GRAZIELLA CAMPAGNA, assassinata a 17 anni per un’agendina

 

 

LA VITA RUBATA – Film

 

GRAZIANO DIANA GIRA IN SICILIA IL FILM PER RAIUNO ISPIRATO ALLA VICENDA CAMPAGNA BEPPE FIORELLO È PIERO, IL FRATELLO DELLA RAGAZZA ASSASSINATA DALLA MAFIA “LA VITA RUBATA”: COSÌ GRAZIELLA  FU UCCISA A DICIASSETTE ANNI

Graziella Campagna nacque il 3 luglio 1968 a Saponara, un paese sulle pendici del versante settentrionale dei Monti Peloritani, in provincia di Messina, in una famiglia numerosa (sette tra fratelli e sorelle). Abbandonò presto gli studi per lavorare come stiratrice nella lavanderia “La Regina” di Villafranca Tirrena, un impiego in nero mal retribuito che però le permetteva di aiutare la famiglia. Mentre stava lavorando, l’ingegner Cannata le portò una camicia nella cui tasca Graziella trovò involontariamente un’agenda. La ragazza non poteva sapere che proprio l’aver messo le mani su quella agenda avrebbe firmato la sua condanna a morte. Scoprì, infatti, che l’ingegner Tony Cannata era in realtà un boss latitante: Gerlando Alberti jr., nipote di Geraldo Alberti sr., detto “U paccarè”, boss della mafia siciliana (assicurato alla giustizia anni prima dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa) e il suo collega e cugino, Gianni Lombardo, non era chi diceva di essere ma Geraldo Sutera, anche lui uomo ricercato perché accusato di associazione mafiosa e traffico di stupefacenti. Quella agenda era una raccolta di nomi e contatti telefonici arrivata nelle mani sbagliate, soprattutto perché Graziella aveva un fratello, Pietro Campagna, carabiniere in servizio alla compagnia di Gioia Tauro e questo faceva paura ai due latitanti. Un’altra commessa della tintoria, Agata Cannistrà strappò l’agenda dalle mani di Graziella che gliela stava mostrando facendone perdere le tracce. Il 12 dicembre 1985, dopo aver finito di lavorare, andò come al solito ad aspettare l’autobus che l’avrebbe riportata a casa. Ma nell’attesa successe qualcosa e quella sera la ragazza non rientrò. La corriera arrivò a Saponara ma di Graziella non c’era traccia. La madre, che la stava aspettando, cominciò subito a preoccuparsi perché sua figlia non era una ragazza da “colpi di testa”. Inizialmente si pensò ad una “fuitina” con un ragazzo ma l’ipotesi fu subito abbandonata poiché la persona che in quel momento poteva avere una storia d’amore con Graziella si trovava a casa con la famiglia ma senza di lei. Il maresciallo, presente in quel momento in caserma, era però del tutto convinto che si trattasse proprio di una fuitina da prendersi addirittura un giorno di ferie. Dalle testimonianze rese si seppe che quella sera, sotto la pioggia battente, la ragazza accettò molto tranquillamente di salire su un’auto sconosciuta come se conoscesse bene e si fidasse di chi stava alla guida. Il corpo fu ritrovato due giorni dopo a Forte Campone, una collina tra Messina e Villafranca Tirrena. In un prato, con indosso un giubbotto rosso, una maglia a righe, un paio di pantaloni neri e gli stivaletti, il corpo di Graziella, trucidato da cinque colpi di una lupara calibro 12 che sparò da non più di due metri di distanza dalla vittima, fu riconosciuto dal fratello, Pietro Campagna. Aveva solo 17 anni. La sua unica colpa era quella di essere stata testimone involontaria della scoperta di una falsa identità di un latitante. Con la sua uccisione la mafia ha dimostrato di uccidere senza guardare in faccia nessuno, di non avere più, come si diceva un tempo, codici d’onore e regole per cui non si uccidevano le donne e i bambini. Fondamentale il ruolo del fratello che con le sue indagini ha fatto emergere la verità di un omicidio che si voleva passionale a tutti i costi per coprire i veri colpevoli. Nel 1988 ci fu il rinvio a giudizio di Gerlando Alberti junior e del fedelissimo Giovanni Sutera, ma il 28 marzo 1990 arrivò la richiesta del pm al giudice istruttore del Tribunale messinese di “non doversi procedere” per questioni procedurali. Il movente che Alberti aveva voluto uccidere la ragazza perché era venuta a conoscenza del suo vero nome, e quindi potenzialmente una minaccia, venne giudicato debole. Solo dopo sei anni, nel 1996, si tornò a parlare della vicenda in una puntata della trasmissione tv ‘Chi l’ha visto?’ e nel dicembre dello stesso anno il Tribunale di Messina riaprì ufficialmente il caso. Il 17 dicembre del 1996 l’Associazione Antimafie “Rita Atria” di Milazzo e il Comitato per la pace e il disarmo unilaterale di Messina, presentarono sull’omicidio Campagna il primo dossier “Graziella Campagna a 17 anni Vittima di mafia”, che pochi mesi più tardi divenne un libro: “Graziella Campagna a 17 anni vittima di mafia, storie di trafficanti, imprenditori e giudici nella provincia dove la mafia non esiste” (Armando Editore). Sia le due associazioni, sia le scuole di tutto il comprensorio (Milazzo, Barcellona, Santa Lucia, Villafranca, ecc.), fiancheggiarono la famiglia, supportandola moralmente. Purtroppo solo dopo quasi vent’anni dall’uccisione, la Corte d’Assise di Messina si è espressa con una sentenza: Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera sono stati condannati alla pena dell’ergastolo, in quanto esecutori materiali del delitto, con l’aggravante di aver agito con premeditazione e durante la loro latitanza. Agata Cannistrà, la collega che strappò dalle mani della giovane l’agenda e Franca Federico, la titolare della lavanderia dove lavorava la ragazza, sono state condannate entrambe a due anni di reclusione per favoreggiamento e per aver deviato le indagini, oltre ad aver omesso quanto di loro conoscenza sul rapimento e sull’omicidio. Gerlando Alberti senior tornò però libero dopo un anno e mezzo dalla condanna, il 4 novembre 2006, per mancato deposito entro i termini delle motivazioni della sentenza, con conseguente scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Ma Alberti e Sutera furono comunque ricondannati all’ergastolo il 18 marzo 2008 dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Messina e il 18 marzo 2009 la Cassazione respinse il ricorso formulato dai due imputati, confermando l’ergastolo. Graziella Campagna ha trovato finalmente giustizia dopo 24 lunghi anni, più di quanti ne avesse vissuti; i suoi familiari continuano senza stancarsi a portare il suo ricordo nelle scuole, negli incontri pubblici e dovunque si parli di lotta alla mafia. MINISTERO INTERNO


Graziella Campagna aveva solo diciassette anni quando fu ammazzata a Forte Campone, collina nei pressi della città di Messina. Nata il giorno 3 luglio 1968, lavorava come stiratrice in una lavanderia a Villafranca Tirrena. Guadagnava 150.000 lire al mese e con quel denaro contribuiva ad aiutare la propria famiglia, composta da padre, madre e sette tra fratelli e sorelle. La sua giovane vita è stata stroncata la sera del 12 dicembre 1985: mentre attendeva l’autobus che l’avrebbe riportata a casa a Saponara, intorno alle ore 20:00 fu caricata sopra un’auto. Pioveva. Dopo pochi chilometri si ritrovava lungo una strada sterrata lontana dalle luci del paese. In un prato, con indosso un giubbotto rosso, una maglia a righe, un paio di pantaloni neri e gli stivaletti, cinque colpi di un fucile a canne mozze la trucidarono frontalmente, da una distanza inferiore a due metri. Inutile il suo tentativo di coprirsi con il braccio; dilaniati furono l’arto, il volto e lo stomaco. Nonostante fosse a terra un ultimo colpo alle testa la finì.

Fu una vera e propria esecuzione e nessuno sa perché quel delitto fu tanto violento, quali furono le domande alle quali venne sottoposta e nemmeno quanto durò l’agonia. Il cadavere di Graziella sarebbe stato ritrovato due giorni dopo da un giovane medico. Insieme con la polizia arrivò Piero Campagna, il fratello carabiniere, per il riconoscimento formale. L’orologio giallo di Graziella era fermo alle 21:12, l’ora della morte. Il medico legale si sarebbe accertato dell’assenza di violenze e percosse e dell’assenza di alcool e droghe. Qualche giorno prima della sua morte, Graziella sul lavoro aveva estratto da una camicia sporca un’agendina di un boss mafioso. Tra le mani di Graziella passarono i segreti che nessuno doveva sapere.

Dopo 19 anni dal delitto la Corte di Assise di Messina condanna all’ergastolo due ex latitanti: Gerlando Alberti jr., nipote di Gerlando Alberti Sr., detto “U paccarè”, boss della mafia siciliana, e Giovanni Sutera, già accusato di omicidio e tentata rapina. Insieme a loro, con l’accusa di favoreggiamento, sono state condannate a due anni la titolare della lavanderia e la collega di lavoro di Graziella Campagna: Franca Federico e Agata Cannistrà.

Quattro anni dopo, nel 1989, il giudice istruttore dispone il rinvio a giudizio nei confronti di due latitanti: Gerlandi Alberti jr e Giovanni Sutera. Nove giorni dopo la Corte d’Assise di Messina dichiara la nullità degli atti compresa l’ordinanza di rinvio a giudizio a causa di una mancata notifica agli imputati della comunicazione giudiziaria. Dopo che la Pubblica accusa avrebbe avanzato richiesta di proscioglimento, il 28 marzo 1990 viene dichiarato di non procedere nei confronti di Sutera e Alberti, perché non avrebbero commesso il fatto. Sei anni più tardi, nel mese di febbraio del 1996 il programma tv di Raitre “Chi l’ha visto” rilancia il caso Campagna grazie a una lettera di una professoressa che chiedeva la riapertura delle indagini. La lettera ottiene l’effetto desiderato. Dalle carceri italiane iniziano ad arrivare le testimonianze dei collaboratori di giustizia che accusano nuovamente gli ex latitanti Alberti e Sutera. La Procura di Messina riapre il caso. Nel 1998, al termine delle indagini, vi sono sei rinvii a giudizio: Gerlandi e Sutera sono accusati di omicidio, Franca Federico (titolare della lavanderia dove Graziella lavorava), il marito Francesco Romano, la cognata Agata Cannistrà e il fratello Giuseppe Federico, accusati di favoreggiamento. Sei anni dopo l’inizio del processo, alla fine del 2004, arriva la sentenza di condanna all’ergastolo per i due ex latitanti.

Il 29 luglio 2006 il Parlamento italiano approva con ampia maggioranza un provvedimento di indulto per i reati commessi fino al 2 maggio dello stesso anno. Il 4 novembre 2006 grazie all’indulto Gerlando Alberti jr. esce dal carcere dal carcere di Parma, dove sta scontando altre condanne (ma non l’ergastolo per l’omicidio di Graziella). L’ordinanza di custodia cautelare che avrebbe dovuto lasciare in carcere Sutera e Alberti almeno fino al processo d’appello era già stata annullata il 23 settembre 2006 per decorrenza dei termini. I giudici, a quasi due anni di distanza dal verdetto e ventuno dall’assassinio di Graziella, non avevano ancora depositato le motivazioni della sentenza.

Era libero l’uomo che uccise la piccola Graziella Campagna: doveva scontare l’ergastolo Doveva essere in cella a scontare l’ergastolo e invece è stato arrestato per traffico di droga Giovanni Sutera, l’uomo che 33 anni fa uccise a sangue freddo la diciassettenne Graziella Campagna per conto di Cosa Nostra. La ragazzina era stata involontaria testimone della latitanza del boss Gerlando Alberti junior. La rabbia della famiglia di Campagna: “Ora Graziella è vittima due volte: della mafia e della giustizia”.

L’assassino di Graziella Campagna, la ragazzina uccisa da Cosa nostra, perché involontaria – e inconsapevole – testimone della latitanza di Gerlando Alberti jr, era libero. Condannato all’ergastolo per l’omicidio della diciassettenne messinese, Giovanni Sutera, 60 anni, gestiva tranquillamente un bar a Firenze, dove è stato arrestato per traffico di droga. Sì, uno dei killer che spararono alla piccola Graziella sui monti Peloritani, godeva in libertà condizionale.

“Siamo indignati – ha commentato a ‘Chi l’ha visto?’ uno dei fratelli di Graziella – oggi mia sorella non solo è vittima innocente di mafia, ma anche vittima della giustizia”. Fu proprio il fratello carabiniere della ragazza a indagare sulla scomparsa della ragazzina, nel dicembre del 1985 e scoprire il suo corpo martoriato, mettendo gli inquirenti sulla pista dell’omicidio ‘necessario’ di una ragazzina la cui unica colpa era stata quella di imbattersi in un‘agendina ritrovata nella tasca degli indumenti che stava stirando nella lavanderia a Villafranca Tirrena, dove lavorava per dare un contributo alla famiglia. Il documento riportava alcune informazioni sulla reale identità di tale “ingegner Cannata” che altri non era che Gerlando Alberti jr, nipote latitante del boss Gerlando Alberti, arrestato anni prima dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

A oltre trent’anni dai fatti, la famiglia Campagna ha appreso che, invece, l’assassino della ragazzina era libero ed era tornato a delinquere trafficando droga dalla Spagna. “La procura generale di Firenze deve fare immediatamente richiesta di revoca della libertà condizionale” – ha concluso il fratello di Graziella-  Con mio fratello andiamo in tutta Italia nelle scuole a parlare di legalità per dare un contributo alla giustizia e la giustizia che cosa fa? Lascia fuori un elemento del genere”. 28 MARZO 2018 Angela Marino

Il killer di Graziella Campagna dovrà scontare l’ergastolo Revocata la libertà condizionale a Giovanni Sutera, il killer di Graziella Campagna. Dovrà scontare l’ergastolo.   Ha ammazzato Graziella Campagna sull’erba alta di Forte Campone in quella radura sporcata di sangue innocente, sui monti Peloritani che guardano Messina dall’alto. A colpi di lupara la notte del 12 dicembre del 1985. Diciassett’anni spezzati di una ragazzina pura come un fiore che pensava soltanto a riempire di tovaglie e centrini all’uncinetto la sua cassapanca del corredo per sposarsi un giorno. Un giorno che non ha visto mai. Giovanni Sutera aveva un ergastolo sulle spalle così come il boss Gerlando Alberti jr anche lui condannato all’ergastolo in via definitiva per l’uccisione della ragazza. Sutera era, però, libero. Gestiva un bar a Firenze come niente fosse insieme al fratello e tra un bicchiere e l’altro commerciava in droga con la Spagna. Sutera, lo scorso 27 marzo, è stato arrestato dai carabinieri nell’inchiesta della procura di Firenze per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Il tribunale di sorveglianza di Firenze ha revocato la misura attenuata sia per i reati ipotizzati dalla Dda sia rilevando la trasgressione a prescrizioni come il divieto di frequentare pregiudicati GAZZETTA DEL SUD di Nuccio Anselmo — 24 Aprile 2018

L’omicidio di Graziella Campagna venne commesso a Villafranca Tirrena il 12 dicembre 1985 dalla mafia. La sua storia è stata fonte d’ispirazione anche per il film TV La vita rubata. Cresciuta in una famiglia numerosa (erano sette tra fratelli e sorelle) a Saponara Superiore, abbandona gli studi e trova lavoro come aiuto lavandaia in una città vicina, Villafranca Tirrena, un impiego in nero che le frutta solo 150 mila lire al mese. Svolgendo quest’attività, un giorno trova un documento nella tasca di una camicia di proprietà di un certo “Ingegner Cannata”. Il documento rivela che il vero nome dell’uomo è Gerlando Alberti junior, nipote latitante del boss Gerlando Alberti (assicurato alla giustizia anni prima dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa). Quest’informazione le costerà la vita. Il 12 dicembre, dopo aver finito di lavorare, va come di consueto ad aspettare l’autobus che la condurrebbe a casa. Ma nell’attesa successe qualcosa e quella sera la corriera arriva a Saponara senza di lei. La madre, che la aspettava, si preoccupa; Graziella non era ragazza ritardataria. Nessuno riesce a trovarla, inizialmente si pensa ad una “fuitina” (una scappatella con un ragazzo) ma l’ipotesi non regge, in quanto l’unica persona che poteva aver progetti con lei era in quel momento a casa con la famiglia e lei lì non c’era. Il maresciallo presente in quel momento in caserma però è così convinto che sia una fuitina che addirittura si prende un giorno di vacanza. Testimoni affermarono che lei quella sera salì su un’auto sconosciuta molto tranquillamente, quindi con qualcuno alla guida di sua conoscenza e di cui si fidava, cosa che parve ugualmente molto strana ai familiari, visto che si trattava di una cerchia ristretta di persone. Due giorni dopo il corpo fu ritrovato a Forte Campone – vicino a Villafranca Tirrena – e riconosciuto dal fratello, Pietro Campagna. Aveva cinque ferite d’arma da fuoco, rivelatasi una lupara calibro 12 che sparò da non più di due metri di distanza dalla vittima. Le ferite erano sulla mano e sul braccio (con cui probabilmente tentò di proteggersi), all’addome, alla spalla, alla testa e al petto. I processi seguenti vanno avanti a rilento. Gerlando Alberti junior e Giovanni Sutera, il suo guardaspalle anche noto come Giovanni Lombardo, vennero rimandati a giudizio il 1º marzo 1988. Il movente che Alberti abbia voluto uccidere la ragazza perché a conoscenza del suo vero nome e quindi potenzialmente una minaccia viene giudicato debole dal giudice Marcello Mondello il 28 marzo 1990.

L’11 dicembre 2004 verranno giudicati colpevoli e condannati all’ergastolo sia l’Alberti sia Sutera, Franca e Agata saranno condannate a due anni di penitenziario, gli altri saranno prosciolti. Gerlando Alberti uscirà di prigione il 4 novembre 2006 per via del ritardo con cui è stata depositata la sentenza. Lui e Sutera saranno comunque ricondannati all’ergastolo il 18 marzo 2008 dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Messina. Il 18 marzo 2009, la Cassazione respinge il ricorso formulato dai due imputati e riconferma l’ergastolo ai due.


GERLANDO ALBERTI JR: L’AVVOCATO REPICI ASSOLTO DALL’ACCUSATO DI DIFFAMAZIONE    Assolto Fabio Repici dall’accusa di diffamazione, mentre sono stati condannati alle spese processuali i giudici Maisto e Mirandola che lo querelarono. Il 12 dicembre 1985 Graziella Campagna, una ragazza di 17 anni, fu fatta inginocchiare e poi uccisa con cinque colpi di fucile sparati a bruciapelo. Il delitto fu commesso vicino a Saponara, un paese in provincia di Messina. Ci vollero ventiquattro anni affinché i due killer, Gerlando Alberti Junior e Giovanni Sutera, fossero condannati in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio: il 18 marzo 2009 la Corte di Cassazione stabilì che i due criminali uccisero Graziella perché la ragazza aveva scoperto casualmente un documento di identità che attestava la vera identità di Gerlando Alberti Jr, il quale da latitante si nascondeva sotto falso nome nella provincia messinese. Furono necessari ventiquattro anni per arrivare ad una sentenza definitiva perché le indagini ed i processi sull’omicidio di Graziella furono caratterizzati da una serie infinita di depistaggi volti a proteggere i due autori del delitto ed i loro favoreggiatori, che si nascondevano anche all’interno delle Istituzioni. Solo la caparbietà dei familiari di Graziella e la professionalità del loro Avvocato Fabio Repici consentirono di sgretolare il muro d’omertà eretto a difesa dei due imputati e dei loro protettori.

Tuttavia, non passarono che pochi mesi dalla decisione della Cassazione che sulla famiglia di Graziella arrivò l’ennesima doccia gelata: l’11 dicembre 2009 il Tribunale di Sorveglianza di Bologna concesse gli arresti domiciliari a Gerlando Alberti Jr, giudicando le sue condizioni di salute non compatibili con il carcere. Le reazioni dei fratelli di Graziella furono immediate: “Quello che è successo – disse Pasquale Campagna – è una cosa sconvolgente e vergognosa, che offende la dignità di mia sorella, della nostra famiglia e di tutti gli italiani”. “Il carnefice è condannato al carcere a vita – aggiunse Piero Campagna – e come regalo dallo Stato ci aspettavamo un mazzo di fiori: invece sono arrivati gli arresti domiciliari”. Un giornalista dell’agenzia ANSA raggiunse telefonicamente l’Avv. Fabio Repici e riassunse le sue dichiarazioni in un virgolettato con questi termini: “Questa decisione è il modo più scandaloso con cui la magistratura commemora l’anniversario dell’uccisione di Graziella Campagna che avverrà domani. Gerlando Alberti Junior ottiene i benefici in cambio del silenzio perpetrato fino ad oggi e con il quale ha evitato di inguaiare magistrati, alti ufficiali dell’Arma e mafiosi vari che, prima e dopo l’omicidio di Graziella Campagna, gli hanno garantito la protezione”. Il Presidente del tribunale di Sorveglianza di Bologna, Francesco Maisto, respinse le critiche affermando: “(Il provvedimento, ndr) nasce solo da una richiesta specifica e ufficiale fatta dal carcere di Parma per le gravi condizioni di salute del detenuto. E dopo non c’è stato nessuno ricorso in Cassazione… Se la gente muore in carcere, poi si dice che il giudice sbaglia”. Pochi giorni dopo la scarcerazione di Alberti Jr, il 15 dicembre 2010, il Procuratore Generale reggente di Bologna, Marcello Branca, impugnò l’ordinanza di scarcerazione di fronte alla Corte di Cassazione, evidenziando la mancanza di una perizia d’ufficio sulle effettive condizioni di salute dell’ergastolano. Il 16 dicembre 2010 la sezione di ‘Magistratura Democratica’ dell’Emilia Romagna espresse solidarietà al collegio giudicante che aveva disposto la scarcerazione, definendo il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza ‘un ordinario caso di applicazione della ‘giurisdizione’ che ha assicurato il diritto alla salute di un condannato’.

I giudici Francesco Maisto e Manuela Mirandola, due dei quattro componenti del collegio che scarcerò Gerlando Alberti Jr, querelarono per diffamazione l’Avv. Fabio Repici, unitamente ai giornalisti ed ai direttori dei Quotidiani La Stampa e La Repubblica che riportarono le dichiarazioni attribuite all’Avv. Repici nel lancio dell’ANSA. Nacquero così due procedimenti penali, uno incardinato a Torino, sede del Quotidiano La Stampa, ed uno avviato a Roma, sede del Quotidiano La Repubblica. Il 13 maggio 2010, la Cassazione annullò con rinvio il provvedimento di scarcerazione di Gerlando Alberti Jr. Infine, il 15 dicembre 2010 il Tribunale di Sorveglianza di Bologna rigettò la richiesta di differimento d’esecuzione della pena per motivi di salute presentata da Alberti jr, che era stato nel frattempo ricondotto in carcere.

I due procedimenti penali a carico dell’Avv. Repici e dei giornalisti che pubblicarono le dichiarazioni contenute nel lancio ANSA sono ancora in corso.

Nel febbraio 2016 il Tribunale di Torino ha assolto l’Avv. Repici e i giornalisti del Quotidiano La Stampa perché “il fatto non costituisce reato”. Durante le indagini, non è stata accertata l’identità del giornalista dell’ANSA che intervistò telefonicamente l’Avv. Repici l’11 dicembre 2009 e non è stata verificata l’esistenza o meno di una registrazione di quella telefonata. Le parti civili, la Procura e la Procura Generale di Torino hanno depositato atto di appello contro l’assoluzione degli imputati. Il 23 settembre 2019 ha avuto luogo la prima udienza davanti alla terza sezione penale della Corte di appello. L’Avv. Repici ha rinunciato alla prescrizione, già maturata negli anni precedenti. Il Sostituto Procuratore Generale Marcello Tatangelo ha chiesto che, in riforma della sentenza di assoluzione emessa in primo grado, l’Avv. Repici sia condannato a quattro mesi di carcere e che per gli altri due imputati sia emessa sentenza di proscioglimento per prescrizione. Questo pomeriggio è attesa la sentenza della Corte di Appello.

Oggi Gerlando Alberti Jr è detenuto e questo fatto dimostra, ad oltre dieci anni di distanza dal dicembre 2009, che le sue condizioni di salute sono state compatibili con il regime di detenzione carceraria e che il detenuto ha sempre avuto assicurato il diritto alla salute. L’Avv. Repici, invece, rischia una condanna, addirittura ad una pena detentiva, solo per aver espresso il proprio profondo sconcerto di fronte ad un provvedimento che è stato emesso dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna e che è stato successivamente annullato dalla Corte di Cassazione. Inoltre non sono stati acquisiti alcuni elementi necessari per riscontrare le esatte parole formulate dall’Avv. Repici all’agenzia ANSA il giorno della scarcerazione di Gerlando Alberti Jr.

“Attendiamo con fiducia la sentenza che sarà emessa dalla Corte di Appello di Torino”, scrivono Piero Campagna, Salvatore Borsellino, Vincenzo e Nunzia Agostino, Paola Caccia, Stefano Mormile, Angela e Gino Manca, Roberta Gatani, Movimento Agende Rosse. “Abbiamo piena consapevolezza che i fatti emersi durante il dibattimento saranno scrupolosamente valutati, come già accaduto per la sentenza di assoluzione degli imputati emessa dal Tribunale di Torino. Condividiamo la riflessione di Piero Campagna il quale, ricostruendo nel 2012 l’estenuante lotta per la Giustizia per Graziella, ha dichiarato: “Fabio Repici ha restituito la dignità e l’onore di avere Giustizia per Graziella… Oggi chi dice la verità ne soffre””. 12 OTTOBRE 2020 STAMPA LIBERA


INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/33068 presentata da VENDOLA NICOLA 13.12.2000  Al Ministro dell’interno, al Ministro della difesa.– Per sapere – premesso che: nel processo in corso presso la Corte di Assise di Messina per l’omicidio di Graziella Campagna sono emersi gravissimi episodi di depistaggio ed altre anomalie poste in essere da Ufficiali e Sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri; la sera del 12 dicembre 1985, nel paese di Villafranca Tirrena (Messina), scompariva Graziella Campagna, di Saponara. Il suo cadavere veniva ritrovato due giorni dopo sui monti Peloritani, al confine fra il comune di Messina e quello di Villafranca Tirrena. Graziella sarebbe scomparsa sulla via Nazionale di Villafranca Tirrena, nei pressi della lavanderia La Regina, ove la stessa prestava servizio; all’epoca dell’omicidio, la lavanderia La Regina era da tempo quotidianamente frequentata da due palermitani, presentatisi come l’ingegner Toni Cannata ed il geometra Gianni Lombardo, quest’ultimo collaboratore del primo. In realta’ si trattava di due pericolosissimi ricercati per associazione mafiosa, traffico internazionale di droga ed altro: Gerlando Alberti jr. (nipote omonimo di Gerlando Alberti sr., detto “‘u paccare’”) e Giovanni Sutera. I due si nascondevano nella zona di Villafranca da circa tre anni ed avevano instaurato buoni rapporti con i titolari della lavanderia, i coniugi Franco Romano e Franca Federico, e con le collaboratrici, Agata Cannistra’ e Graziella Campagna. Inoltre, nello stesso paese erano assidui frequentatori del salone da barba di Giuseppe Federico, fratello di Franca, e del negozio di alimentari di Francesco Catrimi; Alberti si era trasferito nella zona di Messina dal 1982-83, dopo essere sfuggito agli attentati in suo danno eseguiti dal gruppo mafioso corleonese e dagli alleati di quella frangia di Cosa Nostra. Arrivato in riva allo Stretto, aveva dimorato fino al 1984 ad Acqualadroni, utilizzando le abitazioni messe a sua disposizione da tale Palamara Rosaria, e dal 1984 in poi nella zona di Villafranca Tirrena; la presenza in Villafranca dei due latitanti palermitani e la loro identificazione venivano accertate la sera dell’8 dicembre 1985, quattro giorni prima dell’omicidio, quando fuggivano da un posto di blocco lasciando i documenti falsi. Dalla relazione di servizio redatta dai due Carabinieri, tuttavia, risulta un dato preoccupante. Il Cannata (alias Alberti), infatti, prima di fuggire aveva riferito ai militari, al fine di tranquillizzarli, che egli era ottimo amico del maresciallo Giardina, Comandante della Stazione dei Carabinieri di Villafranca, al quale, quindi, sollecitava i militari di rivolgersi per avere referenze tranquillizzanti. Sennonche’, dopo l’omicidio in questione, fu proprio il maresciallo Giardina a coordinare le indagini sull’omicidio Campagna, inizialmente volte a dimostrare un’insostenibile causale passionale e poi direzionate, dopo molte titubanze, nei confronti di Alberti e Sutera. La relazione di servizio, invece, nella quale si segnalava l’amicizia fra il maresciallo Giardina ed il latitante, fu trasmessa alla Procura della Repubblica soltanto un mese e due giorni dopo il ritrovamento del cadavere; in effetti, perfino lo stesso maresciallo Giardina dovette ammettere taluni contatti con l’ingegner Cannata (alias Alberti). Gia’ al G.I. riferi’ di aver in piu’ occasioni incontrato il sedicente Cannata dal barbiere Federico e nel negozio di Catrimi (guarda caso erano entrambi avventori degli stessi esercizi commerciali) e che in tali occasioni il latitante palermitano gli era stato presentato come “ingegnere Cannata” e gli era stato descritto come un “gentiluomo”, fra gli altri dall’allora sindaco Vincenzo La Rosa, uomo legato a doppio filo a don Santo Sfameni ed imparentato con i proprietari della lavanderia presso cui lavorava Graziella; Gerlando Alberti jr., dietro la falsa identita’ dell’insospettabile ingegner Toni Cannata, dal maggio del 1985, insieme all’amico Sutera, spacciato come proprio parente, aveva preso in affitto una villetta nel vicino paese di Rometta Marea, in Via Vini n. 103, di proprieta’, inizialmente, di tale Siragusa Salvatore. In realta’, il contratto di affitto era stato stipulato a nome di Mancuso Rosa Emilia, moglie dell’Alberti, il 15 maggio 1985; a quasi un mese di distanza dall’omicidio di Graziella, si scopriva che qualche giorno prima dell’8 dicembre 1985 l’ingegner Cannata aveva lasciato della biancheria alla lavanderia ove lavorava la giovane. Sbadatamente, in uno degli indumenti consegnati, lasciava un porta-documenti contenente un’agendina con degli appunti personali. Avvedutosi di cio’ mentre si trovava nel negozio del barbiere Federico, mostrando evidenti segni di nervosismo, mandava il suo amico a ritirare il tutto. Sutera, pero’, tornava a mani vuote, cosicche’ l’ingegner Cannata si recava di persona alla ricerca dei preziosi documenti. Veniva ritrovata soltanto la custodia del porta-documenti, al cui interno c’era solo un’immaginetta sacra con l’effigie del Papa. A questo punto, il latitante andava su tutte le furie, gettando nel cestino gli oggetti rinvenuti. Dal timore che questi appunti fossero stati ritrovati, all’interno della lavanderia, da Graziella Campagna e che la ragazza ne potesse parlare con il fratello Piero, carabiniere, sarebbe nata la necessita’ dell’uccisione della diciassettenne. Graziella, dopo essere stata prelevata e condotta a Forte Campone, sarebbe stata interrogata in ordine al ritrovamento degli appunti smarriti dall’ingeger Cannata e solo dopo cio’ uccisa; nonostante nella zona tutti conoscessero l’ubicazione della casa dell’ingegner Cannata, i carabinieri di Villafranca, guidati dal maresciallo Giardina, la individuavano soltanto con cinque giorni di ritardo, il 13 dicembre 1985. Proprio la mattina successiva all’omicidio, guarda caso, e proprio quella mattina venivano rilevate all’ingresso dall’abitazione le tracce di fango lasciate nella notte, segno della fuga repentina. Inspiegabilmente, pero’, la villetta non venne perquisita fino all’8 gennaio 1986. Il maresciallo Giardina giustifico’ questo ritardo affermando di aver predisposto dei controlli mirati a sorprendere l’eventuale ritorno sul posto dei fuggitivi o di qualche loro complice. Il servizio di appostamento disposto dai Carabinieri nei pressi dell’abitazione di via Vini n. 103, tuttavia, non rilevava alcunche’, nemmeno che il 14 dicembre 1985 numerosi soggetti a bordo di due autovetture targate CT A112, con fare sospetto, erano inutilmente andati a trovare l’Alberti; risulta all’interrogante che fino al 7 gennaio 1986 non vi fu traccia alcuna, negli atti di indagine, dell’ingegner Cannata e del fido aiutante Gianni; a dire il vero, gia’ l’avvio delle indagini era stato caratterizzato da alcune stranezze. Era, infatti, avvenuto che a giungere per primi a Forte Campone e ad eseguire il riconoscimento del cadavere ed i primi adempimenti del caso fossero stati i poliziotti della Squadra Mobile. Sennonche’, contrariamente alla prassi istituzionale costante in casi del genere, la conduzione delle indagini era stata delegata, dalla magistratura, in prima battuta ai Carabinieri; soltanto il 19 febbraio 1986 Alberti e Sutera venivano denunciati, in stato di latitanza, dal Nucleo Operativo dei Carabinieri di Messina. Pero’, cio’ avveniva solo per furto e falso per la fuga dal posto di blocco del giorno 8 dicembre 1985 e non per l’omicidio Campagna, su cui si ometteva ogni accenno. La circostanza piu’ grave e’ che la Squadra Mobile di Messina aveva gia’ denunciato Alberti e Sutera quali responsabili dell’omicidio Campagna, con rapporto giudiziario dell’11 gennaio 1986; solo con rapporto giudiziario del 3 settembre 1986 la Legione Carabinieri di Messina, Compagnia di Messina Centro, dopo aver tentato di sostenere il movente passionale, denunciava Alberti e Sutera quali autori dell’omicidio Campagna; Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera, con provvedimento emesso il 12 dicembre 1988 dal G.I. del Tribunale di Messina, venivano rinviati a giudizio innanzi alla Corte di Assise di Messina. Tuttavia, la Corte, presieduta dal dottor Cucchiara, con provvedimento del 10 marzo 1989, dichiarava, su conforme richiesta del P.M., alla quale si associavano anche i difensori delle parti civili e degli imputati, la nullita’ degli atti dell’istruzione formale, “ivi compresa l’ordinanza di rinvio a giudizio”, e disponeva la restituzione degli atti al P.M.; nel frattempo, il 4 febbraio 1989, il carabiniere Piero Campagna, proseguendo le indagini personali sull’omicidio della sorella, registrava una conversazione avuta nella lavanderia Orchidea di Rometta Marea (Messina) con la proprietaria di tale negozio, Bertino Angela, e con Agata Cannistra’, da cui emergono involontarie confessioni significative ed allarmanti. Infatti, Agata Cannistra’ riferiva che, ai tempi della latitanza di Alberti sotto le mentite spoglie di ingegner Cannata, il proprio marito, il barbiere Giuseppe Federico, aveva partecipato ad una cena in un ristorante, nella quale ospite di lusso era proprio il latitante palermitano e fra i presenti era il maresciallo Carmelo Giardina e aggiungeva che il modo di fare di Alberti le era risultato estremamente sospetto. Sempre nel corso della stessa conversazione registrata, la proprietaria della lavanderia Orchidea, cognata del boss Santo Sfameni, confidava che Nino Sfameni, figlio di Santo, aveva fatto in qualche occasione da autista all’ingegner Cannata. La stessa aggiungeva che aveva saputo che, al tempo della latitanza, fra le dimore a disposizione di Alberti e Sutera, vi fosse anche una villetta sita in Villafranca Tirrena, Via Baronia, adiacente alla caserma dei Carabinieri diretta dal maresciallo Giardina, circostanze sconosciute agli atti dell’inchiesta, perche’ mai verbalizzate; ripartito il procedimento, il P.M. richiedeva il proscioglimento dei due imputati, disposto con la sentenza emessa il 28 marzo 1990 dal G.I. dottor Marcello Mondello; per lunghi anni, dopo la sentenza di proscioglimento emessa dal dottor Mondello, sul feroce assassinio di Graziella Campagna calava l’oblio; il 24 settembre 1996, oltre 6 anni dopo il proscioglimento dei due imputati, sulla scorta delle dichiarazioni rese da 9 collaboratori di giustizia (Ferrara Carmelo, Surace Salvatore, Mancuso Giorgio, Rizzo Rosario, Di Napoli Pietro, Sparacio Luigi, Giorgianni Salvatore, Cariolo Antonio, Arnone Marcello), i quali avevano indicato Alberti e Sutera quali esecutori materiali del delitto, specificando il contesto mafioso in cui era stato deciso l’assassinio di Graziella, la Procura di Messina richiedeva la revoca della sentenza di proscioglimento e la riapertura delle indagini preliminari. Il Gip accoglieva la richiesta con provvedimento emesso il 5 dicembre 1996, concedendo 6 mesi per il completamento delle indagini; venivano espletati nuovi accertamenti dal R.O.S. dei Carabinieri di Messina, che culminavano nella redazione dell’informativa “Erode” del 5 giugno 1997, nella quale venivano raccolti numerosi riscontri trovati alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Con l’informativa di reato, venivano denunciati Alberti e Sutera quali responsabili dell’uccisione della Campagna, Franca Federico, Franco Romano, Giuseppe Federico ed Agata Cannistra’ per favoreggiamento, Santo Sfameni per associazione mafiosa; cosi’ come risulta all’interrogante, il 23 dicembre 1997 il P.M. Marino formulava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di 6 imputati: Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera per il reato di omicidio, Franca Federico, Franco Romano, Giuseppe Federico e Agata Cannistra’ per favoreggiamento, richiesta accolta dal Gip Salamone, che disponeva il rinvio a giudizio di tutti gli imputati innanzi alla Corte di Assise, Prima Sezione, per l’udienza del 10 dicembre 1998; iniziato il dibattimento, anche grazie alle rivelazioni di numerosi collaboratori di giustizia, emergeva uno spaccato inquietante fatto di commistioni fra pezzi dello Stato e mafiosi in carriera. Per la prima volta si riusciva a far venir fuori che il “patriarca” di Villafranca Tirrena, Santo Sfameni, e’ un importante uomo di Cosa Nostra, “burattinaio” manovratore di giudici e processi, che dall’alto della sua influenza massonica riusciva a far sedere insieme magistrati, avvocati e latitanti; con l’esame testimoniale di Piero Campagna, il 22 dicembre 1999, venivano fuori le circostanze piu’ sconcertanti. Riferiva, infatti, il Campagna che, pochi giorni dopo l’omicidio, era stato raggiunto a casa da poliziotti della Squadra Mobile, insieme ai quali era salito in automobile per riferire loro tutti i sospetti che aveva sull’assassinio della sorella. L’auto della Polizia veniva bloccata da una pattuglia dei carabinieri. Ne nasceva una colluttazione fra poliziotti e carabinieri. Finiva che gli agenti della Mobile, stizziti per l’accaduto e per le incredibili accuse di imprecisate ingerenze investigative, andavano via. Il Campagna veniva convocato in caserma dal maresciallo Giardina, dal quale veniva redarguito per avere fornito notizie alla Polizia e invitato a recarsi al Comando Provinciale dei Carabinieri, nell’ufficio dell’allora maggiore Antonio Fortunato, Comandante del Reparto Operativo, che aveva manifestato il suo disappunto per l’accaduto. Ricevuto dal Fortunato, Campagna veniva nuovamente investito da una reprimenda per avere collaborato con i poliziotti e gli veniva intimato di fornire ogni dettaglio utile per le indagini esclusivamente allo stesso maggiore Fortunato o al maresciallo Giardina; nella stanza del Fortunato, da questi veniva presentata a Piero Campagna un’altra persona, indicata dal Fortunato come proprio collega, a nome Giuseppe Donia, il quale assistette all’incontro e partecipo’ alla discussione, anche intervenendo per tranquillizzare il fratello della vittima sullo scrupolo che sarebbe stato impiegato nelle indagini. Si tratta della stessa persona che Campagna, nuovamente recatosi al Comando Provinciale, qualche giorno dopo incontro’ nel cortile della caserma e che gli confido’ di essersi personalmente occupato della perizia balistica espletata sui proiettili utilizzati per uccidere Graziella; Piero Campagna a distanza di qualche anno incontro’ il Donia a Falcone (Messina), il paese nel quale dal 1989 Gerlando Alberti e la sua famiglia vivevano. In tale occasione apprese dai carabinieri di Falcone che il Donia non era in realta’ un ufficiale dei carabinieri, ma che si spacciava falsamente come tale, e che, soprattutto, era un soggetto strettamente legato a Gerlando Alberti jr; risultando agli atti del processo una sola perizia balistica, firmata dal professor Ortese, e, viceversa, non risultando, secondo l’interrogante, da nessuna parte l’intervento del finto “colonnello” Donia, il P.M. di udienza, dottoressa Raffa, avvio’ un’indagine sui fatti raccontati dal Campagna, anche sulla scorta della deposizione del maresciallo del R.O.S. dei Carabinieri Salvatore Puglisi, che, sentito nella stessa udienza nella quale era stato escusso Piero Campagna, aveva confermato che negli anni ’80 il Donia, qualificandosi falsamente come ufficiale dei Carabinieri, frequentava il Comando Provinciale di Messina; nel corso delle indagini sul Donia, questi, interrogato il 1o aprile 2000, ammetteva che la sera del rinvenimento del cadavere di Graziella Campagna, il 14 dicembre 1985, era stato “contattato telefonicamente dal capitano Acampora. Costui mi sollecitava a recarmi presso la stazione dei carabinieri di Villafranca portando con me un fucile da caccia con un munizionamento da caccia grossa. Poiche’ io opponevo qualche resistenza mi passo’ al telefono (il maggiore) Fortunato, che mi fece ulteriori e definitive pressioni. Giunto in caserma vi trovai Fortunato, Acampora e Giardina. Mi fu richiesto di comparare informalmente alcuni reperti balistici con la mia arma e le mie munizioni e fornii le mie conclusioni”; pur ammettendo inusuali rapporti di frequentazione con il Donia, il maggiore Fortunato ed il capitano Acampora negavano di avere mai dato quell’incarico peritale al Donia; in realta’, Giuseppe Donia, formalmente privato cittadino, e’ un soggetto del tutto fuori dal normale ed i suoi rapporti con gli ambienti militari e giudiziari sono talmente irrituali da allarmare. Cosi’ scriveva di se’ il 24 febbraio 1994 in un’istanza al Procuratore della Repubblica di Patti, susseguente ad un sequestro di armi e munizioni eseguito in casa sua il 7 gennaio 1994 dai carabinieri della compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto: “A titolo di informazione (il sottoscritto) aggiunge di essere stato chiamato quale perito balistico, con facolta’ di servirsi a discrezione delle infrastrutture civili e militari della Repubblica, dai Giudicati di Istruzione presso le Procure della Repubblica di Modena, Bologna, Parma, Reggio Emilia, consulente, a titolo assolutamente gratuito, del Reparto Operativo dell’ex Gruppo CC. di Messina, dal quale veniva a volte convocato, in occasione di fatti di sangue, per fornire indicazioni sui reperti balistici sequestrati ed ancora di essere stato nominato dai Prefetti di Bologna e Modena, Istruttore e Direttore di Tiro, e di avere questa qualifica anche presso il poligono di Milazzo”. E cosi’ in una lettera inviata nello stesso frangente al colonnello Antonio Ragusa, Comandante Provinciale CC. di Messina: “Premesso che la mia passione del tiro accademico e’ ben datata, risale infatti ad una assidua frequentazione e collaborazione con l’allora capitano CC. Alberto Romoli, Comandante del centro Perfezionamento Tiro presso l’8o Btg. CC. di Roma, nei primi anni ’70, proseguita nel tempo anche con la partecipazione tecnica all’addestramento di alcuni poi noti Sottufficiali dell’Arma, a particolari sedute diurne e notturne; chi Le scrive e’ stato istruttore di Tiro e Direttore di Tiro con nomina dei Prefetti di Bologna e Modena, Perito del Giudicato d’Istruzione presso le Procure di Modena, Bologna, Parma, Reggio Emilia, nonche’ consulente balistico, a titolo assolutamente gratuito, del Reparto Operativo dell’ex Gruppo CC. di Messina, al quale ha fornito indicazioni in occasioni di fatti di sangue, sui reperti balistici sequestrati”; che il falso colonnello Donia effettivamente si presentasse, e venisse presentato in giro, come ufficiale dei Carabinieri in pensione e’ un fatto talmente certo da essere attestato da una nota del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Modena inviata l’8 aprile 1981 ai Carabinieri di Roccavaldina (Messina), nella quale si comunicava anche che Donia vantava di avere fatto amicizia anche con il maresciallo Numa, comandante della stazione competente sul territorio di sua nuova (a quel tempo) residenza, Scala Torregrotta. Altrettanto certi sono i rapporti di amicizia fra Giuseppe Donia e Gerlando Alberti, l’imputato dell’omicidio di Graziella Campagna: le relazioni di servizio dei carabinieri di Falcone del 29 ottobre 1991 e del 29 maggio 1992 sono inequivoche sugli incontri fra i due e fra Donia, la moglie di Alberti ed il guardiaspalle, tale Geraci Antonino, dello stesso mafioso palermitano; a dire il vero, pero’, cio’ che appare piu’ destabilizzante, all’interrogante, e’ il tenore dei rapporti intrecciati dal Donia prima dell’omicidio di Graziella Campagna con alcuni rappresentanti istituzionali che dell’omicidio ebbero ad occuparsi nell’esercizio delle loro funzioni, nel modo non troppo accurato che gia’ sopra si e’ visto. Il Donia, infatti, pur non essendo colonnello, appare tale e, pur non essendo perito balistico, svolge in segreto delicate perizie. Solo che questa sua passione per le armi e’ condivisa con soggetti di tutto spessore. Il 13 dicembre 1982, ad esempio, Donia segnalava formalmente alla Stazione dei Carabinieri di Fondachello Valdina (Messina), diretta dal maresciallo Numa, di avere ceduto a titolo gratuito una pistola Beretta semiautomatica cal. 7,65 al dottor Rocco Sisci, nato ad Amendolara (Cosenza) il 6 ottobre 1936, in quel momento (ed anche nel dicembre 1985) Sostituto Procuratore della Repubblica a Messina. Il 1o luglio 1983 il Donia segnalava alla stessa Stazione dei Carabinieri di avere ricevuto in regalo dal capitano Acampora Fernando, proprio colui che dirigera’, quale comandante del Nucleo Operativo della Compagnia Messina Centro, le indagini sull’assassinio, tante armi da sembrare un arsenale; in definitiva si hanno: due imputati di omicidio, Gerlando Alberti e Giovanni Sutera, latitanti in Villafranca Tirrena protetti da Santo Sfameni; quattro imputati di favoreggiamento, in intimi rapporti con quegli stessi latitanti e legati da rapporti di parentela con l’allora sindaco La Rosa, buon amico ed accompagnatore del latitante Alberti ed in stretto collegamento con il boss Sfameni; un intoccabile “puparo”, Sfameni; un pugno di Ufficiali e Sottufficiali dei Carabinieri (Fortunato, Acampora, Giardina ed altri) che hanno devastato le indagini, con comportamenti fuori da ogni codice, peraltro condividendo con l’Alberti talune amicizie non propriamente commendevoli; un falso colonnello (Donia) che compie perizie non verbalizzate, che collabora, fuori ruolo, alle indagini, che e’ amico del principale imputato, che regala armi a magistrati e criminali e ne riceve da parte di ufficiali dei carabinieri, che viene accusato (unitamente a molti sottufficiali dei carabinieri) da collaboratori di giustizia e mai perseguito -: se siano mai stati avviati accertamenti dai Ministri interrogati sui gravi fatti raccontati e quali siano le relative risultanze; se siano state rilevate responsabilita’ in capo ai rappresentanti dei Carabinieri menzionati e quali siano ed a carico di chi i procedimenti disciplinari avviati su tali vicende, con specifico all’allora maggiore Antonio Fortunato, al capitano Fernando Acampora, al maresciallo Carmelo Giardina, al colonnello Antonio Ragusa; quali accertamenti siano stati fatti sul Donia Giuseppe e sui suoi rapporti di collaborazione con i Carabinieri; se non ritengano, in ogni caso, che le suddette vicende meritino l’avvio di immediati provvedimenti, come richiede il sangue innocente di una martire della mafia: Graziella Campagna. (4-33068)


 GRAZIELLA CAMPAGNA, LA RAGAZZA MASSACRATA PER UN’AGENDINA giovane ragazza della provincia di Messina colpevole di avere trovato per caso il documento che svelava l’identità del latitante Gerlando Alberti jr, per questo uccisa da Cosa Nostra. Aveva 17 anni quando è morta, 32 anni fa. Se si potesse disegnare come le mafie possano infiltrarsi nella vita di ognuno nei casi più impensabili e inquinarne il finale allora quel disegno avrebbe gli occhi e i capelli di Graziella Campagna, la giovane diciassettenne di Saponara che è morta per un documento, un’agendina, ritrovata nella tasca dei pantaloni mentre lavorava per 150.000 lire al mese nella lavanderia di Franca Federico a Villafranca Tirrena, pochi chilometri da casa. Quel tale “ingegner Cannata” a cui faceva riferimento qual paio di pantaloni altro non era che Gerlando Alberti jr, nipote latitante del potente boss Gerlando Alberti che anni prima era stato arrestato grazie alla capacità investigativa del generale Dalla Chiesa. Quel pezzo di carta che svelava la vera identità di Alberti jr costerà la vita a Graziella. Come troppe volte succede in questo Paese in cui, come diceva Giovanni Falcone, nella mafia ci capiti per caso, oltre che per destino. E anche in quel 1985 Cosa Nostra era pronta a tutto pur di proteggere le generalità false dei propri capi rintanati in qualche buco: Graziella Campagna quel 13 dicembre non scese mai dal bus che la portava solitamente a casa dopo il lavoro. “Fuitina” dissero tutti, al solito, ipotizzando che fosse scappata con qualche ragazzo e anche se all’ipotesi non ci credette quasi nessuno il maresciallo dei carabinieri di Saponara fu così poco preoccupato da concedersi addirittura un giorno di vacanza. Due giorni di silenzio per la famiglia. E Graziella che non si trova. Parlano solo alcuni testimoni che dicono di averla vista salire su un’auto poco dopo la chiusura della lavanderia. “Conosceva bene chi l’ha fatta salire”, raccontano. E invece due giorni dopo il corpo di Graziella, martoriato da cinque colpi di lupara calibro 12, viene ritrovato a Forte Campone, vicino a Villafranca Tirrena. Quella ragazzina diciassettenne era un pericolo troppo grande per il finto “ingegnere” che bivaccava in zona. La storia di Graziella è anche una brutta storia giudiziaria: in primo grado quel documento che svelava la finta generalità del boss fu definito una prova “troppo debole” per portare alla condanna di Gerlando Alberti jr e del suo picciotto Giovanni Sutera e quando i due vengono condannati Gerlando Alberti finisce comunque scarcerato nel 2006 per un ritardo nel depositare la sentenza. La storia di Graziella, così, come spesso succede, ci mette vent’anni a trovare pace. Eppure varrebbe la pena ricordarla oggi per la morale che insegna: noi possiamo non occuparci di mafie ma le mafie si occupano di noi. Comunque. FANPAGE 12.12.2017


PLURIOMICIDA IN LIBERTÀ DA 3 ANNI: IL BOSS PALERMITANO SUTERA TORNA IN CARCERE Ergastolo per l’esponente di Cosa Nostra che un mese fa era finito in carcere a Firenze per un presunto traffico internazionale di stupefacenti. Dal 2015 (e fino allo scorso marzo) era in libertà condizionale. Nel 1985 aveva ucciso la 17enne Graziella Campagna Torna all’ergastolo il palermitano Giovanni Sutera, l’esponente di Cosa Nostra, finito in carcere per un presunto traffico internazionale di stupefacenti. Il Tribunale di Sorveglianza di Firenze ha revocato infatti i benefici per cui nel 2015 era stato rimesso in libertà. Sutera fu condannato “al fine pena mai” per l’omicidio della 17enne Graziella Campagna, avvenuto nel 1985, e a 25 anni per l’omicidio del gioielliere fiorentino Vittorio Grassi, ucciso nel 1982.Quando il boss palermitano uccise Graziella, era latitante per l’omicidio, tre anni prima, di Grassi, per cui è stato condannato a 25 anni, dopo venti anni di processi. L’esecuzione della giovane siciliana colpì per la sua crudeltà: Sutera, infatti, non risparmiò la giovane lavandaia, colpevole soltanto di aver trovato un’agenda compromettente in una giacca.   Giovanni Sutera, 60 anni, fino a un mese fa era in libertà condizionale. Lo scorso 27 marzo era stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta sulla gestione del bar Curtatone, nel centro di Firenze e su un presunto traffico internazionale di stupefacenti, insieme al fratello 56enne, Renato. “Due esponenti di Cosa Nostra, che avevano acquistato un bar nel centro di Firenze, intanto si dedicavano al traffico di stupefacenti”, dichiarò il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo illustrando l’operazione. Un episodio che aveva sollevato la protesta dei parenti di Graziella Campagna che dalla Sicilia erano venuti dunque a sapere, solo dopo questo arresto, di come l’uomo fosse in libertà da tre anni e avesse scontato, per l’ergastolo della ragazzi, solo pochi anni carcere. Il Tribunale, adesso, ha deciso di revocare la liberazione condizionale. Sutera, quindi, resterà in carcere e dovrà tornare a scontare anche l’ergastolo per l’omicidio di Graziella Campagna. 27 aprile 2018 Palermo Today


a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco