Depistaggio Borsellino: “Scarantino calunniatore”, a luglio la sentenza

 

(dall’inviata Elvira Terranova) – Il falso pentito Vincenzo Scarantino è “un calunniatore” che “non è mai stato indottrinato” né “dai poliziotti né dai magistrati”. E’ ancora l’ex pentito, che aveva accusato falsamente degli innocenti della strage di Via d’Amelio, al centro dell’arringa difensiva dell’avvocato Giuseppe Panepinto, legale di Mario Bo, uno dei tre poliziotti accusati di concorso in calunnia aggravata nel processo per il depistaggio sulla strage Borsellino. Gli altri due imputati sono Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. “Nessuno, né poliziotti né pm, ha indotto Vincenzo Scarantino a dire il falso. Non c’è stato alcun comportamento, neppure dei magistrati, che abbiano indotto Scarantino a fare dichiarazioni false. Qui ci troviamo in presenza di calunniatori seriali che continuano a strumentalizzare un processo penale per farne ciò che ritengono opportuno”, accusa Giuseppe Panepinto. Il procuratore di Caltanissetta, Salvatore De Luca, al termine della requisitoria, aveva chiesto 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e nove anni e mezzo ciascuno per gli altri due poliziotti. La sentenza sarà emessa ai primi di luglio, come ha detto a fine udienza il Presidente Francesco D’Arrigo.

Rivolgendosi al Tribunale l’avvocato Panepinto ha ricordato il processo ‘Borsellino quater’, nel quale era imputato anche Scarantino per calunnia e ha spiegato: “Nella sentenza a Scarantino, che viene condannato per calunnia, viene riconosciuta l’attenuante e dunque viene dichiarato di non doversi procedere per intervenuta prescrizione- dice – Scarantino aveva tutto l’interesse a scaricare su altri le proprie responsabilità. Se non lo avesse fatto avrebbe dovuto scontare una pena, e non avrebbe potuto beneficiare della prescrizione. Dunque, c’è un interesse a fare queste dichiarazioni false”. E ribadisce che Vincenzo Scarantino, prima delle udienze dibattimentali, “non veniva indottrinato, come dice l’accusa, ma era un normalissimo studio di preparazione per l’udienza”.

“Ce lo ha detto in aula anche il dottor Antonino Di Matteo”, ex pm e oggi consigliere del Csm. “Il collaboratore si prepara, non è un illecito, forse una pratica discutibile dal punto di vista deontologico ma non è un illecito. Il pm Di Matteo ha detto che ha sempre preparato i suoi collaboratori. Ad esempio, dicendo ‘stia attento, ripassi le sue dichiarazioni’ o perché in sede di controesame potrebbe ricevere delle contestazioni”.

‘Il quater è stato un processo a carico degli assenti o morti’

E poi il legale di Mario Bo aggiunge: “Il processo Borsellino quater è stato un processo a carico degli assenti, vengono introdotti una serie di argomenti che riguardano l’induzione di soggetti che non fanno parte del processo, o perché sono morti o perché non sono imputati e dunque non si possono difendere. Ovviamente non potendosi difendere gli elementi di prova a discarica non vengono fornite”. Il legale ricorda poi l’inchiesta della Procura di Messina sui due magistrati, Annamaria Palma e Carmelo Petralia, indagati per calunnia aggravata, sempre per le stesse circostanze dei tre poliziotti adesso imputati a Caltanissetta. Ma il gip in quel caso ha archiviato l’inchiesta sui magistrati. “Cosa fa la Procura di Messina? – dice Panepinto – Chiama i testimoni oculari, coloro che erano presenti agli interrogatori di Scarantino, dunque chiama i magistrati, non solo Palma e Petralia, chiama poi gli avvocati che erano presenti all’epoca, i difensori di Scarantino, il tutto per vedere se realmente le accuse di Scarantino potevano trovare un fondamento. E dopo avere concluso hanno detto che non c’era un solo elemento di riscontro oggettivo alle dichiarazioni di Scarantino. Che, dunque, si muovono solo piano della mera calunnia”.

E ribadisce: “Anche in questo processo Scarantino ha continuato a calunniare, ha solo corretto il tiro, sui magistrati, poi fa un passo indietro scaricando tutto sui poliziotti, e via di seguito”. “Scarantino parla di pause e suggerimenti, che qui diventa ‘indottrinamento’. Neppure Scarantino ha mai parlato di indottrinamento. – continua Panepinto – Non mi pare che su questa circostanza, sulle modalità in cui si sono svolti gli interrogatori e sulla possibilità di eventuali suggerimenti vi sia stata una sola domanda fatta ai soggetti interrogati, certamente nessuna domanda è stata posta ai poliziotti, sia del gruppo Falcone e Borsellino che agli esterni, nessuna domanda agli avvocati, che non sono mai stati sollecitati per chiedere cosa succedeva durante gli interrogatori”.

Poi, l’avvocato Panepinto, parla di chi è stato “denigrato” in questo processo. Uomini dello Stato che hanno fatto la lotta contro la mafia. “Nel corso di questo processo abbiamo sentito magistrati che hanno segnato la storia d’Italia, si sono susseguiti nomi eccellenti. Gente che ha fatto indagini su Tangentopoli, persone che hanno smembrato Cosa Nostra. E non è consentito, anche solo su un piano morale, che si getti discredito su soggetti che non sono presenti e non si possono difendere o su gente che è morta e che non può difendersi. Sul dottor Giovanni Tinebra ne hanno dette di tutti i colori. Lui che ha fatto tremare il palazzo di giustizia di Caltanissetta e mezza Italia con le sue indagini. Non si possono accusare coloro che non possono difendersi. Prefetti, questori che hanno servito lo Stato per anni, sospettati di essersi messi d’accordo per coprire le malefatte degli imputati”.

‘Su La Barbera ne sono state dette di tutti i colori’

L’avvocato Panepinto, parlando poi dell’ex capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, che guidava il Gruppo investigativo Falcone e Borsellino, di cui facevano parte i tre poliziotti imputati, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, dice: “Su La Barbera ne sono state dette di tutti i colori, compreso che era un uomo vicino alla mafia”. La Barbera è morto nel 2002. “Certe cose non si possono ascoltare in un’aula di giustizia. A maggior ragione su una persona con una brillante carriera come quella di Arnaldo La Barbera. E invece in questo processo diventa una persona “a libro paga della mafia”. E aggiunge: “Non posiamo condannare sulla base di sospetti, abbiamo bisogno di prove, mentre qui cosa accade? In questo processo tutti i testimoni, nel momento in cui si sono allontanati dall’impianto accusatorio, sono stati accusati di essere conniventi o di voler proteggere gli imputati, o di fare falsa testimonianza”.

“Il Procuratore Giovanni Tinebra con le sue inchieste ha fatto tremare mezza Italia e ora, dopo la sua morte, si dice di tutto e di più di lui: amico dei servizi e tanto altro. Nei giorni scorsi ad Atlantide ho sentito una affermazione inverosimile. Che Tinebra si è rifiutato di interrogare Paolo Borsellino che chiedeva di essere interrogato dopo la strage di Capaci. Tinebra si è insediato alla Procura di Caltanissetta il 15 luglio 1992 e si è trovato una situazione esplosiva, c’era stata la strage di Capaci e e dopo appena 4 giorni c’è stata via D’Amelio. Sulle vicende di Palermo quando avrebbe dovuto interrogarlo? Per sapere dei colloqui sul collaboratore Gaspare Mutolo?”. “Non è moralmente corretto dire che Tinebra volesse insabbiare le indagini – aggiunge il legale – Bisogna dirle queste cose”.

Proseguendo ancora la lunga arringa difensiva, l’avvocato Panepinto parla della 126 usata da Cosa nostra per uccidere Paolo Borsellino. “L’auto usata per l’autobomba per la strage di via D’Amelio è stata individuata lo stesso pomeriggio del 19 luglio del 1992. Sono inutili i sospetti che vi hanno insinuato”, dice rivolgendosi al Tribunale. “E’ un altro mito che viene sfatato quando si dice che non si poteva sapere subito che la macchina usata per la strage fosse una 126”. “Il primo lancio d’agenzia che ipotizza che l’autobomba usata per la strage fosse una 126 era un Adnkronos del 19 luglio alle ore 22.49. Dice che non si sa con certezza che autobomba fosse ma che varie fonti investigative parlavano di una 600 o una 126 o ancora una Ibiza – dice il legale di Mario Bo – Quindi già da una indicazione di una 126 o 600”. “Il 20 luglio esce La Sicilia in cui si fa riferimento al fatto che la macchina fosse una utilitaria”. E poi cita una relazione di servizio in cui si parla di una 126. “Una prova documentale troncante”, dice. Le arringhe difensive proseguiranno giovedì 9 giugno. Prenderà la parola ancora Giuseppe Panepinto, poi passerà il testimone al collega Giuseppe Seminara, che difende Mattei e Ribaudo. Il legale interverrà anche il 14 e il 17 giugno. Poi due settimane di stop. E ai primi di luglio la sentenza di primo grado.

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