UNIVERSITÀ DI PALERMO E VITTIME DELLA MAFIA

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L’Archivio Storico di Ateneo raccoglie anche la documentazione relativa alla carriera universitaria di alcune vittime della mafia che hanno studiato nella facoltà giuridica palermitana. Si tratta di magistrati o funzionari della Polizia di Stato che hanno saputo cogliere il significato autentico e profondo di una formazione che non si è limitata a un rispetto sul piano formale della legalità. Con la loro stessa vita, infatti, essi hanno testimoniato il senso di un diritto che si è tradotto in azioni consapevoli e tenaci, assumendo un valore esemplare in una terra in cui la mafia è, prima di ogni altra cosa, una cultura fatta di continue sopraffazioni che non sopportano le costrizioni della giustizia.

Sono stati studenti della Facoltà di Giurisprudenza di Palermo Pietro Scaglione (1906-1971), Gaetano Costa (1916-1980), Antonino Saetta (1922-1988), Rocco Chinnici (1925-1983), Giovanni Falcone (1939-1992), Paolo Borsellino (1940-1992), Francesca Morvillo (1945-1992), Giuseppe Montana (1951-1985), Antonino Cassarà (1947-1985), Rosario Livatino (1952-1990).

Nella teca sono esposti alcuni dei materiali di archivio già catalogati che rappresentano la testimonianza viva di un percorso formativo di alcuni di questi martiri della giustizia. Per gli altri sarà necessario attendere che l’opera di catalogazione possa procedere.

Accanto al fascicolo personale di Rocco Chinnici [foto 8.1] contenente una fotografia autenticata in bianco e nero che lo raffigura ancora giovanissimo [foto 8.2] vi è il registro dei verbali delle sedute di laurea in Giurisprudenza della sessione estiva del 1961, in cui Giovanni Falcone discusse il 27 luglio 1961 una tesi scritta sotto la guida di Pietro Virga (1920-2004) sul tema L’istruzione probatoria nel processo amministrativo (recentemente pubblicata) [foto 8.3], conseguendo il massimo dei voti e la lode. La lettura del verbale consente di conoscere anche il titolo della tesina discussa in sede di laurea sul tema La residenza comune degli apolidi come criterio di collegamento e la composizione della Commissione di laurea, presieduta da Gioacchino Scaduto (1898-1979) [foto 8.4].

Il fascicolo personale di Rosario Livatino, sul quale è stampata la matricola 12552 [foto 8.5], contiene fra l’altro una fototessera in bianco e nero con la firma autenticata che lo raffigura all’età di diciannove anni: niente giacca e niente cravatta [foto 8.6]. È la stessa fotografia che si trova sul libretto universitario conservato nel fascicolo, sulle cui pagine sono segnate le tappe della sua formazione universitaria [foto 8.7; 8.8; 8.9; 8.10]. Nel fascicolo vi sono anche la richiesta al Rettore dell’epoca “di essere ammesso a frequentare il primo corso della facoltà di Giurisprudenza”, una copia autenticata del Diploma di maturità classica, lo statino degli esami di laurea e una copia dattiloscritta della tesi in diritto penale intitolata L’autore mediato [foto 8.11] Non è un lavoro scritto come tanti. Lo si capisce dando una scorsa alle pagine conclusive della tesi, quelle che contengono alcune frasi presentate come “un’argomentazione di fondo a carattere (si perdoni il pretenzioso predicato) filosofico” [foto 8.12].

Fra queste ve n’è una che sembra sintetizzare una concezione del diritto che sarà al centro della vita professionale futura: “Ciò che bisogna tenere sempre vivo nella mente di chi opera nel mondo del diritto è che esso è costruito per l’uomo, a misura d’uomo a salvaguardia della sua dignità naturale e sociale. Mal ne incoglierebbe a tal dignità se si volesse r[a]ccostare a tale termine ‘uomo’ quello di mero ‘strumento’”. Sono affermazioni formulate nel quadro dell’analisi dell’istituto penalistico oggetto del lavoro conclusivo del percorso accademico, ma sul cui sfondo risuona un’eco della Selbstzweckformel espressa da Immanuel Kant nella Fondazione della metafisica dei costumi pubblicata nel 1785: “Agisci in modo da trattare sempre l’uomo così in te come in ciascun altro anche come fine, non mai solo come mezzo.”

A colpire è anche quanto si legge qualche rigo dopo: “E non è, codesta, affermazione di poco momento, né tanto meno generica affermazione di scontati postulati o mero e retorico riempitivo. Essa è condizione imprescindibile e ineliminabile, vieppiù che mai nella materia penale: in essa molto più arduo è trovare la giustificazione dell’ergersi di un soggetto a giudice di un altro per pronunciare nei suoi confronti volontà di restrizione del più connaturale dei diritti umani: quello alla libertà.” [foto 8.13]


 


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