SALVATORE GRIGOLI

 


Salvatore Grigoli(Palermo5 luglio1963)  Collaboratore dell’Arma dei Carabinieri, ex mafioso al soldo dei fratelli Graviano. Vissuto fra i quartieri di Cosa Nostra, con 46 omicidi alle spalle risulta uno dei più spietati killer, presenziando inoltre alle stragi di Firenze e a vari attentati a Roma, nonché a un attentato ai danni di Maurizio Costanzo. I fratelli Graviano, assieme a un altro mafioso, Gaspare Spatuzza, lo incaricarono dell’omicidio ai danni di don Giuseppe Puglisi, che con il centro “Padre Nostro” toglieva tanti giovani ragazzi a Cosa Nostra. L’omicidio si svolse il giorno del compleanno del parroco di Brancaccio, allora uno dei cuori della mafia a Palermo. Stando ai racconti di Grigoli, Spatuzza si affiancò a un tranquillo don Puglisi dicendo: “Padre, questa è una rapina”. Il prete avrebbe ribattuto, con un sorriso: “Me l’aspettavo”.

Dopo aver sparato un colpo alla nuca, sempre stando ai racconti del pentito, la morte di Puglisi sembrò una maledizione, dati i continui fallimenti a cui andavano incontro. Stanco della vita mafiosa, arrestato, confessò tutti i delitti e cominciò una collaborazione, che lo portò ad essere sotto scorta e a vivere con continui spostamenti per evitare vendette da parte della mafia, dalla quale si esce “solo con il sangue” (Leonardo Sciascia). La collaborazione di Grigoli ha contribuito all’arresto di molti mafiosi. Ha collaborato, inoltre, con la diocesi palermitana per il processo di beatificazione di don Puglisi.

IL ‘CACCIATORE’ CONFESSA ‘HO UCCISO PADRE PUGLISI’  Ha abbracciato la moglie e i tre figli che non vedeva da molti mesi. Ha chiesto di poter parlare con loro per qualche minuto. Poi si è rivolto agli investigatori: “Ho deciso di collaborare con la giustizia. Portate i miei familiari in un luogo sicuro e vi racconto tutto quello che so…”. A Salvatore Grigoli, il killer di fiducia della cosca di Brancaccio, catturato venerdì sera dopo quattro anni di latitanza, sono bastate appena cinque ore per decidersi a compiere il grande passo. Grigoli, soprannominato ‘il cacciatore’ , ha ammesso di essere il sicario che la notte del 16 settembre 1993 uccise il sacerdote palermitano Pino Puglisi. Lo avevano accusato numerosi collaboratori di giustizia, ma adesso la conferma è arrivata anche dal diretto interessato. Grigoli, invece, ha negato con forza di aver avuto un ruolo nel delitto dell’ imprenditore edile Angelo Bruno, assassinato in Corso dei Mille un paio di ore prima dell’ arresto del killer latitante. Nel covo gli agenti della Squadra mobile avevano trovato una pistola dello stesso calibro di quella usata per uccidere il costruttore edile, e proprio dalle 19 alle 20 di venerdì scorso – l’ orario nel quale Bruno è stato ucciso – il sicario era fuori dalla sua abitazione. Un buco di un’ ora che aveva fatto convergere proprio su Grigoli i sospetti degli inquirenti. Angelo Bruno, tra l’ altro, sarebbe caduto per mano del racket delle estorsioni, un business che a Brancaccio avrebbe fatto capo proprio a Salvatore Grigoli dopo gli arresti dei fratelli Graviano e di Antonino Mangano. Ma la perizia balistica della polizia scientifica ha escluso che la 7.65 Parabellum con silenziatore trovata nel rifugio di via Camarda sia quella usata dai sicari per uccidere l’ imprenditore. La parte di proiettile trovata nella testa della vittima, infatti, presenta sei rigature sinistrorse, mentre l’ arma di Grigoli ne ha solo quattro e per giunta destrorse. Da ieri, dunque, i familiari del killer (la moglie e i figli di 12, 10 e 4 anni, ndr) si trovano in una località segreta. Ma la posizione di Grigoli non è ancora quella del collaboratore di giustizia: gli investigatori, infatti, vogliono valutare a fondo le confessioni del boss prima di prendere una decisione. Grigoli, insomma, è allo stato un semplice “dichiarante”, come il boss di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca. Le prime dichiarazioni verbalizzate dai magistrati della direzione distrettuale antimafia sono quelle legate all’ omicidio di don Puglisi. Il sacerdote della parrocchia di San Gaetano dava fastidio alla cosca di Brancaccio per il suo impegno contro la criminalità organizzata. Ai fratelli Graviano non andava giù che quel prete pronunciasse dal pulpito della sua chiesa parole di fuoco contro la mafia e i suoi rapporti con la politica e il mondo degli affari. E così, in una calda notte di settembre di quattro anni fa, il sacerdote venne assassinato con diversi colpi di pistola esplosi da distanza ravvicinata. Assieme a Grigoli, che sarebbe stato l’ esecutore materiale del delitto, c’ era anche Gaspare Spatuzza, latitante di spicco, alla guida della moto utilizzata dai killer. Il processo per l’ omicidio Puglisi è cominciato qualche mese fa: alla sbarra ci sono come mandanti i fratelli Graviano e presto Grigoli potrebbe essere chiamato a testimoniare dai pubblici ministeri. Intanto le attenzioni degli investigatori sono incentrate anche sui numerosi appunti trovati nel marsupio del killer, assieme alla pistola e al portafogli. Una serie di foglietti pieni di numeri, probabilmente le somme chieste ai commercianti taglieggiati di Brancaccio. E anche sul fronte delle estorsioni la collaborazione del boss potrebbe risultare determinante. La cosca di Brancaccio, infatti, era quella incaricata di raccogliere il pizzo a Palermo per conto dei “corleonesi” di Totò Riina. Ieri pomeriggio la Squadra mobile ha arrestato un altro presunto killer di mafia: Antonino Tinnirello, 35 anni, detto “Madonna”, latitante dall’ 89. Il pentito Francesco Marino Mannoia lo ha indicanto come uno dei sicari del gruppo di fuoco di Ciaculli: con Giuseppe Lucchese, Giovanni Drago e Agostino Marino Mannoia, Tinnirello sarebbe autore di decine di omicidi della seconda metà degli anni Ottanta.  Lucio Luca

 

Il “pentimento” di Salvatore Grigoli Per quel che riguarda il procedimento in esame, il predetto imputato, all’udienza del 7 luglio dello stesso anno 1997, rendeva spontanee dichiarazioni, riportate nella sentenza di primo grado e che appare opportuno qui trascrivere testualmente, nei passi più salienti, costituendo la sua collaborazione una svolta decisiva, la chiave di lettura dell’omicidio di Padre Puglisi, in quanto il predetto ha espressamente indicato causale, mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio, primo fra tutti se stesso.
Il Grigoli ha così esordito: “Io vorrei collaborare….con la giustizia, quindi definendomi collaboratore”.
“Però, per quanto riguarda questo processo, vorrei definirmi io più che altro un pentito, perché mi sono pentito realmente di aver commesso questo omicidio”.
“Riguardo ….io cominciai già a pensare qualcosa del genere all’incirca, riguardo sul pentirmi, un sei mesi addietro a questa parte…. E mi ha dato modo di pensare questo il fatto che da un anno a questa parte io non ero più sostenuto da nessuno, né economicamente né ….cioè in poche parole io non ero più in condizioni di campare, come si suol dire la famiglia; mi sono dovuto persino impegnarmi dell’oro che avevo io per potere mandare dei soldi a casa….e fare….altre cose; addirittura farmi prestare dei soldi per potere tirare avanti i miei figli e questa cosa mi ha cominciato a fare pensare io con chi…per tutta…per gran parte della mia vita, con chi ho avuto a che fare, se è stato giusto le cose che ho commesso, i delitti….cioè questa cosa mi cominciò a far pensare se era stato giusto quello che avevo fatto io per conto di questa organizzazione. E da questo, ecco, che io ho deciso anche di collaborare con la giustizia”.
“Adesso vorrei dire io cosa sono a conoscenza e le mie responsabilità riguardo il delitto di Padre Puglisi”.
“Vorrei premettere un’altra cosa, che io….tengo a precisare che non è assolutamente vero il fatto che io mi sia vantato, dopo aver commesso questo omicidio, perché non ne trovavo le ragioni, non me ne vantavo per altri omicidi….figuriamoci di questo che già….anche perché, dopo averlo commesso, ci pensavo spesso a questo omicidio e non vedevo la ragione per cui è stato fatto….anche se i motivi ne sono a conoscenza, ma non mi sembravano motivi validi per uccidere un prete”.

“Prima….volevo precisare un’altra cosa, prima dell’omicidio, ho commesso un altro reato, lo dico perché secondo me è attinente a questo omicidio. Fummo incaricati io, Spatuzza e Guido Federico di bruciare tre porte di tre famiglie di uno stabile di via Azolino Hazon, nei dintorni di questa via…perché queste persone erano vicine a padre Puglisi”.
“I fatti che io conosco, le responsabilità dell’omicidio sono quelli che un giorno…non ricordo se fu lo Spatuzza o Nino Mangano che un giorno mi disse che dovevamo commettere questo omicidio, che deve essere stato lo Spatuzza anche perché la persona che conosceva il padre. Già aveva parlato con Giuseppe Graviano e si doveva commettere questo omicidio, sicuramente ne parlai anche con Nino Mangano, perché io non facevo niente se non ne parlassi con lui”.
“Quindi una sera….cercammo di vedere i movimenti, gli spostamenti del padre e lo incontrammo a Brancaccio, in un telefono pubblico. Non mi ricordo se già ero armato o dopo averlo visto…ci recammo per armarci, anche se poi l’unico a essere armato ero io e lo attendemmo nei pressi di casa”.
“Così fu, eravamo io, lo Spatuzza, Giacalone Luigi e Lo Nigro Cosimo. Eravamo comunque…non avevamo né macchine rubate, né motociclette, niente di tutto questo, eravamo con le macchine….una era di disponibilità del Giacalone, un BMW e una Renault 5 di proprietà del Cosimo Lo Nigro. Scese Spatuzza dalla macchina del Lo Nigro, perché Spatuzza era con Lo Nigro ed io ero con Giacalone. Il primo ad arrivare fu lo Spatuzza, ricordo che il padre si stava accingendo ad aprire il portone di casa, ….lo Spatuzza si ci affiancò, perché il padre aveva un borsello, gli mise la mano nel borsello e gli disse: padre questa è una rapina”.
“Allorchè il padre neanche si era accorto di me….e il padre, fu una cosa questa qui che non posso dimenticare, perché ogni volta che penso a questo episodio mi viene in mente questa visione del padre che sorrise, non capii se fu un sorriso ironico o sorrise….sorrise e gli disse allo Spatuzza “me l’aspettavo”. Allorchè io gli sparai un colpo alla nuca e il padre morì sul colpo senza neanche accorgersene di essere stato ucciso”.
“Dopo di ciò chiaramente il borsello fu portato via dallo Spatuzza… Dopo di ciò ci recammo in uno stabilimento della zona industriale cosiddetto Valtras, uno stabilimento di export-import…una specie di spedizionieri erano e lì fu controllato il borsello. Ricordo bene che c’era una patente, lo ricordo bene perché lo Spatuzza aveva la mania, perché lui all’epoca già era latitante, di togliere le marche da bollo che potevano servire per eventuali documenti falsi e tutti i documenti e tolse le marche da bollo”.
“Tra le altre cose ricordo che c’era una lettera…non ricordo se è stata inviata al padre o….c’era una busta con un foglio, una lettera di una persona che gli aveva scritto che, se non ricordo male, gli facesse gli auguri non so di cosa, all’incirca trecento mila lire e poi altri pezzettini di carta…”
“Vorrei premettere che il borsello fu portato via, perché si voleva far credere che l’omicidio….cioè l’omicidio dovevano pensare gli inquirenti che era stato fatto da qualche tossicodipendente o da qualche rapinatore, ecco perché fu utilizzata la 7,65, non è un’arma consueta agli omicidi di mafia”. “Questo è quello che io sono a conoscenza….”.
Al termine di dette dichiarazioni spontanee il Pubblico Ministero chiedeva l’esame di Grigoli Salvatore, che la Corte di Assise ammetteva e che veniva espletato all’udienza del 28 ottobre 1997, nel corso del quale sono stati approfonditi, nel contraddittorio fra le parti, i temi già spontaneamente enunciati dal predetto imputato.
A richiesta della difesa di Graviano Filippo, poi, venivano acquisiti i verbali delle dichiarazioni rese dal Grigoli il 24 giugno 1997 al Procuratore della Repubblica di Firenze ed al Procuratore della Repubblica di Palermo il 26 giugno successivo.
Frattanto l’istruzione dibattimentale proseguiva con l’esame dei testi addotti dalla difesa degli imputati Graviano Giuseppe e Graviano Filippo.
Il processo di primo grado subiva una battuta d’arresto a causa di una prolungata assenza per malattia del Presidente nonché per il trasferimento ad altro ufficio del giudice a latere di quella Corte.
Quest’ultima circostanza rendeva necessaria la rinnovazione del dibattimento disposta con ordinanza del 21 settembre 1998 a seguito della quale quella Corte, nella nuova composizione, dichiarava utilizzabili gli atti dell’attività istruttoria fino ad allora compiuta, disponendo solo un nuovo esame dell’imputato Grigoli Salvatore che veniva espletato all’udienza del 27 ottobre 1998.
Esaurita l’assunzione delle prove si svolgeva la discussione finale, nel corso della quale il Pubblico Ministero e successivamente i Difensori delle parti civili e degli imputati formulavano ed illustravano le rispettive conclusioni.
Ultimata la discussione, orale, il presidente dichiarava chiuso il dibattimento e subito dopo la Corte si ritirava in camera di consiglio per la deliberazione. ITALY FLASH 4.9.2020


GRIGOLI Salvatore Avvicinato sin dal 1985-86 a COSA NOSTRA tramite QUARTARARO Filippo e MANGANO Antonino, questultimo rappresentante della famiglia” di Roccella, inserita nel mandamento di Brancaccio, insieme a quelle di Brancaccio, Ciaculli e Corso dei Mille. Già intorno al 1986-87 il GRIGOLI aveva commesso un omicidio a Ficarazzi di una persona di Belmonte Mezzagno e poi vari altri omicidi. Il MANGANO gli aveva spiegato che doveva ritenersi un uomo donore riservato” della famiglia” di Roccella, senza spiegargliene il motivo, anche se egli sapeva di avere un cognato carabiniere, fatto questo che costituiva un ostacolo alla rituale affiliazione in COSA NOSTRA. Inserito gradualmente in un gruppo di fuoco composto da uomini donore” di Brancaccio, come CANNELLA Cristofaro, BARRANCA Giuseppe, GIACALONE Luigi, CELIDONIO Francesco, DAMICO Cosimo e successivamente anche da ROMEO Pietro, DI FILIPPO Pasquale e TUTINO Vittorio, ebbe a commettere circa quaranta omicidi, su disposizione di GRAVIANO Giuseppe, capo del mandamento di Brancaccio, del MANGANO e successivamente del BAGARELLA. Tra laltro aveva partecipato con SPATUZZA Gaspare, CANNELLA, GIACALONE e GIULIANO al sequestro del piccolo Giuseppe DI MATTEO, per paralizzare la collaborazione del di lui padre DI MATTEO Mario Santo, nonché allomicidio del sacerdote PUGLISI, sospettato di aver infiltrato nella sua comunità uomini della D.I.A. per consentire larresto di GRAVIANO Giuseppe, mandante dellomicidio. Intrattenne rapporti con MANGANO Antonino, dal quale aveva appreso varie regole di COSA NOSTRA, nonché soprattutto con uomini donore” del mandamento di Brancaccio e della provincia di Trapani come MESSINA DENARO Matteo e SINACORI Vincenzo, data la vicinanza di questi ultimi ai GRAVIANO ed avendo egli trascorso in quella provincia parte della sua latitanza, iniziata nel 1995 dopo la collaborazione del DI FILIPPO.  Arrestato il 19.6.1997, aveva iniziato lo stesso giorno a collaborare con lA.G., spiegando tale scelta con lintento di sottrarre i figli allambiente criminale nel quale sarebbero altrimenti vissuti e di riscattare i crimini commessi, da lui prontamente confessati.  GRIGOLI è stato rilevante soprattutto per conoscere le vicende e lorganigramma del mandamento di Brancaccio, coinvolto nella strategia stragista non solo per il crimine per cui è processo, bensì anche per le stragi di Firenze, Milano e Roma, relativamente alle quali nel processo celebratosi innanzi alla Corte di Assise di Firenze ebbe a riportare la condanna a diciotto anni di reclusione, usufruendo della diminuente di cui allart.8 del D.L. n. 152/1991 per la collaborazione che è stato in grado di fornire. 

 


La confessione di Salvatore Grigoli, il killer che sparò quella sera

Salvatore Grigoli, all’udienza del 7 luglio del 1997, e cioè pochi giorni dopo il suo arresto, davanti alla Corte di Assise di Palermo rendeva spontanee dichiarazioni che appare opportuno anche qui riportare testualmente, sia pure nei passi più salienti, costituendo la sua collaborazione una svolta importante del processo, in quanto ha fornito la chiave di lettura dell’uccisione di padre Puglisi, indicando, come già detto, causale, mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio, primo fra tutti egli stesso.

Anche se le predette dichiarazioni, rese dal Grigoli nel corso del procedimento del quale ci occupiamo, cronologicamente non siano le prime sull’omicidio del sacerdote – avendo egli fatto abbondanti dichiarazioni al riguardo – a giudizio della Corte, tuttavia, è da queste che bisogna prendere l’esame sia, appunto, per la loro spontaneità, sia perché in nessun modo influenzate dall’intervento di terzi, accusa o difesa, legittimamente mosse da interessi contrapposti.

Ebbene, il Grigoli Salvatore ha così liberamente esordito: «Io vorrei collaborare, …..con la giustizia, quindi definendomi collaboratore. Però per quanto riguardo questo processo vorrei definirmi io più che altro un pentito, perché mi sono pentito realmente di aver commesso questo omicidio». «Riguardo. io cominciai già a pensare qualcosa del genere all’incirca, riguardo sul pentirmi, un sei mesi addietro a questa parte…E mi ha dato modo di pensare questo il fatto che da un anno a questa parte io non ero più sostenuto da nessuno, né economicamente né….cioè in poche parole io non ero più in condizione di campare, come si suol dire, la famiglia. Mi sono dovuto persino impegnarmi dell’oro che avevo io per potere mandare dei soldi a casa…e fare….altre cose; addirittura farmi prestare dei soldi per potere tirare avanti i miei figli, e questa cosa mi ha cominciato a fare pensare io con chi…per tutta…per gran parte della mia vita, con chi ho avuto a che fare, se è stato giusto le cose che ho commesso, i delitti…cioè questa cosa mi cominciò a far pensare se era stato giusto quello che avevo fatto io per conto di questa organizzazione». «E da questo ecco che io ho deciso anche di collaborare con la giustizia…».

Il racconto dell’omicidio

«Adesso vorrei dire io cosa sono a conoscenza e le mie responsabilità riguardo il delitto di padre Puglisi». «Vorrei premettere un’altra cosa, che io… tengo a precisare che non è assolutamente vero il fatto che io mi sia vantato, dopo aver commesso questo omicidio, perché non ne trovavo le ragioni; non me ne vantavo per altri omicidi….figuriamoci di questo che già…anche perché, dopo averlo commesso, ci pensavo spesso a questo omicidio e non vedevo la ragione per cui è stato fatto…anche se i motivi ne sono a conoscenza, ma non mi sembravano motivi validi per uccidere un prete».

«Prima…volevo precisare un’altra cosa, prima dell’omicidio, ho commesso un altro reato, lo dico perché secondo me è attinente a questo omicidio. Fummo incaricati io, Spatuzza e Guido Federico di bruciare tre porte di tre famiglie di uno stabile di via Azzolino Hazon, nei dintorni di questa via…perché queste persone erano vicine a padre Puglisi”. “I fatti che io conosco, le responsabilità dell’omicidio sono quelli che un giorno…non ricordo se fu lo Spatuzza o Nino Mangano, che un giorno mi disse che dovevamo commettere questo omicidio, che deve essere stato lo Spatuzza anche perché la persona che conosceva il padre. Già aveva parlato con Giuseppe Graviano e si doveva commettere questo omicidio; sicuramente ne parlai anche con Nino Mangano, perché io non facevo niente se non ne parlassi con lui».

«Quindi una sera…cercammo di vedere i movimenti, gli spostamenti del padre e lo incontrammo a Brancaccio, in un telefono pubblico. Non mi ricordo se già ero armato o dopo averlo visto….ci recammo per armarci, anche se poi l’unico ad essere armato ero io, e lo attendemmo nei pressi di casa. Così fu, eravamo io, lo Spatuzza, Giacalone Luigi e Lo Nigro Cosimo. Eravamo comunque…non avevamo né macchine rubate, né motociclette, niente di tutto questo, eravamo con le macchine…una era di disponibilità del Giacalone, un BMW, e una Renault 5 di proprietà del Cosimo Lo Nigro. Scese Spatuzza dalla macchina del Lo Nigro, perché Spatuzza era con Lo Nigro ed io ero con Giacalone. Il primo ad arrivare fu lo Spatuzza, ricordo che il padre si stava accingendo ad aprire il portone di casa, lo Spatuzza si ci affiancò, perché il padre aveva un borsello, gli mise la mano nel borsello e gli disse: padre, questa è una rapina… il padre neanche si era accorto di me…, fu una cosa questa qui che non posso dimenticare, perché ogni volta che penso a questo episodio mi viene in mente questa visione del padre che sorrise, non capii se fu un sorriso ironico o sorrise sorrise e gli disse allo Spatuzza “me l’aspettavo”. Allorchè io gli sparai un colpo alla nuca e il padre morì sul colpo senza neanche accorgersene di essere stato ucciso». «Dopo di ciò chiaramente il borsello fu portato via dallo Spatuzza.… Dopo di ciò ci recammo in uno stabilimento della zona industriale, cosiddetto Valtras, uno stabilimento di export-import…una specie di spedizionieri erano e lì fu controllato il borsello. Ricordo bene che c’era una patente, lo ricordo bene perché lo Spatuzza aveva la mania, perché lui all’epoca già era latitante, di togliere le marche da bollo che potevano servire per eventuali documenti falsi e tutti i documenti e tolse le marche da bollo».

«Tra le altre cose ricordo che c’era una lettera…non ricordo se è stata inviata al padre o…c’era una busta con un foglio, una lettera di una persona che gli aveva scritto che, se non ricordo male, gli facesse gli auguri non so di cosa, all’incirca trecentomila lire e poi altri pezzettini di carta…».

«Vorrei premettere che il borsello fu portato via, perché si voleva far credere che l’omicidio….cioè l’omicidio dovevano pensare gli inquirenti che era stato fatto da qualche tossicodipendente o da qualche rapinatore, ecco perché fu utilizzata la 7 e 65, che non è un’arma consueta agli omicidi di mafia». «…Questo è quello che io sono a conoscenza…».

Ecco come Grigoli è diventato mafioso

Al termine di dette dichiarazioni spontanee il Pubblico Ministero ne chiedeva l’esame che la Corte del primo grado di giudizio ammetteva e che veniva espletato all’udienza del 28 ottobre 1997. Nel corso di detto esame sono stati approfonditi i temi già spontaneamente enunciati dal Grigoli, il quale ha ribadito di aver fatto parte di “Cosa Nostra” ed ha spiegato testualmente: «Vede io non avevo mai commesso reati di nessun genere…fino all’incirca undici, dodici anni fa. Dal momento in cui poi io sono stato licenziato perché il lavoro era finito, avevo già un bambino piccolino, nove mesi, cominciai a delinquere».

«All’epoca io feci una rapina in una gioielleria per fare soldi e poter dare da mangiare al mio bambino. Ecco, da lì poi continuai a delinquere, perché purtroppo poi essendo che uno comincia poi a conoscere i soldi, poi viene ancora più difficile tornare indietro. E quindi nella borgata lo stesso Quartararo Filippo, Nino Mangano, loro mi osservavano sotto questo aspetto che ero uno, non so, uno in gamba, qualcosa del genere. E quindi ci fu questa sorta di avvicinamento. Da lì poi cominciai a far parte di questa…Perché poi cominciai a delinquere per loro, cominciai a bruciare autovetture, negozi».

«Poi mi fu presentato Giuseppe Graviano e quindi poi io dipendevo da lui. Mi disse un giorno Nino Mangano: Senti, c’è un appuntamento, ci sono persone che ti vogliono conoscere. E lì trovai Giuseppe Graviano. Lui si presentò dicendomi: Io sono Giuseppe Graviano, credo che tu hai sentito parlare di me come io ho già sentito parlare di te”. “E quindi da allora io ho capito che dipendevo da lui». «Ma già anche da prima, anche…perché io lo conoscevo, perché da piccolino….ci conoscevamo da bambini con Giuseppe Graviano perché eravamo della stessa borgata. Poi non ci siamo più visti. E quindi già diciamo che lo conoscevo. Anche quando io operavo per Mangano e Filippo Quartararo era sottinteso che era già all’epoca Giuseppe Graviano il capo mandamento di Brancaccio. Io addirittura cominciai insieme solo io e Giacalone Luigi a commettere i primi omicidi. Poi successivamente proprio il Giuseppe Graviano ci affiancò lo Spatuzza Gaspare e poi tutti gli altri».

«Nino Mangano ci comunicava: “I picciotti vogliono che si fa questo omicidio». «Perché sono fratelli. Erano tutti e due in sostanza a reggerlo, anche se si parlava di Giuseppe come capo mandamento. Però c’era riferimento ai “picciotti».

«Ma io ebbi ordine anche direttamente da Graviano…Giuseppe». «Quando ci comunicò il fatto di sequestrare il piccolo Di Matteo». «Ma vede, lui all’epoca, non è che io adesso voglio difenderlo, perché…però lui fece una specie di…per entrare in questo discorso girò talmente tanto, perché tipo che era quasi dispiaciuto di dovere fare questa cosa. Quindi come dire…Voi potete pensare che io sono….insomma mi ha fatto tutto un raggiro per dirci poi: “Dobbiamo sequestrare….siccome già a Napoli è stata effettuata una cosa del genere con esiti positivi” dice: “Dobbiamo sequestrare il figlio di un pentito per tenerlo alcuni giorni, quindi fare in modo che il padre ritrattasse o perlomeno si impiccasse”».

L’ordine di uccidere Don Pino

A precisa domanda del Pubblico Ministero che gli chiedeva: «Senta chi le disse di uccidere don Pino Puglisi?» il Grigoli ha risposto: «Mangano Antonino mi disse che i picciotti gli avevano parlato di questa cosa che si doveva fare questo tipo di delitto».

«Perché si diceva che siccome lì a Brancaccio, nei pressi della parrocchia di Brancaccio, c’era un …un non so come definire, c’erano delle suore, una congregazione, non so come dire, dove operavano delle suore in sostanza, non so cosa facessero, e si pensava che in questo locale si erano infiltrati i poliziotti e anche in chiesa. Cioè si pensava che padre Puglisi era un confidente, uno che si stava anche interessando per la cattura di Giuseppe Graviano».

Ancora. A domanda del Pubblico Ministero che gli chiedeva:

«Senta, prima di questo atto omicidiario, lei partecipò a qualche attività delittuosa di intimidazione nei confronti di persone vicine a don Pino Puglisi?», il Grigoli ha così risposto: «Sì…Questa se non ricordo male me la comunicò Gaspare Spatuzza che si era visto…disse: “Sai, mi sono visto con “madre natura” e dobbiamo fare questa cosa qui”; però, tutto quello che io… erano poche le cose che mi comunicavano gli altri, ma quelle poche cose prima ne parlavo con Nino Mangano. Dico, per dire: “di questa storia qui tu ne sei a conoscenza” e lui mi diceva: “Sì, a posto, ci puoi andare”. “Questa…me la comunicò lo Spatuzza, questa cosa qui. Dovevamo bruciare tre porte di tre abitazioni nello stesso palazzo…nello stesso complesso, erano tre scale ed in ogni scala c’era una porta da incendiare. Una, se non erro, è al decimo piano, una al settimo e una al quinto, se non erro.
C’era un certo Martinez e gli altri non li ricordo. E andammo io e lo Spatuzza, insieme anche a Vito Federico, e salimmo tutti e tre contemporaneamente le scale; abbiamo dato tempo a colui che doveva arrivare al decimo piano di arrivare prima e abbiamo dato fuoco a queste porte e poi scendemmo tutti e tre contemporaneamente e poi andammo via».

Ed, alla ulteriore domanda del Pubblico Ministero: «Senta lei sa, è a conoscenza di un altro attentato incendiario che fu fatto proprio contro la chiesa di San Gaetano, nel senso, a una attività di impresa che all’interno della chiesa si svolgeva?», Grigoli Salvatore ha risposto: “Si, si bruciò credo un furgone, adesso non mi ricordo bene, di questo appaltatore che stava facendo i lavori in chiesa».

«So che a farlo sicuramente era stata gente di Brancaccio, ma non so chi specificamente ci andò».

[…] Nell’interrogatorio reso il 26 giugno del 1997 al Procuratore della Repubblica di Palermo che gli chiedeva chi avesse dato l’ordine di ammazzare Don Pino Puglisi, il Grigoli ha risposto:

«L’ordine me lo comunicò il Gaspare Spatuzza che mi disse…dice… “Madre Natura”, che lo chiamavamo proprio come Madre Natura a Giuseppe Graviano, diciamo fece sapere che si deve fare questo omicidio di Padre Puglisi». «Il motivo fu, perché si diceva che il padre fosse un confidente o perlomeno qualcuno che desse una mano alla Polizia di effettuare indagini anche su loro stessi che erano latitanti, addirittura c’erano le suore, una comunità di suore che potevano esserci poliziotti infiltrati là dentro…, per questo motivo. Una 7,65 fu usata anche perché doveva sembrare un omicidio non fatto da “Cosa Nostra”, ma un omicidio di un tossicodipendente, o di un ladruncolo, qualche cosa del genere. Infatti noi portammo via al prete il suo borsello per sembrare che fosse una rapina». […].

Dello stesso tenore sono le dichiarazioni rese nell’esame effettuato davanti alla Corte di Assise nella sua nuova composizione in data 20 ottobre 1998. Ed infatti, al Pubblico Ministero che gli chiedeva: «Lei ha detto che il mandamento era retto da Giuseppe Graviano; però, prima, quando ha parlato degli omicidi, ha parlato dei “picciotti”, cioè di Giuseppe e Filippo, e allora, dico, perché questa differenza, ce lo sa spiegare?», il Grigoli ha risposto: «quello che è a conoscenza mia è che il mandamento di Brancaccio lo gestiva Giuseppe Graviano, però, come risulta a me, ogni qualvolta o talvolta, perché l’ho detto pure che alcune volte si diceva “Madre Natura” come talvolta si diceva i “picciotti”, mi veniva dato questa indicazione, poi io non lo so spiegarglielo perchè i picciotti e reggeva solo Giuseppe Graviano». «Ho sparato a padre Puglisi….Perché mi è stato ordinato. Da Nino Mangano, che diceva che gliel’aveva fatto sapere “Madre Natura”… “Madre Natura” è Giuseppe Graviano».

E, a seguito di insistenza del Pubblico Ministero, il collaborante ha precisato: «Mangano ha detto “i picciotti” o “Madre Natura”….Non so spiegarmi il motivo per cui Nino Mangano diceva talvolta i picciotti. I picciotti mandano a dire questo, mandano a dire quell’altro».

Ciò posto va subito detto che le dichiarazioni di Grigoli Salvatore, autoaccusatosi di avere personalmente ucciso il sacerdote e chiamante in causa dei mandanti e dei partecipi all’esecuzione del crimine, risultano assistite da elevata attendibilità intrinseca ed estrinseca secondo i criteri direttivi di disamina affrontati dalla Suprema Corte di Cassazione e riportati in altra parte della presente sentenza.

 

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco