Interviste e interventi di Paolo Borsellino

BORSELLINO RETTANGOLARE

 
BORSELLINO RETTANGOLARE

 

 

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«Confesso che non ho avuto molto tempo per riflettere come avrei voluto. Quanto è accaduto mi ha toccato personalmente. Conoscevo Giovanni da quando avevamo i pantaloni corti.   Siamo entrati insieme in magistratura. Per tutta la vita, o quasi, abbiamo lavorato gomito a gomito. Conoscevo sua moglie, Francesca, che era ancora una ragazzina. Ho imparato a fare il magistrato nell’ufficio del padre e ricordo che, insieme, dopo il lavoro, l’andavamo a prendere a scuola. È comprensibile quindi se, più che una riflessione, io mi limiti dopo due soli giorni a fare un ragionamento elementare basato sulle poche cose che so. Purtroppo la Procura di Palermo non è titolare delle indagini. Dico “purtroppo” perché se avessi avuto io la possibilità di seguire questa indagine avrei trovato un lenimento al mio dolore. Quando si è verificato il primo omicidio che mi ha coinvolto emotivamente – l’omicidio del capitano Emanuele Basile – sono riuscito, facendo il mio dovere di magistrato, a superare la paura enorme e a spezzare il blocco emotivo. Per indagare sulla morte di Giovanni ho sollecitato la mia “applicazione” a Caltanissetta, ma mi hanno ricordato che in quella città non c’è la funzione di Procuratore Aggiunto. In ogni caso andrò a Caltanissetta».
Con quale scopo? «Ci andrò come testimone. Per raccontare piccole cose che possono aiutare l’inchiesta».
A proporre un ragionamento? «No. I ragionamenti non fanno parte di una testimonianza. Possono essere il retroterra di una testimonianza, possono essere materiale per un’intervista. Al Procuratore Celesti riferirò fatti, episodi e circostanze. Gli racconterò gli ultimi colloqui avuti con Giovanni».
Ritorniamo alla prima, approssimativa riflessione che lei ha fatto sul delitto.
«Io sono riuscito finora soltanto a fare un ragionamento essenziale in merito a tre questioni. Perché hanno ucciso Giovanni; perché lo hanno ucciso ora; perché lo hanno ucciso a Palermo». da “La Repubblica” del 27 maggio 1992, di Giuseppe D’Avanzo


PAOLO BORSELLINO: “LA CERTEZZA CHE TUTTO QUESTO PUÒ COSTARCI CARO” 

L’ultima intervista televisiva Paolo Borsellino la concesse a Lamberto Sposini, per il tg5, venti giorni prima di morire nella strage di via D’Amelio (19/7/1992) insieme con i cinque poliziotti della sua scorta. “Terra”, settimanale di approfondimento del tg5, la ha riproposta il 24 marzo 2001.  le due Le ultime  due risposte sono particolarmente significative

Dopo la morte di Falcone come è cambiata la vita di Borsellino?  (lungo sospiro) La mia vita è cambiata innanzitutto perché….dalla morte….di questo mio vecchio amico e compagno di lavoro è chiaro che io sono rimasto particolarmente scosso e sono ancora impegnato, ad un mese di distanza, a recuperare e, vorrei dire, tutte le mie possibilità operative sulle quali il dolore ha inciso in modo enorme. E’ cambiata anche perché sia per la morte di Falcone, sia per taluni altri fatti, mi riferisco alle dichiarazioni ormai pubbliche di quel collaboratore che ha parlato e ha detto di essere stato incaricato di uccidermi e la notizia è arrivata alla stampa in concomitanza con la notizia della strage di Capaci.  Le mie condizioni…., sono state estremamente appesantite le misure di protezione nei miei confronti e nei confronti dei miei familiari. E’ chiaro che in questo momento io ho visto completamente, quasi del tutto, anzi, vorrei dire del tutto, pressoché abolita la mia vita privata. Ho temuto nell’immediatezza della morte di Falcone una drastica perdita di entusiasmo nel lavoro che faccio. Fortunatamente, se non dico di averlo ritrovato, ho almeno ritrovato la rabbia per continuarlo a fare.
Posso chiederle se lei si sente un sopravvissuto?  Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninnì Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo. Mi disse: “Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano”.
La…. l’espressione di Ninnì Cassarà io potrei anche ripeterla ora, ma vorrei poterla ripetere in un modo più ottimistico. Io accetto, ho sempre accettato più che il rischio, la condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli.
La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in….in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare e….dalla sensazione che o financo, vorrei dire, dalla certezza che tutto questo può costarci caro.


Il 21 maggio 1992, due mesi prima della Strage di Via d’Amelio, i giornalisti di Canal+ Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi intervistano Paolo Borsellino. 

 

Dunque incominciamo. Lei si è occupato di questo maxiprocesso di Palermo, cos’ha fatto signor Giudice in questo maxiprocesso di Palermo? Mah, io ero uno dei giudici istruttori. Inizialmente eravamo quattro che abbiamo raccolto le dichiarazioni di tutti i collaboratori che sono stati utilizzati in questo processo. Buscetta principalmente, ma anche tanti altri collaboratori minori che hanno dato un apporto dal punto di vista giudiziario, strettamente giudiziario, non meno consistente di quello di Buscetta. E poi ho redatto nell’estate dell’85, ho redatto il provvedimento conclusivo del processo che va come ordinanza, maxi ordinanza, sulla base della quale si è svolto poi il giudizio di primo grado

Conosce bene gli imputati? Beh, pressoché tutti gli imputati.
Quanti sono? Beh, gli imputati del Maxiprocesso erano circa 800. Ne furono rinviati a giudizio 475.
Tra questi 475 ce n’è uno che ci interessa, è un tale Vittorio Mangano. Lei lo conosce? Ha avuto a che fare con lui? Si, Vittorio Mangano l’ho conosciuto anche in periodo antecedente al maxiprocesso, precisamente negli anni tra il ’75 e l’80, ricordo di aver istruito un procedimento che riguardava una delle estorsioni fatte a carico di talune cliniche private palermitane.

Borsellino al telefono: “Ah pronto, pronto, pronto… se possiamo sospendere un istante. Pronto Nino, senti volevo sapere com’è andata stamattina… si… si…”

Tra queste centinaia d’imputati ce n’è uno che ci interessa, è un tale Vittorio Mangano. Lei l’ha conosciuto? Sì, Vittorio Mangano l’ho conosciuto in epoca addirittura antecedente al maxiprocesso perché fra il ’74 e il ’75 Vittorio Mangano restò coinvolto in un’altra indagine che riguardava talune estorsioni fatte in danno di talune cliniche private che presentavano una caratteristica particolare: ai titolari di queste erano inviati dei cartoni con all’interno una testa di cane mozzata. L’indagine fu particolarmente fortunata perché attraverso la marca dei cartoni e attraverso dei numeri che sui cartoni usava mettere la casa produttrice, si poté rapidamente individuare chi li aveva acquistati e attraverso un’ispezione fatta in un giardino di una salumeria, un negozio di vendita di salumi, che risultava avere acquistato questi cartoni si scoprirono all’interno sepolti in questo giardino i cani con la testa mozzata. Vittorio Mangano restò coinvolto in questa inchiesta perché venne accertata la sua presenza in quel periodo come ospite o qualcosa del genere… Ora i miei ricordi sono un po’ affievoliti, di questa famiglia, credo che si chiamasse Guddo che era stata l’autrice materiale delle estorsioni. Fu processato, non ricordo quale sia stato l’esito del procedimento, però fu questo il primo incontro processuale che io ebbi con Vittorio Mangano, che poi ho ritrovato nel maxiprocesso perché Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come uomo d’onore appartenente a Cosa Nostra.
Uomo d’onore di che famiglia? Uomo d’onore della famiglia di Pippo Calò, cioè di quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia della quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò che Vittorio Mangano (ma questo già risultava dal procedimento precedente che avevo istruito io e risultava altresì da un procedimento, cosiddetto procedimento Spatola, che Falcone aveva istruito negli anni immediatamente precedenti al maxiprocesso), che Vittorio Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città da dove, come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale del traffico di droga, di traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane.
E questo Mangano Vittorio faceva il traffico di droga a Milano? Il Mangano… Vittorio Mangano, se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie più importanti, risulta l’interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo, nel corso della quale lui conversando con un altro personaggio delle famiglie mafiose palermitane preannuncia, o tratta, l’arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come magliette o cavalli. Mangano è stato poi sottoposto al processo dibattimentale ed è stato condannato proprio per questo traffico di droga. Credo che non venne condannato per associazione mafiosa, bensì per associazione semplice. Riportò in primo grado una pena di tredici anni e quattro mesi di reclusione.
In che anno era? In che anno riportò questa condanna? Riportò questa condanna in primo grado nel millenovecento… all’inizio del 1988. Ne aveva già scontato un buon numero di questa condanna e in appello, per le notizie che io ho, la pena è stata sensibilmente ridotta.
Dunque quando Mangano al telefono parlava di droga diceva cavalli? Diceva cavalli e diceva magliette talvolta.
Perché se ricordo bene nell’inchiesta della San Valentino un’intercettazione tra lui e Marcello Dell’Utri in cui si parla di cavalli… Si, e comunque non è la prima volta che viene utilizzata. Probabilmente non so se si tratti della stessa intercettazione, se mi consente di consultare… No, questa intercettazione in cui si parla di cavalli è un’intercettazione che avviene tra lui e uno della famiglia degli Inzerillo.
Ma ce n’è un’altra nella San Valentino con lui e Dell’Utri. Si, il processo di San Valentino, sebbene io l’abbia gestito per qualche mese poiché mi fu assegnato a Palermo allorché i giudici romani si dichiararono incompetenti e lo trasmisero a Palermo. Io mi limitai a sollevare a mia volta un conflitto di competenza davanti alla Cassazione. Conflitto di competenza che fu accolto, quindi il processo ritornò a Roma o a Milano, in questo momento non ricordo. Conseguentemente non è un processo che io conosca bene in tutti i suoi dettagli perché appunto non l’ho istruito, mi sono dichiarato incompetente.
Comunque lei, in quanto esperto, lei può dire che quando Mangano parla di cavalli al telefono vuol dire droga? Si, tra l’altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga è una tesi che fu asseverata nella nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta a dibattimento. Tant’è che Mangano fu condannato al dibattimento del maxiprocesso per traffico di droga… Fu condannato esattamente a 13 anni e 4 mesi di reclusione più 70 mila lire… 70 milioni di multa. E la sentenza di corte d’appello confermò questa decisione del primo grado sebbene, da quanto io rilevo dalle carte, vi sia stata una sensibile riduzione della pena.
E Dell’Utri non c’entra in queste schede? Dell’Utri non è stato imputato del maxiprocesso per quanto io ne ricordi. So che esistono indagini che lo riguardano e che riguardano insieme Mangano.
A Palermo? Si, credo che ci sia un’ indagine che attualmente è a Palermo, con il vecchio rito processuale, nelle mani del giudice istruttore, ma non ne conosco i particolari.
Dell’Utri, Marcello Dell’Utri o Alberto Dell’Utri? Non ne conosco i particolari, potrei consultare avendo preso qualche appunto… cioè si parla di Dell’Utri Marcello e Alberto, entrambi.
Quelli della Publitalia insomma? Si
E tornando a Mangano… la connessione tra Mangano e Dell’Utri? Si tratta di atti processuali dei quali non mi sono personalmente occupato, quindi sui quali non potrei riferire nulla con cognizione di causa. Posso ulteriormente riferire che successivamente al maxiprocesso, o almeno all’istruzione del maxiprocesso, di questo Vittorio Mangano parlò pure Calderone che ribadì la sua posizione di uomo d’onore e parlò pure di un incontro con Mangano avuto da Calderone, credo nella villa di… nella tenuta agricola di Michele Greco. Insieme dove lo conobbe mentre si era ivi recato dopo aver compiuto un omicidio, almeno questo lo dice Calderone, assieme a Rosario Riccobono. Dello stesso Mangano ha parlato anche a lungo un pentito minore che è recentemente deceduto, un certo Calzetta, il quale ha parlato dei rapporti fra quel suddetto Mangano e una famiglia del Corso dei Mille, la famiglia Zancla i cui esponenti furono sottoposti a processo… erano tutti imputati nel maxiprocesso.
La prima volta che l’ha visto quando era? La prima volta che l’ho visto…l’ho visto, anche se fisicamente non lo ricordo, l’ho visto fra il ’70 ed il ’75.
Per l’interrogatorio? Per l’interrogatorio, si.
E dopo è stato arrestato? Fu arrestato fra il ’70 ed il ’75. Fisicamente non ricordo il momento in cui lo vidi nel corso del maxiprocesso perché non ricordo neanche di averlo interrogato personalmente io. Comunque si tratta di ricordi che cominciano ad essere un po’ sbiaditi in considerazione del fatto che sono passati abbondantemente dieci anni, quasi dieci anni.
A Palermo? Si. Si, a Palermo. La prima volta sicuramente a Palermo.
Quando? Fra il ’70 ed il ’75 e dopo… cioè fra il ’75 e l’80. Probabilmente sarà stato a metà strada fra il ’75 e l’80.
Ma lui viveva già a Milano? Beh, lui sicuramente era dimorante a Milano anche se risultò… lui stesso affermava di avere…di spostarsi frequentemente fra Milano e Palermo.
E si sa cosa faceva… lei sa cosa faceva a Milano? A Milano credo che lui dichiarò di gestire un’agenzia ippica o qualcosa del genere. E comunque che avesse questa passione di cavalli risulta effettivamente la verità perché anche nel processo questo delle estorsioni di cui ho parlato, non ricordo a che proposito, venivano fuori dei cavalli effettivamente cavalli, non cavalli come parola che mascherava il traffico di stupefacenti.
Si, ma quella conversazione con Dell’Utri poteva anche trattarsi di cavalli? Beh, nella conversazione inserita nel maxiprocesso, se non piglio errore, si parla di cavalli che devono essere mandati in un albergo… Quindi non credo che potesse trattarsi effettivamente di cavalli. Se qualcuno mi deve recapitare due cavalli me li recapita all’ippodromo o comunque al maneggio, non certamente dentro l’albergo.
In un albergo dove? Ho vaghi ricordi, ma probabilmente si tratta del Plaza o di qualcosa del genere, si.
Di che città? Di Milano.
Ah, per di più! Si.
E a Milano non ha altre precisioni sulla sua vita, su che cosa faceva? Guardi se avessi possibilità di consultare gli atti del procedimento molti ricordi mi riaffiorerebbero, ma ripeto si tratta di ricordi ormai un po’ sbiaditi dal tempo.
Si è detto che ha lavorato per Berlusconi… Non le saprei dire in proposito anche se dico… debbo far presente che come magistrato ho una certa ritrosia a dire le cose di cui non sono certo poiché ci sono addirittura… so che ci sono addirittura ancora delle indagini in corso in proposito, per le quali non conosco addirittura quali degli atti siano ormai conosciuti ed ostensibili e quali debbono rimanere segreti. Questa vicenda che riguarderebbe i suoi rapporti con Berlusconi è una vicenda, che la ricordi o non la ricordi, comunque è una vicenda che non mi appartiene. Non sono io il magistrato che se ne occupa, quindi non mi sento autorizzato a dirle nulla.
Ma c’è un’inchiesta ancora aperta? So che c’è un’inchiesta ancora aperta.
Su Mangano e Berlusconi? A Palermo? Su Mangano credo proprio di si, o comunque ci sono delle indagini istruttorie che riguardano rapporti di polizia concernenti anche il Mangano. Questa parte dovrebbe essere richiesta a Guarnotta che ne ha la disponibilità, quindi non so io se sono cose che possono dirsi in questo momento.
Ma lui comunque era uomo d’onore negli anni 70, no? Beh, secondo le dichiarazioni di Buscetta, Buscetta lo conobbe già come uomo d’onore in un periodo in cui furono detenuti assieme a Palermo, periodo antecedente agli anni ’80. Ritengo che Buscetta si riferisca proprio al periodo in cui Mangano fu detenuto a Palermo a causa di quelle estorsioni del processo dei cani con le teste mozzate di cui ho parlato prima”.
Ma Buscetta come fa a dire che Mangano era un uomo d’onore? Evidentemente Buscetta precisa ogni qualvolta indica una persona come uomo d’onore, precisa quali siano state le modalità di presentazione di cui lui ha parlato in generale nelle sue dichiarazioni e poi specificamente ne parla con riferimento a ogni singola persona accusata. Cioè la presenza di un terzo uomo d’onore che garantendo della qualità di entrambe le persone che si presentano, presenta l’uno all’altro e l’altro all’uno.
E’ un rito? Secondo il rituale, si tratta proprio di un rituale, descritto non soltanto da Buscetta, ma descritto anche da Contorno e descritto da tutti i pentiti, descritto da Calderone e descritto da altri pentiti minori. Gli uomini d’onore non possono scambievolmente presentarsi se non vi è la presenza di un terzo uomo d’onore che già è stato presentato ad entrambi e quindi sia in grado di rivelare all’uno la qualità di uomo d’onore dell’altro. E’ un rito di Cosa Nostra del quale abbiamo trovato decine e decine di conferme.
Lei nelle sue carte non ha la data esatta dell’arresto di Mangano negli anni ’70? Guardi le posso dire che non ho la data esatta dell’arresto di Mangano perché mi manca il documento. Però Buscetta parla di un incontro avvenuto nel carcere… con Mangano nel carcere di Palermo, un incontro avvenuto nel 1977. Mangano negò in un primo momento che vi fosse stata questa possibilità di incontro tra lui e Buscetta. Gli accertamenti espletati permisero di accettare che sia il Mangano che il Buscetta erano stati detenuti assieme all’Ucciardone proprio nel 1977 e probabilmente forse in qualche anno prima o dopo il ‘77.
‘77… vuol dire che era dopo che Mangano aveva cominciato a lavorare per Berlusconi? (Paolo Borsellino fa cenno di non sapere o non potere rispondere)
Da quanto sappiamo lui ha cominciato a lavorare nel ’75. Le posso dire che sia Mangano che Buscetta… ehm sia Buscetta che Contorno non forniscono altri particolari circa il momento in cui Mangano sarebbe stato fatto uomo d’onore.
Lei sa come Mangano e dell’Utri si sono conosciuti? No. Non lo so perché questa parte dei rapporti di Mangano, ripeto, non fa parte delle indagini che ho svolto io personalmente, conseguentemente quello che ne so io è quello che può risultare dai giornali o da qualsiasi altra fonte di conoscenza. Non è comunque mai una conoscenza professionale mia e sul punto peraltro non ho ricordi.
Sono di Palermo tutti e due?Non è una considerazione che induce ad alcuna conclusione perché Palermo è una città, diversamente come ad esempio Catania dove le famiglie mafiose erano composte di non più di una trentina di persone, almeno originariamente, in cui gli uomini d’onore sfioravano, ufficiali, sfioravano duemila persone secondo quanto ci racconta ad esempio Calderone. Quindi il fatto che fossero di Palermo tutti e due non è detto che si conoscessero.
Un socio di Dell’Utri, un tale Filippo Rapisarda che dice che ha conosciuto Dell’Utri tramite qualcuno della famiglia di Stefano Bontate. Guardi Mangano era della famiglia di Porta Nuova, cioè la famiglia di Calò. Comunque considerando che Cosa nostra è…

– (interruzione della Signora Borsellino per un’auto da spostare)-

Rifaccio la domanda: c’è un socio di Marcello Dell’Utri, tale Filippo Rapisarda che dice che questo Dell’Utri gli è stato presentato da uno della famiglia di Stefano Bontade. Beh considerato che Mangano ricordo appartenesse alla famiglia di Pippo Calò, evidentemente non sarà stato Mangano…non sarà stato qualcuno del… cioè non saprei individuare chi potesse averglielo presentato. Comunque tenga presente che nonostante Palermo sia la città della Sicilia dove le famiglie mafiose erano più numerose… si è parlato addirittura in certi periodi almeno di duemila uomini d’onore con famiglie numerosissime. La famiglia di Stefano Bontade sembra che in certi periodi ne contasse almeno duecento e si trattava comunque di famiglie appartenenti ad un’unica organizzazione, cioè Cosa Nostra, e quindi i cui membri in gran parte si conoscevano tutti e quindi è presumibile che questo Rapisarda riferisca una circostanza vera.
Lei di Rapisarda ne ha sentito parlare? Rapisarda, so dell’esistenza di Rapisarda, ma non me ne sono mai occupato personalmente.
A Palermo c’è un giudice che se n’è occupato? Credo che attualmente se ne occupi, se vi è una inchiesta aperta anche nei suoi confronti, se ne occupi il giudice istruttore. Cioè l’ultimo degli appartenenti, cioè il collega Guarnotta, cioè l’ultimo degli appartenenti al pool antimafia che è rimasto in quell’ufficio a trattare i processi che ancora si svolgono col rito… col vecchio codice di procedura penale.
Perché a quanto pare Rapisarda e Dell’Utri erano in affari con Ciancimino tramite un tale Alamia. Che Alamia fosse in affari con Ciancimino è una circostanza da me conosciuta e che credo risulti anche da qualche processo che si è già celebrato. Per quanto riguarda Dell’Utri e Rapisarda non so fornirle particolari indicazioni trattandosi, ripeto, sempre di indagini di cui non mi sono occupato personalmente.
Ma questo Ciancimino, ex sindaco di Palermo, è un mafioso? Ciancimino è stato colpito da mandato di cattura, nel periodo in cui io lavoravo ancora a Palermo presso l’ufficio istruzione, proprio per la sua supposta appartenenza a Cosa Nostra. Procedimento che si è svolto a dibattimento in epoca estremamente recente e nel corso del quale è stato condannato, conseguentemente è stato accertato giudizialmente almeno in primo grado la sua appartenenza a Cosa Nostra.
A cosa è stato condannato? Non ricordo esattamente. Si tratta di una sentenza di qualche mese fa della quale comunque non ricordo… Ricordo la condanna ma non ricordo gli anni relativi alla condanna. E’ chiaro che quando si fa riferimento a Cosa Nostra dal punto di vista dell’organo giudiziario penale italiano, non viene considerato sempre necessario che la persona sia uomo d’onore all’interno di Cosa Nostra perché queste sono regole dell’ordinamento giuridico mafioso. In Italia, secondo l’ordinamento giuridico statuale si può essere condannati per 416 bis, cioè per associazione mafiosa, anche se (ndr) non appartenenti ritualmente, a seguito di una regolare e rituale iniziazione, a Cosa Nostra. Faccio l’esempio, peraltro molto diffuso nelle indagini che sono state fatte, di una famiglia che si avvale di Cosa Nostra, che si avvale per la consumazione, abitualmente, per la consumazione di taluni delitti di sangue di giovani non ancora inseriti in Cosa Nostra.. diciamo in periodi di tirocinio. Questo secondo l’ordinamento giuridico statuale, questi giovani killer che vengono reclutati da Cosa Nostra, ma non ancora ritualmente inseriti secondo la rituale cerimonia nell’organizzazione, fanno comunque parte dell’organizzazione criminosa secondo l’ordinamento giuridico statuale.
Lei in quanto uomo, non più in quanto giudice, come giudica la fusione che si opera, che abbiamo visto operarsi, tra industriali al di sopra di ogni sospetto come Berlusconi o Dell’Utri e uomini di onore di Cosa Nostra. Cioè Cosa Nostra si interessa all’industria? Beh, a prescindere da ogni riferimento personale perché ripeto con riferimento a questi nominativi che lei ha fatto, io non ho personali elementi tali da poter esprimere opinioni. Ma considerando la faccenda nel suo atteggiarsi generale allorché l’organizzazione mafiosa, la quale sino agli anni ’70, sino all’inizio degli anni ’70 aveva avuto una caratterizzazione di interessi prevalentemente agricoli o al più di sfruttamento di aree edificabili, all’inizio degli anni ’70 in poi Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa.. un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole che a un certo punto diventò addirittura monopolistico nel traffico di sostanze stupefacenti… Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali naturalmente cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero. E allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nosta cominciò a porsi il problema e ad effettuare degli investimenti leciti o para leciti, come noi li chiamiamo, di capitali. Naturalmente per questa ragione cominciò a seguire vie parallele e talvolta tangenziali alla industria operante anche nel nord, della quale in un certo qual modo… alla quale in un certo qual modo si avvicinò per potere utilizzare le capacità… quelle capacità imprenditoriali al fine di far fruttare questi capitali dei quali si era trovata in possesso.
Dunque lei mi dice che è normale che Cosa Nostra si interessa a Berlusconi? E’ normale il fatto che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerca gli strumenti per potere questo denaro impiegare, sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro. Naturalmente queste esigenze, queste necessità per le quali l’organizzazione criminosa a un certo punto della sua vita storica si è trovata di fronte, hanno portato ad una naturale ricerca degli strumenti industriali e degli strumenti commerciali per dover far trovare uno sbocco a questi capitali. E quindi non mi meraviglia affatto che a un certo punto della sua storia Cosa Nostra si è trovata in contatto con questi ambienti industriali.
E uno come Mangano può essere l’elemento di connessione tra questi due mondi? Beh guardi Mangano è una persona che già in epoca, oramai diciamo databile abbondantemente di due decenni almeno, era una persona che già operava a Milano. Era inserita in un qualche modo in una attività commerciale. E’ chiaro che era una delle persone, vorrei dire anche una delle poche persone, di Cosa Nostra che erano in grado di gestire questi rapporti.
Però lui si occupava anche di traffico di droga, l’abbiamo visto, ma anche di sequestro di persona. Mah, tutti quei mafiosi che in quegli anni (siamo probabilmente alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70), che approdarono a Milano e fra questi non dimentichiamo che c’è pure Luciano Liggio, cercarono di procurarsi quei capitali che poi investirono nel traffico delle sostanze stupefacenti, anche con i sequestri di persona. Lo stesso Luciano Liggio fu coinvolto in alcuni clamorosi processi che riguardavano sequestri di persona. Ora non ricordo se si trattasse ad esempio di quelli di Rossi di Montelera, ma probabilmente fu proprio uno di questi e diversi personaggi che ancora troviamo come protagonisti di vicende mafiose, a Milano si dedicarono a questo tipo di attività che invece, salvo alcuni fatti clamorosi che costituiscono comunque l’eccezione, sequestri di persona che invece ad un certo punto Cosa Nostra si diede come regola di non gestire mai in Sicilia.
Un investigatore ci ha detto che al momento in cui Mangano lavorava per Berlusconi, c’è stato un sequestro, non a casa di Berlusconi però, di un invitato che usciva dalla casa di Berlusconi. Non sono a conoscenza di questo episodio.
E questo sequestro fu opera insomma, fu implicato dentro un tale Pietro Vernengo. Ritengo possa trattarsi, anche perché non ne conosco altri con questo nome, del mafioso che è stato protagonista di alcune vicende che hanno avuto estremo risalto in stampa in questi ultimi tempi… cioè Pietro Vernengo, appartenente alla famiglia mafiosa credo di Santa Maria di Gesù che fu condannato all’ergastolo nel Maxiprocesso con sentenza confermata in appello per aver…era imputato addirittura di 99 omicidi e per qualcuno di essi è stato condannato. Pietro Vernengo, personaggio che fu sicuramente uno dei più importanti del maxiprocesso fra quelli coinvolti, sia nel traffico dei tabacchi lavorati esteri all’inizio che nel traffico delle sostanze stupefacenti poi. Anzi credo che un congiunto di Pietro Vernengo sia quel Di Salvo che risultò titolare di una delle raffinerie di droga scoperte a Palermo, proprio nella città di Palermo e precisamente nella zona di Romagnolo acqua dei corsari, una raffineria che fu scoperta mentre era ancora in funzione.
Avete detto maxiprocesso… Vernengo è stato giudicato con Mangano? Vernengo è stato giudicato nel Maxiprocesso con Mangano.
Loro due si conoscevano? Non lo ricordo se sono state fatte domande del genere o accertamenti del genere.
Mangano è più o meno un pesce pilota, non so come si dice, un’avanguardia. Si, guardi le posso dire che era uno di quei personaggi che, ecco erano i ponti, le teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel nord Italia. Ce n’erano parecchi ma non moltissimi, almeno fra quelli individuati. Altro personaggio che risiedeva stabilmente a Milano era uno dei Bono. Credo che Alfredo Bono, che nonostante fosse capo della famiglia di Bolognetta, che è un paese vicino Palermo, risiedeva abitualmente a Milano. Nel maxiprocesso, in realtà debbo dire Mangano non appare come uno degli imputati principali. Non c’è dubbio comunque che, almeno con riferimento al maxiprocesso, è un personaggio che suscitò parecchio interesse anche per questo suo ruolo un po’ diverso da quello attinente specificatamente alla mafia militare, anche se le dichiarazioni di Calderone lo indicano anche come uno che non disdegnava neanche questo ruolo militare all’interno dell’organizzazione mafiosa. Se mal non ricordo, Calderone parla di un incontro con Mangano avvenuto in un fondo di Stefano Bontade, dove il Mangano e Rosario Riccobono sopravvenuti nel frangente, si dicevano reduci da un’operazione di sangue, o qualcosa del genere. Debbo dire che l’esito processuale però delle dichiarazioni di Calderone è stato un esito deludente poiché dal punto di vista strettamente giudiziario, cioè delle condanne con riferimento agli accusati, delle dichiarazioni di Calderone è rimasto ben poco. E’ rimasto ben poco probabilmente perchè in concomitanza con le dichiarazioni di Calderone è sopravvenuta quella dirompente sentenza, o decisione, della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha disconosciuto l’unitarietà della organizzazione criminosa Cosa Nostra, sostenendo che trattavasi invece di tante famiglie, o tante organizzazioni, aventi ognuna una propria collocazione territoriale cosicché il procedimento derivante dalla dichiarazione di Calderone è stato spezzettato, credo in dieci o dodici tronconi, pochi dei quali restano ancora in piede e nessuno dei quali credo abbia avuto sino ad ora un esito dibattimentale definitivo e soddisfacente dal punto di vista dell’accusa.
Dunque Mangano era uno capace di partecipare ad azioni militari? Secondo le dichiarazioni di Calderone si.
Quali azioni militari non si sa? Mah, ripeto… Calderone parla di un incontro con questo Mangano avvenuto nel fondo di Bontade, nel quale Mangano e Rosario Riccobono si dicevano reduci di un’azione di sangue.
Quando? Il periodo credo che sia un periodo di poco precedente all’omicidio di Di Cristina, quindi dovremmo essere prima del 1978.
Subito dopo la sua scarcerazione? Non saprei essere più preciso perché dovrei consultare gli atti. E’ citato in questo libro di Arlacchi questo episodio. Ne parla una sola volta in questo libro…. Ah, dice nel 1976. Un giorno del ’76 quindi, io ricordavo nel ’77. – Borsellino legge: Mi trovavo nella tenuta favarella insieme a Pippo, eravamo seduti a discutere con Michele Greco – Ecco non è Bontade, è Michele Greco, ora che…. Io ricordavo la tenuta di Bontade, mentre si tratta della tenuta di Michele Greco. […a discutere con Michele Greco quando arrivarono Rosario Riccobono e Vittorio Mangano, uomo d’onore di Pippo Calò, che avevo già incontrato a Milano. Erano venuti per informare Greco dell’avvenuta esecuzione di un ordine, avevano appena eliminato il responsabile di un sequestro di una donna e avevano pure liberato l’ostaggio]. Penso di ricordare anche a quale delitto si riferisce il Calderone. Perché in quell’epoca credo che venne sequestrata a Monreale una certa Gabriella o Graziella Mandalà, la quale qualche giorno dopo, appena otto giorni dopo ricomparve, fu liberata. E subito dopo si verificarono tutta una serie di delitti estremamente raccapriccianti, un tizio che probabilmente era sospettato di aver partecipato al sequestro fu ritrovato addirittura nella circonvallazione dentro un sacco di [interruzione] …con riferimento al suo incontro con Mangano.
Fatto da Mangano? Calderone lascia capire in questo modo. Almeno da queste dichiarazioni che vedo riportate nel libro di Arlacchi. Anzi credo che Calderone cita proprio questo fatto che mi ha fatto ricordare…(interruzione)… Dell’uccisione fatta da Liggio di due donne della quale una viene stuprata e uccisa, una ragazza di 14 anni o 15 anni, che viene stuprata e uccisa subito dopo. Si tratterebbe di un delitto analogo a quello per cui un tizio stamattina è…(interruzione). Ci sono tutta una serie di appunti, di schede e di computer attraverso le quali occorre però risalire alla documentazione, delle quali alcuni sono sicuramente ostensibili perché fanno parte del maxiprocesso e ormai il maxiprocesso è conosciuto, è pubblico. Alcuni non lo sono perché riguardano indagini in corso, li dovrei fare esaminare da Guarnotta per…
No dicevo solo quei fogli di computer. Eh si però qualcuno di questi fogli di computer riguarda, per esempio, sta faccenda di Dell’Utri, Berlusconi, e non so sino a che punto sono ostensibili… Io glieli do, l’importante che lei non dica che glieli ho dati io… Sono soltanto…ecco questo computer è organizzato in questo modo, questo è un indice sostanzialmente perché attraverso queste indicazioni noi cerchiamo “Vittorio Mangano” ed il computer ci tira fuori tutti gli indici degli atti dove sappiamo che c’è il nome Vittorio Mangano. Però non sono gli atti, è l’indicazione di come si possono andare a trovare perché poi il processo è microfilmato, c’è lì una cosa, si cerca il microfilm e si tirano fuori. Cosa non sempre facile perché ormai ‘ste bobine microfilm sono diventate numerosissime


 BORSELLINO, ROGATORIA SVIZZERA PER L’ULTIMO CHE LO INTERVISTO’  

 

Dopo 27 anni la Procura di Caltanissetta approfondirà l’incontro con due giornalisti: poco prima di morire, il giudice parlò anche di Dell’Utri, Berlusconi, Mangano e mafia. La Procura di Caltanissetta presto avvierà una rogatoria per ascoltare come testimone il giornalista Fabrizio Calvi, che insieme a Pierre Moscardo (morto nel 2010) intervistò per la tv francese Paolo Borsellino. L’inchiesta sull’intervista maledetta (svelata da L’Espresso nel 1994, andata in onda parzialmente sulla Rai nel 2000, infine pubblicata dal Fatto nel formato di un’ora nel 2009, in un dvd esaurito in edicola) è partita in gran segreto.

L’ultima intervista di Paolo.  Borsellino prima della strage di Capaci, realizzata dai due giornalisti per la tv francese Canal+che però non la mandò mai in onda, 27 anni dopo, è al centro di un’indagine. Il fascicolo è allo stato senza indagati, ma i pm di Caltanissetta pensano che la storia dell’intervista possa aiutarli a capire perché Paolo Borsellino sia stato ucciso con tanta fretta, appena 57 giorni dopo Giovanni Falcone. Borsellino rilasciò l’intervista a Moscardo e Calvi (all’anagrafe Jean Claude Zagdoun, nato in Egitto 65 anni, vive tra Francia e Svizzera) il 21 maggio 1992, due giorni prima della strage di Capaci. Il tema dell’intervista erano i rapporti tra Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri con Vittorio Mangano e la mafia. Borsellino nell’intervista accennava all’esistenza di indagini in corso a Palermo sui rapporti tra Dell’Utri e Mangano, non assegnate a lui ma probabilmente al giudice Leonardo Guarnotta, forse segrete. Alla fine dell’intervista consegnava un centinaio di fogli stampati precedentemente in Procura e diceva “qualcuno di questi fogli di computer riguarda questa faccenda di Dell’Utri-Berlusconi e non so sino a che punto sono ostensibili… io glieli do, l’importante è che lei non dica che glieli ho dati io”.

PERCHÉ OGGI la magistratura torna sui segreti di quella strana intervista? Sullo sfondo c’è sempre l’antica questione della ragione dell’accelerazione della strage. Totò Riina, dopo la strage di Capaci, chiese ai suoi di fare la strage Borsellino con urgenza. C’entra qualcosa l’intervista? Il Gip di Caltanissetta Giovanbattista Tona, nel maggio 2002, archiviò le accuse contro Dell’Utri e Berlusconi come mandanti esterni della strage, anche perché l’intervista non poteva essere il movente dell’accelerazione: Borsellino parlava ai francesi di indagini note e non sue, nulla di preoccupante. Però, appena due mesi prima, la Corte d’assise di appello di Caltanissetta nella sentenza del Borsellino Bis aveva scritto: “Cosa Nostra era in condizioni di sapere che Borsellino aveva rilasciato una clamorosa intervista nella quale faceva clamorose rivelazioni sui rapporti tra Vittorio Mangano e Silvio Berlusconi”.
Il disvelamento di quei rapporti per i giudici avrebbe potuto nuocere ai soggetti sui quali Cosa Nostra puntava.
L’ipotesi astratta di quel collegio di giudici è che Riina puntasse su Berlusconi e Dell’Utri e che il boss potrebbe avere autonomamente deciso di far saltare in aria Borsellino in fretta, anche perché Borsellino in quell’intervista parlava di indagini sui rapporti tra la mafia e il gruppo Berlusconi. La storia torna d’attualità perché il boss che ha portato a termine la strage, Giuseppe Graviano, nell’aprile del 2016 è stato videoripreso in cella dai pm del Processo Trattativa mentre parlava con il suo compagno di detenzione di una “cortesia”. L’ipotesi, formulata già dai pm del processo Trattativa, è che quella cortesia potesse essere la strage di via D’amelio. Il pm Roberto Tartaglia, ora consulente della Commissione Antimafia, ci ha detto in un’intervista: “Graviano in cella parla dell’urgenza e probabilmente fa riferimento alla ragione dell’accelerazione della strage di via D’Amelio in cui fu ucciso Borsellino, 57 giorni dopo Falcone”. Il pm Antonino Di Matteo ha dichiarato in un’intervista a Sekret, il documentario della piattaforma iLoft del Fatto, nei mesi scorsi: “Quello che colpisce è che in fondo le intercettazioni di Graviano vanno nella stessa direzione di tanti altri tasselli, come le dichiarazioni dei collaboratori Tullio Cannella e Salvatore Cancemi degli anni Novanta”. In quella stessa conversazione Graviano dice sul soggetto che gli chiese la cortesia: “Lo stavano indagando”. Secondo Di Matteo, “si potrebbe pensare a Berlusconi”. Allora non era indagato ma “Borsellino in un’intervista a due giornalisti francesi fece intendere qualcosa di simile, cioè che c’era un’indagine a Palermo su Mangano e forse sui suoi rapporti con Berlusconi”.

IN GRAN SEGRETO, i pm di Caltanissetta, gli stessi che indagano sulla strage di via D’Amelio e sui depistaggi delle indagini, stanno ricostruendo la storia dell’intervista rilasciata il 21 maggio 1992 a Moscardo e Calvi. Troppe le domande inevase: perché quell’intervista,
che allora era uno scoop di livello internazionale, non è mai andata in onda sulla rete Canal+che aveva commissionato e pagato un film su Berlusconi e la mafia? Perché Fabrizio Calvi non ha citato l’intervista in un libro sulla mafia in Europa uscito per Grasset in Francia nel 1993 e in Italia nel 1994? Perché nella versione italiana, pubblicata dalla Mondadori di Berlusconi, addirittura saltò anche l’unico breve riferimento alle inchieste sui rapporti tra Mangano, Dell’Utri e Berlusconi che invece c’era nell’edizione francese? Chi sapeva nel 1992, prima della strage di via D’Amelio, dell’intervista in cui Borsellino parlava dei rapporti di Mangano con Dell’Utri e Berlusconi?
Che fine hanno fatto le carte nelle quali era citato Berlusconi, consegnate da Borsellino ai giornalisti?
Nei mesi scorsi, per fare chiarezza, sono stati sentiti dai pm tutti i giornalisti che hanno maneggiato quell’intervista. Il primo a essere ascoltato come
persona informata dei fatti è stato Sigfrido Ranucci. Il conduttore di Report, ha scovato con l’aiuto di Fiammetta Borsellino e poi trasmesso, con grande coraggio, per primo, nel settembre 2000, su Rainews international per pochi spettatori, la parte più esplosiva dell’intervista. Poi, risalendo all’indietro, i pm hanno sentito i giornalisti Chiara Beria D’Argentine e Leo Sisti, che nel 1994 per primi hanno pubblicato su L’Espresso la trascrizione della parte saliente dell’intervista, consegnata loro da Moscardo e Calvi. Nel fascicolo sono confluite anche le dichiarazioni di Giovanni Paparcuri, il collaboratore di Borsellino che aveva fisicamente consegnato al magistrato, su sua richiesta, alla vigilia dell’intervista, i fogli con le schede sulle indagini nelle quali erano citati Mangano, Dell’Utri e Berlusconi.

Fabrizio Calvi sul punto ha risposto a Sekret: “Certamente i fogli che Borsellino ha dato a noi sono quelli consegnati da Paparcuri. Li ho ancora io conservati da qualche parte”.
I pm di Caltanissetta hanno già preso contatto con il giornalista per sentirlo. Calvi è un giornalista investigativo noto in tutto il mondo per i suoi documentari e libri su servizi segreti, terrorismo e mafia. Sarà sentito in Svizzera mediante una rogatoria come testimone. I pm di Caltanissetta sono interessati a tutto il film (della durata di un’ora e mezza con molti protagonisti che hanno
reso interviste inedite e in esclusiva) e non solo all’intervista di Borsellino. Il giornalista dell’Espresso Leo Sisti ha raccontato ai pm e anche a Sekret un particolare importante. “Come risulta dal libro Les nouveaux réseaux de la corruption, scritto da me con Fabrizio Calvi, nel 1994, Calvi e Moscardo hanno intervistato il 25 maggio del 1992, quattro
giorni dopo l’intervista a Borsellino e due giorni dopo la strage di Capaci, Filippo Alberto Rapisarda”.

IL DATO ha interessato molto i pm di Caltanissetta perché dimostra che Rapisarda, finanziere legato a Dell’Utri ma anche ad alcuni mafiosi, sapeva certamente (prima della morte di Borsellino) del lavoro di una tv francese su Berlusconi e la mafia. Calvi ricorda: “Rapisarda lo abbiamo incontrato due o tre volte prima di intervistarlo e ci ha detto molte più cose off the record che in camera. Rapisarda ci disse: ‘So esattamente quello che volete farmi dire, per il momento non lo posso dire, devo chiudere un affare, tornate fra sei mesi e facciamo un bel casino’”. Il Fatto ha verificato che sui
tabulati di Dell’Utri ci sono alcune chiamate a partire dal giugno del 1992 al numero intestato alla moglie di Rapisarda, l’avvocato Paola Mora. Poi, nel dicembre del 1993, Dell’Utri e Rapisarda costituiscono alcune società immobiliari insieme. Nello stesso periodo, Rapisarda ospita in via Chiaravalle (proprio dove era stato intervistato dai giornalisti stranieri) il circolo di Forza Italia di Milano e Marcello Dell’Utri mette il suo domicilio in quell’indirizzo.
Anche Silvio Berlusconi sapeva del lavoro in corso della tv francese. Calvi ci ha raccontato: “Noi volevamo raccogliere la sua versione al termine del nostro lavoro e abbiamo chiamato Berlusconi al telefono in una delle sue case per chiedere un’intervista. Non ci ha mai risposto. A quel punto Moscardo è andato a parlare con il patron di Canal+, André Rousselet (morto nel 2016, Ndr) e lui gli ha detto che non era più interessato al documentario”. Perché però Calvi non ha inserito l’intervista a Borsellino nel suo libro del 1993? “Non c’entrava. L’argomento era la salita della mafia dalla Sicilia al Nord fino all’Europa. L’intervista a Borsellino era molto specifica su Mangano. Non aveva senso inserire l’intervista di Borsellino dentro il libro. Aveva più  peso farla uscire indipendentemente con L’Espresso”   Di Marco Lillo – Da il F.Q.del 18/7/2019

 


LE PAROLE DEL GIUDICE UCCISO DALLA MAFIA NEL 1992  

 

L’audio (e le parole amare) di Borsellino: «La macchina blindata solo la mattina così posso essere ucciso la sera»  Dagli archivi finora segreti della commissione parlamentare antimafia emerge la voce di Paolo Borsellino, che l’8 maggio 1984 racconta le difficoltà del pool antimafia che in quel periodo sta già lavorando al maxi-processo a Cosa nostra  di Giovanni Bianconi  «Desidero affrontare la gravità dei problemi, soprattutto di natura pratica, che noi dobbiamo continuare ad affrontare ogni giorno». Dagli archivi finora segreti della commissione parlamentare antimafia emerge la voce di Paolo Borsellino, che l’8 maggio 1984 racconta le difficoltà del pool antimafia che in quel periodo sta già lavorando al maxi-processo a Cosa nostra. Un’indagine riservatissima, che di lì a poche settimane potrà contare sulla collaborazione di Tommaso Buscetta, e consentirà di portare alla sbarra, per la prima volta, la Cupola con l’accusa di associazione mafiosa. Dopo il consigliere istruttore Antonino Caponnetto parlano i giudici istruttori Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ed è proprio quest’ultimo a rivelare che quel manipolo di magistrati (insieme ai poliziotti della Squadra mobile di Palermo guidati da Ninni Cassarà, che sarà trucidato dai killer di Cosa nostra l’anno successivo, alla vigilia della richiesta di rinvio a giudizio) sta conducendo «processi di mole incredibile, ognuno dei quali è composto da centinaia di volumi che riempiono intere stanze».
Carte non più segrete   L’audizione del 1984 è la prima delle sei in cui prende la parola Borsellino che la commissione antimafia guidata dal senatore Nicola Morra ha deciso di desegretare insieme a gran parte degli atti ancora riservati, diffuse nella ricorrenza del 19 luglio, ventisettesimo anniversario dell’omicidio del magistrato saltato in aria insieme agli agenti di scorta Agostino Catalano, Water Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina. Ora sono pubbliche sia le trascrizioni che gli audio, e ancora oggi fa impressione ascoltare la voce del giudice assassinato qualche anno più tardi raccontare come lui e gli altri colleghi debbano arrangiarsi e escogitare soluzioni pionieristiche per poter svolgere un lavoro di cui dovrebbe essere già chiara l’importanza e la pericolosità: il precedente consigliere istruttore, Rocco Chinnici, era stato ucciso da un’autobomba nemmeno un anno prima, il 29 luglio 1983.
Il computer che non funziona   Per la piega che ha preso il lavoro del pool, avverte Borsellino, è diventato indispensabile l’uso di un computer finalmente arrivato a Palermo, ma che «purtroppo non sarà operativo se non tra qualche mese perché sembra che i problemi della sua installazione siano estremamente gravi, anche se non si riesce a capire perché». Le dimensioni dell’indagine, spiega il magistrato, non consentono di andare avanti «con le nostre semplici rubrichette artigianali», e oltre al computer appena arrivato ma non ancora funzionante, servirebbero segretari e dattilografi, che non possono fare straordinari. Risultato: «Il giudice che è costretto a lavorare, come nel processo attualmente in corso, per 16 o 18 ore al giorno rimane, per buona parte della giornata, solo con se stesso, con tutto l’aggravio di lavoro che ne deriva». 
La scorta solo di giorno   Non solo. Borsellino lancia l’allarme sicurezza, lasciandosi andare a un amaro sarcasmo quando spiega che per i giudici antimafia la burocrazia prevede la scorta solo al mattino: «Buona parte di noi non può essere accompagnata in ufficio di pomeriggio da macchine blindate, come avviene la mattina, perché il pomeriggio è disponibile solo una blindata, che evidentemente non può andare a raccogliere quattro colleghi. Pertanto io, sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e ritorno a casa alle 21 o alle 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà, però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per essere poi, libero di essere ucciso la sera».

Due anni e mezzo più tardi Borsellino è di nuovo davanti all’Antimafia, stavolta in qualità di procuratore di Marsala dove è andato per proseguire il lavoro di contrasto alla mafia, ma ugualmente si trova con scarsi mezzi a disposizione. E’ lì che l’11 dicembre 1986 il giudice parla di una «Procura smobilitata» e se la prende con il Consiglio superiore della magistratura che tarda a mandare pubblici ministeri in una Procura di frontiera come quella, preferendo risolvere prima i problemi del tribunale di Mondovì. Ma il territorio dov’è andato a lavorare, denuncia Borsellino, è «un santuario» dove potrebbero trovare rifugio e appoggi latitanti ultradecennali come Totò Riina e Bernardo Provenzano.

Borsellino, l’audio da procuratore di Marsala: «Qui smobi…

A proposito di latitanti e controllo del territorio, in quella stessa audizione Borsellino spiega che per consentire che a Marsala circoli una Volante della polizia anche di notte, lui s’è fatto dimezzare la scorta. E ricorda come il pentito Buscetta gli confidò che dalle due alle quattro del pomeriggio i boss latitanti passeggiavano tranquillamente nel centro di Palermo perché sapevano che in quell’orario c’era il cambio turno delle auto di servizio di polizia e carabinieri, e dunque non ne avrebbero incontrate in giro per la città.

L’audio di Borsellino: «Mi sono dimezzato la scorta per a…

Denunce continue   Nell’incontro con la commissione parlamentare del 3 novembre 1988 Borsellino torna a parlare dello smantellamento del pool antimafia di Palermo dopo la mancata nomina a consigliere istruttore di Giovanni Falcone, che lui stesso aveva denunciato pubblicamente in estate. Tra il 1989 e il 1991 Borsellino tornerà in altre tre occasioni davanti all’Antimafia (l’ultima il 24 settembre ’91), sottolineando ogni volta i problemi e le difficoltà pratiche che i magistrati impegnati nel contrasto a Cosa nostra continuavano a incontrare. Un compito al quale il magistrato assassinato 27 anni fa non s’è mai sottratto, fino al momento il cui la mafia ha deciso di toglierlo di mezzo. Anche per questo, la desecretazione delle sue parole finora inedite decisa dalla nuova commissione rappresenta un omaggio alla figura di Borsellino, oltre che un monito per non tornare mai più ai tempi in cui inquirenti in prima linea debbano spiegare a deputati e senatori di non essere in condizione di lavorare come dovrebbero.