‘Ndrangheta nel Comasco, pene per quasi un secolo. Tre assoluzioni e 8 condanne

 

 

Otto condanne e tre assoluzioni. Pene complessive per quasi un secolo, la metà di quanto chiesto dall’accusa. Nel complesso, confermato il contesto descritto dai magistrati della direzione distrettuale antimafia che descrive una presenza importante della ‘ndrangheta nel territorio comasco, anche nel tessuto economico.
La Corte d’Assise di Como, presieduta da Valeria Costi, dopo un’ora di camera di consiglio ha letto oggi la sentenza nel processo a undici imputati per le presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Comasco. Procedimento, legato all’operazione “Cavalli di razza”.
I magistrati dell’antimafia Pasquale Addesso e Sara Ombra avevano chiesto condanne complessive per 182 anni per tutti gli undici imputati. Il computo totale dopo la lettura della sentenza si ferma a poco meno di 92 anni.
Tre gli assolti. Otto i condannati, da un massimo di 16 anni e 10 mesi a un minimo di 5 anni.
Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni. Soddisfazione per la procura milanese, perché è stato in gran parte confermato l’impianto accusatorio e in particolare una visione nuova della ‘ndrangheta, sempre più parte attiva nel tessuto economico del territorio comasco e lombardo. Tesi opposta da quella sostenuta invece dalle difese.

 


’Ndrangheta, il figlio del boss assolto: non è affiliato ai clan. Sedici anni, invece, al braccio destro. Tre innocenti (uno è stato scarcerato) e otto condannati

La sentenza Il Tribunale di Como sugli imputati dell’operazione “Cavalli di razza” riduce le pene chieste dall’accusa

Otto condanne, a pene decisamente inferiori rispetto alle richieste dell’accusa, e tre assoluzioni. È stata letta nel pomeriggio di oggi (giovedì 27 aprile) la sentenza del processo – in corso a Como – a carico di alcuni degli imputati dell’operazione dell’antimafia di Milano “cavalli di razza”. Indubbiamente, fa rumore l’assoluzione pronunciata a carico di due presunti affiliati alla locale di Fino Mornasco: quella di Giuseppe Iaconis, figlio del boss (che sta scontando una condanna all’ergastolo per omicidio e associazione mafiosa) e quella di Leo Palamara, cinquantenne di Appiano Gentile arrestato un anno e mezzo fa proprio con l’accusa di associazione di stampo mafioso (ma senza alcun reato “fine” connesso). Quest’ultimo è rimasto in cella 17 mesi e proprio oggi è potuto uscire di cella, quando i giudici hanno ordinato l’immediata scarcerazione.
Le condanne più pesanti sono andate invece ad Alessandro Tagliente, considerato il braccio destro del boss Bartolomeo Iaconis: accusato di associazione mafiosa, detenzione e porto d’arma da fuoco, plurime accuse di frode fiscale e di bancarotta fraudolenta, trasferimento fraudolento di titoli, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, è stato condannato a 16 anni di carcere. Stessa pena per Antonio Carlino, accusato di essere affiliato ai clan e di plurimi episodi di bancarotta fraudolenta con l’aggravante mafiosa.
Assolto anche Giuseppe Valenzisi (33 anni) a cui era stato contestato un solo capo di imputazione dei 125 dell’indagine. Per il resto le condanne sono comprese tra i 10 mesi e i 14 anni e 10 mesi. Giovedì 27 Aprile 2023 LA PROVINCIA


 

‘Ndrangheta a Milano, Varese e Como: 34 condanne per 200 anni al processo Cavalli di razza

OPERAZIONE “CAVALLI DI RAZZA”

Le minacce della ’ndrangheta alle società comasche


19.1.2023 – ‘Ndrangheta nel Comasco, in corso nuova udienza del processo per l’operazione “Cavalli di razza”


 

Servizi TG ETV


‘Ndrangheta in Lombardia, 34 condanne. Pene per 230 anni, Como al centro dell’indagine

Pene complessive per quasi 230 anni. Tutti condannati i 34 imputati, in gran parte residenti sul territorio comasco, nel processo con giudizio immediato seguito all’inchiesta sfociata nell’operazione “Cavalli di razza”. La sentenza di primo grado del Tribunale di Milano sancisce ancora una volta la presenza della ‘ndrangheta in provincia di Como.
 

L’indagine

Nell’elenco dei 34 indagati compaiono, secondo l’accusa, capi e organizzatori e altri che hanno solo il ruolo di “comparsa”. Tutti però, in base a quanto ricostruito dai magistrati della direzione distrettuale antimafia di Milano Pasquale Addesso e Sara Ombra, partecipano a summit di ‘ndrangheta, ricevono doti e si mettono a completa disposizione degli interessi della locale per contribuire alla realizzazione del programma criminoso del gruppo. I sostituti procuratori avevano chiesto pene complessive per un totale di quasi 400 anni. Le accuse, a vario titolo, sono di bancarotta, corruzione, frode fiscale, estorsione, voto di scambio, spaccio, traffico di armi. L’organizzazione, secondo l’accusa si era ramificata anche in Svizzera.

La sentenza

La sentenza pronunciata oggi – complessa al punto tale che il giudice dell’udienza preliminare Lorenza Pasquinelli ha chiesto 90 giorni per le motivazioni – riconosce tutti colpevoli ma riduce in parte le pene. Complessivamente, il computo arriva a 229 anni, da un massimo di 11 anni e 8 mesi fino a un minimo di 2. A questo si aggiungono sanzioni, confische di beni, risarcimenti alle parti civili e pene accessorie come l’interdizione dai pubblici uffici.
L’operazione “Cavalli di razza” si è collegata a una precedente indagine della procura di Como che aveva smantellato un presunto sistema di false cooperative. L’accusa contesta agli imputati estorsioni, usura, recupero crediti con modalità intimidatorie ma anche bancarotta, frode fiscale, corruzione, traffico di sostanze stupefacenti. Quindi l’acquisizione del controllo di attività economiche nel settore dei servizi di pulizia e facchinaggio, trasporti conto terzi e bar e ristoranti. Attività poi utilizzate per conseguire per sé e per altri vantaggi ingiusti.
“Per la prima volta in Lombardia sono state condannate per associazione mafiosa anche due donne – commenta il magistrato della direzione distrettuale antimafia Pasquale Addesso – Il quadro accusatorio è stato integralmente recepito anche nella parte della ‘ndrangheta imprenditrice”.

 

 


‘Ndrangheta a Milano, Varese e Como: 34 condanne per 200 anni al processo Cavalli di razza

Oltre all’estorsione contestata l’associazione mafiosa. Locale di Fino Mornasco, il boss Bartolomeo Iaconis sconterà 11 anni e 8 mesi
Tutti condannati i 34 imputati con il totale delle pene che hanno superato i 200 anni di reclusione. Si e’ chiuso cosi’ il giudizio con rito abbreviato nato dall’inchiesta “Cavalli di razza” della Dda di Milano contro laNdrangheta in Lombardia, in particolare nelle province di Como e Varese. Le condanne sono state inflitte dalla gup di Milano Lorenza Pasquinelli che ha accolto l’impianto accusatorio dei pm Pasquale Addesso e Sara Ombra, coordinati dall’aggiunto Alessandra Dolci. 
Tuttavia le pene comminate sono state inferiori rispetto a quelle richieste dalla pubblica accusa. Per quanto riguarda la locale di Fino Mornasco il boss Bartolomeo Iaconis e’ stato condannato a 11 anni e 8 mesi mentre i sottopostiPasquale e Michele La Rosa a 10 anni, Michelangelo Belcastro a 9 anni e 4 mesi, Antonio Valenzisi 10 anni e mesi e Roberto Valenzisi a 10 anni e 4 mesi. Anche la moglie di Iaconis ha preso 7 anni e 8 mesi.
A tutti loro, tra i vari reati contestati, c’era quello di associazione mafiosa. Quattro anni e 10 mesi per il collaboratore di giustizia Domenico Ficarra, 38 anni, del clan Mole’ che – stando alle indagine della Squadra Mobile di Milano e della GdF di Como – sarebbe stato il “capo” del gruppo responsabile delle estorsioni tra cui quelle ai manager della societa’ Spumador con l’obiettivo di acquisire e gestire in maniera monopolistica le commesse di trasporti conto terzi.
Oltre ai 34 condannati la giudice ha accolto anche tre patteggiamenti, tutti sotto i due anni con pena sospesa. Le motivazioni della sentenza saranno depositate in 90 giorni.
Mentre arrivano a Como i dieci imputati che hanno scelto il giudizio immediato, portando a processo dibattimentale le accuse che gli vengono rivolte, dalla Svizzera è stato estradato uno degli ultimi ricercati dell’operazione “Cavalli di razza”, condotta dalla Dda di Milano, che a metà novembre ha portato in carcere 54 persone. Nelle ultime ore Domenico Garieri, 36 anni, origini calabresi e residente in Svizzera, è stato consegnato alle autorità italiane ed estradato attraverso l’Ufficio Binazionale della Polizia di Frontiera di Ponte Chiasso, specializzato in questo genere di attività. Assieme ad Antonino Chindamo – 33 anni, residente nel Canton San Gallo ed estradato a gennaio – e a Giuseppe Scarfò, 32 anni di Giffone, provincia di Reggio Calabria, è accusato di traffico di droga, per aver importato in Svizzera 11 chili di cocaina, suddivisa in panetti nascosti all’interno di un doppio fondo di un’auto affidata a un corriere, che era stato arrestato a settembre 2020. I veicoli utilizzati per i viaggi, e appositamente modificati, venivano parcheggiati all’interno di magazzini-box intestati spesso a personaggi di comodo. Le modalità sono state ricostruite dai magistrati della Dda di Milano Pasquale Addesso e Sara Ombra, che ora si preparano ad affrontare i diversi processi in cui è stata stralciata l’indagine. Agli imputati vengono contestate condotte diverse, ritenute il nuovo modus operanti dell’ndrangheta sul territorio, con accuse che spaziano dalla frode fiscale, alle minacce aggravate, fino al traffico di armi e stupefacenti. Oltre, ovviamente, all’associazione mafiosa, per i ruoli di riferimento e decisionali.

 

 

‘Ndrangheta, processo al clan: estorsione alla Spumador, risarcimento da 100mila euro

Inchiesta della Dda “Cavalli di razza” sulla ‘ndrina Molè-Piromalli: 34 condanne e tre patteggiamenti

 

Condanne per oltre 200 anni per 34 imputati, tre patteggiamenti e 100mila euro di risarcimento riconosciuto alla società Spumador, parte civile nel processo che si è svolto con rito abbreviato davanti al gup Lorenza Pasquinelli. È il primo pronunciamento sull’indagine “Cavalli di razza” della Dda sulla‘ndrina Molè-Piromalli, che lo scorso anno è sfociata in 54 arresti e decine di indagati a piede libero. Un procedimento giudiziario articolato, con diversi filoni di accusa, che si è ulteriormente frammentato con la scelta del rito processuale. Le accuse di associazione a delinquere di stampo ‘ndranghetista – mosse dai pubblici ministeri Pasquale Addesso e Sara Ombra sulla base degli accertamenti investigativi di Squadra mobile di Milano e Guardia di finanza di Como – si sono concentrate soprattutto sulle zone di Como e Varese, anche se un grosso capitolo riguarda le estorsioni alla società Spumador, a cui veniva imposto di dirottare le consegne su aziende di trasporto merci controllate dai fratelli Antonio e Attilio Salerni, entrambi di Gerenzano, a capo della Sea trasporti di Mozzate. Entrambi sono stati condannati a 9 anni e 4 mesi, e il giudice ha pure disposto anche la confisca di tutto il capitale sociale, dei mezzi mobili e immobili della società, compreso il parco mezzi di trasporto, parte dei quali già sottoposti a sequestro.
Condotte di estorsione portate avanti per anni, che avevano fatto lievitare esponenzialmente il fatturato delle attività di trasporto della famiglia Salerni, minacciando i dipendenti affinché estromettessero i concorrenti e affidassero solo a loro, o ai trasportatori a loro vicini, qualunque tipo di incarico riguardante la logistica. Dipendenti le cui testimonianze sono state ascoltate nel processo dibattimentale in corso a Como, a carico di altri 11 imputati. Condanne anche per la seconda generazione dei Salerni: 2 anni e 8 mesi alla trentaseienne Valentina, 3 anni a Rossella. La condanna più alta, 11 anni e 8 mesi, è stata affibbiata a Bartolomeo Iaconis, 63 anni, accusato di associazione mafiosa assieme alla moglie Carmela Consagra, condannata a 7 anni e 8 mesi, a Elisabetta Rusconi (7 anni e 8 mesi) e a Michelangelo e Pasquale Larosa (10 anni per entrambi). Davanti al giudice, tre imputati hanno deciso di patteggiare: 2 anni per l’ex finanziere Michele Contessa, un anno e 10 mesi per l’imprenditore comasco Luca Molteni, accusati rispettivamente di aver effettuato e beneficiato di un accesso abusivo nella banca dati delle forze di polizia, le cui posizioni sono emerse durante le indagini. IL GIORNO


‘Ndrangheta nelle province di Varese e Como: 34 condanne per oltre 200 anni di carcere


‘Ndrangheta in Lombardia, 34 condanne per oltre 200 anni di carcere: i nomi

Allo storico boss Bartolomeo Iaconis inflitti 11 anni. Tra gli imputati riconosciuti colpevoli di associazione mafiosa anche due donne considerate a tutti gli effetti esponenti attivi del clan

Trentaquattro condanne per un totale di oltre 200 anni di reclusione con la pena più alta, 11 anni e 8 mesi, per lo storico boss della ‘ndrangheta in Lombardia Bartolomeo Iaconis. E con le condanne anche, le prime a Milano, stando a quanto risulta, per due donne riconosciute come componenti dell’associazione mafiosa. Si è chiuso così in primo grado, davanti al gup milanese Lorenza Pasquinelli, il maxi processo in abbreviato a 37 imputati (tre hanno patteggiato) che erano state fermati il 16 novembre 2021 nella tranche lombarda di una maxi inchiesta, coordinata anche dalle Dda di Reggio Calabria e Firenze.

Un’indagine che aveva inflitto un duro colpo alla cosca della ‘ndrangheta dei Molè-Piromalli con oltre 100 misure cautelari eseguite in tutta Italia. A seguito delle indagini della Squadra mobile di Milano e della Gdf di Como, coordinate dai pm Pasquale Addesso e Sara Ombra, oggi sono stati condannati anche Michelangelo Larosa (10 anni) e Michelangelo Belcastro (9 anni e 4 mesi), entrambi con Iaconis della ‘locale’ di Fino Mornasco(Como). Dagli atti era emerso, poi, che Attilio Salerni (condannato a 8 anni) e il fratello Antonio(8 anni e 4 mesi) sarebbero stati gli esecutori materiali “di violenze e minacce nei confronti dei dirigenti” della Spumador Spa, azienda di bevande gassate finita nella morsa dei clan e per la quale era stata disposta l’amministrazione giudiziaria per infiltrazioni mafiose, revocata di recente. Alla Spumador è andata oggi una provvisionale di risarcimento di 100mila euro. Per associazione mafiosa sono state condannate a 7 anni e 8 mesi anche Elisabetta Rusconi e Carmela Consagra (moglie di Iaconis), intestatarie fittizie, secondo l’accusa, di tre società e che si sarebbero occupate pure “delle attività di recupero crediti” quando i mariti erano detenuti.
Le due donne, stando all’imputazione di associazione mafiosa confermata oggi con la sentenza del gup (motivazioni a 90 giorni), si sarebbero anche date da fare per raccogliere “denaro presso altre famiglie” di ‘ndrangheta e si sarebbero messe “a completa disposizione” degli interessi del clan. Tra i presunti capi della cosca, attiva tra le province di Como e Varese, figurava pure Domenico Ficarra, condannato a 7 anni e 4 mesi. Antonio e Roberto Valenzisi, invece, che avrebbe gestito il narcotraffico per il clan, sono stati condannati ad oltre 10 anni. Attraverso le intimidazioni, sempre stando alle indagini, i due fratelli Salerni avrebbero acquisito “il controllo e la gestione delle commesse di trasporto ‘conto terzi’ di Spumador “per il tramite di Sea Trasporti”, società a loro riconducibile e le cui quote sono state confiscate su decisione del giudice. LACNEWS 19.12.2022



Armi lanciate dal finestrino dell’auto per evitare i controlli. Duecentomila euro in banconote da 500 nascoste nella scatola di un rasoio per un’estorsione. Un proiettile all’allenatore di una squadra di calcio che non vinceva abbastanza. Riunioni al ristorante e incontri in Calabria.
Vicende che, secondo le accuse della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, sono la ricostruzione delle attività della ‘ndrangheta sul territorio comasco. Anni di estorsioni, traffici di sostanze stupefacenti e investimenti illeciti, riferiti da un testimone sentito oggi in Corte d’Assise a Como nella nuova udienza del processo per le presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Comasco. Un teste sentito in videoconferenza, collegato dal carcere dove è rinchiuso per un altro filone d’indagine.
Il testimone ha risposto per ore alle domande dell’accusa, rappresentata dai magistrati Sara Ombra e Pasquale Addesso. Ha ricostruito presunte estorsioni per oltre un milione di euro ma anche minacce, richieste di denaro e presunti interventi illeciti in aziende e società del territorio.
Il processo è legato all’operazione “Cavalli di razza”, che nel novembre scorso aveva portato a 54 provvedimenti di fermo con le accuse, a vario titolo, di bancarotta, corruzione, frode fiscale, estorsione, voto di scambio, spaccio, traffico di armi.
Sono 11 gli imputati nel processo in corso a Como. Saranno sentite decine di testimoni. Il presidente del collegio Valeria Costi ha già fissato un calendario di udienze fino al febbraio del prossimo anno. Si torna in aula il 27 ottobre.
 

‘Ndrangheta in Lombardia, processo ‘Cavalli di razza’: chieste pene per oltre 380 anni

Per 34 imputati che hanno scelto il giudizio abbreviato nel processo nato dall’inchiesta “Cavalli di razza” contro la ‘ndrangheta in Lombardia, in particolare il clan Mole’-Piromalli, la procura di Milano ha chiesto condanne per oltre 380 anni di carcere. Pene che qualora fosse concesse dal gup Lorenza Pasquinelli tengono gia’ conto dello sconto di un terzo previsto dal rito alternativo.
Bartolomeo Iaconis, Michelangelo Larosa, e Michelangelo Belcastro rischiano la pena piu’ severa, ovvero vent’anni di reclusione, come hanno formulato nella loro requisitoria di ieri i pm Pasquale Addesso e Sara Ombra. Dalle indagini congiunte della Squadra mobile di Milano e del nucleo di polizia economico-finanziaria della GdF di Como era emerso – questo il quadro accusatorio – un sistema fatto di frodi al fisco attraverso la creazione di cooperative fittizie nelle provincie di Como e Varese, ma anche una ripresa delle estorsioni e delle infiltrazioni di stampo mafioso non piu’ solo nel settore delle pulizie ma anche della ristorazione, del trasporto conto terzi, del facchinaggio.
In particolare nella morsa del presunto gruppo criminale era finita la Spumador Spa, storica azienda di bevande gassate, per la quale era stata disposta l’amministrazione giudiziaria dalla sezione autonoma misure di prevenzione del Tribunale milanese.

 

 

19.12.2022 – ‘Ndrangheta a Milano, Varese e Como: 34 condanne per 200 anni al processo Cavalli di razza


 

LA PROVINCIA 24.6.2022


Le INTERCETTAZIONI ambientali  – VIDEO

COMANDANTE GDF DI COMO  COL. GIUSEPPE COPPOLA: “La presenza della ‘ndrangheta a Como é attuale” – VIDEO

Blitz contro la ’ndrangheta tra Milano, Como, Varese e la Svizzera. Il pm agli imprenditori lombardi: «State giocando con il fuoco»

Eseguiti 54 fermi, sequestrati beni per 2,2 milioni di euro (tra cui un’azienda di logistica nel Comasco). L’indagine nata da un giro di false cooperative. Indagato anche l’ex sindaco di Lomazzo. La telefonata all’imprenditore: «Noi siamo come le raccomandate: arriviamo direttamente a casa»


Inchiesta “Cavalli di razza”: «Siamo come le raccomandate, arriviamo a casa»

Le minacce dei boss agli imprenditori: “arriviamo a casa come le raccomandate”. Indagato anche un ex sindaco del Comasco ed un ex assessore

 

 “Siamo come le raccomandate, arriviamo direttamente a casa”: così ha detto intercettata una delle persone finite in carcere oggi nel blitz contro la ‘Ndrangheta, coordinato dalla Procura di Milano Firenze e Reggio Calabria. La frase che mostra “minaccia e autorevolezza” è stata citata durante la conferenza stampa indetta a Milano per spiegare il carattere di “arcaicità e modernità della ‘Ndrangheta“, con imprenditori, come ha spiegato il procuratore facente funzioni Riccardo Targetti, costretti a diventare “complici e a fornirei l loro know-how” sia con la permanenza degli aspetti della “tradizione” violenta delle cosche.
“La criminalità organizzata non è un fenomeno incentrato solo in certe regioni, qua ha più difficoltà a prendere il controllo, anche politico, ma rischia di arrivare a prenderlo, se non si alza la soglia di allerta”. E’ l’appello alla “società civile” lanciato dal procuratore facente funzione della Procura di Milano Riccardo Targetti nel corso della conferenza stampa per illustrare il maxi blitz contro la ‘ndrangheta che sta “inquinando” il tessuto economico lombardo. Per Targetti “chi si avvicina a questo mondo, per difficoltà o per timore nell’illusione di guadagnare migliori condizioni, deve sapere che sta giocando col fuoco”.
Intanto nel filone lombardo della maxi inchiesta risultano indagati anche l’ex sindaco di Lomazzo (Como) Marino Carugati ed un ex assessore della giunta che era guidata dal primo cittadino, entrambi, tra l’altro, già condannati per bancarotta. Lo ha precisato il procuratore aggiunto della Dda milanese Alessandra Dolci nella conferenza stampa in Procura a Milano. Dolci ha messo in luce i “rapporti” tra il clan, attivo in Lombardia soprattutto tra le province di Varese e Como, e “ex pubblici amministratori“, ossia i due indagati.

Ex sindaco ed ex assessore indagati

Stando a quanto spiegato dagli inquirenti nel corso della conferenza stampa in Procura a Milano, per descrivere i dettagli dell’inchiesta ‘cavalli di razza‘, l’ex sindaco Carugati e l’ex assessore di Lomazzo Cesare Pravisano, avrebbero preso parte anche ad una “riunione” degli uomini del clan Molè a Gioia Tauro nel 2010. In quella riunione, come chiarito dal pm Pasquale Addesso, si sedettero al tavolo anche alcuni “imprenditori estorti” e accettarono “di fare entrare la ‘ndrangheta a cui interessava investire”. Nel 2019 Carugati, 79 anni, e Pravisano, ex funzionario di banca, erano stati arrestati (e poi condannati) in un’inchiesta della Procura di Como su un ‘sistema di bancarotte’ sempre con l’ombra della ‘ndrangheta.

Imprenditori ridotti sul lastrico: “mio marito costretto a dormire in auto”

Gli imprenditori lombardi sono stati prima “ridotti sul lastrico”, attraverso meccanismi di estorsione “a tappeto” ed usura, e poi “sfruttati” per le loro competenze e con le loro imprese ‘divorate’ dai clan. E’ il quadro che emerge dal filone lombardo della maxi inchiesta contro la ‘ndrangheta che oggi ha portato ad oltre 100 misure cautelari, per come è stato descritto dai pm di Milano Sara Ombra e Pasquale Addesso e dall’aggiunto della Dda Alessandra Dolci. Ombra ha raccontato anche un particolare di una testimonianza della moglie di un imprenditore (“una famiglia sul lastrico, sfrattata”), riportando le parole della donna: “Mio marito era costretto a dormire in macchina”. Una “ndrangheta 2.0” che ha “cambiato rotta”, stando alla descrizione di Dolci, con gli “imprenditori trasformati da vittime in strumenti di arricchimento e collusi”. Il pm Addesso ha chiarito che ad “unire” alcuni imprenditori lombardi alle cosche della ‘ndrangheta è la “evasione fiscale”, perché una volta che gli imprenditori accettano di far entrare la ‘ndrangheta “la massimizzazione dei profitti” viene realizzata attraverso “l’evasione