Processo ‘Ndrangheta stragista: due condanne all’ergastolo per Graviano e Filippone

 

24 LUGLIO 2020 di ALESSIA CANDITO

Il procedimento riguarda i tre attentati ai carabinieri avvenuti nella provincia di Reggio Calabria nel 1993 e nel 1994 in cui morirono i brigadieri Fava e Garofalo e rimasero feriti altri 4 militari

La ‘Ndrangheta ha avuto un ruolo nelle stragi di mafia e nelle trattative che quelle bombe hanno dettato. Così ha stabilito la Corte d’assise di Reggio Calabria che ha condannato all’ergastolo il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e il mammasantissima di Melicucco, Rocco Filippone, individuati come i mandanti dei tre attentati calabresi contro i carabinieri, che fra il ’93 e il 94 sono costati la vita ai brigadieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo, e gravi ferite ad altri quattro militari. Per il reato di associazione mafiosa, Filippone incassa anche una condanna a 18 anni in qualità di elemento riservato del clan Piromalli. 
 
Ma le stragi – è emerso dall’inchiesta ed è stato confermato dalla sentenza – non sono state ordine di singoli boss, ma una strategia dei vertici tutti di Cosa Nostra e ‘Ndrangheta nell’ambito di un più ampio piano eversivo. Su cui si continuerà ad indagare. Per ordine dei giudici, sono stati trasmessi in procura il memoriale difensivo e le trascrizioni delle lunghe dichiarazioni in aula di Graviano, che proprio a Reggio Calabria ha deciso di rompere il silenzio che durava da anni, accettando di sottoporsi all’esame e rispondere alle domande delle parti. 

Non da pentito, che per sua stessa ammissione si è sempre rifiutato di essere, ma da boss che ricorda il suo ruolo, che sa mischiare verità e fandonie, accuse e silenzi, parlare a qualcuno che in aula non c’è ma ascolta, finendo però per fornire nuovi elementi a sostegno dell’accusa.
Gli ultimi sono arrivati con un memoriale difensivo, con cui Graviano ha provato ad alzare la posta, a tessere fili fra l’impero di Silvio Berlusconi e quello del boss Stefano Bontate, a mandare – ancora, ulteriori – messaggi a soggetti di cui si rifiuta di fare il nome. E agita i fantasmi di misteri che sono piaghe aperte nella storia della Repubblica come la sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino e l’omicidio del poliziotto Nino Agostino, a suo dire tasselli di un “disegno criminoso per tutelare gli interessi di” qualcuno” o più di” qualcuno””. E magari veri destinatari dei messaggi che da mesi Graviano sta continuando a inviare.

Ecco perché dopo tre anni di processo, centinaia di testimoni, la sentenza tuttavia sembra non chiudere un cerchio ma aprire a nuovi approfondimenti. Lo ha anticipato anche il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel corso della sua lunghissima requisitoria.  Il procedimento ‘Ndrangheta stragista ha dimostrato che i tre attentati calabresi contro i carabinieri, costati la vita ai brigadieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo e gravi ferite ad altri quattro militari, fanno parte di “un più ampio disegno stragista, opera delle mafie, ma di cui i mandanti sono ancora occulti”, un piano “riferibile a un sistema criminale che va oltre le mafie” e rispondeva a precise esigenze politiche, economiche, strategiche di un apparato di potere divenuto tale nel corso della guerra fredda e che non voleva smettere di esserlo.

C’erano pezzi di massoneria di stampo piduista, di intelligence, di istituzioni, che insieme alle mafie avevano trovato legittimazione e potere nel configurarsi come “ultimo baluardo” in caso di “invasione rossa”. E quando il muro di Berlino è venuto giù hanno inteso chiarire che da loro comunque non si poteva prescindere. Anche a suon di bombe, necessarie per ‘Ndrangheta e Cosa Nostra, che se quelle componenti avessero perso potere avrebbero dovuto rinunciare agli indispensabili per trasformare i capitali illeciti in ricchezza spendibile, influenza sui territori, margine di operatività.

Ecco la matrice del disegno eversivo “iniziato nel giugno del ’91 e non nel marzo del ’92”, con l’omicidio di Salvo Lima – ha spiegato Lombardo nel corso della requisitoria – e terminato con la nascita di un nuovo prodotto politico, Forza Italia. Con l’ufficiale discesa in campo di Silvio Berlusconi –  due giorni dopo il fallito attentato all’Olimpico e tre giorni prima dell’arresto dei fratelli Graviano –  per il procuratore aggiunto Lombardo si è chiuso un cerchio. La “strategia gattopardesca per mantenere gli equilibri di potere inalterato”, spiega il procuratore, ha funzionato. E per trent’anni la ‘Ndrangheta è riuscita a nascondersi.  Ma se le componenti mafiose sono state individuate, le altre mancano ancora all’appello. Ed è su quel fronte, è emerso nel corso delle ultime udienze, che si sta lavorando.

Perché la ricostruzione del disegno eversivo in cui gli attentati calabresi sono inseriti “è in linea – ha rivelato procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, capo della Dda di Reggio quando l’inchiesta è stata avviata e anche per questo in aula per la conclusione della requisitoria –  con gli approfondimenti che tante procure distrettuali stanno sviluppando”. E le inchieste aperte di recente da Firenze sull’arresto di Graviano, come gli ultimi sviluppi sul ruolo di Gelli nella strage del 2 agosto sembrano confermarlo. Perché, ha aggiunto Cafiero de Raho nella medesima occasione “il ruolo di Forza Italia in quella stagione riguarda altre indagini”. Ed anche Reggio Calabria ha già più di un fronte aperto. Perché “quel sistema criminale è ancora attivo” ha detto Lombardo. E in altri momenti di crisi, a partire dalle latitanze gemelle dei politici di riferimento per i clan Marcello Dell’Utri e Amedeo Matacena  gestite dal medesimo “Stato parallelo” ha lasciato nuove tracce. LA REPUBBLICA