotogramma a colori: ritrae l’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli che si avvia verso la parte terminale di via D’Amelio, al confine con via Autonomia Siciliana, nel pomeriggio di tritolo e fiamme del 19 luglio del 1992.
Con una borsa in mano. La borsa di Paolo Borsellino, che quel pomeriggio lascio’ la sua vita, e con lui i cinque agenti della sua scorta, sull’asfalto rovente di via D’Amelio.
Dentro quella borsa, in quel momento, secondo la Procura di Caltanissetta, c’e’ un’ agenda rossa: gliel’aveva regalata l’Arma dei carabinieri, Borsellino vi annotava tutti i pensieri piu’ nascosti, registrando tutti i fatti, anche i piu’ insignificanti, che aveva vissuto dal 23 maggio precedente, da quando, cioe’, sull’autostrada di Punta Raisi, la mafia e chi se ne serve aveva strappato la vita del suo scudo umano, Giovanni Falcone. 
Alle 17.20 del 19 luglio, venti minuti dopo l’esplosione, un fotografo palermitano, Franco Lannino, scatta un’istantanea destinata probabilmente ad entrare nella storia dei misteri italiani: dentro quella borsa in mano ad Arcangioli, la procura ne e’ certa ( e adesso vedremo perche’) c’e’ l’agenda che il giornalista Marco Travaglio ha definito la “scatola nera della seconda repubblica’’, nata in mezzo al tritolo delle stragi.
Quasi sedici anni dopo quel pomeriggio, il primo aprile del 2008, il giudice per le indagini preliminari Paolo Scotto di Luzio proscioglie il capitano Arcangioli dall’accusa di furto dell’agenda.
Una decisione destinata a chiudere la vicenda giudiziaria (anche se si attende la decisione della Cassazione sul ricorso presentato dalla procura di Caltanissetta) che pone una pietra tombale sulla ricerca della verita’.
Non e’ stato Arcangioli, insomma, a farla sparire. E chi e’ stato, a distanza di tanti anni, difficilmente saltera’ fuori.  
Ma come si e’ arrivati al proscioglimento del colonnello dei carabinieri?
E che cosa e’ accaduto attorno alla Croma blindata di Paolo Borsellino negli attimi immediatamente seguenti l’esplosione mentre il corpo del magistrato giaceva nel cortile interno dello stabile, ai civici 19 e 21 di via D’Amelio, tra l’inferriata e il giardinetto dell’appartamento al pian terreno?
     
Siamo andati a leggere i verbali dell’inchiesta, abbiamo incrociato le dichiarazioni dei testimoni oculari e quella che vi offriamo e’ la ricostruzione, dettagliata e minuziosa, comprese le ritrattazioni, i cambi di versione, i vuoti di memoria (quest’ultimi per la verita’ comprensibili a distanza di 13 anni) di chi e’ stato ascoltato dalla procura perche’ quel pomeriggio era li’, vicino l’auto blindata. A partire dalla presenza dell’agenda dentro la borsa.
La difesa di Arcangioli, infatti,  l’ha messa in dubbio: perche’ escludere che Borsellino, sceso dall’auto per citofonare alla madre, l’abbia portata con se’?
In questo caso, evidentemente, dell’agenda non sarebbe restata alcuna traccia.
Ma sia la procura che la parte civile l’hanno esclusa con un argomento difficilmente contestabile: da Villagrazia di Carini a via D’Amelio Borsellino ha guidato la sua Croma blindata ed e’ impossibile che abbia avuto modo di consultare l’agenda. Che e’ rimasta, appunto, dentro la borsa. 

I TESTIMONI. Sono tre, oltre, naturalmente, Arcangioli: l’ex magistrato ed ex parlamentare Giuseppe Ayala, il giornalista Felice Cavallaro, il carabiniere di scorta ad Ayala Rosario Farinella.
Arcangioli viene interrogato una prima volta il 5 maggio del 2005 e ammette subito (non poteva fare altrimenti) di avere preso la borsa. L’ha fatto, rivela, su richiesta di uno dei due magistrati che aveva incontrato sul luogo della strage,  Giuseppe Ayala e Vittorio Teresi che lo avrebbero informato dell’esistenza di un’agenda tenuta da Borsellino. Sul posto Arcangioli incontra anche Alberto Di Pisa, magistrato di turno.
Non solo: una volta presa la borsa, uno dei due magistrati l’apri’ e ‘’constatammo che all’interno non c’era alcuna agenda, ma soltanto dei fogli di carta’’.
Su richiesta di uno dei due magistrati, infine, Arcangioli ricorda di avere incaricato uno dei suoi collaboratori a depositare la borsa nell’auto di servizio ‘di uno dei due magistrati’’.

‘Ma su quest’ultimo punto non e’ certo: si tratta di un ricordo molto labile e potrei essere impreciso’’, non sa ‘’se poi veramente cio’ e’ avvenuto in tali termini’’.
Ma non e’ soltanto quest’ultimo ricordo ad apparire confuso: Vittorio Teresi dira’ di essere arrivato in via D’Amelio un’ora e mezzo dopo, Alberto Di Pisa, che non era magistrato di turno, in via D’Amelio non e’ mai venuto.
Entrambi  minacciano querele nei confronti di chi li chiama in causa.
Per verificare i ricordi di Arcangioli, che spiega con l’irrilevanza del contenuto della borsa la sua decisione di non redigere una relazione di servizio, la procura interroga dunque Giuseppe Ayala.
O, meglio, lo reinterroga, visto che lo aveva gia’ sentito l’8 aprile del 1998, nell’ambito di un filone di indagine sui mandanti occulti della strage. Ed in quella occasione l’ex magistrato aveva offerto la sua prima versione dei fatti:  arrivato dopo 10-15 min dall’esplosione in via D’Amelio (abitava a 150 metri, al residence Marbella) Ayala, dopo avere constatato che era Paolo Borsellino l’obbiettivo dell’attentato, aveva visto un carabiniere in divisa aprire lo sportello posteriore della Croma e prendere una borsa con tracce di bruciacchiatura. L’ufficiale gliela vuole consegnare ma lui non e’ piu’ un magistrato in servizio e quindi non puo’ riceverla,  e lo invita a trattenerla per consegnarla poi ai magistrati.
In sua presenza, precisa, quella borsa non e’ mai stata aperta. E che fine abbia fatto non lo sa, poiche’ si e’ disinteressato della vicenda. La sua versione cambia il 13 settembre, dopo l’interrogatorio di Arcangioli.
Non c’e’ piu’ un carabiniere che apre lo sportello posteriore sinistro, ma l’ex magistrato ricorda di averlo visto aperto, e di avere preso egli stesso la borsa bruciacchiata poggiata sul sedile posteriore e di averla affidata ad un ufficiale dei cc in divisa ‘’meno giovane di Arcangioli’’.
Anche in  questo caso Ayala ribadisce di non avere mai aperto la borsa per verificarne il contenuto.
Ma le due versioni sono in contrasto e la procura chiama a deporre Ayala una terza volta.
E in quest’occasione l’ex magistrato si fa aiutare nel ricordo da un giornalista presente sul luogo della strage, l’inviato del Corriere della Sera Felice Cavallaro.

In quest’ultima versione, confermata dal giornalista, Ayala vede prelevare da una persona in borghese (e’ certo che non fosse in divisa) la borsa dallo sportello posteriore sinistro e gliela consegna. Lui, magistrato non in servizio, non puo’ tenerla e la gira ad un ufficiale dei cc in divisa.
‘’Il tutto dura 30 secondi, forse 1 minuto’’, ripete Ayala. La sua versione continua a restare incompatibile con quella di Arcangioli e la procura, quello stesso giorno, mette i due a confronto.
Arcangioli pero’ aggiunge qualche dettaglio: ‘’per esortazione di qualcuno che non ricordo (credo fosse Ayala) ho preso la borsa dal pianale post sinistro sono andato nel lato opposto di via D’Amelio, ho aperto la borsa, non c’era nulla di interessante, e ho rimesso (o fatto rimettere) la borsa nel sedile posteriore.
Il tutto alla presenza di Ayala. C’era anche un ufficiale cc?
Non ricordo’’. E Ayala infine ribadisce: ‘’non conoscevo Arcangioli e oggi lo vedo per la prima volta’’.
Dal contrasto di queste due versioni, e dagli altri elementi acquisiti, il quadro finora certo e’ il seguente:
1) Arcangioli e Ayala si occupano della borsa di Borsellino nei minuti immediatamente seguenti l’esplosione.
2)  Nella borsa, nonostante le parole di Arcangioli, e’ molto probabile che ci fosse ancora l’agenda rossa (lo dichiara la vedova di Paolo Borsellino che vede il marito con l’agenda in mano a Villagrazia di Carini). 
3)  La borsa, nonostante le assicurazioni ricevute da Ayala, ricompare, come dice Arcangioli, nel sedile posteriore della Croma un’ora e mezzo dopo, senza l’agenda.
Ma sulla scena irrompe anche un quarto testimone. E’ Rosario Farinella, carabiniere di scorta ad Ayala, che offre una nuova, per certi versi inedita, versione: interrogato il 2 marzo 2006, Farinella ricorda di essere arrivato in va D’Amelio insieme ad  Ayala e di avere visto la Croma ‘’avvolta dalle fiamme’’,  un vigile del fuoco le sta spegnendo, le portiere tutte chiuse ma non a chiave’’. A questo punto ‘’Ayala nota una borsa sul sedile posteriore, con l’aiuto del vigile abbiamo aperto lo sportello (operazione non semplice), io ho preso la borsa e volevo darla ad Ayala, ma lui mi disse che non poteva prenderla.  Aggiunse di tenerla per qualche minuto, cosi’ mi allontanai dall’auto con la borsa verso il cratere creato dall’esplosione, e dopo 5/7 min Ayala chiamo’ un uomo in abiti civili ufficiale o funzionario di polizia, gli spiego’ che era la borsa di Borsellino.
Lui disse che si sarebbe occupato della cosa e gli consegnai la borsa.
Ricordo che appena presa la borsa lo stesso si e’ allontanato dirigendosi verso l’uscita della via D’Amelio, ma non ho visto dove e’ andato a metterla. Peraltro io me ne sono disinteressato…’’.
Era Arcangioli, chiedono i magistrati mostrandogli la foto? ‘’Non sono in grado di riconoscere la persona che mi mostrate, non ricordo pero’ che avesse una placca metallica di riconoscimento (come quella di Arcangioli, ndr). Di questo particolare ritengo che mi ricorderei…’’.
Il racconto di Farinella spiega anche un dettaglio, uno dei tanti, sul quale Ayala e Arcangioli non sono d’accordo: secondo il primo la borsa presentava qualche bruciacchiatura, per il secondo, invece, era perfettamente integra. L’iniziale forzatura degli sportelli descritta da Farinella (e non ricordata da Ayala) spiega perche’ la borsa, protetta dentro l’auto chiusa, non prese fuoco e, quindi, si presentava integra, cosi’ come appare nella foto in cui e’ in mano ad Arcangioli. Se successivamente, quando fu ritrovata dalla Polizia era un po’ bruciata cio’ e’ dovuto ad un ritorno di fiamma descritto da un vigile del fuoco che si premuro’ di bagnare l’interno dell’auto e quindi la borsa con un idrante avvertendo la polizia.
In conclusione:

1) Ripreso dall’obiettivo di un fotografo Arcangioli si dirige con la borsa in mano verso la fine della via D’Amelio (e non sul lato opposto al portone della sorella di Borsellino, dove lo stesso ufficiale ha detto di essersi diretto)
2) In quella borsa, in quel momento, c’e’ l’agenda rossa
3) La borsa viene ritrovata sul sedile posteriore della Croma un’ora e mezzo dopo senza  l’agenda
4) Dove ha portato quella borsa? Arcangioli dice di averla aperta alla presenza di Ayala (che smentisce), di non aver trovato nulla, e di averla rimessa a posto. Ma quando il colonnello Domenico Bonavita della Dia di Caltanissetta gli chiede: ‘’ricorda se consegno’ per brevi istanti la borsa del dottore Borsellino a suoi colleghi o superiori gerarchici presenti sul luogo ovvero ad altri investigatori? Arcangioli risponde: ‘non ricordo, pertanto non posso affermare ne’ escludere che un tale fatto sia avvenuto. Comunque posso dire che se uno dei colleghi del Ros o di altro reparto mi avesse chiesto di visionare il contenuto della borsa non avrei avuto motivo di rigettare tale sua richiesta’’.
Dubbi e interrogativi che avrebbero potuto essere approfonditi nel corso di un dibattimento. Il giudice di Caltanissetta ha pero’ ritenuto diversamente, chiudendo la vicenda. E il mistero e’ destinato a restare tale.

(Articolo tratto dal numero zero 2008 di PIZZOFREE PRESS per gentile concessione dell´autore)


25.1.2023 L’agenda rossa Borsellino: cos’è e perché è importante

 

L’agenda rossa di Paolo borsellino è un mistero irrisolto, ma con moltissime chiavi di lettura. È tornato a parlarne Salvatore Baiardodurante una puntata di Non è l’Arena. Lex uomo di fiducia della mafia infatti ha dichiarato di aver visto – non letteralmente, ma di sapere degli spostamenti- il passaggio di mano dell’agenda rossa di Borsellino.
Secondo Baiardo chi aveva l’agenda deteneva il potere.
L’agenda rossa rappresenta ancora oggi un buco nero di informazioni che Paolo Borsellino aveva raccolto dalla morte del collega Giovanni Falcone fino al giorno del suo omicidio. Secondo la testimonianza della figlia Lucia, l’agenda rossa si trovava all’interno della borsa di cuoio che Borsellino aveva preparato quella mattina.
La sua testimonianza, così come altre prove confutarono l’ipotesi che l’agenda non si trovasse nella borsa del magistrato o che si trovasse sul sedile dell’auto e per questo fosse andata distrutta.  
Cosa c’era all’interno dell’agenda rossa è un mistero, anche se nel corso del tempo è stato chiarito che l’agenda rossa accompagnasse sempre e ovunque Paolo Borsellino durante gli incontri e gli interrogatori più importanti.
C’è chi sospetta che all’interno ci fosse il chiaro collegamento tra i servizi segreti e le stragi di mafia e c’è chi crede che ci fossero dei nomi in grado di far barcollare lo Stato.
Secondo i giudici di Caltanissetta ci fu un evidente collegamento tra il depistaggio delle indagini e l’occultamento dell’agenda rossadi Paolo Borsellino e questo collegamento venne indicato in Arnaldo La Barbera.  
L’agenda rossa di Borsellino è quindi ancora oggi un oggetto capace di far tremare lo Stato.
L’agenda rossa di Paolo Borsellino non è soltanto un’agenda ricca di appunti. Se fosse stata simile all’agenda grigia o alle altre agende che il magistrato possedeva non sarebbe scomparsa.
Paolo Borsellino ne ricordi della figlia Lucia era un uomo meticoloso e che aveva un’agenda marrone per i numeri, una grigia per gli appuntamenti e le spese e poi l’agenda rossa.
Ci sono diverse testimonianze dei suoi collaboratori e della sua famiglia che raccontano della presenza costante dell’agenda rossa in mano a Paolo Borsellino dalla morte del collega Giovanni Falcone. Era come se l’agenda rossa contenesse gli appunti di un’indagine parallela, ma non di certo scollegata, sull’omicidio di Falcone e le stragi di mafia.
L’agenda rossa era quindi più di un insieme di appunti, forse di collegamenti di nomi e fatti che secondo le ipotesi più comuni potevano far crollare lo Stato. Lo stesso Baiardo lo ha ricordato in televisione a Non è l’Arena, quasi come un monito, ripetendo quanto già in molti sospettavano e sospettano tuttora: chi aveva l’agenda rossa o le sue fotocopie deteneva il potere. Giorgia Bonamoneta MONEY


Chi ha preso l’agenda rossa? Il lungo passaggio di mani e potere

 

L’agenda rossa scomparve in seguito all’esplosione di via d’Amelio. Il 19 luglio 1992 ci fu un attentato terroristico-mafioso che coinvolse Paolo Borsellino e cinque agente della scorta. In quell’occasione Borsellino aveva con sé l’agenda rossa. Lucia Borsellino ne è convinta, come è convinta del viavai nella zona dell’esplosione.
L’unica trattenuta, forse per tentare di nasconderle il corpo del padre, fu proprio lei.
In quell’occasione, grazie a una foto scattata da un giornalista, venne notato l’allontanamento di un capitano dei carabinieri, tale Giovanni Arcangioli, con in mano la borsa di Borsellino.
Questa tornò al proprio posto, senza essere aperta se non di fronte alla famiglia. Nel frattempo in quante mani era passata a borsa e quindi l’agenda?
Sappiamo però che Lucia Borsellino chiesa dell’agenda rossa ad Arnaldo La Barbera.
L’atteggiamento del poliziotto venne definito aggressivo dagli stessi giudici di Caltanissetta che nel merito confermarono:
[La Barbera ebbe un] ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa.
La Barbera proseguì la propria carriera, toccando luoghi ed eventi altrettanto importanti per la storia del nostro Paese come quello dell’irruzione alla scuola Diaz durante il G8 di Genova, decidendone l’assalto.

L’agenda rossa andava occultata?

Chi aveva paura dell’agenda rossa? Non a caso gli eventi intorno all’occultamento del furto dell’agenda rossa e il depistaggio delle indagini del caso della strage di via d’Amelio sono un buco nero.
È difficile dare una risposta perché potrebbero essere davvero molti nomi che l’agenda faceva.
Forse l’agenda rossa avrebbe potuto rispondere in maniera chiara a chi c’era davvero dietro la morte di Giovanni Falcone e gli altri presi di mira da Cosa Nostra.
Nelle pagine dell’agenda rossa potevano esserci i nomi dei “mandanti occulti” delle stragi.
Nella lunga storia dei processi del caso Borsellino vennero fatti nomi anche di membri della struttura occulta della Gladio come Silvio Berlusconi.
Una delle tante ipotesi è che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino fossero stati messi a tacere proprio dall’organizzazione Gladio, così come dalla CIA o da un connubio di forze al di sopra dello Stato.
Una cosa è certa: l’agenda rossa non trattava solo di mafia, ma anche dei legami potenti che questa aveva. Resterà un mistero irrisolto fino a quando qualcuno non parlerà o l’agenda non emergerà dal buco nero nel quale è stata nascosta.


  20.5.2013 – ”L’agenda rossa 

 

Scriveva tutto: dopo la morte di Falcone comincio’ a usarla sempre piu’ spesso”. E’ la testimonianza di Diego Cavaliero, ex pm a Marsala quando Borsellino era procuratore capo, molto vicino al magistrato ucciso in via D’Amelio il 19 luglio del 1992.  Cavaliero ha deposto davanti alla corte d’assise di Caltanissetta che celebra il quarto processo sulla strage.
Il testimone ha ricordato il particolare modo di prendere appunti di Borsellino. ”Usava dei simboli – ha detto –Ad esempio, quando andava a trovare la madre disegnava una chiocciola”.  
Infine Cavaliero ha riferito di avere appreso dalla vedova del giudice una confidenza ricevuta dal marito prima della sua morte e che riguardava l’ex capo del Ros Antonio Subranni. ”Paolo le avrebbe detto – ha raccontato – che Subranni era punciuto (affiliato alla mafia, ndr)”

La borsa di Borsellino – Parlando delle modalità con cui ricevette la borsa di Borsellino, al cui interno ha dichiarato di non aver mai saputo che poteva esserci l’agenda rossa, in mano ha aggiunto: “Non ricordo come la borsa sia arrivata nelle mie mani. Mi trovo con questa borsa di Paolo in mano.
Non so che farne, sono confuso. In uno stato di agitazione trovo due ufficiali dei carabinieri e la consegno agli ufficiali. Cosa che rifarei. Poi me ne vado.
Accanto a me c’era il giornalista Felice Cavallaro il quale insiste e mi dice, ‘Ah Giuseppe meno male che sei vivo. 
Palermo è piena della voce che l’attentato l’hanno fatto a te. Vai subito dai tuoi figli. E io me ne vado. Mi ritrovo con quella borsa in mano forse per meno di un minuto”.
Ayala dunque ha raccontato di essere tornato a casa per tranquillizzare i suoi figli. Proprio le tempistiche sulla sua presenza in via d’Amelio restano poco chiare. Giovedì, come al Borsellino quater, ha sostenuto di essere stato sul luogo della strage per pochi minuti. Eppure nel primo verbale del 1998 aveva dichiarato di essere stato presente per circa un’ora mentre nel verbale del settembre del 2005 aveva asserito di “di essere rimasto in via d’Amelio per non più di 20 minuti”.
Alla domanda del procuratore Bertone che gli ha chiesto il motivo per cui non ha telefonato a casa per tranquillizzare i figli, Ayala ha replicato dicendo che non aveva telefono.
Ma il procuratore capo di Caltanissetta ha incalzato evidenziando come vi siano immagini delle televisioni dove lo stesso Ayala è inquadrato mentre telefona.
“Io vorrei vedere queste immagini. Faccio fatica a credere che ci siano” ha risposto il teste.
Anche l’avvocato Repici ha evidenziato delle anomalie rispetto a quell’azione in primo luogo perché, secondo quanto affermato dallo stesso ex pm, immediatamente dopo lo scoppio della bomba si sarebbe visto con la moglie che era appena uscita di casa (“Forse ci scambiammo uno sguardo”), poi perché il giornalista Cavallaro si sentì al telefono con la stessa donna (“Lei oggi dice che lui arrivò dicendole ‘meno male che sei vivo’. Ma se ha già sentito sua moglie che sapeva che era vivo non è tanto normale che esordisca in quel modo” ha sottolineato il legale). 

Rispetto alle precedenti dichiarazioni l’ex parlamentare del Pri è stato meno certo rispetto al dato se avesse visto o meno la borsa all’interno della macchina di Borsellino “Ci metto un forse davanti.
Forse sì ma non ne sono sicuro” ha dichiarato giovedì.
Diversamente al Borsellino quater, sentito il 14 maggio 2013 aveva dichiarato con più sicurezza: “tornai verso la macchina e notai lo sportello posteriore sinistro aperto. Appoggiata sui sedili, più verso il lato del guidatore, notammo la valigetta”.
Mentre in un verbale precedente aveva indicato la presenza della borsa in un’altra posizione (“Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiatura e tuttavia integra”).
Quando l’avvocato Repici ha chiesto se sapesse se la borsa la prese dalla macchina o se la prese qualcuno per dargliela Ayala ha sbottato: “Confermo che quella borsa è arrivata nella mia mano, confermo che l’ho consegnata all’ufficiale dei Carabinieri, visto il momento non ricordo come è arrivata nella mia mano. Sarà una colpa gravissima di cui risponderò davanti a Dio. Se non me lo ricordo cosa vuole?”.

Per chi è credente la giustizia di Dio non è qualcosa di astratto così come, per chi è laico, non lo è neanche la giustizia degli uomini, e Ayala avrà il suo bel da far per dare risposte che vadino oltre al “non ricordo” e le “versioni discordanti”.
Il nervosismo del teste si è manifestato in tutto il corso della deposizione.
“Non so quante volte sono stato sentito in questa vicenda. Avanzare dubbi con una forma ossessiva è una cosa che mi crea disagi” ha aggiunto Ayala riferendosi sia a Salvatore Borsellino che alla figlia del giudice, Fiammetta, più volte dicendo di non ricordare alcune circostanze perché sono passati 27 anni dai fatti.Ayala ha anche preso le distanze rispetto a quanto dichiarato da un uomo della sua scorta, Farinella, che ai giudici disse che Ayala sapeva che in via d’Amelio abitava la madre di Borsellino. “E’ del tutto inventato.
Ho un cattivo ricordo, non voglio essere offensivo – ha detto giovedì il teste – Io non avevo idea che lì vi abitasse la madre di Paolo Borsellino.
Che non lo sapevo è una certezza. Devo dire che di questo caposcorta, deve essere lui che ha detto della consegna della borsa ad un uomo in borghese, mi è venuta una curiosità.
Bisognerebbe controllare se questa dichiarazione è stata fatta prima o dopo l’arrivo del filmato che ritrae un ufficiale dei Carabinieri (Arcangioli, ndr) che la porta via. Perché se è antecedente mi fa pensare ad una possibile copertura. Verifichiamo le date. Coperture di cosa?
Mi dicono che c’erano uomini di servizi segreti.
Felice Cavallaro, firma storica del Corriere della Sera, conferma la consegna ad un ufficiale dei Carabinieri, non ad un uomo in borghese.
Siamo due a uno calcisticamente parlando”.
Dunque Ayala ha totalmente escluso di aver consegnato la borsa ad Arcangioli, affermando che le immagini in cui lo stesso è ritratto con la valigetta in mano sono sicuramente successive alla sua presenza in via d’Amelio. E rispetto all’accusa mossa in passato dal colonnello dei carabinieri che riferì della presenza dell’ex pm al momento della verifica del contenuto della borsa ha parlato di “terrapiattismo”.
Le immagini di via d’Amelio.
Altro momento di scontro c’è stato quando l’avvocato Repici ha ritenuto di mostrare alcune immagini della strage di via d’Amelio, acquisite agli atti, dopo aver fatto un lungo elenco di nomi di figure che sono state identificate nel luogo dell’attentato, tra cui il maggiore dei carabinieri Borghini, che era in divisa.
Una visione che Ayala, preventivamente e ingiustificatamente, vorrebbe evitare affermando di “escludere che dopo 27 anni posso riconoscere da una fotografia quelli che ho visto per pochi secondi in quel momento. E sono sicuro che anche lei non ci riuscirebbe.
Quindi non perdiamo tempo”.
Vedendo le immagini Ayala ha riconosciuto Mazzamuto, un collega magistrato con cui non aveva avuto alcun tipo di rapporto, e il Prefetto Iovine.
Divrsamente non ha riconosciuto l’unico uomo in divisa dei Carabinieri, appunto Borghini, successore di Mori al Ros. “Non lo ricordo. Mori lascia Palermo nel 1990. E io nell’ultima parte della mia carriera a Palermo mi sono occupato di furti Enel, questo chi lo doveva vedere?”.
Ayala ha anche riconosciuto se stesso in un fotogramma ed è rimasto incredulo rispetto all’assenza di Cavallaro nelle immagini ribadendo, comunque, di essersene andato dal luogo del delitto dopo pochi minuti.

 

 

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