LE PAROLE DI GRAVIANO CHE RIAPRONO LA PARTITA

2.10.2019 LE PAROLE DI GRAVIANO CHE RIAPRONO LA PARTITA  A far ripartire le indagini su Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi per le stragi di mafia tentate e riuscite del 1993-94 a Roma, Firenze e Milano, sono state le famose intercettazioni di Giuseppe Graviano. Il 10 aprile del 2016 il boss è a passeggio con il compagno di detenzione Umberto Adinolfi nel carcere di massima sicurezza di Ascoli. Il siciliano ricorda quando era stato chiamato a confermare le accuse del pentito Francesco Di Carlo, che aveva parlato anche di presunti investimenti del padre di Graviano a Milano: “Nel dicembre 2009 al processo Dell’Utri c’erano i giornalisti di tutto il mondo, te lo ricordi che si preoccupava?”. Graviano si era avvalso della facoltà di non rispondere ma leggeva nel pensiero di Marcello Dell’Utri, presente in aula: “si preoccupava, dice … si chistu pa… a mia m’arrestano subito”. Graviano quel giorno del 2016 poi spiega di essere adirato per il trattamento subito e propone ad Adinolfi di far arrivare un messaggio minaccioso mediante un intermediario. A chi? Il boss non lo dice ma secondo l’accusa del processo Trattativa, si parlerebbe di Berlusconi. Graviano dice ad Adinolfi che bisognerebbe mandare un uomo a portare un messaggio a un terzo soggetto: “all’uomo ci si fa sapere: dici a Tizio che si comincia a presentare con tutto quello che sa lui”. Adinolfi è scettico. Capisce i rischi dell’operazione. Graviano prima di fargli la proposta di trovare un messaggero spiega al detenuto campano il contesto, partendo da molto lontano. Graviano spiega che il nonno materno, Filippo Quartararo avrebbe investito nel 1975 insieme a un suo amico e altri soci in un’attività. Nel 1982, quando muore il padre, Michele Graviano, ucciso dai fedeli di Bontate, Giuseppe comincia a esser messo a parte dei segreti di questi investimenti: “morto mio padre io sapevo qualcosa ma non sapevo tutto” finché il nonno vicino alla morte, quando il nipote è già latitante, nel 1985 gli disse tutto. A QUESTO PUNTO, Graviano dice: “Io avevo i contatti, giusto? Adesso passiamo a una fase molto delicata (…) a Roma lui voleva già scendere, ‘92 già voleva scendere e voleva tutto ed era disturbato per acchianari (cioè per salire, ndr) lo volevano indagare”. Adinolfi lo interrompe e con fare interrogativo dice: “Misi i luglio”, cioè sembra chiedere al boss: ‘La cortesia che ‘lui’ ti ha chiesto è riferita al mese di luglio 1992?’. Graviano (secondo l’interpretazione dei periti della Corte d’Assise, contestata dalla difesa Dell’Utri) dice: “Berlusca mi ha chiesto sta cortesia ….per questo è stata l’urgenza”. Poi il boss di Brancaccio passa a parlare di un politico: “Io credevo in questa situazione la popolazione era con noialtri, era innamorata” e in dialetto siciliano ripete: “iddru voliva scinniri in quel periodo c’erano i vecchi, elezioni ri vecchi, e iddru mi dissi ci vulissi una bella cosa”. Il senso sarebbe “lui voleva scendere in politica era disturbato dai vecchi e mi disse: ‘ci vorrebbe una bella cosa’”. Nessuno può sapere esattamente quale sia il senso di questa frase, a parte Graviano, ma un’ipotesi formulata dal pm Antonino Di Matteo, è che “quando Graviano parla di cortesia, teoricamente è possibile pensare che si riferisca a un eccidio, via d’Amelio, in cui è stato uno dei protagonisti principali. Mi rendo conto che sono ipotesi”, ammette il magistrato, ricordando però che “tanti tasselli ci fanno ritenere che la strage di via D’Amelio possa essere stata eterodiretta da ambienti e soggetti estranei a Cosa nostra”. La Procura di Caltanissetta, competente sulle stragi del 1992, però non ha iscritto Berlusconi dopo aver acquisito le intercettazioni sulla ‘cortesia del 92’ fatta da Graviano. SCELTA DIVERSA ha fatto Firenze per le stragi del 1993. Le parole di Graviano sono difficili da interpretare. Il boss potrebbe mentire volutamente per inviare messaggi depistanti. Nato nel 1963, Graviano è stato arrestato il 27 gennaio del 1994 a Milano con il fratello maggiore Filippo e da allora entrambi sono reclusi in isolamento. Boss precoce, scelto come capo del mandamento di Brancaccio scavalcando il primo e il secondogenito, era nel cuore del corleonese Riina nonostante fosse un palermitano. Il padre, Michele Graviano, era diventato ricco quando i suoi terreni agricoli avevano cambiato destinazione.  A Fiammetta Borsellino, che andò a trovarlo a Terni in carcere nel dicembre 2017 sperando di riuscire a smuoverlo, Graviano si raccontò così: “Vengo da una famiglia di possidenti, avevamo una concessionaria Renault a Brancaccio, Motel Agip, attività e terreni. Io andavo a scuola e contemporaneamente lavoravo, avevamo un terreno per costruire, eravamo una famiglia benestante, a 48 anni è morto mio padre … avevo 18 anni”. Fiammetta Borsellino gli chiede: “Come trascorreva la sua vita?”. Il boss replica “io ero latitante (…) non voglio raccontare cose… mi sono trasferito al Nord”.Sostiene che faceva “commercio di carne con dei prestanomi”. Poi spara: “Frequentavo delle persone tra cui Baiardo Salvatore di Omegna sul lago D’Orta dove trascorrevo la latitanza. Frequentavo anche commercianti, familiari e avvocati e personaggi politici, tra cui anche quello … lo dicono tutti che frequentavo Berlusconi ….. più che io era mio cugino che lo frequentava … facevo una vita normale”. Come se fosse normale per un boss stragista frequentare Berlusconi. L’avvocato Niccolò Ghedini, quando svelammo l’intercettazione su www.iloft.it ci disse: “Nessuno ci ha mostrato questa conversazione. Comunque sapeva di essere registrato e potrebbe avere depistato. Non risulta nessun incontro di Berlusconi con Graviano o con qualcuno legato a lui. Tanto meno con un su o cugino”.  MARCO LILLO sul Fatto del 02/10/2019