PAOLO BORSELLINO – Biografia

Paolo Borsellino Nasce a Palermo il 19 gennaio del 1940 in via Vetriera, nei pressi di Piazza Magione nel quartiere “Kalsa” dove la famiglia possiede una farmacia.  Il 19 è un numero che ricorrerà più di una volta nella sua vita perché morirà in seguito ad un attentato di matrice terroristitico-mafiosa il 19 luglio del 1992 davanti il civico numero 19 di via Mariano D’Amelio, la via dove abitava la sua mamma, Maria Pia Lepanto. Da piccolo era un bambino particolarmente vivace e sveglio, frequentava le strade del suo quartiere giocando anche con bambini che da adulti avrebbero preso una strada molto diversa dalla sua attentando anche alla sua vita.Tra i suoi piccoli amici vi era un altro bambino, vivace e intraprendente come lui, di nome Giovanni, con cui tanti anni dopo avrebbe intrapreso una lotta contro il male più terribile della nostra amata terra, la “mafia”, che purtroppo avrebbe ucciso entrambi molti anni dopo a pochissime settimane di distanza l’uno dall’altro. Secondo figlio di Diego Borsellino e di Maria Pia Lepanto  nel quartiere popolare della Kalsa, dove, durante le tante partite a calcio nel quartiere, conobbe Giovanni Falcone, più grande di lui di otto mesi, con il quale ebbe un’amicizia mai incrinatasi. La famiglia di Paolo era composta dalla sorella maggiore Adele (19382011), dal fratello minore Salvatore (1942) e dall’ultimogenita Rita (19452018). Portava lo stesso nome del nonno paterno.

  • Frequenta la scuola elementare “Ferrara” e poi, dopo le “medie”, il liceo classico “Meli”, eccellendo soprattutto nelle materie umanistiche; fu in quel periodo che iniziò ad amare i poeti trecenteschi, Dante Petrarca e Boccaccio, e del primo iniziò ad imparare a memoria tutti i versi del “Paradiso”, uno dei tre cantici della Divina Commedia, l’opera letteraria italiana forse più famosa.
  • Dopo il liceo decide di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza ed è in quegli anni di studi intensi e frenetici che matura l’idea di fare il magistrato lottando contro tutte quelle ingiustizie e sopraffazioni a cui era costretto ad assistere sin da quando era piccolino nel quartiere popolare in cui era nato.
  • 1963 Consegue la laurea con il massimo dei voti e ad appena 23 anni. 
  • 1964 – Al primo tentativo vince il concorso per uditore giudiziario diventando quell’anno. Classificatosi venticinquesimo sui 171 posti messi a bando, con il voto di 57, divenne il più giovane magistrato d’Italia. 
  • 1964  Inizia quindi il tirocinio come uditore giudiziario e lo terminò il 14 settembre 1965 quando venne assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile.
  • 1967 Viene nominato pretore a Mazara del Vallo.
  • 23 dicembre 1968 si sposa con Agnese Piraino, figlia dell’allora Presidente del Tribunale di Palermo, Angelo Piraino Leto. Agnese è una donna minuta, apparentemente fragile ma molto forte, che rappresenterà fino agli ultimi giorni della sua vita il suo più grande sostegno, 
  • 1969 Viene trasferito alla pretura di Monreale dove lavora in stretto contatto con il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile. Pretore a Monreale, dove lavorò insieme a Emanuele Basile, capitano dell’Arma dei Carabinieri.
  •  1975 -Viene trasferito al tribunale di Palermo;  arriva all’Ufficio Istruzione allora guidato da Rocco Chinnici e inizia a occuparsi, pressoché esclusivamente, di Cosa Nostra, che in quegli anni aveva già assassinato suoi colleghi come i giudici Costa e Terranova, e brillanti investigatori come il Commissario Boris Giuliano e il Capitano Emanuele Basile. La morte di quest’ultimo lo colpì e lo segnò forse più di chiunque altro perché lo aveva avuto come il più stretto collaboratore ai tempi in cui faceva il Pretore a Monreale e perché era stato ucciso senza pietà malgrado la sera dell’assassinio tenesse in braccio la sua cara figlioletta, Emanuela.  Da questo momento comincia il suo grande impegno, senza sosta. Intanto tra Borsellino e Rocco Chinnici, nuovo capo dell’Ufficio istruzione, si stabilì un rapporto, più tardi descritto dalla sorella Rita Borsellino e da Caterina Chinnici, figlia del capo dell’Ufficio, come di “adozione” non soltanto professionale. La vicinanza che si stabilì fra i due uomini e le rispettive famiglie fu intensa e fu al giovane Paolo che Chinnici affidò la figlia, che abbracciava anch’essa quella carriera, in una sorta di tirocinio., per contrastare e sconfiggere l’organizzazione mafiosa. Questa donna, che condividerà con il giudice Paolo Borsellino tanti momenti belli e spensierati ma anche tante tragedie, gli darà tre figli, Lucia, Manfredi e Fiammetta.
  • 4 maggio 1980 – Il fidato Capitano dei Carabinieri Basile  viene ucciso in un agguato. Per la famiglia Borsellino arriva la prima scorta con le difficoltà che ne conseguono. Da questo momento il clima in casa Borsellino cambia: il giudice deve relazionarsi con i ragazzi della scorta che gli sono sempre a fianco e che cambieranno per sempre le sue abitudini e quelle della sua famiglia. Borsellino, definisce mediamente circa 400 procedimenti per anno”
  • 5 marzo 1980 –  Con deliberazione al Consiglio Superiore della Magistratura gli viene conferita la nomina a magistrato d’appello
  • Insieme a Giovanni Falcone imbastisce il più grande processo mai celebrato contro la Mafia, il c.d.Maxiprocesso”, che porterà alla sbarra centinaia di mafiosi e alla loro condanna a decine di anni di reclusione.
    Ma la vita del giudice Paolo Borsellino per via del suo incessante e delicato lavoro lo mette sempre più a rischio e mette sempre più a rischio i suoi più stretti familiari, tanto da costringerlo suo malgrado ad una vita “blindata” dentro e fuori gli uffici giudiziari.
  • 1980 – Chinnici scrive una lettera al presidente del tribunale di Palermo per sollecitare un encomio nei confronti di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, utile per eventuali incarichi direttivi futuri. L’encomio richiesto non arriverà.
  • Per ragioni di sicurezza, nell’estate 1985 Falcone e Borsellino vengono trasferiti insieme con le loro famiglie nella foresteria del carcere dell’Asinara per scrivere l’ordinanza-sentenza di 8000 pagine che rinviava a giudizio 475 indagati in base alle indagini del pool. Per tale periodo, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria italiana richiese poi ai due magistrati un rimborso spese e un indennizzo per il soggiorno trascorso. Intanto il maxiprocesso di Palermo che scaturì dagli sforzi del pool cominciò in primo grado il 10 febbraio 1986, presso un’aula bunker appositamente costruita all’interno del carcere dell’Ucciardone a Palermo per accogliere i numerosi imputati e numerosi avvocati., concludendosi il 16 dicembre 1987 con 342 condanne, tra cui 19 ergastoli
    Anche i figli e la moglie devono adeguarsi a questo insolito regime di vita, ma tutta la famiglia è al suo fianco perché acquisisce la consapevolezza che solo continuando il suo lavoro lui e gli altri magistrati del c.d. “Pool Antimafia” potevano liberare la Sicilia e l’Italia intera dal cancro della mafia.
  • 4 agosto 1983 viene ucciso il giudice Rocco Chinnici  A sostituire Chinnici arriva a Palermo il giudice Caponnetto  
  • 16 novembre 1983 viene istituito il Pool antimafia che dura fino al marzo 1988, quando viene sciolto dal successore di Caponnetto, Antonino Meli, Il pool che comprende quattro magistrati. Falcone, Borsellino e Barrile lavorano uno a fianco all’altro, sotto la guida di Rocco Chinnici.
  • 4 agosto 1986 Prende servizio a Marsala in qualità di Procuratore capo
  • 19 dicembre 1986 – Conclusa la monumentale istruttoria del primo maxi-processo all’organizzazione criminale denominata “Cosa Nostra” insieme al collega Giovanni Falcone, unitamente al dott. Leonardo Guarnotta e al dott. Giuseppe Di Lello-Filinoli, Paolo Borsellino chiede il trasferimento alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Marsala per ricoprire l’incarico di Procuratore Capo. Il CSM, con una decisione storica e non priva di strascichi polemici accoglie la relativa istanza sulla base dei soli meriti professionali e dell’esperienza acquisita da Paolo Borsellino negando per la prima volta validità assoluta al criterio dell’anzianità.
  • Assume quindi la guida della Procura della Repubblica di Marsala dove prosegue il lavoro che stava svolgendo a Palermo in una terra diventata molto difficile perché popolata da altre agguerrite famiglie mafiose tra cui quella di colui che diversi anni dopo diventerà il più pericoloso latitante ancora in circolazione, Matteo Messina Denaro. Secondo il collega Giacomo Conte la scelta di decentrarsi e di assumere un ruolo autonomo rispondeva a una sua intuizione per la quale l’accentramento delle indagini istruttorie sotto la guida di una sola persona esponeva non solo al rischio di una disorganicità complessiva dell’azione contro la mafia, ma anche a quello di poter facilmente soffocare questa azione colpendo il magistrato che ne teneva le fila; questa collocazione, “solo apparentemente periferica”, fu secondo questo autore esempio della proficuità di questa collaborazione a distanza.
    In quegli anni a Marsala, tuttavia, vive anni felici e in qualche modo spensierato regalando ai suoi figli e alla moglie un periodo più tranquillo durante il quale spesso e volentieri si concedeva delle “libertà” come uscire in barca, girare con la vespa e il casco senza farsi riconoscere oppure trascorrere i pochi giorni di vacanza insieme ai suoi adorati figli e alla sua amata moglie nella villa dei suoceri, a Villagrazia di Carini, a pochi passi da quel mare che tanto amava. 
  • In quel tempo si affida pressoché totalmente a questo giudice tanto determinato quanto paterno una ragazza di Partanna, una cittadina del trapanese, Rita Atria, cui la mafia aveva ucciso il padre e il fratello. Rita è poco più che una bambina, ma con una forza e un coraggio tali che le consentono nel giro di pochi mesi di aiutare il giudice a debellare tutte le famiglie mafiose del suo paese, dal quale si allontana per sempre per trovare rifugio a Roma dove il giudice, oramai divenuto per lei come un padre, le aveva trovato un appartamento per iniziare una nuova vita e mettersi alle spalle quella fatta di odio e di violenze che l’aveva accompagnata sin da quando era piccola. Purtroppo proprio da quell’appartamento Rita Atria si getterà nel vuoto pochi giorni dopo l’assassinio del “suo” giudice Paolo, lasciando un biglietto in cui emerge tutto il senso di vuoto che in quel momento provava per avere perso l’unica persona in cui nutriva la speranza in un mondo migliore e più pulito.
  • 1987 – Caponnetto è costretto a lasciare la guida del pool a causa di motivi di salute. Tutti a Palermo attendono la nomina di Giovanni Falcone al posto di Caponnetto, anche Borsellino è ottimista. Il CSM non è dello stesso parere e si diffonde il terrore di veder distruggere il pool. Borsellino scende in campo e comincia una vera e propria lotta politica: parla ovunque e racconta cosa stia accadendo alla procura di Palermo; sui giornali, in televisione, nei convegni, continua a
    lanciare l’allarme. A causa delle sue dichiarazioni Borsellino rischia il provvedimento disciplinare. Solo il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga interviene in suo appoggio chiedendo di indagare sulle dichiarazioni del magistrato per accertare cosa stia accadendo nel palazzo di giustizia di Palermo.
  • 20 luglio 1988 Borsellino parla in pubblico a più riprese, raccontando quel che stava accadendo alla Procura della Repubblica di Palermo. In particolare, in due interviste rilasciate a la Repubblica e a L’Unità, riferendosi al CSM, dichiara tra l’altro espressamente: “si doveva nominare Falcone per garantire la continuità all’Ufficio“, “hanno disfatto il pool antimafia“, “hanno tolto a Falcone le grandi inchieste“, “la squadra mobile non esiste più“, “stiamo tornando indietro, come 10 o 20 anni fa“. Per queste dichiarazioni rischiò un provvedimento disciplinare (fu messo sotto inchiesta). A seguito di un intervento del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, si decise almeno di indagare su ciò che succedeva nel palazzo di giustizia.
  • 31 luglio 1988 – CSM convoca Borsellino, il quale rinnova le accuse e le  perplessità.
  • 14 settembre 1988  Antonino Meli, sulla base di una decisione fondata sulla mera anzianità di ruolo in magistratura, fu nominato capo del pool; Borsellino tornò a Marsala, dove riprese a lavorare alacremente insieme con giovani magistrati, alcuni di prima nomina. Cominciava in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porvi a capo, nel frattempo Falcone fu chiamato a Roma per assumere il comando della direzione affari penali e da lì premeva per l’istituzione della Superprocura.
  • 1991 – Ritorna a Palermo mentre il suo amico e collega Giovanni Falcone assume a Roma la direzione di un importante ufficio del Ministero della Giustizia; lui Procuratore a Palermo e Falcone a Roma rappresentano oramai un pericolo troppo grande per la mafia ma, forse, rappresentano un pericolo anche per quello Stato che negli anni passati era sceso a patti con la mafia e che probabilmente era pronto a stipulare nuovi patti con la stessa o a rinnovare quelli precedenti. Lo seguono il sostituto Ingroia e il maresciallo Canale.
    Maturati i requisiti per essere dichiarato idoneo alle funzioni direttive superiori – sia requirenti che  giudicanti – pur rimanendo applicato alla Procura della Repubblica di Marsala Paolo Borsellino  chiede e ottiene di essere trasferito alla Procura della Repubblica di Palermo con funzioni di  Procuratore Aggiunto.  Grazie alle sue indiscusse capacità investigative, una volta insediatesi presso  la Procura di Palermo
  • Alla fine del 1991, è delegato al coordinamento dell’attività dei Sostituti facenti  parte della Direzione Distrettuale Antimafia. I Magistrati, con l’arrivo di Borsellino trovano nuova fiducia. A Borsellino vengono tolte le indagini  sulla mafia di Palermo dal procuratore Giammanco, e gli vengono assegnate quelle di Agrigento e  Trapani. Ricomincia a lavorare con l’impegno e la dedizione di sempre. Nuovi pentiti, nuove  rivelazioni confermano il legame tra la mafia e la politica, riprendono gli attacchi al magistrato e lo  sconforto ogni tanto si manifesta.
  • 30 gennaio 1992 Viene emessa la sentenza al Maxiprocessoalla mafia iniziato sette anni prima con diverse condanne definitive di boss e gregari della mafia e a marzo di quello stesso anno viene ucciso l’europarlamentare Salvo Lima, un politico che per molti anni era stato sospettato di intrattenere rapporti ambigui con la mafia e che molti mafiosi accusavano di non avere fatto abbastanza per “salvarli” dal carcere.
  • 1992 Roma viene istituita la superprocura nazionale antimafia  e vengono aperte le candidature; Falcone è il  numero uno ma, anche questa volta, sa che non sarà facile. Borsellino lo sostiene a spada tratta  sebbene non fosse d’accordo sulla sua partenza da Palermo. Il suo impegno aumenta quando viene  resa nota la candidatura di Cordova. Borsellino esce allo scoperto, parla, dichiara, si muove: è di  nuovo in prima linea. I due magistrati lottano uno a fianco all’altro, temono che la superprocura possa  divenire un arma pericolosa se in possesso di magistrati che non conoscono la mafia siciliana.
  • Maggio 1992 – Giovanni Falcone raggiunge i numeri necessari per vincere l’elezione a superprocuratore. Borsellino e Falcone esultano, ma il giorno dopo nell’atto tristemente noto come la “strage di Capaci” Giovanni Falcone viene ucciso insieme alla moglie. Paolo Borsellino soffre molto, il legame che ha con Falcone è speciale. Dalle prime indagini nel pool, alle serate insieme, alle battute per sdrammatizzare, ai momenti di lotta più dura quando insieme sembravano “intoccabili”, al periodo forzato all’Asinara fino al distacco per Roma. Una vita speciale, quella dei due amici-magistrati, densa di passione e di amore per la propria terra. Due caratteri diversi, complementari tra loro, uno un po’ più razionale l’altro più passionale, entrambi con un carisma, una forza d’animo ed uno spirito di abnegazione esemplari.
  • 23 maggio del ‘92Giovanni Falcone insieme alla  moglie, Francesca Morvillo, e tre dei loro agenti di scorta salta in aria sull’autostrada che dall’aeroporto porta a Palermo; appena cinquantasette giorni dopo, il 19 luglio, sotto la casa della sua cara mamma sono accomunati dallo stesso destino Paolo Borsellino e cinque dei suoi sei agenti di scorta, tutti barbaramente uccisi con una autobomba nella via D’Amelio, dove oggi sorge un albero di ulivo, simbolo di pace.
  • 4 luglio 1992 ovvero quindici giorni prima di essere assassinato da Cosa nostra,  Paolo Borsellino si reca per l’ultima volta al Tribunale di Marsala per la cerimonia di saluto che era già stata rinviata altre volte dopo il trasferimento a Palermo. Borsellino parla a braccio, ricorda i sacrifici che i magistrati devono affrontare per assicurare alla nazione il servizio della giustizia e riceve una bellissima lettera di saluto dai “suoi” sostituti, i giovani pm cresciuti sotto la sua guida negli anni delle inchieste marsalesi: Giuseppe Salvo, Francesco Parrinello, Luciano Costantini, Lina Tosi, Massimo Russo, Alessandra Camassa.
  • 19 luglio 1992, La strage di via D’Amelio e la morte  dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove vivevano sua madre e sua sorella Rita. Alle 16:58 una Fiat 126 imbottita di tritolo, che era parcheggiata sotto l’abitazione della madre, detonò al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, scampato perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.
  • 24 luglio 1992 Circa 10 000 persone parteciparono ai funerali privati di Borsellino (i familiari rifiutarono il rito di Stato: la moglie Agnese infatti accusava il governo di non aver saputo proteggere il marito, e volle una cerimonia privata senza la presenza dei politici), celebrati nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, disadorna e periferica, dove il giudice era solito sentir messa, quando poteva, nelle domeniche di festa. L’orazione funebre fu pronunciata da Antonino Caponnetto, il vecchio giudice che aveva diretto l’ufficio di Falcone e Borsellino: «Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi». Pochi i politici: il presidente Scalfaro, Francesco Cossiga, Gianfranco Fini, Claudio Martelli. Il funerale è commosso e composto, interrotto solo da qualche applauso. Qualche giorno prima, i funerali dei 5 agenti di scorta si erano svolti nella Cattedrale di Palermo, ma all’arrivo dei rappresentanti dello Stato (compreso il neopresidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro), una folla inferocita sfondò la barriera creata dai 4000 agenti chiamati per mantenere l’ordine, mentre la gente, strattonando e spingendo, gridava: “Fuori la mafia dallo Stato”. Il Presidente della Repubblica venne tirato fuori a stento dalla calca, venne spintonato anche il capo della polizia.[48] La salma è stata tumulata nel Cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo.

 

 

 

 

 


 

  • Comincia la preparazione del Maxiprocesso e viene ucciso il commissario Beppe Montana. Ancora sangue, per fermare le persone più importanti nelle indagini sulla mafia e l’elenco dei morti è destinato ad aumentare. Il clima è terribile: Falcone e Borsellino vengono immediatamente trasferiti all’Asinara per concludere le memorie, predisporre gli atti senza correre ulteriori rischi.
  • Borsellino vive in un appartamento nella caserma dei carabinieri per risparmiare gli uomini della  scorta. In suo aiuto arriva Diego Cavaliero, magistrato di prima nomina, lavorano tanto e con  passione. Borsellino è un esempio per il giovane Cavaliero. Teme che la conclusione del  maxiprocesso attenui l’attenzione sulla lotta alla mafia, che il clima scemi e si torni alla normalità e  per questo Borsellino cerca la presenza dello Stato, incita la società civile a continuare le  mobilitazioni per tenere desta l’attenzione sulla mafia e frenare chi pensa di poter piano piano  ritornare alla normalità.
  • Paolo Borsellino viene riabilitato, torna a Marsala e riprende a lavorare. Nuovi
    magistrati arrivano a dargli una mano, giovani e, a volte di prima nomina. Il suo modo di fare, il suo
    carisma ed i suo impegno in prima linea è contagioso; lo affiancano con lo stesso fervore e con lo
    stesso coraggio nelle indagini su fatti di mafia. I pentiti cominciano a parlare: prendono forma le
    indagini su connessioni tra mafia e politica. Paolo Borsellino è convinto che per sconfiggere la mafia
    i pentiti abbiano un ruolo fondamentale. E’ tuttavia convinto che i giudici debbano essere attenti,
    controllare e ricontrollare ogni dichiarazione, ricercare i riscontri ed intervenire solo quando ogni fatto
    sia provato. L’opera è lunga e complicata ma i risultati non tarderanno ad arrivare.
    Da questo momento gli attacchi a Borsellino diventano forti ed incessanti. Le indiscrezioni su
    Falcone e Borsellino sono ormai quotidiane; si parla di candidature alla Camera o alla carica di
    Sindaco. I due magistrati smentiscono ogni cosa.
    Comincia intanto il dibattito sull’istituzione della Superprocura e su chi porre a capo del nuovo
    organismo. Falcone, intanto, va a Roma come direttore degli affari penali e preme per l’istituzione
    della Superprocura. Si sente la necessità di coinvolgere le più alte cariche dello stato nella lotta alla
    mafia. La magistratura da sola non può farcela, con Falcone a Roma si ha un appoggio in più:

Nella musica, il magistrato è ricordato nelle seguenti composizioni originali a lui ispirate:

Onorificenze


 

FONTI:

  • Manfredi Borsellino
  • Ministero dell’Interno
  • Io non dimentico
  • Wikipedia
  • Wikivand
  • Biografie on line

 


L’esperienza del pool antimafia

Rocco Chinnici istituì presso l’Ufficio istruzione un “pool antimafia”, ossia un gruppo di giudici istruttori che si sarebbero occupati esclusivamente dei reati di stampo mafioso e, lavorando in gruppo, essi avrebbero avuto una visione più chiara e completa del fenomeno mafioso e, di conseguenza, la possibilità di combatterlo più efficacemente. Diminuiva inoltre il rischio che venissero assassinati da Cosa Nostra con lo scopo di riseppellire i segreti scoperti. Chinnici chiamò Borsellino a fare parte del pool insieme con Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Il 29 luglio 1983 Chinnici rimase ucciso nell’esplosione di un’autobomba insieme a due agenti di scorta e al portiere del suo condominio. Pochi mesi dopo giunse a Palermo da Firenze il giudice Antonino Caponnettonominato al suo posto.

Nel racconto che ne fece lo stesso Borsellino, il pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano individualmente, e separatamente, senza che avvenisse scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue, cosa che avrebbe potuto consentire una maggiore efficacia nell’esercizio della azione penale il cui coordinamento avrebbe consentito di fronteggiare meglio il fenomeno mafioso nella sua globalità.[23] Uno dei primi esempi concreti del coordinamento operativo fu la collaborazione fra Borsellino e Di Lello, che Caponnetto aveva voluto e richiesto in squadra: Di Lello prendeva giornalmente a prestito la documentazione che Borsellino produceva e gliela rendeva la mattina successiva, dopo averla studiata come fossero “quasi delle dispense sulla lotta alla mafia“. Del resto era proprio la formazione di una conoscenza condivisa uno degli effetti, ma prima ancora uno degli scopi, della costituzione del pool: come ebbe a dire Guarnotta, “si andava ad esplorare un mondo che sinora era sconosciuto per noi in quella che era veramente la sua essenza“. Le indagini del pool si basarono soprattutto su accertamenti bancari e patrimoniali, vecchi rapporti di polizia e carabinieri ma anche su nuovi procedimenti penali, che consentirono di raccogliere un abbondante materiale probatorio; nello stesso periodo Falcone incominciò a raccogliere le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, la cui attendibilità venne confermata dalle indagini del pool: il 29 settembre 1984 le dichiarazioni di Buscetta produssero 366 ordini di cattura mentre il mese successivo quelle di Contorno altri 127 mandati di cattura, nonché arresti eseguiti tra Palermo, Roma, Bari e Bologna


Gli ultimi 57 giorni

I 57 giorni che separarono la strage di Capaci da quella di via d’Amelio furono i più difficili per Borsellino, il quale, duramente colpito dalla morte del collega e amico e nonostante fosse consapevole di essere il prossimo obiettivo della vendetta di Cosa Nostra, continuò a lavorare con frenetica intensità, ostacolato però dal capo della Procura palermitana Pietro Giammanco[61][62], il quale addirittura gli nascose il contenuto di un’informativa del ROS dei Carabinieri che segnalava il pericolo di un imminente attentato nei suoi confronti, circostanza che Borsellino apprese solo casualmente durante una conversazione con l’allora Ministro della Difesa Salvo Andò[63]: infatti in base ad alcune dichiarazioni rilasciate nei vari processi dal colonnello dell’Arma dei CarabinieriUmberto Sinico, sentito come testimone, si può stabilire che Borsellino non solo era a conoscenza di essere nel mirino di cosa nostra, ma che preferiva che non si stringesse troppo la protezione attorno a sé, così da evitare che l’organizzazione scegliesse come bersaglio qualcuno della sua famiglia.[64]

Il 29 maggio 1992, nel corso della presentazione del libro “Gli uomini del disonore” di Pino Arlacchi alla presenza dei ministri dell’Interno e della Giustizia, Vincenzo Scotti e Claudio Martelli, nonché del capo della polizia Vincenzo Parisi, dal pubblico fu chiesto a Borsellino se intendesse candidarsi alla successione di Falcone alla “Superprocura“; alla sua risposta negativa Scotti intervenne annunciando di aver concordato con Martelli di chiedere al CSM di riaprire il concorso e invitandolo formalmente a candidarsi. Borsellino non rispose a parole, sebbene il suo biografo Lucentini abbia così descritto la sua reazione: “dal suo viso trapela una indignazione senza confini”[65]. Rispose al ministro per iscritto, giorni dopo: “La scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento[66].

Il 25 giugno Borsellino tenne il suo ultimo discorso nell’atrio della biblioteca di Casa Professa nel corso di un dibattito organizzato dalla rivista “Micromega” durante il quale venne interrotto due volte da lunghi applausi[67][68]:

Alla fine di giugno, Gaspare Mutolo, mafioso di Partanna-Mondello legato a Totò Riina, manifestò la volontà di collaborare con la giustizia ma volle parlare solo con Borsellino perché soltanto di lui si fidava; tuttavia il giudice si trovava in Germania per interrogare il nuovo collaboratore di giustizia Gioacchino Schembri (uno stiddaro di Palma di Montechiaro che conosceva molti retroscena dell’omicidio del giudice Rosario Livatino[69]) e il procuratore Giammanco decise di tagliarlo fuori affidando il fascicolo su Mutolo al procuratore aggiunto Vittorio Aliquò e ai sostituti procuratori Guido Lo Forte e Gioacchino Natoli per poi fare marcia indietro e consentire a Borsellino di partecipare agli interrogatori insieme agli altri tre magistrati designati[70]. Il sostituto procuratore Lo Forte testimoniò in seguito: “Paolo mostrò un certo disappunto per non essere stato investito formalmente delle indagini relative a Mutolo, tanto che con una battuta ci disse che era inutile che lui partecipasse agli interrogatori[71]. Il primo interrogatorio di Mutolo si svolse il 1º luglio cui seguirono quelli del 16 e 17 luglio, cui Borsellino fu sempre presente: durante le pause degli interrogatori, il giudice si appartò a parlare con Mutolo che gli avrebbe confessato una collusione con la mafia del suo collega Domenico Signorino (PM al maxiprocesso) e dell’ex commissario di polizia e numero due del SISDE Bruno Contrada[71][72].

Sempre il 1º luglio Borsellino aveva un appuntamento al Viminale con l’onorevole Nicola Mancino, che in quel giorno assumeva la carica di Ministro dell’Interno: così è segnato nell’agenda grigia del magistrato[73] e così è confermato dalla ricostruzione della giornata di Rita Borsellino, secondo la quale vi si sarebbe recato in seguito ad una telefonata del ministro. Mutolo al riguardo racconta che Borsellino gli disse «mi ha telefonato il ministro, manco due ore e poi torno» e poi racconta però «[Borsellino] molto preoccupato e serio, mi fa che viceversa del ministro, si è incontrato con il dottor Parisi [l’allora capo della Polizia] e il dottor Contrada». Tuttavia l’allora procuratore aggiunto Vittorio Aliquò raccontò che quel giorno accompagnò Borsellino sulla soglia della stanza del neo-ministro, lo vide entrare, lo vide uscire poco dopo e quindi entrò a sua volta, ma da solo, non ricordando di aver incontrato Bruno Contrada ed escludendo che Borsellino gliene abbia parlato[74]. Mancino interpellato sulla vicenda ha sostenuto «Non ho precisa memoria di tale circostanza, anche se non posso escluderla, era il giorno del mio insediamento, mi vennero presentati numerosi funzionari e direttori generali. Non escludo che tra le persone che possono essermi state presentate ci fosse anche il dottor Borsellino. Con lui però non ho avuto alcuno specifico colloquio e perciò non posso ricordare in modo sicuro la circostanza» e inoltre nega di averlo convocato.[75]

Il giorno precedente, Borsellino e Aliquò si erano recati presso gli uffici romani del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato per interrogare un altro nuovo collaboratore di giustizia, Leonardo Messina (ex mafioso del nisseno e uomo di fiducia del boss Giuseppe “Piddu” Madonia), che tornarono a sentire sempre nella giornata del 1º luglio e poi il 17[76]: nei suoi interrogatori, Messina spiegò a Borsellino dettagliatamente come funzionava la spartizione degli appalti pubblici e privati tra Cosa Nostra e i politici e rese la clamorosa rivelazione che la Calcestruzzi S.p.A. (all’epoca di proprietà del gruppo Ferruzzi-Gardini, uno dei principali gruppi industriali italiani) fosse “nelle mani di Totò Riina[77].

il 25 giugno Borsellino aveva avuto un incontro riservato con il colonnello Mario Mori e l’allora capitano Giuseppe De Donno presso la caserma “Carini”, lontano dalla Procura: secondo quanto dichiarato da Mori e De Donno ai magistrati, Borsellino si limitò a parlare con loro del dossier soprannominato “mafia e appalti” trasmesso dal ROS alla Procura di Palermo di cui il giudice s’interessava nonostante non avesse ricevuto la delega d’indagine[77]. Secondo i giudici che conducono l’inchiesta “Trattativa Stato-mafia“, Borsellino in realtà era informato della negoziazione che Mori e De Donno stavano conducendo con l’ex sindaco Vito Ciancimino per arrivare alla cattura di latitanti e tale colloquio riservato era finalizzato a parlare di quei fatti.[78]

Per quanto riguarda le indagini sulla strage di Capaci, il procuratore capo uscente di Caltanissetta Salvatore Celesti non prendeva iniziative e aspettava l’insediamento del suo successore Giovanni Tinebra: Borsellino, consapevole del rischio di impasse investigativa, affermò di essere pronto a trasferirsi subito a Caltanissetta per fornire il proprio contributo all’inchiesta sulla strage ma il CSM gli fece sapere che non era opportuno per lui, amico fraterno di Falcone, assumere ufficialmente un incarico inquirente nell’indagine. Borsellino chiese però più volte di essere sentito dalla Procura di Caltanissetta per chiarire aspetti importanti ma ciò non avvenne mai, nemmeno quando Tinebra s’insediò al posto di Celesti il 15 luglio[79]; uno dei più stretti collaboratori del giudice, il maresciallo Carmelo Canale, testimoniò: “Borsellino mi diceva sempre che sulla strage di Falcone era lui che doveva rendere testimonianza perché lui sicuramente avrebbe certamente indirizzato le indagini nella giusta maniera e che lui sapeva tutto, di Falcone sapeva tutto. Centomila volte chiese lui di essere sentito…[80]. Alcuni giorni prima della strage di via d’Amelio, Borsellino venne contattato da Tinebra per essere sentito il 20 luglio o nei giorni successivi, ma non fece mai in tempo[81].


Le dichiarazioni e l’ultima intervista  Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in un’intervista televisiva con Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di “condannato a morte”. Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.

Antonino Caponnetto, che subito dopo la strage aveva detto, sconfortato, “È finito tutto“, intervistato anni dopo da Gianni Minà ricordò che “Paolo aveva chiesto alla questura – già venti giorni prima dell’attentato – di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l’abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze[85].

Riguardo all’ultima intervista concessa dal magistrato italiano, nel numero de L’Espresso dell’8 aprile 1994 fu pubblicata una versione più estesa dell’intervista[86].

L’intervista, e i tagli relativi alla sua versione televisiva, furono citati anche dal tribunale di Palermo nella sentenza di condanna di Gaetano Cinà e Marcello Dell’Utri:

«Un riferimento a quelle indagini si rinviene nella intervista rilasciata il 21 maggio 1992 dal Dott. Paolo Borsellino ai giornalisti Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. In dibattimento il Pubblico Ministero ha prodotto la cassetta contenente la registrazione originale di quella intervista che, nelle precedenti versioni, aveva subito, invece, evidenti manipolazioni ed era stata trasmessa a diversi anni di distanza dal momento in cui era stata resa, malgrado l’indubbio rilievo di un simile documento.»

 

Paolo Guzzanti aveva sostenuto che l’intervista trasmessa da Rai News 24 era stata manipolata, i giornalisti della rete gli fecero causa, ma fu assolto. Vi era corrispondenza tra la cassetta ricevuta e il contenuto trasmesso, ma non con il video originale. Alcune risposte erano state tagliate e messe su altre domande. Ad esempio, quando Borsellino parla di “cavalli in albergo” per indicare un traffico di droga, non si riferiva a una telefonata fra Dell’Utri e Mangano come poteva sembrare dalla domanda dell’intervistatore (che faceva riferimento a un’intercettazione dell’inchiesta di San Valentino, che Borsellino aveva seguito solo per poco tempo), ma a una fra Mangano e un mafioso della famiglia Inzerillo.[88]

Nella sentenza Dell’Utri fu poi riportato il brano dell’intervista relativo all’uso del termine “cavalli” per indicare la droga e sulle precedenti condanne di Mangano, in una versione ancora differente rispetto alle due già diffuse, trascritta dal nastro originale. Nella stessa sentenza era poi riportata l’intercettazione della telefonata intercorsa tra Mangano (la cui linea era sotto controllo) e Dell’Utri[89], relativo al blitz di San Valentino, in cui veniva citato un “cavallo”, a cui aveva fatto riferimento il giornalista nelle domande dell’intervista a Borsellino.[90]. La sentenza specificava però che:

«Tra le telefonate intercettate (il cui tenore aveva consentito di disvelare i loschi traffici ai quali il Mangano si era dedicato in quegli anni) si inserisce quella del 14 febbraio 1980 intercorsa tra Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri.
È opportuno chiarire subito che questa conversazione, pur avendo ad oggetto il riferimento a “cavalli”, termine criptico usato dal Mangano nelle conversazioni telefoniche per riferirsi agli stupefacenti che trafficava, non presenta un significato chiaramente afferente ai traffici illeciti nei quali il Mangano era in quel periodo coinvolto e costituisce il solo contatto evidenziato, nel corso di quelle indagini, tra Marcello Dell’Utri e i diversi personaggi all’attenzione degli investigatori.»

La versione dell’ultima intervista a Borsellino venne mandata in onda da Rai News 24 nel 2000 era di trenta minuti, quella originale era invece di cinquantacinque minuti. La trascrizione dell’intervista integrale è stata pubblicata sul sito web 19luglio1992.org.

 

 
Francobollo commemorativo.
Francobollo commemorativo.

 

Teatro, cinema, televisione, musica

Anche il teatro, il cinema e la televisione hanno onorato la memoria del magistrato palermitano. Tra i più rilevanti:

Nella musica, il magistrato è ricordato nelle seguenti composizioni originali a lui ispirate: