FIAMMETTA BORSELLINO: “Perché via D’Amelio, la scena della strage, non fu preservata consentendo così la sottrazione dell’agenda rossa di mio padre? E perché l’ex pm allora parlamentare Giuseppe Ayala, fra i primi a vedere la borsa, ha fornito versioni contraddittorie su quei momenti?”
- Ayala e le risposte – Il Fatto Quotidiano
- Ayala e le varie versioni
- Ayala smentisce Arcangioli – Ansa
”La borsa di Borsellino finita nelle mani di un ufficiale dell’Arma” Il racconto di Felice Cavallaro: “Ayala diede la borsa a un colonnello o a un maggiore”. Ma precisa: “Non era Arcangioli” Agenda rossa, Vincenzo Scarantino e la presenza di uomini in “giacca e cravatta” sul luogo dell’attentato. Sono questi i temi toccati nell’ultima udienza del processo sul depistaggio della strage di via d’Amelio che vede imputati i tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. In aula, a Caltanissetta, è stato sentito Felice Cavallaro, giornalista agrigentino del Corriere della Sera, nonché uno dei primi ad arrivare quel pomeriggio sul luogo dell’esplosione, come già aveva riferito in passato in altri processi sulla strage. Cavallaro il 19 luglio ’92 era a casa sua, a Palermo, in attesa del giudice Giuseppe Ayala il quale doveva occuparsi della prefazione del suo libro, quando udì il “sordo boato” provenire da via d’Amelio. “Arrivai sul posto in moto massimo 15 minuti dopo l’esplosione”. “Al mio arrivo – ha raccontato – vidi una scena apocalittica. Inciampai anche su resti umani. Alla fine mi ritrovai davanti all’auto blindata del giudice Borsellino ma senza sapere che fosse la sua”. In quegli istanti concitati, ha riportato il giornalista, “accadde una cosa un po’ singolare”. “La portiera della macchina era aperta, c’era la borsa di Borsellino poggiata sul pianale retrostante del sedile del guidatore. Un agente di polizia penso, o comunque un giovane delle forze dell’ordine in borghese – ha detto Cavallaro rispondendo alle domande dell’avvocato di parte civile Fabio Repici – prese la borsa che si trovava nel pianale tra il sedile anteriore e quello posteriore e stava per darla a me tanto che ne sfiorai il manico. E con uno sguardo quasi di sorpreso guardava Ayala come per dire ‘che facciamo?’. Forse pensava che io fossi uno della scorta di Ayala o un agente. Poi però – ha continuato nel suo racconto – arrivò un ufficiale dei carabinieri in divisa forse un colonnello o un maggiore ma certamente non un sottufficiale”. Felice Cavallaro ha detto di ricordare “che Ayala gli fece porgere (al giovane delle forze dell’ordine, ndr) la borsa o gliela diede lui stesso. L’ultimo ricordo che ho di quella scena è la borsa finita nelle mani di questo ufficiale dei carabinieri, ma non ricordo cosa fece dopo”. A questo punto l’avvocato Fabio Repici ha chiesto se col passare degli anni avesse riconosciuto nei mezzi stampa l’uomo al quale venne ceduta la valigetta. Il giornalista ha detto di non averlo riconosciuto e che sicuramente non si trattava “trattava del capitano Giovanni Arcangioli la cui immagine con la borsa in mano ho rivisto molti anni dopo”.
Scarantino e il presunto “giro in macchina” col capo della Mobile. In aula è stato toccato anche il caso Scarantino, determinante ai fini del processo, e la sua detenzione. A sollevare il tema è stato l’avvocato di parte civile di Gaetano Scotto, Giuseppe Scozzola, che ha posto alcune domande precise al primo teste ascoltato in aula, Luigi Savina ex capo della Squadra Mobile di Palermo da settembre 1994 a luglio 1997. L’avvocato ha chiesto al dirigente se abbia mai avuto sopralluoghi serali con l’ex picciotto della Guadagna. Domanda al quale più volte Savina ha risposto in maniera negativa. A questo punto l’avvocato ha riportato alcune carte di un brogliaccio contenente una conversazione tra Scarantino e Savina. Si tratta di una telefonata avvenuta il 21 aprile 1995. Scarantino voleva parlare con il questore Arnaldo La Barbera che però non era presente e venne chiesto a Savina se potevo occuparsene vista la sua carica di capo della Squadre Mobile. Della vicenda aveva accennato poco prima in aula lo stesso Savina senza però approfondire. Quel giorno, ha detto Savina, “Scarantino tempestò di telefonate la questura”, anche se l’avvocato ha replicato che il 21 aprile è avvenuta solo quella telefonata. L’avvocato ha letto quindi alcuni passaggi delle trascrizioni della conversazione tra Savina e il falso pentito. “Scarantino chiama la questura e a un certo punto il centralino le passa Lei (Savina, ndr). Poi la conversazione prosegue e siccome – ha affermato l’avvocato – c’era stata la deposizione di Cancemi avviene un certo tipo di discorso e lei dice a Scarantino: ‘Se viene glielo posso accennare io a lui’”. E si parlava, ha sottolineato l’avvocato, “del problema di Cancemi”. “Poi Lei aggiunge ‘ci siamo anche conosciuti una sera, Lei non ricorderà, siamo usciti quando Lei era qua a Palermo una volta per un giro in macchina’”.
E’ questo il passaggio contestato all’ex dirigente della sezione omicidi che però ha risposto dicendo trattarsi di una frase “probabilmente suggerita da un collega per tranquillizzare Scarantino” che , ha affermato, era “agitato”. Il legale di parte civile di Scotto quindi ha riportato altri passaggi di quella telefonata. “Ci volevo dire delle cose a livello di quello che ho sentito in televisione”, avrebbe detto Scarantino alla cornetta. “E lei – ha puntualizzato l’avvocato – pronuncia poi quella frase” alla quale, ha riportato l’avvocato, Scarantino ha risposto dicendo “ah, si”. L’avvocato quindi ha posto in aula una serie di osservazioni al teste. “Fino a quel momento Scarantino va solo ed esclusivamente alla ricerca del dottor La Barbera, perché il fatto di Cancemi, di cui parla Scarantino, e per il quale doveva essere tranquillizzato, è successivo. Quindi – ha dmandato Scozzola – quale motivo c’era di tranquillizzare Scarantino sino a quel momento? Per quale motivo gli si doveva dire sono uscito una sera in macchina con te per tranquillizzarlo”. “Non vedo logica”, ha osservato. “Mi è difficile ricostruire la vicenda”, è stata la risposta del teste chiedendo se sarà possibile poter ascoltare quella telefonata. “Ma continuo a escludere che sia uscito con Scarantino”.
Giacche e cravatte in via d’Amelio. Durante l’udienza è stato sentito anche Francesco Maria Maggi, ex sovrintendente capo della Squadra Mobile di Palermo. Maggi, ha raccontato di essere arrivato sul luogo dell’attentato circa 10 minuti dopo lo scoppio della Fiat 126. A pochi minuti dal suo arrivo, circa 15 minuti dopo, “vidi 5 o 6 persone aggirarsi in giacca e cravatta. Presumo fossero uomini dei servizi, non erano di mia conoscenza. Dagli atteggiamenti sembravano poliziotti però. Penso che qualcuno l’ho riconosciuto dopo un po’ di tempo, erano persone che frequentavano la Squadra Mobile di Palermo”, ha detto Maggi facendo appello alla memoria spesso sollecitata dagli avvocati. “Tra questi c’erano uomini dello SCO”, ha detto. “Mi è parso subito strano. – ha concluso – Il fumo ancora non si era diradato e già c’erano queste persone. Mi strideva un po’ questa cosa”. In aula Francesco Maria Maggi ha parlato anche della borsa di Paolo Borsellino che lui stesso prelevò dalla macchina del giudice dopo 5 minuti dal suo arrivo. “Ho notato questa borsa nel sedile posteriore della Fiat Croma, nel lato destro. – ha raccontato – Allertai un vigile del fuoco di fare un getto d’acqua dentro la macchina perché la borsa stava prendendo fuoco. Con la borsa andai dal dottore Fassari che mi disse di andare immediatamente dalla Mobile e di portare la borsa al dottor La Barbera. La consegnai al suo autista, Sergio Di Franco. La consegna avvenne davanti l’uscio degli uffici di La Barbera”. Gli avvocati hanno chiesto all’ex sovrintendente della Squadra Mobile se fece una relazione di servizio di quel ritrovamento. “La feci nel dicembre del 1992 – ha affermato – me lo disse di fare il dottor La Barbera che mi rimproverò perché ancora non l’avevo fatta”. “La borsa – ha concluso rispondendo alle domande degli avvocati – la presi prima di aver notato la presenza di questi soggetti in giacca e cravatta”. Antimafia Duemila Karim El Sadi 14 Ottobre 2020
12.10.2020 LA BORSA DI PAOLO BORSELLINO CONTENENTE L’AGENDA ROSSA Testimonianza del dott. Felice Cavallaro (giornalista) al “processo depistaggio” Il pomeriggio del 19 luglio 1992 si trovava nella sua abitazione di Via Villafranca a Palermo, stava attendendo il dott. Ayala perché si occupava della prefazione del libro che stava scrivendo, quando, dopo le 16:30 prima delle ore 17 sentì un forte boato. Corse sul terrazzo e vide un fumo nero in direzione della Fiera del Mediterraneo. Chiamò subito Ayala che abitava in un residence vicino alla Fiera del Mediterraneo. Gli rispose la moglie dicendo che era sceso con gli uomini della scorta perché era accaduto qualcosa di grosso.
Prese la sua moto e seguendo la scia di qualche volante arrivò in Via D’Amelio. Arrivò al massimo 15 minuti dopo il fatto. Arrivando vicino a quella che era la macchina di Borsellino intravede Ayala. Si ritrovano così lì, vicini, un pò sperduti. La portiera posteriore sinistra, lato guida, era aperta. C’era una borsa appoggiata sul pianale, fra la poltrona lato guida e il divano posteriore.
Ad un tratto accadde una cosa un pò singolare: “un -penso- un agente di polizia o comunque una persona in borghese prende questa borsa dal pianale della macchina e avendo visto me vicino ad Ayala e forse immaginando che fossi un assistente o a mia volta un uomo di scorta del dott. Ayala, quasi cerca di dare a me quella borsa., della quale io mi trovo a sfiorare quasi per caso il manico, guardando però Ayala con sorpresa, un pò come dire ‘che facciamo?’. Ayala capisce questa cosa e per fortuna proprio davanti ad Ayala viene fuori un ufficiale dei Carabinieri, non so se fosse un colonnello o un maggiore, in divisa, che non sarei in grado di riconoscere, come non sarei in grado di riconoscere la persona che provò a porgermi la borsa. La borsa finisce nelle mani dell’ufficiale.”
Avevo pensato che fosse nelle mani giuste, di un uomo in divisa, che stava lì rappresentando chi davvero poteva prendere un reperto importante. Non sapeva che si trattava della borsa di Paolo Borsellino, tant’è vero che non scrisse alcun articolo mentre la notizia sarebbe stata uno scoop.
Quando poi venne fuori la foto del capitano Arcangioli che si allontanava si è stupito, ha pensato che quell’ufficiale l’avesse consegnata ad un collega. Non ricorda di aver visto Arcangioli in Via D’Amelio.
Non ricorda nessuna persona vicina. Non c’erano transenne, non c’era nulla. Neanche il nastro bianco e rosso.
- Avv. Repici – Il 26 luglio 1992 lei scrisse un articolo sul Corriere della Sera nel quale dava conto di dichiarazioni di Antonino Caponnetto a proposito della sparizione dell’agenda rossa. A lei capitò di parlare con il dott. Ayala di questa vicenda? Cavallaro – Sì certamente ne abbiamo parlato nella prima occasione in cui ci siamo visti, abbiamo evocato quel momento. Ero io soprattutto a dire ‘porca miseria, avevo la borsa in mano potuto comunque dare una diversa svolta a tutta questa storia, invece siamo diventati protagonisti ignari di un fatto che ci ha travolto.
- Avv. Repici – Lei ebbe rapporti personali per lavoro con il dott. Arnaldo La Barbera? Cavallaro – Sì, l’ho conosciuto abbastanza bene per rapporti professionali ma non siamo mai andati oltre, però c’era u rapporto di stima reciproca.
- Avv. Repici – Lei o suoi colleghi fra i più autorevoli a Palermo che si occupavano delle stragi. di vicende di mafia, avevate mai sentito notizie di collaborazione del dott. La Barbera con apparati di sicurezza e nella specie particolare con il SISDE? Cavallaro – No. Per quanto mi riguarda è stata una grande sorpresa aver letto le notizie riguardanti il suo ruolo all’interno dei Servizi Segreti. Ignoravo questo suo ruolo.
- PM Gabriele Paci – Ricorda se era voluminosa? Cavallaro – Non era una borsa vuota.
Udienza 12 ottobre 2020 – AUDIO processo sui depistaggi sulla strage di Via D’Amelio
NESSUNA RELAZIONE DI SERVIZIO Le predette dichiarazioni, contestate a Giovanni Arcangioli, venivano confermate dal suo superiore gerarchico, dell’epoca, al Nucleo Operativo Provinciale dei Carabinieri di Palermo, il Colonnello Marco Minicucci, che giungeva in via D’Amelio circa mezz’ora dopo lo scoppio dell’autobomba e si recava con il dott. Giuseppe Ayala a riconoscere i resti di Paolo Borsellino. Il teste, infatti, vedeva Giovanni Arcangioli in via D’Amelio ed il sottoposto – che non faceva alcuna relazione di servizio – gli riferiva, il giorno stesso oppure l’indomani, che, su disposizione di un Magistrato, prelevava la borsa del dottor Paolo Borsellino dall’automobile blindata, guardandoci dentro. Si riporta, qui di seguito, un breve stralcio della relativa deposizione:
- TESTE MINICUCCI M. – Mah, io sono arrivato a via D’Amelio… ho sentito da Carini lo scoppio, sono arrivato a via D’Amelio praticamente subito dopo insieme a tante altre persone; sul posto ho visto c’erano Vigili del Fuoco, Polizia e Carabinieri; diciamo che sono arrivato intorno alle 17.25 – 17.30.
- TESTE MINICUCCI M. – Beh, ricordare tutti è impossibile, considerato che in quel luogo c’era veramente di tutto e poi, man mano, sono aumentate le persone; riguardandolo dopo vent’anni ci accorgiamo che eravamo veramente tanti sulla scena del delitto, era impressionante, riguardando i filmati dell’epoca. Ricordo che con me è arrivato contestual… quasi contestualmente, ancorché da località diversa, il comandante della prima Sezione del Nucleo, il capitano Arcangioli; ricordo che sul posto ho visto il dottor Ayala. C’erano tante altre persone, adesso fare l’elenco sarebbe per me difficile in questo momento.
- TESTE MINICUCCI M. – No.
- TESTE MINICUCCI M. – Ma io ricordo, e ce l’ho ben chiaro, che insieme al dottor Ayala andammo a vedere il cadavere di quello che poi è risultato essere il dottor Borsellino, quindi all’interno del… del cortile dal quale poi si accedeva al palazzo dove abitava la mamma, e quindi guardammo, ovviamente riconoscendo il magistrato che tutti noi avevamo avuto modo di… con il quale avevamo avuto modo di collaborare. Quindi questo è un atto che io ho fatto e che avevo a fianco il dottor Ayala, questo lo ricordo bene.
- TESTE MINICUCCI M. – Io sono stato sentito… sono stato sentito sull’argomento nel 2006, se non erro, e ho ricostruito quello che ricordavo e quindi che con Arcangioli… Arcangioli mi riferì di aver prelevato la borsa e mi raccontò che all’interno aveva visto un crest e quindi questo era il particolare che mi riferì Arcangioli, e come ho avuto modo di dire qualche anno fa, non ricordo se me lo disse nella stessa giornata o qualche giorno dopo. Sicuramente mi parlò di aver prelevato la borsa.
- TESTE MINICUCCI M. – Mi disse che gliel’aveva detto un magistrato di prelevare la borsa, questa era l’informazione che lui mi aveva dato; informazione che lui mi dava perché ero il suo superiore gerarchico, quindi (…) ovviamente era il suo dovere quello anche di… di raccontare quello che stava facendo in quel momento. Se è stato lo stesso giorno o se è stato il giorno dopo, ripeto, questo non… non lo ricordavo nel 2006, quando ho rilasciato le mie dichiarazioni, e non lo ricordo ora.
- TESTE MINICUCCI M. – No, non ho… io non ho fatto relazione di servizio, e così come mi è stato modo di… mi è stato detto quando fui sentito dalla DIA a Roma, non la fece neanche, da quello che ricordo, neanche Arcangioli questa relazione di servizio, quindi… E io non gli ho fatto neanche nessun rilievo, perché mi fu contestato di non aver fatto un rilievo ad Arcangioli per avere omesso una relazione di servizio. Non fu fatta, in quel caso di questo non se n’è…
- TESTE MINICUCCI M. – Convengo, convengo su tutto.
- TESTE MINICUCCI M. – Convengo su tutto.
- TESTE MINICUCCI M. – No, no, no, ma sicuramente, io convengo sul fatto che la relazione andava sicuramente fatta e io… lei era a Palermo, ricordo solo quello che era via D’Amelio il 19 luglio del ’92.
- TESTE MINICUCCI M. – No, onestamente no.
- TESTE MINICUCCI M. – No, lui mi disse che l’aveva presa, che aveva visto l’interno, ma non mi ha detto poi che cosa ne ha fatto.
- TESTE MINICUCCI M. – No, no.
- TESTE MINICUCCI M. – No, no, no, lui mi ha detto che l’aveva aperta su disposizione del magistrato, il contenuto all’interno e mi ricordo che parlò del crest, ma poi non ho più saputo, né ho approfondito in quella circostanza sulla borsa, perché probabilmente non ho dato il peso alla questione, quindi non… (…)
- TESTE MINICUCCI M. – No, io ricordo che lui l’aveva presa su disposizione del magistrato; non ricordo se il magistrato gli aveva detto di aprirla. Probabilmente l’apertura è una cosa che poteva essere anche… che possa avvenire anche dall’appartenente alle Forze di Polizia per controllare quello che c’è dentro, poteva esserci un’arma, poteva esserci di tutto, dico, non.. Però, dico, non mi ricordo materialmente chi; se mi raccontò: «Mi ha detto di prenderla e aprirla». Che il magistrato gli disse di prenderla, questo mi ricordo che lui me lo disse. A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA- 15 luglio 2021- Borsellino Quater
La moglie di Ayala. Ultimo teste ascoltato quest’oggi è stata poi la moglie dell’ex magistrato Giuseppe Ayala, Natalia Jung, nipote del famoso psichiatra Carl Gustav Jung. La donna, rispondendo alle domande dell’avvocato Repici, ha ricostruito quanto avvenuto nel pomeriggio del 19 luglio 1992. “Ci trovavamo al Mirabella residence, ad un certo punto sento un boato. Pensai che era qualcosa che riguardava la mia macchina ed ero scesa sotto. Vedevo tutta la gente affacciata. Poi vidi anche mio marito e ci facemmo un cenno d’intesa. Mi dovevo recare da mia madre. Poi tornai indietro perché non ero tranquilla con quello che era successo ma Giuseppe non c’era. Pensai che fosse andato a vedere. Se ricevetti telefonate? Sì, diverse. Si era diffusa la voce che fosse successo qualcosa a mio marito ma non era così”. Tra queste telefonate anche quella con Felice Cavallaro, cronista del Corriere. La Jung ha poi aggiunto di aver saputo dal marito l’episodio della ritrovamento della borsa di Borsellino. “Lui – ha detto – da magistrato prese la borsa anche se non aveva titolo per prenderla, poi la consegnò ad un carabiniere che era là vicino. Se parlammo di questo anche con Cavallaro? No. Non ricordo se parlammo anche in sua presenza”. L’audizione della moglie di Ayala si era resa necessaria dopo che nell’aprile 2013 era stato cavallaro a raccontare che, dopo aver sentito l’eco della bomba e aver osservato la colonna di fumo salire dalla zona della fiera del Mediterraneo, la moglie di Ayala risultava in casa tanto che gli aveva risposto al telefono. Allora l’avvocato Repici aveva evidenziato un contrasto tra quelle dichiarazioni e quanto scritto dallo stesso Cavallaro e Ayala nel libro “La guerra dei giusti” (pubblicato nel ’94 dalla Rizzoli). “Non ricordavo il fatto che Natalia Jung fosse giù per strada e che evidentemente sia risalita in casa quando ha ricevuto la mia telefonata mentre Ayala andava verso via D’Amelio…”, disse Cavallaro dopo aver riletto le pagine 34 e 35 del suo libro. “Adesso che l’ho letto ricordo questo particolare, la signora Natalia dopo il boato e dopo l’incontro con Giuseppe Ayala risalì in casa e io lì la trovai quando telefonai…”. “Nel senso che al momento del boato non era in casa ed era appena andata via?”, chiese Repici. “Si… come è scritto qui stava per andare a trovare la madre…”, rispose Cavallaro. Ed oggi la donna ha in parte confermato. amduemila 19 Ottobre 2015. di Aaron Pettinari
Audio di Borsellino, l’ex pm Ayala: «Ho pianto a risentire la sua voce» L’ex pm e collega del giudice Paolo Borsellino dopo la pubblicazione degli audio del giudice ucciso dalla mafia «Quella voce. Mi sono salite le lacrime. Non credevo… Ma devo dire che ho pianto. Sarà l’età». Ho ripensato a quei giorni. Io non ero nel pool antimafia, ma ero il loro pubblico ministero di riferimento. E ogni sera scendevo da loro, all’ammezzato, a parlare di lavoro, ma anche di altro».
L’audio (e le parole amare) di Borsellino: «La macchina blindata …
Qual era la situazione? «Quella che Paolo fotografa esattamente. Lui aveva molte doti e una era proprio quella di fornire un quadro sintetico e preciso».
C’era amarezza tra voi? «Sembra incredibile, ma si affrontava la situazione anche con molta ironia. Paolo era molto ironico, e anche Giovanni Falcone. Nelle riunioni si scherzava. Antonino Caponnetto ci divideva come a scuola».
Poi, le stragi… «Certo quando fu ucciso Rocco Chinnici fu molto difficile, per noi era come se ci fosse stato ucciso un padre».
Borsellino lamenta scorte ridotte a mezza giornata, il computer rotto. Era una guerra strisciante? «Non scivoliamo nella dietrologia. C’erano Scalfaro ministro dell’Interno e Martinazzoli alla Giustizia. Secondo me non c’era sufficiente sensibilità per capire. Almeno fino all’84».
Dopo? «Le cose cambiarono. Scorte full time e nell’85 partì il supporto tecnologico. L’autista di Chinnici (Giovanni Paparcuri ns. precisazione) – scampato all’attentato perché l’auto blindata lo protesse – si dedicò a memorizzare tutti i dati: fu preziosissimo nel maxiprocesso».
Cosa l’ha più colpita di quell’audio? «Ho riflettuto che Paolo lì aveva 44 anni. Io ne avevo 5 di meno. Eravamo giovani, animati da grandi speranze. Che poi si sono realizzate. Ma a carissimo prezzo. Paolo e Giovanni erano straordinari non perché sono stati uccisi, ma perché erano magistrati di altissimo livello e avevano una grandissima umanità. Tutti abbiamo perso moltissimo». 16 luglio 2019 Corriere della Sera di Virginia Piccolillo
Le testimonianze di Giuseppe Ayala e del suo capo scorta Ayala vede la borsa in pelle dentro i resti della Fiat Croma blindata; forse un ufficiale dei carabinieri apre lo sportello o forse lo sportello posteriore sinistro è già aperto. La borsa del magistrato è nel sedile posteriore oppure nel pianale fra i sedili anteriori e quelli posteriori, ma Ayala non ci guarda dentro. Si limita a prenderla in mano per pochi attimi. Forse è una persona in borghese che gliela passa. Poi il giudice la consegna ad un ufficiale dei carabinieri che non conosce. Differente è la ricostruzione offerta dall’agente Farinella, suo capo scorta
Affatto diversa è la versione del dottor Giuseppe Ayala, fra i primi a giungere nel luogo della strage, con la sua scorta, dopo avere udito il boato della deflagrazione dal vicino Residence ‘Marbella’, a pochissime centinaia di metri dalla via D’Amelio, dove il teste (all’epoca fuori ruolo dalla Magistratura), soggiornava nei fine settimana, in occasione dei suoi rientri a Palermo (da Roma, dove faceva il Parlamentare). Infatti, il teste (non senza alcune difficoltà mnemoniche) spiegava che non sapeva nemmeno che Paolo Borsellino teneva un’agenda nella quale annotava le proprie riflessioni più delicate, anche perché, da diversi anni (cioè da quando non lavoravano più – entrambi – alla Procura di Palermo), aveva pochissime occasioni di frequentarlo.
Comunque, Ayala escludeva decisamente d’aver guardato dentro alla borsa di Paolo Borsellino, che pure passava fugacemente fra le sue mani, così come escludeva d’averla portarla via sulla autovettura blindata della propria scorta. Ayala giungeva in via D’Amelio con la sua scorta ed intuiva quanto poteva essere accaduto, pur non sapendo che la madre di Paolo Borsellino abitava lì, dopo notato che la blindata vicino al cratere dell’esplosione era una di quelle in dotazione alla Procura della Repubblica di Palermo. Il teste aveva conferma dei propri sospetti quando andava a riconoscere i resti di Paolo Borsellino (assieme al dottor Guido Lo Forte) e vedeva anche la sua borsa in pelle dentro alla Fiat Croma, dopo che un ufficiale dei Carabinieri apriva lo sportello (come il teste dichiarava nelle indagini preliminari) od approfittando del fatto che lo sportello posteriore sinistro era già aperto (come dichiarava, invece, al dibattimento). La borsa del Magistrato era nel sedile posteriore oppure nel pianale fra i sedili anteriori e quelli posteriori, ma Ayala (come già detto) non vi guardava dentro, limitandosi a prenderla in mano per pochi attimi (forse, era una persona in borghese che gliela passava), consegnandola – subito dopo – ad un ufficiale dei Carabinieri che nemmeno conosceva, per poi recarsi a Mondello a rassicurare i propri figli, poiché il giornalista Felice Cavallaro gli spiegava che si stava diffondendo la falsa notizia che fosse proprio lui la vittima dell’attentato.
Si riporta qui di seguito uno stralcio dell’articolata deposizione dibattimentale del teste:
- TESTE AYALA G. – Guardi, io… siccome sappiamo di cosa stiamo parlando, e cioè dell’agenda di Paolo, la cui esistenza ovviamente è confermata dai familiari più stretti, dai collaboratori più stretti di Paolo, e che non essendosi trovata da nessun’altra parte è presumibile, è chiaro che era dentro quella borsa.
- P.M. Dott. GOZZO – Lei ne era a conoscenza che comunque…
- TESTE AYALA G. – No.
- P.M. Dott. GOZZO – …Paolo Borsellino scriveva tutto sulle sue agende?
- TESTE AYALA G. – Non ne avevo idea di questo.
- (…)
- TESTE AYALA G. – Questo sapevo che faceva, agende non… non me ne ricordo affatto, ma sopratutto, dico questo perché, sa, poi si alimentano tante cose, ma insomma, lasciamo perdere. Io non potevo sapere… da sei anni non avevo contatti con Paolo di rapporti di lavoro, di ufficio, di frequentazione, da sei anni, a parte in alcune vicende occasionali, quindi non avevo idea: a), che lui avesse un’agenda, ma dico l’agenda ce l’abbiamo tutti, soprattutto di che cosa ci fosse scritto; che evidentemente, questa è una cosa, diciamo, di percezione immediata, eh, dovevano essere delle annotazioni delicate, altrimenti non si capisce perché qualcuno, tradendo le istituzioni, l’ha fatta scomparire. Ora, delle annotazioni, da quello che so io, non ne sapevano niente neanche i suoi collaboratori più stretti, più fidati, quelli con cui si vedeva quotidianamente, credo neanche i parenti più stretti. (…) Per cui io non avevo idea, a), che esistesse questa agenda di Paolo; b), che fosse nella borsa, ma meno che mai che ci potessero essere delle annotazioni delicate. Rispondo alla sua domanda sul…
- P.M. Dott. GOZZO – Certo.
- P.M. Dott. GOZZO – Ora ci arriviamo, io vorrei che facessimo un attimo un passo indietro e poi arriviamo proprio a questo punto, che è il punto, chiaramente, nodale di tutta la vicenda. Relativamente all’autovettura, quando lei la vede la prima volta, era chiusa l’autovettura?
- TESTE AYALA G. – No, no, lo sportello è aperto.
- P.M. Dott. GOZZO – Io sto parlando quando la vede arrivando in…
- TESTE AYALA G. – Quando io arrivo, noto questa macchina con lo sportello posteriore aperto; e ripeto, la cosa non poteva essere diversamente, perché per chi è abituato a fare una vita da scortato, quella macchina… quello sportello doveva essere aperto, perché o c’era seduto il… Io non so se Paolo era seduto dietro o davanti, lo sportello è lato cancelletto, proprio il la… quello che porta in direzione, sennò devi fare il giro della macchina o scendi dall’altro lato; o scendeva uno della scorta. Quindi… questo dello sportello aperta era…
- P.M. Dott. GOZZO – Questo però, ecco, io chiedo sempre ai testi di distinguere tra quelli che sono i loro ricordi effettivi, diciamo così (…) dai ricordi ricostruiti in punto logico, diciamo così.
- TESTE AYALA G. – No, no, questo è un ricordo proprio…
- P.M. Dott. GOZZO – No, le spiego, perché quando lei è stato sentito nel 1998, questo lo dico anche per aiuto della sua memoria, a pagina 2 del verbale lei dice, proprio racconta di quando arriva alla via D’Amelio: “Vidi i primi cadaveri a brandelli e osservai la blindata che era ancora integra. Cercai di guardare all’interno senza risultato per via del fumo che avvolgeva tutto, cercando di capire chi fosse stato l’obiettivo. Allora mi guardai intorno e vidi il cratere causato dallo scoppio”. Quindi va al…
- TESTE AYALA G. – Sì, sì.
- P.M. Dott. GOZZO – “Frattanto i pompieri avevano spento le fiamme. Tornai indietro verso la blindata, anche perché nel frattempo un carabiniere in divisa, quasi certamente un ufficiale, aveva aperto lo sportello posteriore sinistro dell’auto”. Da queste dichiarazioni, ecco, si evince che prima la macchina era chiusa, evidentemente lei non riusciva a vedere all’interno.
- TESTE AYALA G. – Guardi… guardi, può darsi che… il fatto che lo sportello era aperto è quando io faccio ritorno, diciamo, dopo avere…
- P.M. Dott. GOZZO – Ecco, io questo le chiedevo poco fa.
- TESTE AYALA G. – Io in questo momento… beh, insomma, e ventun anni sono passati.
- P.M. Dott. GOZZO – No, lo so, questo…
- TESTE AYALA G. – Per me… per me vedere quella macchina con lo sportello aperto mi sembrò la cosa più normale. Probabilmente forse nel ’98 magari ricordavo meglio, insomma. Però, ripeto, quando sono ritornato dalla scoperta tremenda che avevo fatto, lo sportello era sicuramente aperto, questo è… Perché ho il fotogramma della borsa, la vedo io sul sedile posteriore, sono lì vicino; ci sono… nel frattempo erano arrivate altre persone.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi possiamo dire che la seconda volta che si avvicina alla macchina, lo sportello era aperto.
- TESTE AYALA G. – Sì, sì.
PASSAGGI DI MANO
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi, per riuscire a capire e quindi tornando a questo punto sul tema oggetto di questa testi… anche oggetto, oltre ad altri, di questa testimonianza: la borsa viene presa da lei, viene presa dalla persona che aveva aperto la macchina?
- TESTE AYALA G. – Guardi, la borsa era lì, io me la sono ritrovata in mano. Mi sembra che ci fosse uno che me la… ma erano questione di centimetri, insomma, era proprio lì, vicinissima. Ripeto, io l’ho tenuta pochissimi secondi in mano, ho visto questo ufficiale dei Carabinieri: “Guardi, la tenga”, anche perché io non avevo nessun titolo per tenerla, in ogni caso, non essendo neanche in quel momento in ruolo, non facevo il magistrato, non facevo il Sostituto. Quindi io… io ho questo ricordo, ripeto, legato al momento, proprio di un attimo, di… tanto è vero che, ripeto, mi sono poi detto: “Ma può darsi che… Ma che dovevo fare?” Poi, ripeto, io questo lo voglio ribadire, perché ognuno di noi c’ha una storia personale alla quale tiene. Se nessuno di quelli che Paolo sapeva… che sapevano che Paolo aveva questa agenda sa che cosa c’era scritto, io potevo pensare mai che fosse uno di quei documenti in cui bisogna stare molto attenti in questi casi? Cioè non avevo… non potevo avere… dico, a una dimensione dell’umano, fino ai confini estremi, qualcuno che è generoso nei miei giudizi può pensare che io ci arrivi, ma qui siamo fuori dalla… dall’umano, cioè è una cosa che ignori, non… non ne sai nulla; non ne sapevano nulla nemmeno quelli che sapevano che lui l’aveva, la portava sempre con… con sé, era… Quindi, ripeto, non mi… non mi sento di muovermi neanche un rimprovero di leggerezza, non…
- P.M. Dott. GOZZO – Senta, una cosa non sono riuscito a capire: se in questa scena, diciamo così, in cui stiamo parlando proprio dell’apprensione della borsa, se trova in qualche modo spazio anche un soggetto che non è un ufficiale dei Carabinieri o comunque che è in abiti borghesi. Che lei ricordi.
- TESTE AYALA G. – C’era, sì, c’era qualcuno, ma forse più di uno lì vicino. Cioè c’era molta gente che si andava avvicinando. Io avevo, quello che ricordo perfetto è, Cavallaro alla mia sinistra, che mi ripeteva ‘sta storia, che era sconvolto pure lui, esagitato, e poi c’era questo ufficiale dei Carabinieri che era quasi di fronte a me e poi ho intravisto con l’altra… con l’altra parte dell’occhio, c’erano altre persone, tre, due, non me lo ricordo, insomma, ma certo non eravamo soltanto io, Cavallaro e l’ufficiale dei Carabinieri, c’era altra gente e altra ne arrivava, cioè c’era una certa… Perché ormai si era sparsa la voce, arrivavano persone, magari forse gente che abitava nei palazzi e scendeva, adesso non so, non ho idea di chi potessero essere, né li ho memorizzati, non avevo nessun motivo di memorizzarli.
- P.M. Dott. GOZZO – No, no, io le faccio questa domanda, dico (…) proprio e glielo dico sempre anche in questo caso per aiuto della memoria, perché lei l’8 febbraio del 2006 ha detto che riceve la borsa da un uomo in borghese e poi lei la dà all’ufficiale, la consegna all’ufficiale.
- TESTE AYALA G. – Sì, sì, quello che dicevo prima, sì.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi ci sarebbe stata questa specie di passaggio di mano.
- TESTE AYALA G. – Sì, ma una cosa proprio contestuale, che so, distanza zero, insomma. E poi io… io l’unica cosa ferma che ho sempre ricordato e che ho sempre detto, malgrado, diciamo, la particolarità del momento è che non mi sembrò vero, addirittura, che ci fosse ‘sto ufficiale dei Carabinieri per consegnarmi questa borsa e scapparmene via. Dico, io vorrei molto insistere su questo, sono rimasto…
- P.M. Dott. GOZZO – Ecco, inizialmente lei questo, la presenza della persona in borghese non la ricordava. Ecco, volevo riuscire a capire (…) quanto di questo suo ricordo sia suo o sia, invece, un apporto di persone che conosceva, come per esempio il dottore Cavallaro, che aveva altri ricordi, ecco.
LA DEPOSIZIONE DELL’AGENTE FARINELLA Parzialmente divergente rispetto alle predette deposizioni […], si rivela la deposizione del Carabiniere che faceva da capo scorta ad Ayala, quel pomeriggio, vale a dire l’Appuntato Rosario Farinella. Il Carabiniere, infatti, ricordava che, subito dopo la deflagrazione, quando si muovevano, con l’automobile blindata, dal residence ‘Marbella’, per andare ad accertarsi dell’accaduto, parcheggiando poi all’incrocio fra la via dell’Autonomia Siciliana e la via D’Amelio, Ayala faceva presente che in quella strada abitava la madre di Paolo Borsellino (circostanza che contrasta con quanto affermato dallo stesso Ayala, in merito al fatto che, prima della strage, non era al corrente della circostanza appena menzionata). Dopo il riconoscimento dei resti di Paolo Borsellino e delle altre vittime, il militare si recava presso la Croma blindata, unitamente ad Ayala, che non perdeva mai di vista. Vi era qualche fiammata dal lato posteriore destro ed un vigile del fuoco la spegneva. Poi, Farinella e il vigile del fuoco aprivano la portiera posteriore destra della Croma, forzandola, poiché Ayala si accorgeva che dentro vi era la borsa di Paolo Borsellino. Lo stesso Farinella, inoltre, prelevava direttamente la borsa dal sedile posteriore e, dopo un certo lasso di tempo in cui la teneva in mano, su indicazione di Ayala, la consegnava ad una persona – in abiti civili – conosciuta dal Parlamentare (anche questo ricordo del teste contrasta decisamente con quanto affermato da Ayala ed anche da Cavallaro, in merito alla consegna della borsa ad un ufficiale in uniforme, neppure conosciuto). Il soggetto che riceveva la borsa non era Giovanni Arcangioli (la cui fotografia veniva mostrata al teste) ed era una persona (si ripete) conosciuta da Ayala. Quest’ultimo spiegava al consegnatario che si trattava della borsa del Magistrato (“Questa è la borsa che abbiamo preso della macchina del dottore Borsellino”) e veniva rassicurato dall’interlocutore, prima che questi s’allontanasse verso via dell’Autonomia Siciliana (“lo stesso ci rassicurò, dicendo che si sarebbe occupato della cosa, per cui gli consegnai la borsa”). A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA16 luglio 2021 – Borsellino Quater
Quattro domande a Giuseppe Ayala (che ha perso ancora una volta un’ottima occasione per tacere)di Salvatore Borsellino, dal suo blog su ilfattoquotidiano.it Ero rimasto a disagio, e non è la prima volta che mi succede, nel leggere le dichiarazioni di Giuseppe Ayala riguardanti le scorte dei magistrati e in particolare dei magistrati di Palermo. Mi era sembrata una dichiarazione inopportuna, stonata e stranamente sincrona con una analoga dichiarazione dell’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo che aveva addirittura lamentato un preteso spreco di risorse pubbliche per “quanto si spende per le cene dei magistrati con scorta”. Delle affermazioni del monsignore non vale nemmeno la pena di parlare, basterà ricordargli i 2,5 milioni di euro che verranno dilapidati per la visita del Papa a Palermo – una città con enormi problemi di ogni tipo – in opere delle quali alla città non rimarrà nulla, o chiedergli perché invece di lamentarsi dei fondi per pretese cene dei magistrati con scorta, che non mi risultano avvenire abitualmente o essere a carico dello Stato, non abbia parlato invece dei costi della politica istituzionale non per scorte ma piuttosto per escort e al costo dei voli di Stato adoperati per trasferire in ville in Sardegna nani, ballerine e menestrelli di ogni tipo. Ad Ayala che afferma, tra l’altro che “Cosa nostra è cambiata, da oltre 18 anni non uccide più” e che auspica per questo “una responsabile, se pur graduale rivisitazione delle scorte in circolazione” avrei voluto ricordare i progetti di attentati, per fortuna scoperti in tempo grazie a quelle intercettazioni che si vorrebbero abolire, nei confronti di magistrati come Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Sergio Lari, Giovanbattista Tona e gli attentati, progettati o anche realizzati seppure finora per fortuna senza esiti mortali, nei confronti di magistrati calabresi. Ma piuttosto che a disagio sono rimasto ora indignato nel leggere la replica di Ayala alle sacrosante reazioni dell’Anm e in particolare del presidente della giunta di Palermo, Nino Di Matteo che dice, e le sue parole mi sento di sottoscrivere pienamente, “L’intervento di Ayala mi lascia veramente perplesso. Evidentemente il collega, anche per la sua lunga militanza politica è da troppi anni ben lontano dalla trincea e dall’attualità delle inchieste e dei processi di mafia. Proprio questa attualità dovrebbe semmai indurre gli organismi preposti ad una rinnovata attenzione”. Nella sua risposta Ayala, che ha perso ancora una volta un’ottima occasione per tacere, replica, quasi ironizzando, definendo Nino Di Matteo “un collega che ha cominciato a muovere i primi passi da magistrato soltanto nel 1993”, quasi che questo costituisse una colpa e senza accorgersi di quanto le sue parole siano tristemente simili a quelle di Francesco Cossiga quando credeva di bollare con l’epiteto di “giudice ragazzino” quel Rosario Livatino la cui grandezza è semmai accresciuta proprio da quella definizione che il Presidente Emerito aveva usato in maniera spregiativa. Poi Ayala non si esime, come è suo costume, di pavoneggiarsi citando i suoi “dieci anni nel pool antimafia e i diciannove anni di vita blindata”. Peccato che del pool antimafia Ayala non abbia mai fatto parte essendo il pool diretto dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto e formato da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta, tutti magistrati facenti parte dell’Ufficio Istruzione presso il Tribunale di Palermo. Non ne poteva far parte Giuseppe Ayala che esercitava il suo ruolo di Magistrato presso la Procura di Palermo e che ricoprì il ruolo di Pubblico Ministero al primo maxiprocesso insieme a Domenico Signorino, morto suicida dopo le accuse da parte di Gaspare Mutolo di essersi venduto alla mafia a causa degli ingenti debiti di gioco. Ma Ayala ha sempre giocato sull’equivoco proclamando in ogni occasione la sua appartenenza al pool antimafia e non se ne capisce la ragione , se non quella di volere concentrare l’attenzione su di sé, quando invece dovrebbe essergli sufficiente , senza alterare la verità, citare il fatto di avere, in qualità di pm, sostenuto al processo il procedimento istruito proprio dal pool di Falcone e Borsellino. Strana coincidenza, questa dei debiti, che accomuna i due pm del maxiprocesso, ma che a uno, Domenico Signorino, costarono il volontario addio alla vita spinto dal tormento del rimorso per aver ceduto ai ricatti della mafia, all’altro, Giuseppe Ayala, soltanto un provvedimento disciplinare da parte del Csm e il volontario trasferimento al tribunale di Caltanissetta nelle more di un inspiegabile ritardo nell’attuazione del provvedimento di spostamento dal tribunale di Palermo per incompatibilità ambientale.Non conoscevo di persona Ayala prima della morte di Paolo, né avevo sentito parlare proprio per il suo ruolo di pm al maxiprocesso e dopo la strage di Capaci mi aveva colpito, e non favorevolmente, il suo continuo accreditarsi come l’amico più intimo di Giovanni Falcone, per cui una volta mi capitò di parlarne con Paolo in una delle poche telefonate che avemmo in quei tragici 57 giorni che intercorsero tra la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio. Mi ricordo che mi disse, in quel dialetto in cui abbiamo sempre amato esprimerci tra di noi, e mi sorprese il tono, quasi di fastidio, che usò allora “chistu l’avi a chiantari, pari ca fussi sulu iddu amicu di Giovanni” (“questo la deve piantare, sembra che fosse solo lui amico di Giovanni”). In seguito ho incontrato Ayala poche volte, in occasione di incontri ai quali eravamo stati invitati entrambi come relatori e ogni volta ho ascoltato quasi con avidità i suoi racconti, è dotato di spiccate dosi di affabulatore, di episodi e di aneddoti della vita di Paolo, cosa che faccio ogni volta che incontro una persona che ha avuto l’occasione di condividere con Paolo una parte di quei 23 anni di vita in cui io, che sono andato via da Palermo a 27 anni, gli sono stato, per la maggior parte del tempo, lontano.
Più volte mi è invece capitato, a fronte di episodi nei quali è stato coinvolto Giuseppe Ayala, di sentire la necessità di porgli delle domande, delle domande su pesanti dubbi che mi erano nati a fronte di certi episodi che lo hanno coinvolto dopo la morte di Paolo, ma mi sono sempre trattenuto pensando ai rapporti di amicizia che lo legavano a Paolo di cui mi ha sempre parlato nei suoi racconti. Ma adesso a sentirlo vantarsi, nella sua replica a Nino Di Matteo, del suo “self control”, a sentirlo irridere chi, parlando della situazione attuale in Sicilia parla di “trincea”, scrivendo testualmente: “Accantono ogni pudore. Non credo proprio che riuscirò mai a dimenticare le vittime della barbarie mafiosa di quell’orrendo periodo. Le vedove e gli orfani ai quali ho donato una carezza consolatoria. I miei dieci anni nel pool antimafia e i diciannove di vita blindata. E non aggiungo altro. Altrimenti qualcuno mi accuserà di volere infierire”, dato che il pudore lo ha veramente accantonato, sono io ad abbandonare ogni remora e a fargli finalmente quelle do-mande che da tanto tempo rimugino nella mente . Perché, se si ha avuto la sorte di partecipare a quei funerali soltanto da spettatore e non da vittima, si deve avere il pudore di non ascrivere a proprio merito le “carezze consolatorie” che si è riusciti a “dispensare” e non si può rinfacciare i propri “diciannove anni di vita blindata” conclusi peraltro con l’abbandono, per di più temporaneo, della magistratura ed il passaggio ad una più agiata vita da parlamentare, a chi invece la vita blindata la conduce ancora oggi.
E allora eccole, rivolte ad Ayala e in attesa di una risposta, le domande che non avrei voluto fare.
La prima domanda riguarda l’Agenda Rossa di Paolo e la sparizione di questa dalla borsa che sicuramente la conteneva dato che la moglie di Paolo, Agnese, gliela aveva vista riporre prima di partire per il suo appuntamento con la morte. Delle circostanze relative al rinvenimento e al prelievo di questa borsa Ayala, che è testimone diretto visto che fu uno dei primi ad arrivare sulla scena della strage, ha dato, in successione e in tempi diversi almeno quattro versioni differenti.
La prima è dell’ 8 aprile 1998 e fu resa quindi da Giuseppe Ayala, che il 19 luglio 1992 era deputato della Repubblica, sette anni prima del coinvolgimento del Capitano Giovanni Arcangioli.
“Tornai indietro verso la blindata della procura anche perché nel frattempo un carabiniere in divisa, quasi certamente un ufficiale, se mal non ricordo aveva aperto lo sportello posteriore sinistro dell’auto. Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiature e tuttavia integra, l’ufficiale tirò fuori la borsa e fece il gesto di consegnarmela. Gli feci presente che non avevo alcuna veste per riceverla e lo invitai pertanto a trattenerla per poi consegnarla ai magistrati della procura di Palermo”.
In questa prima versione è dunque un ufficiale in divisa ad aprire la portiera, ad estrarre la borsa e a fare il gesto di consegnarla ad Ayala, ma lui rifiuta di prenderla in mano.
Il 2 luglio 1998, al processo Borsellino Ter, Ayala dichiara di essere residente all’hotel Marbella, a non più di 200 me-tri in linea d’aria da Via D’Amelio. Sente il boato nel silenzio della domenica pomeriggio. Si affaccia, ma non vede nul-la perché davanti c’era un palazzo. Per curiosità scende giù, si reca in via D’Amelio e vede “una scena da Beirut”. Dal momento dell’esplosione “saranno passati dieci minuti, un quarto d’ora massimo”. Dice di non sapere che lì ci abitava la madre di Paolo Borsellino. Camminando comincia a vedere pezzi di cadavere. Vede due macchine blindate, una con un’antenna lunga, di quelle che hanno solo le macchine della procura di Palermo. Pensa subito a Paolo Borsellino. “Ho cercato di guardare dentro la macchina, ma c’era molto fumo nero”. Ayala afferma che proprio in quel momento stavano arrivando i pompieri. Osserva il cratere e poi torna indietro. “Sono tornato verso la macchina, era arrivato qualcuno… parlo di forze di polizia. Ora, il mio ricordo è che a un certo punto questa persona, che probabilmente io ricordo in divisa, però non giurerei che fosse un ufficiale dei carabinieri, (….) ciò che è sicuro è che questa persona aprì lo sportello posteriore sinistro della macchina di Paolo. Guardammo dentro e c’era nel sedile posteriore la borsa con le carte di Paolo, bruciacchiata, un po’ fumante anche… però si capiva sostanzialmente… lui la prese e me la consegnò (….) Io dissi: – Guardi, non ho titolo per… La tenga lei. –“.
In questa versione, leggermente ritoccata rispetto alla prima, non c’è più la sicurezza di un ufficiale in divisa che apre la portiera, ma permane la certezza che sia stata questa persona ad aprire la portiera e a raccogliere la borsa. Ayala, in ogni caso, nega assolutamente di avere preso in mano ed aperto la borsa. “Io poi mi sono girato, sono andato di nuovo verso questo giardinetto, e lì poi ho trovato il cadavere di Paolo (…). Io ci ho inciampato nel cadavere di Paolo, perché non era una cadavere… era senza braccia e senza gambe”.
Le corrispondenti dichiarazioni rilasciate il 5 maggio 2005 dal Capitano Arcangioli, l’ufficiale cui fa riferimento Ayala, sono completamente differenti. Ayala parla di un ufficiale in divisa mentre Arcangioli dice che è in borghese, Ayala dice di avere esaminato la macchina con l’ufficiale mentre Arcangioli dice che Ayala era rimasto in un posto diverso. Ayala dice che la borsa era bruciacchiata mentre Arcangioli dice di no. Ayala dice di avere rifiutato la borsa e di non averla mai aperta ed esaminata mentre Arcangioli dice che addirittura la aprirono e la esaminarono insieme. E’ chiaro che almeno uno dei due mente, se non entrambi.
Il 12 settembre 2005 Ayala cambia completamente versione.
Afferma di essere arrivato sul luogo subito dopo l’esplosione, di avere identificato il cadavere di Paolo Borsellino e di avere notato l’auto del magistrato con la portiera posteriore sinistra aperta. “Scorsi sul sedile posteriore una borsa di pelle bruciacchiata. Istintivamente la presi, ma mi resi subito conto che non avevo alcun titolo per fare ciò, per cui ri-cordo di averla affidata immediatamente ad un ufficiale dei carabinieri che era a pochi passi. Nell’affidargli la borsa gli spiegai che probabilmente era la borsa appartenente al dottore Borsellino”. Quando gli viene mostrata la foto di Arcangioli, Ayala dichiara: “Non ricordo di avere mai conosciuto, né all’epoca né successivamente il capitano Arcangioli. Non posso escludere ma neanche affermare con certezza che detto ufficiale sia la persona alla quale io affidai la borsa. Per quanto possa sforzarmi di ricordare mi sembra che la persona alla quale affidai la borsa fosse meno giovane, ma può darsi che il mio ricordo mi inganni. Insisto comunque nel dire che l’ufficiale ricevette la borsa e poi andai via. Escludo comunque in modo perentorio che all’inverso sia stato l’ufficiale di cui si parla a consegnare a me la borsa”.
Cambia tutto dunque. Non è più l’ufficiale in divisa ad estrarre la borsa dalla macchina, ma Ayala in persona, che aveva precedentemente escluso di avere mai preso in mano la borsa.
E’ lui a questo punto a consegnarla all’ufficiale e questa volta esclude “in modo perentorio” che sia avvenuto l’inverso.
L’8 febbraio 2006 Ayala modifica di nuovo la propria versione dei fatti: “Ebbi modo di vedere una persona in abiti borghesi (…) è certo che non fosse in divisa, la quale prelevava dall’autovettura attraverso lo sportello posteriore sinistro una borsa. Io mi trovavo a pochissima distanza dallo sportello e la persona in divisa si volse verso di me e mi consegnò la borsa (…). Dato che accanto alla macchina vi era anche un ufficiale in divisa quasi istintivamente la consegnai al predetto ufficiale.”
Cambia tutto di nuovo. Questa volta Ayala si dice certo che la persona non fosse in divisa, ma in borghese. Non fu lui quindi ad estrarla, ma la prese in mano e la consegnò poi ad un altro ufficiale, in divisa. Questa dichiarazione di Ayala è talmente confusa che lui stesso chiaramente sbaglia quando dice “la persona in divisa si volse verso di me”, visto che due secondi prima si era detto certo che non fosse in divisa. La ritrattazione di Ayala non potrebbe essere più traballante e incoerente di così.
La domanda che a questo punto mi preme fare a Giuseppe Ayala è la seguente: ma come è possibile che un magistrato della sua esperienza, abituato a vagliare le deposizioni dei testimoni e degli imputati, possa dare versioni così contrastanti e contraddittorie di una circostanza di cui lui stesso è non testimone ma attore diretto, come è possibile che si sia prestato ad alterare la scena del delitto prelevando la borsa e poi consegnandola ad una persona della quale non ricorda neppure chiaramente se fosse in divisa o in borghese, come è possibile che avendo avuto in mano un reperto così fondamentale come la borsa contenente l’agenda rossa di Paolo non lo abbia protetto per assicurarsi, se egli come dice “non aveva titolo” per prenderlo in consegna, che fosse almeno consegnato ad una persona di sua assoluta fiducia.
Giuseppe Ayala ha avuto in mano l’agenda di Paolo, la cui sottrazione è stata uno dei motivi di quella strage e non la ha saputa proteggere come avrebbe potuto e dovuto?
O c’è qualche altra, agghiacciante, risposta ?
Ma c’è un altro episodio, sempre relativo a Paolo Borsellino che mi ha fatto nascere forti perplessità su Giuseppe Ayala e riguarda l’incontro del 1° luglio 1992 tra lo stesso Paolo e Nicola Mancino nel suo studio del Viminale dove Manci-no si era appena insediato come ministro dell’Interno. Io ho sempre sostenuto che quest’incontro non solo ci fu ma che nel corso di esso Mancino parlò a Paolo di quella scellerata “trattativa” che era stata avviata tra la criminalità organizzata e pezzi dello Stato, e di cui Mancino, come da recenti rivelazioni di alcuni collaboratori di Giustizia, costituiva il “terminale istituzionale”. Sostengo anche da tempo che deve essere stata la reazione violenta e senza appello di Paolo a quella proposta che deve avere affrettato la necessità della sua eliminazione e l’attuazione della strage del 19 luglio 1992. Di quell’incontro resta la testimonianza diretta di Paolo che nella sua agendina grigia che, diversamente dalla sua agenda rossa non è stata sottratta subito dopo la strage, annota “1° luglio – Ore 19:30 – Mancino”. Mancino ha però sempre negato l’incontro, sostenendo addirittura, e qui la sua affermazione risulta assolutamente inverosimile, che anche se avesse incontrato Paolo non potrebbe ricordarlo perché “non lo conosceva fisicamente”. E a fronte dell’esibizione da parte mia dell’agenda di Paolo che prova il contrario di quello che egli afferma, ha esibito in televisione una sua agenda ‘planning’, cioè quelle agende che riportano sulla stessa pagina i giorni di tutta una settimana nella quale, per quel giorno, non risulta alcun appuntamento. Ora a parte il fatto che ciò non prova nulla perché l’appuntamento potrebbe non averlo annotato, è la stessa agenda ad essere inverosimile perché in tutta la settimana sono annotate soltanto tre righe e non è pensabile che tutta l’attività settimanale di un ministro della Repubblica, appena nominato, riesca a riempire solo tre righe di un planning.
Su questa storia dell’incontro e dell’agenda Giuseppe Ayala ha dato a Mancino un maldestro assist cadendo anche in questo caso in evidenti contraddizioni come nel caso dell’agenda rossa.
Il 24 luglio del 2009, durante un’intervista ad Affari Italiani, Ayala dichiara: “lo stesso Nicola Mancino mi ha detto che il 1° luglio incontrò Paolo Borsellino. Le dirò di più, Mancino mi ha fatto vedere la sua agenda con l’annotazione dell’incontro”.
Ma poche ore dopo, questa vota sul settimanale Sette ribalta completamente la precedente dichiarazione e afferma: “Si è trattato di un lapsus. In realtà volevo dire che non ci fu nessun incontro. Anzi Mancino tirò fuori la sua agenda per farmi vedere che non c’era nessuna annotazione”.
Ci risiamo, per la seconda volta, e sempre in relazione a Paolo Borsellino, Ayala si contraddice in maniera evidente e fa dichiarazioni che, da magistrato, avrebbe pesantemente contestato a qualsiasi testimone, imputato o collaboratore di Giustizia. E non si tratta di una contraddizione da poco perché riguarda un incontro che, come io ritengo, è stato la cau-sa o almeno ha affrettato la fine di Paolo Borsellino.
Può chiarire Ayala questa contraddizione e questa circostanza? Perché si è prestato a sostenere questa versione e su sollecitazione di chi ha poi ritrattato? Finora non lo ha fatto perché della sua prima dichiarazione esiste la registrazione audio e quindi non può in alcuna maniera affermare di essere stato frainteso.
Un’ultima cosa. Ayala continua a ricordare in ogni suo intervento la sua amicizia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e senza dubbio in un certo periodo della sua vita questa amicizia c’è stata, ma proprio per questo dovrebbe evitare di mercificarla e sono rimasto veramente allibito quando, qualche giorno fa, ho letto testualmente di un “recital-spettacolo“ dal titolo “Chi ha paura muore ogni giorno” nel quale il “consigliere preso la Corte D’Appello dell’Aquila, debutta a teatro” E, in coda è riportato : “Prezzi: Poltronissima 40,00; Poltrona I settore 35,00; Poltrona II settore 25,00; Tribuna 15,00”. Siamo alla svendita dell’amicizia e dei ricordi.
Anche se poi oggi forse non è più tanto conveniente vantarsi di essere stato amico di Paolo, come in tanti, troppi, dopo la sua morte hanno preso l’abitudine di fare, se, come hanno testimoniato due magistrati che lavoravano con Paolo a Marsala, Alessandra Camassa e Massimo Russo, a pochi giorni dalla strage del 19 luglio, essendo andati a trovare Paolo nel suo ufficio alla Procura di Palermo, lo trovarono sconvolto e in pianto mentre, con la testa tra le mani, ripete-va “Un amico mi ha tradito, un amico mi ha tradito”. E nell’ agenda rossa sparita Paolo Borsellino avrà sicuramente annotato anche il nome di quel traditore. MICRO MEGA (27 settembre 2010)
“Il collega Ayala – ha detto il pm Nico Gozzo – ha reso diverse versioni… non so quanto tutto questo appartenga al modo di essere di Ayala oppure evidentemente a una voglia in qualche modo di depistare le indagini. Saranno i colleghi di Caltanissetta a stabilirlo”.
In un recente editoriale, il cronista Saverio Lodato scrive: «Ripetutamente interrogato sul punto, Giuseppe Ayala, avanti negli anni come tutti noi, a spiegazione di una quasi mezza dozzina di versioni differentisu questa circostanza, si è dichiarato pronto a rendere conto a Dio quando sarà, visto che su questa terra la memoria non lo aiuta più, nel ricordare a quali mani affidò la borsa delle discordia».
(ANSA) 4 LUG 2019 – “Mi sono ritrovato vicino alla blindata dopo essere inciampato sul cadavere di Borsellino.Ero presente fisicamente ma con la testa non c’ero. Vi lascio immaginare quale era in quel momento il mio stato d’animo”. Lo ha detto il magistrato, allora parlamentare, Giuseppe Ayala, rispondendo alle domande del procuratore capo Amedeo Bertone e del Pm Stefano Luciani nel corso dell’udienza al processo sul depistaggio della strage di via d’Amelio che si celebra a Caltanissetta e che vede imputati tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. “Mi trovo con questa borsa di Paolo in mano. Non so che farne – ha continuato Ayala – sono confuso. In uno stato di agitazione trovo due ufficiali dei carabinieri e la do a loro. Cosa che rifarei”. Ayala ha poi aggiunto: “La figlia di Borsellino invece di andare al carcere a sentire gli assassini del padre, può venire da me se ha bisogno di chiarimenti?”.
VIDEO
- Il prelievo della borsa
- Prelievo della borsa 2
- Video inedito
- Video di un Vigile del Fuoco
- Subito dopo l’esplosione
- Le conversazioni inedite della polizia subito dopo l’attentato
- Nuove ipotesi su borsa e agenda rossa scomparsa
- Borsa e scomparsa dell’agenda rossa – riprese dopo l’attentato
- Promemoria dell’indicibile
Audio udienze
DEPOSIZIONI DI AYALA AL PROCESSO DEPISTAGGIO 4.7.2019
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
DEPOSIZIONI DI AYALA AL PROCESSO BORSELLINO QUATER 21.5.2013
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
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- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
- Nel Borsellino quater una conferma ai dubbi di Fiammetta– Le motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater potrebbero contenere elementi chiarificatori per la strage di via D’Amelio.
- La versione di Ayala
- Ajala cambia i tempi
- I “non ricordo” di Ayala sulla valigetta di BorsellinoInterrogato dai giudici della Corte d’assise di Caltanissetta al processo per la strage di via D’Amelio il magistrato ammette di aver tenuto in mano la borsa del collega ucciso ma di non ricordare a chi l’ha consegnata
AYALA E L’AGENDA ROSSA – Il mistero dei misteri resta la scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Su questo aspetto si sono scritti fiumi di inchiostro: unatelefonata anonima ad un giornalista nel 2005 permise di far trovare una foto finita nel dimenticatoio per 13 anni; nel celebre scatto di Franco Lannino, l’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli, con la borsa in mano. Arcangioli fu poi indagato e assolto in via definitiva.
Sappiamo comunque che l’ex pm Giuseppe Ayala fu tra i primi ad arrivare in via D’Amelio. Le sue molteplici versioni sulla borsa di Paolo Borsellino sono considerate “contraddittorie” da Fiammetta Borsellino.
Di recente Ayala ha replicato nervosamente (LEGGI QUI) alla figlia di Borsellino. E in aula si è scontrato duramente con l’avvocato Fabio Repici (legale di parte civile di Salvatore Borsellino) che puntava a dimostrare l’inattendibilità del teste.
“Il collega Ayala – ha detto il pm Nico Gozzo – ha reso diverse versioni… non so quanto tutto questo appartenga al modo di essere di Ayala oppure evidentemente a una voglia in qualche modo di depistare le indagini. Saranno i colleghi di Caltanissetta a stabilirlo”.
In un recente editoriale, il cronista Saverio Lodato scrive: «Ripetutamente interrogato sul punto, Giuseppe Ayala, avanti negli anni come tutti noi, a spiegazione di una quasi mezza dozzina di versioni differenti su questa circostanza, si è dichiarato pronto a rendere conto a Dio quando sarà, visto che su questa terra la memoria non lo aiuta più, nel ricordare a quali mani affidò la borsa delle discordia».L’unica cosa certa è che quella borsa tornerà improvvisamente dentro l’auto, ancora fumante e con qualche focolaio da spegnere. Poi la nuova asportazione. La borsa sarà per oltre 6 mesi nell’ufficio di Arnaldo La Barbera, abbandonata. E non appena Lucia Borsellino chiese chiarimenti per l’assenza dell’agenda rossa, fu presa per pazza.
Depistaggio via d’Amelio, Ayala depone tra nervosismo e supponenza“La borsa di Paolo arrivò nella mia mano. Non ricordo come. Sarà una colpa di cui risponderò davanti a Dio”. Al processo sentito anche Salvatore La Barbera, ex funzionario della Squadra Mobile di Palermo
L’ex pm Giuseppe Ayala, l’uomo delle molteplici versioni sulla sua presenza in via d’Amelio nel giorno della strage e che tenne in mano la borsa di Paolo Borsellino, è stato sentito giovedì scorso al processo sul depistaggio di via d’Amelio, che vede come imputati i poliziotti Mario Bo,Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo accusati di concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.
Una deposizione dove, ancora una volta, il teste non ha mancato di mostrare quei tratti di nervosismo, supponenza e tracotanza in particolare di fronte alle domande della parte civile di Salvatore Borsellino, rappresentata in aula dall’avvocato Fabio Repici, tanto che lo stesso presidente del Tribunale, Francesco D’Arrigo, lo ha dovuto richiamare al proprio ruolo (“Lei è qui in veste di testimone, la domanda non è fatta in modo offensivo, deve accettare il ruolo di testimone che è nobile”) prima di predisporre una pausa per stemperare gli animi che si erano surriscaldati.
Eppure anche in questa deposizione Ayala ha avuto modo di fornire nuovi particolari rispetto alle dichiarazioni del Borsellino quater, in particolare sulla persona che lo aiutò ad identificare Paolo Borsellino. Non si trattava di Guido Lo Forte, ma di un’altra persona che non ricorda chi fosse. “Prima di venire qui ho chiamato a Lo Forte e telefonicamente mi ha assicurato che non era lui la persona che mi aiutò a riconoscere Borsellino – ha detto – Lui arrivò dopo. Lo Forte mi ha confermato che ci siamo visti successivamente, che ci abbracciammo e che lui non volle vedere Paolo. Io quindi ricordavo male. C’è stata una persona che mi aiutò ma non ricordo assolutamente chi era”.
Ayala ha così giustificato i suoi “difetti” di memoria: “Sin dall’inizio ho fatto una precisazione. Non credo di dover spendere molte parole per descrivere quale era il mio stato d’animo in via d’Amelio quel 19 luglio. Sono arrivato tra i primi perché abitavo lì vicinissimo, ripeto sempre le stesse cose, e sono inciampato in un tronco di uomo carbonizzato, senza braccia e senza gambe. Non sapendo che lì abitava la madre di Paolo Borsellino mi sono sforzato di riconoscerlo perché ero stato messo in allarme dalla presenza della macchina blindata. Poi sono uscito, mi sono ritrovato di fianco alla macchina bruciacchiata di Paolo. L’ho sempre detto, ero presente fisicamente ma con la testa non c’ero. Ero stravolto, anche perché mi era venuto il pensiero se questi continuano il terzo potrei essere io”. ANTIMAFIA 2000 7 LUGLIO 2019
ESAME DEL TESTE GIUSEPPE AYALA – 4 luglio 2019 – processo sul depistaggio sulla strage di Via D’Amelio Trascrizione delle domande del PM Bertone, dell’Avv.Repici legale parte civile della famiglia Salvatore Borsellino e dell’Avv.Greco, parte civile Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino
PM Bertone – Rispetto alle sue precedenti dichiarazioni, tenuto conto che è capitato qualche volta che poi si è discostato dalle stesse, vorrei capire se a distanza di ulteriore tempo è in grado di fornirci ulteriori ricordi.
Ayala – Sin dall’inizio ho fatto una precisazione. Non credo di dover spendere molte parole per esprimere quale era il mio stato d’animo in Via D’Amelio quel 19 luglio. Sono arrivato tra i primi perché abitavo lì vicinissimo, ripeto sempre le stesse cose, e sono inciampato in un tronco di uomo carbonizzato, senza braccia e senza gambe. Non sapendo che lì abitava la madre di Paolo Borsellino mi sono sforzato di riconoscerlo. Poi sono uscito, mi sono ritrovato di fianco alla macchina bruciacchiata di Paolo. L’ho sempre detto, ero presente fisicamente ma con la testa non c’ero. Ero stravolto, anche perché mi era venuto il pensiero se questi continuano il terzo potrei essere io. Preoccupazione condivisa anche dagli organi di sicurezza nazionali, tant’è vero che da subitolo ebbi un rafforzamento incredibile della scorta.
Focalizziamo il problema: la scomparsa dell’agenda rossa. Allora, io non avevo idea di cosa Paolo Borsellino vi scrivesse.
Quindi quando mi trovo improvvisamente con questa borsa in mano, che capisco essere la borsa di Paolo. Non so che farmene, tanto perchè non avevo alcun titolo per tenerla in quanto in quel momento io ero parlamentare. Sono confuso. C’è Felice Cavallaro che mi ripete sempre “Vattene dai tuoi figli. A Palermo corre voce (visto che era vicinissimo a casa mia) che l’attentato è stato fatto atto danno”. Allora io in uno stato di agitazione che non devo spiegare, credo, trovo due ufficiali dei Carabinieri, certamente in divisa, altrimenti come li avrei riconosciuti? e do la borsa ai Carabinieri, cosa che rifarei domani mattina, perché io con i Carabinieri, con le forze di polizia ci ho lavorato per anni. Quanti accessi ho fatto nei luoghi di delitto?! I reperti si danno alla polizia giudiziaria. C’è accanto Cavallaro che insiste di andarmene e io me ne vado.
IL RAPPORTO TRA ME E LA BORSA CHE CONTENEVA L’AGENDA E’ DURATO UN MINUTO. Dopodiché me ne sono andato e non so più nulla. Quando arriva il filmato che ritrae un ufficiale dei Carabinieri che si porta via la borsa dal teatro della strage, è una conferma che ho dato la borsa ai Carabinieri. L’ho data a uno in borghese? Io l’ho data ad uno in uniforme, che non era Arcangioli, di questo sono sicuro abbastanza, che se la porta via.
- PM Bertone – In alcune immagini della televisioni lei risulta inquadrato mentre telefona. Se lo ricorda?
- Ayala – Assolutamente no. Io vorrei vedere queste immagini. Faccio fatica a credere che ci siano.
- PM Bertone – Dall’esame del Borsellino quater un uomo della sua scorta, il teste Farinella, riferisce che quando l’hanno contattata dicendo il fumo arrivava da là, lei disse che ci abitava la mamma.
- Ayala – Del tutto inventato. Io non avevo idea che lì vi abitasse la madre di Paolo Borsellino. Che non lo sapevo è’ una certezza. Devo dire che di questo caposcorta, deve essere lui che ha detto della consegna della borsa ad un uomo in borghese, mi è venuta una curiosità. Bisognerebbe controllare se questa dichiarazione è stata fatta prima o dopo l’arrivo del filmato che ritrae un ufficiale dei Carabinieri che la porta via. Perché se è antecedente mi fa pensare ad una possibile copertura. Verifichiamo le date. Dice un fatto oggettivamente non vero. Felice Cavallaro, firma storica del Corriere della Sera, conferma la consegna ad un ufficiale dei Carabinieri, non ad un uomo in borghese.
- PM Bertone – Lei conosce il dottore Nicola Mazzamuto?
- Ayala – Un collega Mazzamuto vagamente me lo ricordo
- PM Bertone – Ricorda di averlo visto?
- Ayala – No guardi, ricordo soltanto di aver visto Guido Lo Forte. Ci siamo abbracciati e messi a piangere, poco dopo che avevo riconosciuto la salma di Paolo. Ho letto che c’era pure Teresi. Io non me lo ricordo. Neanche Natoli. Forse non è chiaro: io me ne sono andato subito. Magari loro sono venuti un pò dopo. … Durante la consegna della borsa agli ufficiali dei Carabinieri come posso ricordarmi chi c’era?
L’AVANZARE DUBBI COME VIENE FATTO DA ANNI CON UNA FORMA OSSESSIVA NEI MIEI CONFRONTI PRIMA DAL FRATELLO DI PAOLO, E SUCCESSIVAMENTE, DA UN ANNO DALLA FIGLIA, E’ UNA COSA CHE MI CREA GRANDE DISAGIO, uno non sa che fare… voglio approfittare di questa occasione per dire che questa ossessione si è risolta in una vicenda estremamente grave. Io non frequento i social. Al precedente processo è stato ascoltato un collaboratore di giustizia, Gaspare MUTOLO, che non aveva mai parlato del sottoscritto in più di 20 anni di collaborazione. Poco tempo prima della sua deposizione davanti alla Corte rilascia un’intervista che mi viene segnalata sul Fatto Quotidiano, in cui improvvisamente formula un’ACCUSA MOLTO PESANTE NEI MIEI CONFRONTI: avrei agevolato al maxiprocesso un importantissimo mafioso Gambino Giacomo Giuseppe, suo capofamiglia, mentre io non avevo chiesto 10 anni, ma 18 anni e non potevo chiedere di più. La Corte accoglie la mia richiesta e lo condanna a 18 anni. Quando Mutolo compare al dibattimento l’avvocato di Salvatore Borsellino, qui presente, gli pone le domande esattamente riferenti all’intervista che Mutolo conferma. Con ciò determina che Mutolo è imputato di calunnia davanti al Tribunale di Roma. Controllare a computer prima di porre quella domanda? Questo per chiarire l’atmosfera che si è creata. E QUANDO LA FIGLIA DI PAOLO, RECENTEMENTE DICE “IO VORREI CHIEDERE AD AYALA LE SUE INESATTEZZE” ECC. , PERCHE’ NON ME LE VIENE A CHIEDERE? VA A PARLARE CON GLI ASSASSINI DI SUO PADRE IN CARCERE E NON VIENE A CHIEDERE A ME CHIARIMENTI? IL SENSO E’ CHE FORSE E’ IMPORTANTE LA DOMANDA, NON LA RISPOSTA.
AVV.FABIO REPICI, parte civile della famiglia Salvatore Borsellino
- LEI HA DICHIARATO POCO FA “SONO CERTO DI ESSERMI TROVATO LA BORSA DI PAOLO BORSELLINO IN MANO.” COME E’ ARRIVATA NELLA SUA MANO?
- AYALA – L’HO DETTO. IO NON MI RICORDO COME E’ ARRIVATA
- Avv.Repici – Lei non sa se l’ha presa in macchina, se l’ha presa qualcuno e gliel’ha data…
- Ayala – Avvocato, ripeto. Confermo che quella borsa è arrivata nella mia mano, confermo che l’ho consegnata all’ufficiale dei Carabinieri, visto il momento non ricordo come è arrivata nella mia mano. Sarà una colpa gravissima di cui risponderò davanti a Dio. Se non me lo ricordo cosa vuole?
- Avv.Repici – Ricorda se la vide sulla macchina?
- Ayala – Ci metto un forse davanti. Forse sì ma non ne sono sicuro.
- Avv.Repici – Quando lei osservò la macchina dalla quale era sceso Paolo Borsellino, c’era qualcuno?
- Ayala – Non so se era già arrivato Cavallaro o meno. Parliamoci chiaro. Non sono stato lì ad ispezionare la macchina. Se è stato è stato uno sguardo di passaggio. A me che mi fregava della macchina? Non ho capito la domanda.
- Avv.Repici – Lei ha detto di aver visto le immagini con il capitano Arcangioli con la borsa. Lei si è visto in quelle immagini?
- Ayala – Ma quando mai?! Io me ne ero andato chissà quanto prima. Vuole scherzare? Lei non segue bene gli atti del processo. Ma che domanda è? Fuori dal mondo.
- Avv.Repici – Ayala lei è nervoso, lo capisco………Lei vede arrivare Cavallaro?
- Ayala – Di nuovo? Avvocato le arriva la mia voce? Sì
- Avv.Repici – Qual è la prima cosa che le dice?
- Ayala – Meno male che sei vivo. Palermo è piena della voce che l’attentato l’hanno fatto a te. Vai subito dai tuoi figli.
- Avv.Repici – Quando è arrivato in Via D’Amelio, da dove era partito?
- Ayala – Da Marbella Residence […] C’era mia moglie che è scesa…
- Avv.Repici – Quando al momento dell’esplosione sua moglie ebbe consapevolezza che lei non era rimastovittima di questo attentato?
- Ayala – Questo è automatico. Non avevo capito la domanda.
- Avv.Repici – Visto che ci attiviamo? Lei sa se Cavallaro aveva sentito al telefono sua moglie dopo l’esplosione?
- Ayala – Secondo lei in quel momento faccio quella domanda a Cavallaro? Ma lei dove vive?
- pausa … per calmare la tensione…..
- Avv.Repici – Lei ha saputo nell’immediatezza, o anche in epoca successiva, se Cavallaro aveva sentito suamoglie?
- Ayala – Credo di sì
- Avv.Repici – Quindi sapeva che lei era vivo
- Avv.Repici – Cavallaro arrima prima o dopo che lei riceve la borsa?
- Ayala – Prima. Sicuro. Cavallaro assiste a tutta la scena.
- Avv.Repici – Quindi lei consegna la borsa ad un ufficiale dei Carabinieri in divisa. Quindi non ad Arcangioli, che non era in divisa. Giusto?
- Ayala – La domanda contiene già la risposta.
- Avv.Repici – Ricorda di essersi trovato vicino ad Arcangioli
- Ayala – Io non me lo ricordo
- Avv.Repici – Dottor Mazzamuto, allora magistrato al Tribunale di sorveglianza di Palermo. Ricorda se lo videin Via D’Amelio?
- – Ah ora me lo ricordo. Lo conoscevo. Lavorava in ufficio diverso dal mio. Assolutamente no.
- Avv.Repici – Quando era stata l’ultima volta che aveva sentito Paolo Borsellino?
- Ayala – Falcone e Borsellino parteciparono ad una iniziativa elettorale a favore del candidato Ayala. Lo cito perché la fotografia che li ritrae insieme sorridenti uno accanto all’altro, è una fotografia tagliata. Perché poi a seguire c’è anche il sottoscritto e credo che questo sia significativo anche per sottolineare il tipo di rapporto con Falcone e Borsellino. Borsellino come tutti sanno aveva idee politiche molto diverse dalle mie, io ero partito repubblicano, lui era monarchico e votava fiamma tricolore. Ciò malgrado ritenne di partecipare a quell’iniziativa elettorale a mio favore. Il che non è un attestato di amicizia. E’ molto di più. Perché fu avvertito che rischiava un provvedimento disciplinare. Caponnetto dopo la strage di Capaci mi disse di fargli il favore di andare a trovare Borsellino perché non gli piaceva come lo aveva sentito. Lo incontro una volta sola a giugno al Palazzo di Giustizia. Mi disse la famosa frase Non posso lavorare di meno, perché mi resta poco tempo. Non l’ho più sentito neanche telefonicamente.
Quindi, l’Avv.Repici sulle persone presenti in Via D’Amelio e sul’ipotetico o ipotetici ufficiali in divisa a cui il dottor Ayala consegnò materialmente la borsa che teneva in mano rappresenta la necessità di fare vedere delle immagini, che sono già state acquisite agli atti.
- Ayala interviene affermando di escludere che dopo 27 anni di poter riconoscere da una fotografia quelli che ha visto per pochi secondi in quel momento. “E sono sicuro che anche lei non ci riuscirebbe. Quindi non perdiamo tempo.”
- Avv.Repici – Questa si chiama renitenza. Non reticenza, renitenza
- Ayala – Si chiama quello che vuole lei
- Il Presidente D’Arrigo – Sono persone che Ayala ha visto al Palazzo di Giustizia, quindi credo sia pertinente. Se insiste su questa domanda noi ci attrezziamo
- Ayala – Non ci si crede…
- Avv.Repici – Sono tutti fermo immagine del video già al fascicolo del dibattimento (viene mostrata al testimone l’immagine numero 1) E’ in grandi di riferire se la borsa di Paolo Borsellino nel momento in cui l’ha avuta in mano era in queste condizioni, cioè particolarmente bruciacchiata, oppure in condizioni più incontaminate
- Ayala – Io l’ho vista per pochi secondi. Questa parte anteriore più combinata io dall’alto non l’ho vista perché mi è arrivata in mano, ho visto la parte alta meno danneggiata, ho fatto due tre passi e l’ho data all’ufficiale dei Carabinieri. Tutto qua.
- Avv.Repici – Ha avvertito calore nel prendere la borsa?
- Ayala – Che io ricordi no. Cose un pò di calore sì ma non mi sono bruciacchiato
- Avv.Repici – (immagine successiva) Riconosce Mazzamuto?
- Ayala – Non me lo ricordo là, ma è lui.
- Avv.Repici – immagine di Arcangioli. In questo momento lei è già andato via?
- Ayala – Ma certo. (all’immagine successiva) questo è Iovine
- Avv.Repici – …Iovine, il questore federaleC’è un solo uomo in divisa, ed è una divisa dei Carabinieri, è il colonnello Emilio Borghini. E’ il successore di Mori
- Ayala – Non me lo ricordo.
- Avv.Repici – In questa c’è una persona indiana come Ayala. Lei si riconosce?
- Ayala – Grosso modo… se non sono io mi somiglia molto. Ma penso di essere io. Borghini (poco più in là) non lo ricordo. Non vedo Cavallaro
- Avv.Repici – Le anticipo che non siamo riusciti a trovarlo in nessuna immagine. La borsa l’ha avuta prima o dopo quell’immagine di Arcangioli?
- Ayala – Prima. E’ chiaro che questa è successiva, io l’ho consegnata ad uno dei due ufficiali dei Carabinieri e me ne sono andato. Erano due ufficiali, uno accanto all’altro.
- Avv.Repici – Bisognerà trovare nelle immagini due ufficiali dei Carabinieri, impresa -credo- ardua
- Ayala – E’ un problema suo
- Avv.Repici – Ultima questione a proposito di Giacomo Giuseppe Gambino. Lei fu mai avvisato di un procedimento a suo carico sulla scorta di dichiarazioni di di Giovanni Brusca a proposito di presunto favore fatto da lei a Gambino e ricambiato?
- Ayala – Se c’è stato forse mi avrebbero dovuto avvertire. Assolutamente non ho avuto nessun avviso.
- Avv.Repici – Lei ha mai avuto debiti di gioco delle carte?
- Ayala – Mai. Giocavo ogni tanto con gli amici. C’è un problema di pertinenza della domanda. Avv.Repici – Brusca dice che lei gli ha fatto un favore perché aveva debiti di gioco. Favore nella gestione da parte sua di quel processo. Lo dice anche Mutolo.
- Ayala – Mutolo nei miei confronti dichiara il falso perché dice che io avevo chiesto un favore, che avevo chiesto la condanna a 10 anni anche se aveva fatto 50 omicidi. Io ho richiesto la condanna a 18 anni. Il favore qual è?
Presidente – Domanda non ammessa. Fuori tema.
- Avv.Repici – Neanche sull’attendibilità del testimone? In tutta lealtà, secondo me il dottor Ayala ha avuto difficoltà nel poter riferire la verità sulla borsa di Paolo Borsellino.
- AVV. VINCENZO GRECO, parte civile Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino – Lei poc’anzi ha riferito di essersi recato sul luogo dei fatti qualche minuto dopo , in compagnia della scorta. Non c’è un protocollo secondo cui quando si ravvisa una situazione di pericolo la scorta dovrebbe portarla in un punto lontano rispetto a questa situazione di pericolo?
- Ayala – Il protocollo lo ignoro. Quello che è successo è che sono sceso, sono salito su una delle 3 macchine blindate e siamo andati là.
- Avv.Greco – Lei oggi ha riferito, diversamente dalle sue precedenti dichiarazioni, che il suo ricordo è diverso rispetto a chi con lei per riconoscere la salma . Chi era accanto a lei?
- Ayala – Io pensavo Lo Forte. Per questo gli ho telefonato per chiederglielo. Non posso mettere in dubbio la parola di Lo Forte.
- Avv.Greco – Però non era solo nel momento in cui ha riconosciuto la salma?
- Ayala – Sono arrivato solo, all’inizio ero solo, piegato a terra. Quando ho detto è Paolo Borsellino?! Qualcuno mi ha detto sì Sì è Paolo. Non ho idea chi potesse essere.
- Avv.Greco – Lei non riesce a ricordare come materialmente è venuto in possesso della borsa, chi gliela diede, . Lei ha avuto un barlume di ricordo quando ha iniziato a guardare le immagini…Ha detto quando ho ricevuto la borsa… Lei è entrato dentro la macchina?
- Ayala – Qualcuno me l’avrà data. Non sono entrato. Forse dall’esterno l’ho vista.
- Avv.Greco – Dopodiché si materializza la borsa nelle sue mani
Ayala – Dopo un pò. Secondi. E me ne libero immediatamente. e me ne vado. Io sono perfettamente convinto che tutto parte dall’attentato dell’Addaura giugno 1989. Falcone parlò di menti raffinatissime, centri occulti di potere capaci anche di orientare le scelte di Cosa Nostra. Il quadro disegnato da Giovanni prevedeva non solo il coinvolgimento di Cosa Nostra. Io sono fermamente convinto che il quadro vale per il 23 maggio e 19 luglio 1992 - Avv.Greco – Lei subito dopo questi tragici eventi ha avuto negli anni successivi ha avuto incarichi di governo?
- Ayala – Sono stato sottosegretario al Ministero della giustizia con delega ai rapporti internazionali
- Avv.Greco – in ambito governativo ha avuto a che fare con i Servizi Segreti
- Ayala – Mai. Mai mai e me ne guardo bene. Equivale ad una bestemmia
I sospetti del Sovrintendente di polizia
- P.M. Dott. GABRIELE PACI – Le posso leggere il passaggio che risale al 2005, quindi, diciamo, un periodo lontano dalla strage, ma sicuramente (…) più vicino nel tempo rispetto ad oggi. Su questo punto lei dice, dunque: “Relativamente alla borsa ho un flash che posso spiegare in questi termini: ricordo di avere notato una persona in abiti civili, alla quale ho chiesto spiegazioni in merito alla sua presenza nei pressi dell’auto. A questo proposito non riesco a ricordare se la persona menzionata mi abbia chiesto qualcosa in merito alla borsa o se io l’ho vista con la borsa in mano o comunque nei pressi dell’auto del Giudice. Di sicuro io ho chiesto a questa persona chi fosse per essere interessato alla borsa del Giudice e lui mi ha risposto di appartenere ai Servizi”.
- TESTE GIUSEPPE GAROFALO – E allora se ho riferito nel 2005 così, probabilmente sì, è…
- P.M. Dott. PACI – No, sostanzialmente è quello che ripete anche oggi. Le voglio chiedere se è in grado di attivare i circuiti della sua memoria per capire questo riferimento a una borsa, che era la borsa del dottor Borsellino, se deriva da una interlocuzione diretta con questo signore, cioè.
- TESTE G. GAROFALO – Sì, probabilmente sì, perché, insomma, non…
- P.M. Dott. PACI – Sì. Cioè viene strano pensare che lei possa avere, così, autonomamente…
- TESTE G. GAROFALO – Esatto, sì.
- P.M. Dott. PACI – …correlato una borsa al fatto poi…
- TESTE G. GAROFALO – Del soggetto.
- P.M. Dott. PACI – …che questa appartenesse al Giudice.
- TESTE G. GAROFALO – Sì, probabilmente sì, cioè l’argomento era la borsa.
- P.M. Dott. PACI – Questo signore lei non l’aveva visto mai e non l’ha più rivisto?
- TESTE G. GAROFALO – No.
- P.M. Dott. PACI – Ma lei aveva, diciamo, rapporti, conosceva il personale del SISDE…
- TESTE G. GAROFALO – No, no. No, assolutamente no.
- P.M. Dott. PACI – …a Palermo, che lavorava a Palermo? Ha avuto mai contatti, rapporti?
- TESTE G. GAROFALO – No, no.
- P.M. Dott. PACI – Professionali intendo, con queste…
- TESTE G. GAROFALO – Mai con nessuno.
- P.M. Dott. PACI – Senta, di questa persona lei è in grado di dare una descrizione?
- TESTE G. GAROFALO – Allora, di questa persona ho dato una descrizione anche in passato, è una descrizione però molto… molto approssimativa, perché, ripeto, il contatto è stato immediato e il contesto in cui è nato questo contatto era un po’ particolare. Altezza media, carnagione chiara. L’unica cosa che mi è… che, insomma, mi ha incuriosito, mi ha… è stata cristallizzata nella memoria, è il fatto di… che questo soggetto indossava una giacca. Evidentemente una situazione un po’ particolare e strana, perché eravamo in estate e quindi non era consuetudinario notare una persona in giro con una giacca. Solo questo mi ha attirato… ha attirato la mia attenzione, per il resto a livello di… di riconoscimento o comunque di fornire delle indicazioni somatiche del soggetto, ricordo che era stempiato o comunque non aveva i capelli e…
- P.M. Dott. PACI – Quindi pochi capelli.
- TESTE G. GAROFALO – Sì, stempiato, pochi capelli. Poteva essere rasato, non… onestamente… però di fatto non aveva una chioma fluente.
- P.M. Dott. PACI – Fluente. Senta, l’inflessione, visto che ha avuto anche per breve tempo modo di parlare conquesta persona, ricorda se era un uomo (…) che si esprimeva in dialetto, che si…?
- TESTE G. GAROFALO – Non ricordo se si è… se ha parlato in dialetto o in palermitano o in… in italiano, non… non potrei dire, non potrei essere certo.
- PRESIDENTE – Ma qualche inflessione, ecco, la ricorda di qualche provenienza geografica?Indipendentemente dal fatto che fosse dialetto oppure…
- TESTE G. GAROFALO – No, no, Presidente.
- PRESIDENTE – …lingua italiana, qualche…
- TESTE G. GAROFALO – Presidente, i momenti erano così concitati che non… non ci facevi caso, cioè era una situazione troppo… troppo particolare. E ripeto, il… il contatto è stato velocissimo, breve, pochi…
- PRESIDENTE – Senta, questa forma di interessamento in qualche modo per la borsa del dottor Borsellino (…)lei ricorda se si concretò anche in qualche gesto?
- TESTE G. GAROFALO – No.
- PRESIDENTE – Cioè in che senso era interessato? Lo spieghi, se riesce a scavare nei suoi ricordi in modopiù preciso.
- TESTE G. GAROFALO – Non… l’argomento, ripeto, potrebbe essere quello legato alla borsa, però di fatto e ribadisco, non posso dire se l’ho visto con la borsa o se lui mi abbia chiesto della borsa. Sono momenti troppo…
- PRESIDENTE – Comunque ricorda se era una di queste due cose oppure se si trattava di qualcos’altro?
- TESTE G. GAROFALO – No, no. Era probabilmente della borsa.
- PRESIDENTE – Quindi riguardava la borsa.
- TESTE G. GAROFALO – Sì.
- PRESIDENTE – In qualche modo…
- TESTE G. GAROFALO – Collegato alla… alla borsa.
- PRESIDENTE – L’interesse, ecco, sì.
- TESTE G. GAROFALO – Sì.
- PRESIDENTE – E lei questa borsa la vide?
- TESTE G. GAROFALO – No.
- PRESIDENTE – Prego, Pubblico Ministero.
- P.M. Dott. PACI – Allora, un’ulteriore domanda, ispettore: quando lei vede questa persona, riesce a ricordare se il quadro che lei ha indicato quando è arrivato, e cioè quel fumo, le fiamme, è mutato o meno?
- TESTE G. GAROFALO – Quando ho il contatto con questa persona?
- P.M. Dott. PACI – Quando è in contatto con questa persona.
- TESTE G. GAROFALO – Probabilmente era il momento in cui noi eravamo già scesi dalle abitazioni e quindi, ovviamente, non immediatamente vicino (…) al nostro arrivo, sì. Probabilmente era un momento in cui i curiosi incominciavano a sopraggiungere, personale, giornalisti e…
- P.M. Dott. PACI – Senta, ma quanto è rimasto lei lì quel giorno?
- TESTE G. GAROFALO – In quel luogo?
- P.M. Dott. PACI – Sì.
- TESTE G. GAROFALO – Tutta la (…). Tutto il turno e probabilmente, se non ricordo male, fino a tarda ora.
- P.M. Dott. PACI – Senta, le mostriamo questa foto, ed è una foto che è depositata in atti e che riguarda, appunto, la presenza di un soggetto con in mano una borsa in via D’Amelio nei momenti successivi all’esplosione.
- TESTE G. GAROFALO – Sì.
- P.M. Dott. PACI – E’ in grado di fornire qualche…? Questa immagine è in grado di fornirle qualche delucidazione, di sollecitare qualche ricordo?
- TESTE G. GAROFALO – Questa è… sì, questa è una delle tante foto che mi hanno mostrato e ritrae l’ufficiale dei Carabinieri sul… sul teatro dei fatti. (…) Perché l’ho letto dopo e perché… E’ chiaro.
- P.M. Dott. PACI – Ecco, quel giorno l’ha visto quel signore?
- TESTE G. GAROFALO – No, no, non lo ricordo in quel momento.
- P.M. Dott. PACI – E la persona che lei… il ricordo che lei ha di questa persona, questo ricordo sfumato, ha qualche compatibilità con quella persona?
- TESTE G. GAROFALO – Con questo soggetto no, evidentemente.
- P.M. Dott. PACI – Assolutamente no.
- TESTE G. GAROFALO – Assolutamente no. Poi mi hanno fatto vedere parecchi filmati e… insomma, è stato notato questo soggetto, quindi l’ufficiale dei Carabinieri, insieme ad un altro soggetto, che orientativamente potrebbe essere…
- P.M. Dott. PACI – Va beh.
- TESTE G. GAROFALO – …insomma, questo…
- P.M. Dott. PACI – D’accordo.
- TESTE G. GAROFALO – Però, insomma, non…
- P.M. Dott. PACI – D’accordo, d’accordo. Senta, allora, parliamo del suo collega con cui lei ha poi parlato successivamente di questa vicenda, credo che si chiami ispettore…
- TESTE G. GAROFALO – L’assistente Migliore.
- P.M. Dott. PACI – L’assistente Migliore, sì. Allora, c’è, diciamo, un ulteriore scatto nel suo ricordo, no? A seguito di un contatto che lei ha con un suo collega.
- TESTE G. GAROFALO – Ecco, questo… questo piccolo particolare io… non è che lo ricordo. Di seguito ci siamo incontrati con… con questo collega, che fa servizio nella provincia di Ragusa, e…
- P.M. Dott. PACI – Che oggi fa servizio a Ragusa, ma un tempo faceva servizio…
- TESTE G. GAROFALO – Faceva servizio a Palermo, era sulle Volanti, non era sulle Volanti… sulla 32 e neanche sulla 21. (…) Ma se non ricordo male faceva servizio sulla Volante che si occupava della zona di Brancaccio, però potrei sbagliarmi. Logicamente abbiamo cercato di ripercorrere quello che avevamo vissuto in quel… in quel contesto.
- P.M. Dott. PACI – Perché anche lui intervenne in via D’Amelio, diciamo.
- TESTE G. GAROFALO – Lui… ovviamente tutte le autovetture sono state (…) dirottate sul luogo, anche se quel… anche le auto che non dovevano essere dirottate sono arrivate lì, perché evidentemente è una situazione troppo eclatante. E c’era pure lui. Ora, lui mi dice di… così, parlando, rivangando un po’ i… tra i ricordi, che io gli ho detto…
- P.M. Dott. PACI – Mi scusi (…) questo per farlo capire alla Corte (…) anche se è ben esplicitato nei verbali cheproduciamo, e cioè lei riceve l’avviso di…
- TESTE G. GAROFALO – Ho ricevuto una citazione, evidentemente un invito a presentarmi per essere nuovamente sentito e… logicamente parecchi colleghi che facevano servizio a Palermo in quel momento sono stati trasferiti con l’andare del tempo, uno di questi è il collega Migliore, che fa servizio al Commissariato di Modica.
- P.M. Dott. PACI – Quindi l’occasione è questa.
- TESTE G. GAROFALO – L’occasione è quella. Ne abbiamo parlato, ho detto: “Senti, Michele – il nome è Michele – ma tu che cosa ti ricordi di questi fatti?” Anche perché con l’andar del tempo determinati fatti tendono a diventare una sorta di… non so neanche come spiegare, fino a un certo punto io pensavo che tutto quello che avevo visto era un sogno, un… un qualcosa di (…) di irreale; dal 2005 in poi incomincio a… a focalizzare e a cercare di ricordare, perché ovviamente vengo… vengo convocato e incomincio a fornire delle dichiarazioni. A seguito di quest’ultima…
- P.M. Dott. PACI – Scusi, lei prima non era stato mai sentito su questi fatti?
- TESTE G. GAROFALO – No, no, mai. Dal 2005…
- P.M. Dott. PACI – Il 2005 è la prima volta che lei viene sentito.
- TESTE G. GAROFALO – Sono stato la prima volta. Insomma, parliamo con questo collega e abbiamo cercato di capire, ho detto: “Ma tu cosa ti ricordi di queste… di questi fatti?” Perché i miei sono quelli legati a tutto quello che ho detto finora. E lui mi dice: “Sì, no, io mi ricordo che tu lì, sul luogo del… dell’attentato, mi hai parlato di questo… di questo fantomatico soggetto, di questo soggetto, del contatto che hai avuto e… di come eri sconvolto e…” Insomma, questo è quanto, non… Quindi rafforza ulteriormente la convinzione che…
- P.M. Dott. PACI – Lei non ricordava di aver parlato con il suo collega quel giorno?
- TESTE G. GAROFALO – No.
- P.M. Dott. PACI – E’ lui che le rammenta…
- TESTE G. GAROFALO – E’ lui che me lo ricorda, sì.
- P.M. Dott. PACI – Esattamente lo rammenta che cosa…? Cioè le dice di averlo incontrato quel giorno a via D’Amelio e sostanzialmente di essersi sfogato con lui a proposito di che cosa?
- TESTE G. GAROFALO – Sì, lui mi diceva di… che, insomma, da… io gli ho raccontato questo contatto con… con un soggetto appartenente ai Servizi sul posto, di come l’argomento era la borsa del dottore Borsellino e… e basta, insomma, questo sostanzialmente ricordo che mi dice.
- P.M. Dott. PACI – Senta, l’incontro con questo soggetto è stato un incontro, diciamo, sereno o è stato dato luogo a un contrasto?
- TESTE G. GAROFALO – Con chi?
- P.M. Dott. PACI – Sì, tra lei… non con il suo collega.
- TESTE G. GAROFALO – Ah.
- P.M. Dott. PACI – Con questo fantomatico soggetto che lei incontra a via D’Amelio. Cioè ci sono stati momenti di tensione?
- TESTE G. GAROFALO – Allora…
- P.M. Dott. PACI – Anche normali in quei frangenti.
- TESTE G. GAROFALO – Lo stato d’animo, insomma, era… era quello che era. No, è stato un contatto… duro, diretto, immediato, veloce, non… non potevamo perdere tempo, insomma, a… il nostro… il nostro obiettivo primario, la nostra… il nostro obiettivo era quello di salvare le persone che erano all’interno delle… degli stabili. Del resto i colleghi… non c’era più nulla da fare, insomma.
- P.M. Dott. PACI – Senta, aveva placche di riconoscimento questo signore?
- TESTE G. GAROFALO – No, no.
- P.M. Dott. PACI – Non aveva nulla che potesse, insomma, in qualche modo…
- TESTE G. GAROFALO – No, no, no.
- P.M. Dott. PACI – …se non evidentemente quella che poi è stata…
- TESTE G. GAROFALO – Altrimenti – ma questo vado per esclusione – non avrei… non l’avrei bloccato, non avrei avuto un contatto, perché se… se aveva una placca di riconoscimento, così come riporta l’ufficiale dei Carabinieri, non avevo motivo di… di chiedere che cosa facesse in quel… in quel momento lì.
- P.M. Dott. PACI – Quindi anche se non lo ricorda, la deduzione è, diciamo, conseguente.
- TESTE G. GAROFALO – Sì, è…
- P.M. Dott. PACI – Il fatto che lei gli abbia chiesto… che questo le abbia mostrato dei documenti di riconoscimento.
- TESTE G. GAROFALO – Sì.
- P.M. Dott. PACI – Perché altrimenti non gli avrebbe consentito di rimanere lì?
- TESTE G. GAROFALO – Altrimenti non gli avrei consentito di rimanere lì e altrimenti lo avrei preso e consegnato ad altri colleghi o comunque lo avrei allontanato dai luoghi, perché comunque in quel momento ogni persona si dirigeva su quel luogo e… e si metteva a girare tra…
- P.M. Dott. PACI – Senta, lei ricorda poi, ovviamente tra i tanti organi dello Stato che sono intervenuti quel giorno, naturalmente sono intervenuti anche i Vigili del Fuoco.
- TESTE G. GAROFALO – Ovviamente.
- P.M. Dott. PACI – Lei ricorda di attività svolta dai Vigili del Fuoco quel giorno a via D’Amelio, di attività sulle macchine, sulle blindate?
- TESTE G. GAROFALO – Le attività che ricordo erano quelle di… di spegnimento dei focolai di incendio e di mettere in sicuro ogni tipo di potenziale pericolo che poteva scaturire dall’esplosione di… di serbatoi di benzina.
- P.M. Dott. PACI – Queste macchine lei… faccio riferimento alle blindate.
- TESTE G. GAROFALO – Sì.
- P.M. Dott. PACI – Perché, diciamo, è la cosa che ci interessa. Ricorda se la macchina del dottor Borsellino era chiusa o aveva lo sportello aperto?
- TESTE G. GAROFALO – No, non… non lo ricordo, no. Probabilmente era aperto, ma non… non lo ricordo, no. Ma lo dico perché di solito le autovetture quando lasciano le personalità comunque rimangono con le porte aperte. (…) Però non… no, non… non potrei dare una risposta certa, vado per… per deduzione. Ma in quel momento non… cioè non ricordo materialmente se l’autovettura era chiusa o aperta, non…
- P.M. Dott. PACI – Sempre parlando poi con il suo collega, il suo collega le rammenta questo particolare, che le dice che c’era stato un incontro – scontro con questo… Cioè lui glielo definisce così, glielo ricorda così, le ha detto che c’era stato un incontro – scontro e che lei era molto arrabbiato. Questa cosa aveva una ragione e una spiegazione? Se a lei…
- TESTE G. GAROFALO – Era…
- P.M. Dott. PACI – Cioè ogni particolare che lei può riferire sulla…
- TESTE G. GAROFALO – Non era uno scontro, cioè nel senso…
- P.M. Dott. PACI – …sull’incontro con questa persona è importante. Cioè…
- TESTE G. GAROFALO – Va beh, è stato un incontro…
- P.M. Dott. PACI – …al di là di dirgli: “Lei chi è?” E questo le dice: “Guardi, sono dei Servizi e questo è il tesserino”, c’è stato qualcosa in più, qualcosa di…?
- TESTE G. GAROFALO – No, il…
- P.M. Dott. PACI – Il fatto che lei l’ha invitato ad andar via e quello è voluto rimanere. Insomma…
- TESTE G. GAROFALO – No, no, no, i toni sono duri perché lo stato d’animo era… era particolare, quindi probabilmente sono stato un po’ aggressivo, ma faceva parte del… del contesto e quindi (…). Ma non è stato né invitato ad allontanarsi, niente (…). Sarò stato un po’ duro, un po’… un po’ forte nel… nel mio modo di esprimermi, ma questo, insomma (…) lo sono di sovente così.
- AVV. REPICI – Senta, una precisazione mi interessava: lei ha fatto riferimento all’incontro con questo soggettoche si qualifica come agente dei Servizi e che lei poi verifica essere effettivamente, diciamo, tale. (…) Fino aquel momento, cioè fino a questo incontro, lei, dal momento in cui arriva lì in via D’Amelio, la sua mente, lasua attenzione era andata, anche solo con il pensiero, alla borsa del dottore Borsellino?
- TESTE G. GAROFALO – No, no, no. (…) Noi… il nostro interesse primario era quello di verificare se vi era rimasto qualcuno in vita e… e poi provvedere…
- AVV. REPICI – E dare soccorso.
- TESTE G. GAROFALO – E dare soccorso ai…
- AVV. REPICI – Questo è ovvio. Quindi, diciamo, nella sua mente l’attenzione alla borsa del dottor Borsellino arriva in concomitanza (…) con l’incontro con questa persona?
- TESTE G. GAROFALO – Sì.
- AVV. REPICI – A proposito della possibilità di riconoscere in qualche modo, nel corso delle sue audizioni,questa persona, lei ha detto: “Sicuramente non è quel capitano Arcangioli”, di cui alla foto che le è statamostrata.
- TESTE G. GAROFALO – No, lo… lo escludo.
- AVV. REPICI – Sì, sì, e questo l’ha già detto chiaramente. Poi lei ha detto: “C’era una possibile compatibilitàcon altro soggetto che in un video mi è stato mostrato vicino al capitano Arcangioli”. Ho capito bene?
- P.M. Dott. LUCIANI – Presidente, ci troviamo costretti a fare opposizione su questa domanda, che, come si sarà potuto notare, non è stata esplorata, essendoci in corso attività da parte di questo ufficio.
- PRESIDENTE – Va beh, allora su questo evidentemente lasciamo… per adesso soprassediamo. Eventualmente il Pubblico Ministero comunicherà il momento in cui queste attività saranno completate e sarà possibile, eventualmente, riprendere la deposizione del teste a questo scopo.
AYALA HA DATO TROPPE VERSIONI DIVERSE …. E NON CONVINCE – Caltanissetta. “Una gaffe”. Così Giuseppe Ayala all’udienza odierna del Borsellino quater ha definito le sue stesse parole registrate in un’intervista del 2009 per il sito affariitaliani.it. “Io ho parlato personalmente con Nicola Mancino – diceva Ayala alla giornalista Floriana Rullo – che naturalmente è persona con cui ho un ottimo rapporto, siamo stati per diversi anni colleghi in Parlamento, in Senato. Mancino ha avuto un incontro con Borsellino del tutto casuale il giorno in cui Mancino andò per la prima volta al Viminale a prendere possesso della sua carica ministeriale”. La giornalista lo incalzava chiedendo la ragione per la quale lo stesso Mancino continuasse invece a negare quell’incontro. Ed è proprio la risposta dell’ex senatore che oggi è stata definita “una gaffe”. “No, no, lui ha detto che l’ha avuto questo incontro, come no – replicava all’epoca Ayala –. Lo ha detto anche a me. Le dirò addirittura di più, forse svelo una cosa privata. Mi ha fatto vedere l’agenda con l’annotazione perchè lui è di quelli che ha le agende conservate con tutte le annotazioni. Per cui francamente io non ho elementi per leggere nessuna dietrologia dietro a quest’incontro”.
Inizia così la deposizione dell’ex pm del maxiprocesso che inaugura lo stile dell’udienza-spettacolo dove il mattatore è lo stesso teste. Atteggiamento tracotante, battuta ironica da elargire a giudici e a magistrati, seduto in una posizione alquanto rilassata, Ayala non si risparmia. Sul cancello dell’aula bunker spicca lo striscione “Fraterno sostegno Agnese Borsellino”, la pretesa di giustizia della vedova del giudice, recentemente scomparsa, continua a pulsare anche qui. All’interno dell’aula è rimasto l’eco delle parole del sovrintendente della Polizia, Francesco Maggi, all’epoca in servizio in via D’Amelio nell’immediatezza della strage, interrogato ieri in questo stesso processo. “Devo dire, per un problema di coscienza – aveva spiegato Maggi ai magistrati –, a distanza di 21 anni, che quando sono arrivato sul posto della strage, c’erano almeno quattro, cinque uomini dei servizi. Avevano la spilletta del Ministero dell’Interno. Era gente di Roma e non capivo che cosa facevano. Ma sono certo, perchè li conoscevo. Ancora oggi non mi spiego come fossero sul posto e chi li avesse avvisati in così poco tempo”. “La borsa era piena, sono sicuro che era piena e non svuotata. La borsa si trovava sul lato destro dell’auto ed era posizionata tra il sedile posteriore e quello anteriore. Sono sicuro di essermi abbassato ma ero con un vigile del fuoco. Non sono certo che la presi io o me la passò il vigile del fuoco. La presi e dopo averla in mano incontrai Ayala, ma non ricordo quanti minuti dopo. La diedi, quindi, al mio funzionario, per portarla alla Mobile”.
Di fatto verso le ore 18,30 la borsa del giudice Borsellino veniva ritrovata nell’ufficio del dirigente della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera. Senza l’agenda rossa. In un remix di “non ricordo” o “non posso ricordare” Giuseppe Ayala ha parlato ancora una volta del momento in cui prese in mano la borsa di Paolo Borsellino: “Non ricordo chi mi consegnò la borsa di Paolo Borsellino subito dopo la strage di via D’Amelio. Non ricordo se la prese un carabiniere della scorta, ricordo solo che la consegnai a un ufficiale dei Carabinieri”. A tutti gli effetti una dichiarazione in antitesi con quella dell’ex capo scorta di Ayala, Roberto Farinella, che nelle scorse udienze aveva raccontato: “Presi la borsa del magistrato, volevo consegnarla al giudice Ayala ma lui chiamò un uomo in abiti civili che mi indicò come ufficiale. Questi prese la borsa e si allontanò senza aprirla”. Farinella aveva anche parlato della presenza sul luogo della strage di Roberto Campesi (riconosciuto in una fotografia) assieme ad altri esponenti delle forze dell’ordine. Non solo, Farinella aveva spiegato di essere stato allontanato dalla scorta dopo avere fatto notare che la presenza di un civile in una scorta armata di un magistrato antimafia era quantomeno inopportuna. E di Campesi ha oggi parlato anche Ayala: “Roberto Campesi era nella mia scorta ma non lo misi io. Mi si presentò e mi disse di essere un esperto di sicurezza, non un agente segreto. Mi disse che era un grande amico di Antonio Montinaro, agente di scorta morto con Giovanni Falcone e di essere Presidente della Fondazione Montinaro, anche se poi ho scoperto che non esisteva. E lo misi in contatto con i miei responsabili della sicurezza. Purtroppo sono caduto in un grande trappolone”. Come è noto Roberto Campesi, detto “il caramellaio” in quanto aveva in passato un negozio di caramelle, è un personaggio molto controverso e misterioso: rimase per diverso tempo nella scorta di Ayala e nel 1997 venne arrestato con l’accusa di millantato credito e truffa nei confronti dei figli di Gianni Ienna, un imprenditore arrestato per mafia nel ’94 ritenuto un prestanome dei boss Graviano. Con fare decisamente teatrale Ayala ha successivamente affermato di non voler “far parlare i morti” attraverso le citazioni di giudici assassinati, poi però, con molta nonchalance ha tirato fuori una fotocopia di uno stralcio di un libro con le dichiarazioni, a lui favorevoli, di Antonino Caponnetto. Un senso di commiserazione ha pervaso l’aula. L’udienza è stata sospesa in attesa della ripresa pomeridiana nella quale l’avvocato di parte civile, Fabio Repici (legale di Salvatore Borsellino) procederà all’esame di Giuseppe Ayala. – Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo (AntimafiaDuemila)
L’agenda rossa, la borsa del giudice, il depistaggio Un’agenda dell’Arma dei Carabinieri, con la copertina rossa, avuta in dono all’inizio dell’anno. Un libricino con la copertina rigida dal quale, negli ultimi mesi, Paolo Borsellino non si separava mai. Sparito a pochi minuti dall’attentato del 19 luglio 1992. In quell’agenda, secondo il racconto dei suoi più stretti collaboratori, e dopo l’attentato a Giovanni Falcone, il giudice aveva iniziato a scrivere una serie di appunti. Nella sua sparizione potrebbe celarsi uno dei grandi misteri della storia italiana.
Si dice che Paolo Borsellino non si separasse mai dalla sua agenda rossa. Era sempre con lui, quando lavorava con Giovanni Falcone, quando andava in chiesa, quando citofonava alla madre. Ed era con lui quando il 19 luglio del 1992 una Fiat 126 esplose, squarciando via d’Amelio, portando via l’ultimo baluardo, forse il più forte, della lotta contro la mafia. Quell’agenda rossa che il magistrato aveva riposto con cura nella ventiquattrore con cui era uscito di casa, quell’agenda che aveva avuto in dono dall’Arma dei Carabinieri all’inizio dell’anno, nessuno l’ha più trovata. Le testimonianze della moglie Agnese Piraino e del figlio Manfredi lo confermano: quel giorno, Borsellino aveva riposto l’agenda rossa dentro la borsa trovata praticamente intatta dentro l’auto blindata dopo l’esplosione. Nella 24 ore sono stati trovati il costume da bagno che il giudice aveva utilizzato poche ore prima al mare, un paio di occhiali da sole, altri effetti personali. Nulla più. Borsellino era solito prendere appunti nelle agende annuali, dove registrava gli appuntamenti di lavoro, gli spostamenti privati e anche le spese di casa. Nell’agenda rossa, secondo la testimonianza dei suoi più stretti collaboratori, e dopo l’attentato a Giovanni Falcone, il giudice aveva iniziato a scrivere una serie di appunti su quei drammatici giorni seguiti alla strage di Capaci. L’allora tenente Carmelo Canale, uno dei suoi fidati investigatori, lo aveva visto scriverci pochi giorni prima dell’attentato. “Ma che fa, vuole diventare pentito pure lei?” chiese al giudice, scherzando. Ricevette una risposta, che lo gelò: “Sono successi troppi fatti in questi mesi, anch’io ho le mie cose da scrivere”.
In quei giorni Borsellino, da procuratore aggiunto a Palermo, stava raccogliendo le prime rivelazioni di diversi “pentiti” di mafia di primissimo piano. Con lui aveva iniziato a collaborare Gaspare Mutolo, ex autista dell’allora latitante Totò Riina, che svelò i nomi delle “talpe” di Cosa nostra nelle istituzioni come l’ex numero 3 del Sisde, Bruno Contrada, o il magistrato Domenico Signorino. E in quei giorni aveva avuto notizia di un “dialogo” tra pezzi dello Stato e i mafiosi, cioè la “trattativa” di cui si sta occupando il processo in corso a Palermo a carico di alti ufficiali dei carabinieri, mafiosi, politici. L’1 luglio, nell’agenda grigia (un’altra agenda che Borsellino teneva a casa e che è stata ritrovata) è segnato il cognome del neo ministro degli Interni, Nicola Mancino, che Borsellino ha incontrato al Viminale. Mancino ha sempre detto di non ricordarsi di quell’incontro. I familiari di Paolo Borsellino ne denunciarono subito la scomparsa tramite il magistrato Antonino Caponnetto, fino al 1990 a capo del Pool antimafia. Fu lui a volere accanto a sé Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. L’allora capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, ipotizzò che con molta probabilità l’agenda fosse stata bruciata dalle fiamme in via d’Amelio e che comunque non fosse di importanza investigativa. La Barbera si rivolse ad Agnese Piraino con queste parole: “Quest’agenda è il frutto della vostra farneticazione”.
Quel giorno Borsellino aveva l’agenda con sé –Dalle testimonianze di Agnese Piraino e dei figli Lucia e Manfredi, il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino aveva l’agenda rossa sulla scrivania del suo studio nella casa di Villagrazia di Carini e, alla partenza in direzione di via d’Amelio, l’agenda sul tavolo non c’era più. Sappiamo, dal racconto dell’unico sopravvissuto alla strage, l’agente di polizia Antonino Vullo, che Borsellino e la sua scorta non fecero soste durante il percorso verso via d’Amelio e che il giudice era solo al volante della sua Croma blindata. Sappiamo, grazie alle perizie della polizia scientifica su un filmato video, che tra le 17.20 e le 17.30, l’allora capitano dei Carabinieri Giovanni Arcangioli ebbe la borsa in mano e la portò in direzione dell’uscita di via d’Amelio. Sappiamo, dalle dichiarazioni rilasciate ai giornalisti da Arnaldo La Barbera pochi giorni dopo la strage, che la borsa fece tappa alla Questura di Palermo. Sappiamo che la famiglia del giudice controllò la borsa dopo la strage, denunciando la mancanza dell’agenda. Sappiamo che il primo verbale di apertura della borsa fu redatto dalla Procura di Caltanissetta il 5 novembre 1992, ben tre mesi e mezzo dopo la strage. Sappiamo, sempre grazie ai reperti fotografici e video, che la borsa nelle mani di Arcangioli era integra, senza segni di bruciature, mentre la borsa repertata dalla Procura era parzialmente bruciata su un lato.
La borsa del giudice: la foto finita nel dimenticatoio –Una telefonata anonima decise nel 2005 di far trovare una foto finita nel dimenticatoio per tredici anni, riaprendo il “caso dell’agenda rossa”. Una foto scattata subito dopo l’attentato. Nell’immagine, e poi nei filmati girati dalla Rai, si vede un carabiniere in borghese che si allontana da via d’Amelio con in mano la 24 ore di Borsellino. Ma, si scoprirà dalle indagini e dalle relazioni di servizio, la borsa viene “ufficialmente” ritrovata dentro l’auto blindata del magistrato solo dopo aver compiuto questo strano tragitto. Il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, il carabiniere in borghese che si è allontanato con la borsa in mano, è stato indagato per il reato di furto dell’agenda rossa con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa, e poi prosciolto “per non aver commesso il fatto”. Sulla questione della borsa, sono due i momenti importanti e due i testimoni giunti in via d’Amelio poco dopo la strage: Rosario Farinella e Francesco Paolo Maggi. Le loro dichiarazioni fanno parte delle testimonianze raccolte durante i processi ‘Borsellino TER’ e ‘Borsellino QUATER’. Rosario Farinella, carabiniere e membro della scorta dell’allora deputato Giuseppe Ayala, è stato identificato come colui che prelevò la borsa, integra, dalla macchina del giudice Borsellino su richiesta dello stesso Ayala. Francesco Paolo Maggi, agente della Polizia di Stato, dichiarò di aver preso anche lui la borsa e fu incaricato di portarla in un ufficio della Questura di Palermo. Maggi redasse una relazione di servizio con la descrizione minuziosa dei fatti in questione cinque mesi dopo l’evento e su richiesta del funzionario incaricato delle indagini, Arnaldo La Barbera.
Chi ha preso per primo la borsa? Maggi dichiarò di essere arrivato sul posto quasi contemporaneamente ai primi vigili del fuoco. Ma è ragionevole ritenere che sia stato Farinella ad arrivare sul posto prima di Maggi. A tale conclusione si giunge confrontando gli spostamenti compiuti da Farinella e da Maggi prima di arrivare in via d’Amelio dopo lo scoppio dell’autobomba, fermo restando che tutti e due, una volta arrivati, furono impegnati in altre attività prima di occuparsi della macchina e della borsa del giudice.
Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli Abbiamo fin qui ricostruito alcuni passaggi del percorso della borsa di Paolo Borsellino dal momento dell’esplosione all’instante in cui fu verosimilmente depositata in Questura nella stanza di Arnaldo La Barbera. Le parti mancanti sono nei ricordi contrastanti, parzialmente ritrattati o modificati dei due protagonisti principali di questi eventi: Giuseppe Ayala e il carabiniere Giovanni Arcangioli.
Le testimonianze di Giuseppe Ayala – L’allora parlamentare e ora di nuovo magistrato ha dato negli anni cinque versioni differenti della vicenda. Su due punti, invece, ha confermato lo stesso ricordo: non aveva idea che in via d’Amelio abitasse la madre di Borsellino e non conosceva personalmente l’ufficiale al quale consegnò la borsa del giudice.
La prima versione 5 maggio 2005. Davanti ai magistrati, Giovanni Arcangioli ha rilasciato la sua prima versione: “Allorché giunsi sul posto la scena del delitto non era stata ancora perimetrata (…) Vi erano all’opera i Vigili del Fuoco e, per quanto posso ricordare, arrivò per primo il magistrato dottor Ayala. (…). Arrivò sul posto il dottor Teresi e anche il dott. Di Pisa, magistrato di turno. Non ricordo se il dottor Ayala o il dottor Teresi, ma più probabilmente il primo dei due, e sicuramente non il dottor Di Pisa, mi informarono del fatto che doveva esistere una agenda tenuta dal dottor Borsellino e mi chiesero di controllare se per caso all’interno della vettura vi fosse una tale agenda, eventualmente all’interno di una borsa. Se non ricordo male, aprii lo sportello posteriore sinistro e posata sul pianale, dove si poggiano di solito i piedi, rinvenni una borsa, credo di color marrone, in pelle, che prelevai e portai dove stavano in attesa il dottore Ayala e il dottore Teresi. Uno dei due predetti magistrati aprì la borsa e constatammo che non vi era all’interno alcuna agenda, ma soltanto dei fogli di carta. Verificato ciò, non ricordo esattamente lo svolgersi dei fatti. Per quanto posso ricordare, incaricai uno dei miei collaboratori di cui non ricordo il nome, di depositare la borsa nella macchina di servizio di uno dei magistrati”. Nella prima versione, datata 8 aprile 1998 (quindi sette anni prima che comparisse la foto che ritrae Arcangioli con in mano la borsa di Paolo Borsellino), Giuseppe Ayala ha raccontato di aver sentito l’esplosione dal Residence Marbella in cui alloggiava, a 200 metri in linea d’aria dal luogo della strage, e di essersi recato in via d’Amelio a piedi. Ayala ha affermato che davanti alla macchina del giudice Borsellino c’era un ufficiale dei Carabinieri in divisa che aprì la portiera, estrasse la borsa e fece il gesto per consegnargliela, ma lui rifiutò di prenderla in mano. Tre mesi dopo, ha deposto a Caltanissetta nel processo ‘Borsellino TER’. Ha confermato la versione precedente, dicendo però che non era più sicuro che la persona che prese la borsa dalla macchina del giudice fosse un carabiniere in divisa.
La seconda versione Nel settembre 2005, viene ascoltato in merito alle indagini seguite al ritrovamento della foto che ritrae il capitano Arcangioli con in mano la 24 ore di Borsellino. Ayala modifica sostanzialmente alcuni punti cruciali dei suoi ricordi, in particolare dal momento in cui si avvicina all’auto del giudice. Non è più l’ufficiale in divisa a estrarre la borsa dall’automobile, ma Ayala in persona ed è lui stesso a consegnarla all’ufficiale. Quando gli viene mostrata la foto di Arcangioli, dichiara: “Non ricordo di aver mai conosciuto, né all’epoca né successivamente il capitano Arcangioli. Non posso escludere ma neanche affermare con certezza che detto ufficiale sia la persona alla quale io affidai la borsa”. Ayala ha escluso “in modo perentorio” che sia stato l’ufficiale ad afferrare la borsa e a fare il gesto di passargliela.
La terza versione Nel febbraio 2006 Ayala viene nuovamente ascoltato. Modifica nuovamente la propria versione dei fatti. Questa volta si dice certo che chi ha prelevato la borsa non fosse in divisa, ma in borghese. Non fu lui quindi a estrarla, ma la prese in mano e la consegnò a un altro ufficiale in divisa. Dopo essere stato sentito dai PM di Caltanissetta, Ayala viene dunque messo a confronto con Giovanni Arcangioli, il carabiniere ritratto con la 24 ore in mano. Arcangioli ha dichiarato di aver ricevuto l’ordine di prendere la borsa probabilmente da Ayala e di aver guardato all’interno assieme a lui. L’ex parlamentare è stato fermissimo nel negare che gli eventi siano andati secondo quanto affermato da Arcangioli. Il giornalista Felice Cavallaro, che era sul luogo dell’attentato, ha confermato la versione di Ayala.
La quarta versione Luglio 2009. Ayala ha rilasciato un’intervista al sito internet Affaritaliani.it nella quale ha cambiato di nuovo versione: è lui che vede la borsa, la prende e la consegna a un ufficiale dei Carabinieri.
La quinta versione Borsellino QUATER, maggio 2013. Giuseppe Ayala ha detto di aver udito l’esplosione ed essersi diretto in macchina (quindi non a piedi) con i ragazzi della scorta verso via d’Amelio. A domanda specifica su chi abbia prelevato la borsa, ha risposto: “Ora, se materialmente l’ho presa io o se questa persona me l’ha data, io francamente questo è un dettaglio che non ricordo, non sta a me fare apprezzamenti e ci mancherebbe altro, ma la cosa importante è che io questa borsa l’ho avuta in mano, non c’è dubbio e l’ho consegnata immediatamente a un ufficiale dei Carabinieri, e lì finisce il mio rapporto con la borsa.”
Alla domanda se abbia aperto o meno la borsa, Ayala ha risposto: “Posto che l’agenda era nella borsa, non possiamo dubitarne, posto che il contenuto di quell’agenda era ignoto, tranne che al povero Paolo (…), la borsa non viene svuotata, viene eliminata l’agenda. Non penso che il criterio selettivo, perché di prelievo selettivo si tratta, sia stato in base al colore dell’agenda, io credo che sia stato in base al contenuto dell’agenda, allora ci vuole qualcuno che ha avuto il tempo di tirarla fuori, leggere e ritenere, tradendo le istituzioni, che era meglio che quella roba lì non venisse fuori. Lei pensa sia possibile farlo in quel contesto, davanti a decine di persone? (…) Senza che nessuno se ne accorga?”
Quindi, il Pm ha chiesto ulteriori informazioni riguardo all’ufficiale a cui avrebbe consegnato la borsa e Ayala ha affermato:“Aveva un’uniforme (…) Quando in un primo momento ho detto ‘ma come ho individuato questo ufficiale dei Carabinieri?’, poi c’ho riflettuto ed era un’uniforme non estiva, cioè non una di queste camicie azzurre, diciamo, era un’uniforme classica. Il grado non glielo so dire assolutamente ma ho capito che era un ufficiale, che era un carabiniere è sicuro. Non conoscevo quest’ufficiale”.
Le deposizioni di Giovanni Arcangioli Il tenente colonnello dei Carabinieri Giovanni Arcangioli (all’epoca dei fatti capitano) è colui che è stato ripreso da un fotografo poco dopo la strage mentre trasporta la borsa del giudice Borsellino verso l’uscita di via d’Amelio, in direzione di via Autonomia Siciliana. Dopo il ritrovamento della foto prima e di un video poi, l’autorità giudiziaria di Caltanissetta il 5 maggio 2005 lo convoca come persona informata sui fatti.
Le domande ancora aperte La versione dei fatti che sembra più probabile vede il dottor Ayala e il caposcorta Farinella arrivare tra i primi sul luogo della strage, aprire la macchina del giudice con l’aiuto di un vigile del fuoco, prelevare la borsa ancora integra e consegnarla a una persona non meglio identificata.hi è la persona alla quale fu consegnata la 24 ore di Borsellino? Era un ufficiale dei Carabinieri? La borsa compare successivamente in mano al capitano Arcangioli, che si dirige con essa verso la fine di Via d’Amelio. perché Arcangioli si sposta verso l’uscita della via? Cosa fa con la borsa? La borsa alla fine ricompare all’interno della macchina del giudice, dove è trovata dall’agente Francesco Maggi. Al momento del prelievo da parte di Maggi, la borsa presenta segni di bruciature. L’agenda rossa di Paolo Borsellino sparì nel pomeriggio del 19 luglio 1992.
Chi l’ha presa? “Chissà, forse un uomo delle istituzioni ha in mano l’agenda rossa di Paolo: sono sicura che esiste ancora. Non è andata dispersa nell’inferno di via d’Amelio, ma era nella borsa di mio marito, borsa che è stata recuperata integra, con diverse altre cose dentro. Sono sicura che qualcuno la conserva ancora l’agenda rossa, per acquisire potere e soldi. Quell’uomo che ha trafugato l’agenda rossa sappia che io non gli darò tregua. Nessun italiano deve dargli tregua”. (Agnese Borsellino)
19 luglio 1992: una borsa che cammina da solaIn Italia ogni omicidio eccellente che si rispetti ha i suoi misteri, i suoi depistaggi e oggetti che “misteriosamente” scompaiono. Scomparvero alcuni documenti dalla cassaforte del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, furono cancellati dei dati dall’agenda elettronica di Giovanni Falcone e furono trafugate delle carte dall’abitazione dell’agente di Polizia Antonino Agostino. Nel caso del giudice Paolo Borsellino, a scomparire, quel maledetto 19 luglio 1992, fu l’agenda rossa dalla quale negli ultimi mesi di vita non si separava mai. I familiari del giudice ne denunciarono subito la scomparsa tramite il dottor Antonino Caponnetto che il 25 luglio 1992 rilasciò le seguenti dichiarazioni alla stampa:
- Giornalista: “Allora c’è da sperare che il lavoro fatto da Borsellino sia al sicuro”.
- Caponnetto: “Lo spero. Per ora l’Agnese lamenta la sparizione dalla borsa della agenda di Paolo, che a lei è particolarmente cara. Un’agenda sopra cui c’era tutto l’indirizzario telefonico, anche quello di famiglia. Paolo non se ne distaccava mai, se la teneva con se’ in modo quasi ossessivo, al punto che il maresciallo Canale scherzando diceva che ci andava perfino al gabinetto”.
- Giornalista: “L’agenda era in una borsa che non è andata distrutta nell’esplosione?”
- Caponnetto: “La borsa c’è e manca solo l’agenda. E fino a ieri sera ancora non l’avevano ritrovata”.
L’allora capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera ipotizzò che con molta probabilità l’agenda fosse stata bruciata dalle fiamme in via D’Amelio e che comunque non fosse di importanza investigativa. La Barbera si rivolse ad Agnese Piraino Borsellino, moglie del giudice, con queste parole: “Quest’agenda è il frutto della vostra farneticazione”. Dell’agenda non si seppe più nulla. Finché non arrivò il 27 gennaio 2005, quando una fonte riservata segnalò alla redazione della rivista AntimafiaDuemila l’esistenza di una foto che ritraeva un carabiniere in borghese aggirarsi in via D’Amelio nei minuti successivi l’esplosione con in mano la borsa appartenuta a Paolo Borsellino (vedi foto in alto, ndr).
Il carabiniere della foto fu individuato dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Caltanissetta nel capitano dei ROS Giovanni Arcangioli ed ascoltato dall’Autorità Giudiziaria per la prima volta il 5 maggio 2005. Il 12 Ottobre 2006si apprese dalla stampa che Arcangioli era indagato dai magistrati inquirenti nisseni per false dichiarazioni al pubblico ministero. Il 1 febbraio 2008 il GIP Ottavio Sferlazza ordinò alla DDA di Caltanissetta l’iscrizione nel registro degli indagati di Arcangioli per il reato di furto con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa. Il 1 aprile 2008 il Giudice dell’udienza preliminare (GUP) di Caltanissetta Paolo Scotto di Luzio dichiarò il non luogo a procedere nei confronti di Arcangioli “per non aver commesso il fatto”. Infine il 17 febbraio 2009 la sesta sezione penale della Cassazione prosciolse definitivamente Giovanni Arcangioli dall’accusa di aver sottratto l’agenda rossa di Paolo Borsellino. Sul furto dell’agenda rossa non si celebrò nessun dibattimento, né a carico di Arcangioli né a carico di ignoti, nonostante le versioni di chi ebbe materialmente a che fare con la borsa di pelle nell’immediatezza della strage risultassero lacunose e discordanti. Di seguito analizzeremo nello specifico le dichiarazioni dei protagonisti che vennero a contatto con la borsa del giudice nei momenti immediatamente successivi alla strage di via D’Amelio, durante i quali l’agenda fu sottratta dalla borsa stessa. Le parole che leggerete sono tratte dalle testimonianze rilasciate, tra il 2004 e il 2013, dai protagonisti degli eventi durante le indagini seguenti al ritrovamento della famosa foto e durante le udienze dei processi ‘Borsellino TER’ e ‘Borsellino QUATER’.
I dati accertati Nel quadro delle dichiarazioni discordanti e a volte confuse che andremo ad esaminare, possiamo contare su alcuni fatti che sono incontrovertibili. Sappiamo con certezza, per esempio, dalle testimonianze della moglie Agnese Piraino e dei figli Lucia e Manfredi, che il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino aveva l’agenda rossa sulla scrivania del suo studio presso la casa a Villagrazia di Carini e che, alla partenza in direzione di via D’Amelio, l’agenda sul tavolo non c’era più. Sappiamo, dal racconto dell’unico sopravvissuto alla strage, l’agente di polizia Antonino Vullo, che Borsellino e la sua scorta non fecero soste durante il percorso verso via D’Amelio e che il giudice era solo al volante della sua Croma blindata. Sappiamo, grazie alle perizie della polizia scientifica su un filmato video, che tra le 17.20 e le 17.30 l’allora capitano dei Carabinieri Giovanni Arcangioli ebbe la borsa in mano e la portò in direzione dell’uscita di via D’Amelio. Sappiamo, dalle dichiarazioni rilasciate ai giornalisti da Arnaldo La Barbera pochi giorni dopo la strage, che la borsa fece tappa alla Questura di Palermo. Sappiamo che la famiglia del giudice controllò la borsa dopo la strage, denunciando la mancanza dell’agenda. Sappiamo che il primo verbale di apertura della borsa fu redatto dalla Procura di Caltanissetta il 5 novembre 1992, ben tre mesi e mezzo dopo la strage. Sappiamo, sempre grazie ai reperti fotografici e video, che la borsa nelle mani di Arcangioli era integra, senza segni di bruciature mentre la borsa repertata dalla Procura era parzialmente bruciata su un lato.
Le testimonianze sul prelievo della borsa Ai dati accertati di cui sopra, possiamo aggiungere alcune sequenze degli spostamenti della borsa del giudice considerando le dichiarazioni di due testimoni giunti in via D’Amelio poco dopo la strage: Rosario Farinella e Francesco Paolo Maggi. Rosario Farinella, carabiniere e membro della scorta dell’allora deputato Giuseppe Ayala, è stato identificato come colui che prelevò la borsa, integra, dalla macchina del giudice Borsellino su richiesta dello stesso Ayala. Francesco Paolo Maggi, agente della Polizia di Stato, dichiarò di aver preso anche lui la borsa e fu incaricato di portarla in un ufficio della Questura di Palermo. Maggi redasse una relazione di servizio con la descrizione minuziosa dei fatti in questione cinque mesi dopo l’evento e su richiesta del funzionario incaricato delle indagini, Arnaldo La Barbera. Grazie ai ricordi di Farinella e Maggi, siamo in grado di ricostruire due momenti importanti per definire la cronologia dei fatti.
Il primo prelievo della borsa Rosario Farinella ha testimoniato di essere arrivato in auto in via D’Amelio, assieme al collega Angelo De Simone(entrambi in servizio di scorta) e al dottor Giuseppe Ayala, pochi minuti dopo l’esplosione. Dopo aver riconosciuto il cadavere del giudice Borsellino, Giuseppe Ayala notò la borsa in pelle all’interno della macchina. Farinella ha dichiarato:
“Abbiamo raggiunto l’abitazione e sono salito nell’appartamento della personalità (Giuseppe Ayala, ndr), il quale aveva anche udito l’esplosione, per cui siamo immediatamente scesi per recarci in direzione della stessa via D’Amelio. Ricordo che il fumo era perfettamente visibile da dove ci trovavamo. A bordo dell’auto di servizio abbiamo raggiunto la via Autonomia Siciliana e da lì, a piedi, abbiamo cercato di entrare nella via D’Amelio”.
“Mi trovavo a circa 50 − 100 metri in linea d’aria, eravamo all’hotel Marbella (…). Stavamo aspettando la personalità che doveva scendere. Subito dopo lo scoppio l’abbiamo avvisato e abbiamo capito che veniva il fumo di là, lui diceva che là ci abitava la mamma del giudice Borsellino. (…) Insieme a me c’era una carabiniere De Simone. (…) Ci siamo portati su quella parte, siamo arrivati quasi i primi di tutti, contemporaneamente ai vigili del fuoco e nemmeno potevamo entrare per le fiamme che c’erano. (…) Siamo arrivati, ho dato ordine al mio carabiniere di lasciare la macchina, di chiuderla e di stare con me e la personalità. (…) Appena arrivati andiamo dove c’era il cratere e, camminando, vediamo i corpi dei colleghi della scorta. Siamo entrati dentro il cortiletto, abbiamo visto il dottore che era lì per terra e l’abbiamo riconosciuto per via dei baffi. (…) Al momento abbiamo pensato solo alle vittime, poi appena siamo usciti le due macchine erano posizionate al centro della strada. Guardando le macchine, il dottor Ayala ha visto che c’era la borsa dentro il sedile posteriore”
Farinella ed un vigile del fuoco forzarono la portiera della macchina e, dopo non pochi tentativi, riuscirono ad aprirla. A quel punto Farinella prese in mano la borsa, totalmente integra ed asciutta, fece per consegnarla ad Ayala che rifiutò di prenderla non essendo più magistrato in servizio. Dopo pochi minuti Ayala stesso chiamò un uomo in abiti civili, che indicò come un funzionario di Polizia o un ufficiale, e gli fece consegnare la borsa da Farinella, spiegandogli dove la avessero trovata e a chi appartenesse. Farinella ha dichiarato:
“Ricordo perfettamente che quando ci siamo avvicinati all’auto del magistrato che aveva tutte le portiere chiuse, ma non a chiave, il Dr. Ayala ha notato che all’interno della stessa, appoggiata sul sedile posteriore, c’era la borsa di cuoio del dr. Borsellino per cui, con l’aiuto dello stesso vigile del fuoco abbiamo aperto la portiera posteriore. Preciso che questa operazione non è stata semplice, in quanto l’esplosione aveva fatto incastrare le portiere. Io personalmente ho prelevato la borsa dall’auto e avevo voluto consegnarla al dr. Ayala. Questi però mi disse che non poteva prendere la borsa in quanto non più magistrato, per cui io gli chiesi che cosa dovevo farne. Lui mi rispose di tenerla qualche attimo in modo da individuare qualcuno delle Forze dell’Ordine a cui affidarla. Unitamente a lui ed al mio collega ci siamo allontanati dall’auto dirigendoci verso il cratere provocato dall’esplosione, mentre io reggevo sempre la borsa. Dopo pochissimi minuti, non più di 5 − 7, lo stesso Ayala chiamò un uomo in abiti civili che si trovava poco distante (…)”.
Secondo Farinella, l’uomo indicato da Ayala prese la borsa, parlò un po’ con l’ex PM e poi si diresse verso l’uscita di Via D’Amelio:
“Lui ha individuato una persona e mi disse ‘appuntato, dia la borsa a …’ mi avrebbe detto il nome ma non ricordo ed io ho consegnato la borsa alla persona che mi ha detto il dottor Ayala, che io non conoscevo. Mi ha detto che era un ufficiale o un ispettore, mi ha detto che era un funzionario appartenente o alla Polizia o ai Carabinieri. (…) Era in abiti civili. Penso che il dottor Ayala lo conosceva, perché mi ha detto ‘è una persona che conosco io’. Ayala gli disse ‘questa è la borsa che abbiamo preso dalla macchina del dott. Borsellino’. L’ufficiale non disse niente, a parte un ‘ci penso io, non vi preoccupate’, si sono parlati lui e Ayala. (…) Non abbiamo aperto assolutamente la borsa. Mentre avevo io la borsa non si è avvicinato nessuno, non ricordo che si avvicinò Cavallaro ma Ayala parlò con tante persone in quei momenti. (…) Una volta che l’ufficiale ha preso la borsa, ha parlato con il dottor Ayala, la prende e la porta via verso l’uscita, verso via Autonomia Siciliana. Poi ce ne siamo andati da lì e poi siamo andati a Mondello. Siamo andati via e non siamo più tornati”.
Riguardo le condizioni della borsa Farinella è sicuro, la borsa era integra: “Posso affermare con quasi certezza che la borsa che ho prelevato dall’auto era perfettamente integra e non presentava bruciature come quelle che sono evidenti nelle foto che mi mostrate. Peraltro, nel momento in cui abbiamo aperto l’auto la stessa non era stata interessata dalle fiamme nell’abitacolo. (…) le fiamme interessavano solo l’esterno dell’auto, compreso i pneumatici, ma non l’interno. Peraltro, se all’interno vi fossero state fiamme e fumo, non avremmo potuto notare nemmeno la borsa al suo interno.
Farinella si dice convinto che l’uomo a cui consegnò la borsa su richiesta di Ayala, non portasse distintivi delle forze dell’ordine in vista: “Non sono in grado di riconoscere la persona che mi mostrate; posso aggiungere però che non ricordo assolutamente che la persona alla quale ho consegnato la borsa avesse una placca metallica di riconoscimento; di questo particolare ritengo che mi ricorderei”.
Le testimonianze di Farinella del 2006 e del 2013 sono quasi sovrapponibili, tranne che per un piccolo particolare: nella seconda deposizione lo sportello che Farinella ricorda di aver aperto sembra essere stato quello destro.
Il secondo prelievo della borsa La borsa, dopo un breve lasso di tempo, ricompare lo stesso pomeriggio del 19 luglio 1992 nell’auto del giudice. Dopo anni di indagini e testimonianze, per l’autorità giudiziaria non è ancora stato possibile identificare la persona che riposizionò la borsa all’interno dell’abitacolo. L’agente Francesco Paolo Maggi, perlustrando la zona e le macchine, disse di essersi accorto di una borsa di pelle che, all’interno di una delle macchine blindate, stava per essere interessata da un inizio di fiamma. Dopo averla fatta spegnere da un vigile del fuoco, prese la borsa, parzialmente bruciacchiata e bagnata dagli idranti del pompiere, e si diresse verso il suo superiore, il funzionario Paolo Fassari a cui chiese disposizioni. Fassari gli ordinò di portare la borsa nell’ufficio dell’allora dirigente della Squadra Mobile, Arnaldo La Barbera. Maggi ha dichiarato: “Abbiamo iniziato a perlustrare la zona e le macchine. In tale contesto ho notato che all’interno della macchina blindata sulla quale viaggiava il magistrato c’era una borsa di cuoio che stava per essere aggredita dalle fiamme, tanto che risultava parzialmente danneggiata in un lato. Pertanto, ho attirato l’attenzione di uno dei vigili a me più vicino, chiedendogli di provvedere a spegnere la macchina e la borsa; cosa che fece ed io così ho potuto prelevarla. Preciso che la portiera posteriore sinistra dell’auto blindata era aperta mentre la borsa si trovava sul pianale posteriore, dietro il sedile passeggeri; dopo che il vigile ha spento le fiamme sono stato io ad allungarmi dal lato sinistro dell’auto per prelevare la borsa dal lato destro. Presa la borsa mi sono diretto verso l’uscita della strada per portarla al dottore Fassari il quali mi disse di portarla immediatamente alla Squadra Mobile e di depositarla nell’Ufficio dell’allora Dirigente, dottor Arnaldo La Barbera. Io ripresi l’auto di servizio e ottemperai immediatamente a quanto disposto. Giunto in ufficio, ricordo che nel corridoio antistante l’ufficio del dirigente c’erano diversi colleghi, tre o quattro, e tra costoro c’era un certo Di Franco, autista del dirigente, al quale spiegai la provenienza della borsa e la depositai sopra il divanetto che era ubicato sulla sinistra entrando nell’ufficio del dottor la Barbera, dopodiché ritornai in via D’Amelio. (…) Non ho mai aperto la borsa ed escludo che il dottore Fassari lo abbia fatto lì in mia presenza; lo stesso, apprendendo da me la provenienza della borsa, si è limitato a darmi la disposizione già riferita.
Ricordo di avere inizialmente fatto più volte avanti e indietro dalla via D’Amelio perché il fuoco e soprattutto il fumo impedivano di stare troppo vicino ai luoghi della strage. Ritengo che nel periodo in questione siano trascorsi circa 10 minuti”. In occasione della deposizione di Francesco Maggi al processo ‘Borsellino QUATER’, il Pubblico Ministero ha chiesto spiegazioni sul ritardo nella stesura della relazione di servizio da parte di Maggi e sulla consegna della borsa in Questura e Maggi ha così risposto: “‘Sta relazione non so perché non la feci al momento, l’ho fatta successivamente e la consegnai al dott. La Barbera personalmente. Si, magari lui si incavolò su questa cosa, disse ‘come mai ancora non l’hai fatta sta relazione?’, ‘dottore, tra una cosa e un’altra non l’ho fatta’, mi giustificai così. Mi venne richiesta la relazione dal dott. La Barbera perché dovevo essere sentito.. a quel tempo dal dottor Cardella (PM che si occupò delle indagini e del primo processo sulla strage di Via D’Amelio, NdA). (…) La borsa era piena sicuramente ed era abbastanza pesante, conteneva materiale all’interno. (…) La borsa l’ho consegnata al collega Di Franco, era l’autista del dottor La Barbera. Entrammo insieme nella stanza del funzionario, del capo della mobile, sulla destra c’era un divano con delle poltrone e l’ha messa sul divano”. L’allora Primo Dirigente Paolo Fassari, sentito dai PM di Caltanissetta, non ha ricordato di aver ordinato a Maggi di portare la borsa nella stanza del dottor La Barbera, né i colleghi di servizio nei pressi della stanza in questione hanno confermato a verbale di aver visto Maggi o preso da lui in custodia una borsa. In particolare, l’autista del dirigente Arnaldo La Barbera, il poliziotto Sergio Di Franco, ha negato fermamente di aver preso in carico la borsa e di aver incontrato Maggi che lo aveva chiamato in causa. Ad oggi, non sono stati trovati riscontri da parte dei colleghi di Francesco Maggi che abbiano potuto confermare la sua versione dei fatti; gli unici ricordi, per loro stessa ammissione molto flebili, sono quelli di due funzionari della Questura di Palermo, i vicequestori aggiunti Gabriella Tomasello e Andrea Grassi, che hanno ricordato vagamente di aver visto una borsa in pelle, rispettivamente, nella stanza del dottor La Barbera e in quella del dirigente della Sezione Omicidi. Il dottor Grassi ha ricordato di aver intravisto, dalla borsa che era aperta, ‘alcuni effetti personali, quali un pantaloncino o una maglietta tipo tennis’. Un pantaloncino fu effettivamente ritrovato all’interno della borsa.
Chi ha preso per primo la borsa? C’è chi, come il dottor Paolo Scotto di Luzio, il GUP che dichiarò il non luogo a procedere per il reato di furto aggravato dell’agenda rossa a carico di Giovanni Arcangioli, ha messo in discussione che Ayala e Farinella fossero stati i primi a prendere la borsa, ipotizzando che potesse essere stato lo stesso Maggi ad averla notata e prelevata per primo. Maggi dichiarò di essere arrivato sul posto quasi contemporaneamente ai primi vigili del fuoco. Ma è ragionevole ritenere che sia stato Farinella ad arrivare sul posto prima di Maggi. A tale conclusione si giunge confrontando gli spostamenti compiuti da Farinella e da Maggi prima di arrivare in via D’Amelio dopo lo scoppio dell’autobomba, fermo restando che tutti e due, una volta arrivati, furono impegnati in altre attività prima di occuparsi della macchina e della borsa del giudice. Farinella sentì l’esplosione e partì in macchina, assieme ad Ayala, dal Marbella Residence che è collocato ad una distanza percorsa in auto di circa 650 metri da via D’Amelio. Maggi ricevette la notizia dell’esplosione tramite radio, passò a prendere Fassari presso l’abitazione di quest’ultimo, sita in Corso Pisani, ed assieme a lui di diresse in via D’Amelio. Corso Pisani dista circa 6 chilometri da via D’Amelio. Risulta poco probabile che l’ispettore Maggi e il funzionario Fassari possano essere arrivati sul posto prima del deputato Ayala e dell’appuntato Farinella e ancor meno verosimile la possibilità che siano arrivati quasi contemporaneamente al primo gruppo di vigili del fuoco i quali, come risulta dalla relazione di servizio, giunsero sul luogo alle ore 17.03, dopo soli cinque minuti dall’esplosione.
Le testimonianze di Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli a confronto Abbiamo fin qui ricostruito alcuni passaggi del percorso della borsa di Paolo Borsellino dal momento dell’esplosione all’instante in cui fu verosimilmente depositata in Questura nella stanza del dottor Arnaldo La Barbera. Le parti mancanti sono nei ricordi contrastanti, parzialmente ritrattati e/o modificati dei due protagonisti principali di questi eventi: Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli.
Giuseppe Ayala L’allora parlamentare ed ora di nuovo magistrato Giuseppe Ayala ha dato negli anni cinque versioni differenti della vicenda. Su due punti, invece, ha confermato lo stesso ricordo: non aveva idea che in via D’Amelio abitasse la madre di Borsellino e non conosceva personalmente l’ufficiale al quale consegnò la borsa del giudice.
La prima versione Nella prima versione, datata 8 aprile 1998 (quindi sette anni prima che comparisse la foto che ritrae Arcangioli con in mano la borsa di Paolo Borsellino), Giuseppe Ayala, interrogato come persona informata sui fatti dai PM nisseni Carmelo Petralia ed Annamaria Palma, ha raccontato di aver sentito l’esplosione dal Residence Marbella in cui alloggiava, a 200 metri in linea d’aria dal luogo della strage, e di essersi recato in via D’Amelio a piedi: “Appena sentita la deflagrazione ed appreso dal personale della scorta il luogo presumibile dello scoppio, mi recai a piedi in direzione della zona interessata. (…) la vista dell’auto blindata che riconobbi come una di quelle della Procura mi diedero la certezza che si trattasse di un attentato in danno di un collega della Procura; non sapevo infatti che in quel luogo abitasse la mamma di Paolo Borsellino. Dal momento dello scoppio a quello del mio arrivo in via D’Amelio non trascorsero più di dieci−quindici minuti.” Ayala ha affermato che davanti alla macchina del giudice Borsellino c’era un ufficiale dei Carabinieri in divisa che aprì la portiera, estrasse la borsa e fece il gesto per consegnargliela, ma lui rifiutò di prenderla in mano: “(…) Vidi i primi cadaveri a brandelli ed osservai la blindata che era ancora integra. Cercai di guardare all’interno senza risultato per via del fumo che avvolgeva tutto. Tornai indietro verso la blindata della procura anche perché nel frattempoun carabiniere in divisa, quasi certamente un ufficiale, se mal non ricordo aveva aperto lo sportello posteriore sinistro dell’auto. Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiature e tuttavia integra,l’ufficiale tirò fuori la borsae fece il gesto di consegnarmela. Gli feci presente che non avevo alcuna veste per riceverla e lo invitai pertanto a trattenerla per poi consegnarla ai magistrati della procura di Palermo non appena fossero intervenuti. Davanti a me la borsa non fu né aperta, né poggiata su un muretto (…). Non so poi a chi di fatto sia stata consegnata.” Successivamente Ayala vide il corpo del giudice Borsellino ed incontrò il giornalista Felice Cavallaro, che lo invitò a tranquillizzare i suoi figli sul fatto che l’attentato non avesse avuto lui come bersaglio. Ayala decise allora di tornare a casa a telefonare: “Subito dopo mi diressi verso lo stabile. In prossimità dell’ingresso, sulla sinistra per chi lo guardava, inciampai in un troncone umano che solo successivamente capii essere quello del collega Borsellino. (…) Poco dopo arrivò Felice Cavallaro, il quale mi invita ad avvisare i miei figli del fatto che non ero coinvolto nell’attentato, essendo si sparsa la voce che l’attentato era stato perpetrato ai miei danni. Per tale ragione corsi subito a casa a telefonare. Complessivamente rimasi sul posto circa un’ora, forse anche meno”.
La prima versione riveduta Nemmeno tre mesi dopo, il 2 luglio 1998, Giuseppe Ayala ha deposto a Caltanissetta nel processo denominato ‘Borsellino TER’. Qui ha confermato la versione precedente, modificando leggermente un ricordo: non era più sicuro che la persona che prese la borsa dalla macchina del giudice fosse un carabiniere in divisa: “Sono tornato verso la macchina, era arrivato qualcuno… parlo di forze di polizia. Ora, il mio ricordo è che a un certo punto questa persona, che probabilmente io ricordo in divisa, però non giurereiche fosse un ufficiale dei Carabinieri, (…) ciò che è sicuro è che questa persona aprì lo sportello posteriore sinistro della macchina di Paolo. Guardammo dentro e c’era nel sedile posteriore la borsa con le carte di Paolo, bruciacchiata, un po’ fumante anche… però si capiva sostanzialmente… lui la prese e me la consegnò. (…) Io dissi: − Guardi, non ho titolo per… La tenga lei −”.
La seconda versione Il 12 settembre 2005, Giuseppe Ayala è stato sentito in merito alle indagini seguenti il ritrovamento della famosa foto che ritraeva il capitano Arcangioli con in mano la borsa del giudice Borsellino. Davanti ai magistrati di Caltanissetta, Francesco Messineo e Renato Di Natale, Ayala ha modificato sostanzialmente alcuni punti cruciali dei suoi ricordi di quella giornata. Ayala ha ribadito di essere arrivato in via D’Amelio a piedi e di non sapere che lì abitasse la madre del giudice: “Sono sceso e mi sono subito recato a piedi sul posto, ho percorso la via D’Amelio in direzione del fumo che notavo sempre più denso (…). Non avevo idea che cosa potesse essere avvenuto anche perché non sapevo che in quella via abitasse la madre del dottore Borsellino. (…) Dal momento in cui ho udito lo scoppio ed il momento del mio arrivo in via D’Amelio saranno trascorsi non più di 7 o 8 minuti (…)”. Ayala ha confermato di aver notato l’auto con l’antenna e di aver capito che fosse della Procura, di aver identificato il cadavere di Paolo Borsellino e, successivamente, di aver notato l’auto del magistrato. Ed è a questo punto che i ricordi di Ayala cambiano drasticamente: “Istintivamente mi allontanai qualche passo dell’auto di sopra e notai che lo sportello posteriore sinistro dell’autovettura – che non bruciava più − era aperto. Scorsi sul sedile posteriore una borsa di pelle bruciacchiata. Istintivamente la presi, ma mi resi subito conto che non avevo alcun titolo per fare ciò, per cui ricordo di averla affidata immediatamente ad un ufficiale dei Carabinieri che era a pochi passi. Era in divisa, perché diversamente non avrei potuto identificarlo come tale. Non riesco a ricordare se si trattasse della formale divisa oppure di una casacca come quelle che vengano adoperato in tali circostanze, comunque, non conoscevo l’ufficiale in questione. Nell’affidargli la borsa gli spiegai che probabilmente era la borsa appartenente al dottore Borsellino”. Non è più l’ufficiale in divisa, quindi, ad estrarre la borsa dalla macchina ma Ayala in persona ed è lo stesso Ayala a consegnarla all’ufficiale. Ayala ha confermato l’arrivo del giornalista Cavallaro ma, diversamente dalla deposizione al ‘Borsellino TER’, ha affermato di non essersi recato a casa per telefonare ai figli e di essersi recato subito a Mondello: “Poco dopo fui raggiunto dal dottore Felice Cavallaro, il quale piangendo mi comunicò che a Palermo si era sparsa la voce dell’attentato e venivo indicato come la vittima dell’attentato stesso. Mi suggerì di correre dai miei figli per rassicurarli. Per tale ragione lasciai la via D’Amelio e mi recai subito a Mondello presso la mia famiglia”.
Quando gli è stata mostrata la foto di Arcangioli, Ayala ha dichiarato: “Non ricordo di aver mai conosciuto, né all’epoca né successivamente il capitano Arcangioli. Non posso escludere ma neanche affermare con certezza che detto ufficiale sia la persona alla quale io affidai la borsa. Per quanto posso sforzarmi di ricordare mi sembra che la persona alla quale affidai la borsa fosse meno giovane, ma può darsi che il mio ricordo mi inganni. Insisto comunque nel dire che l’ufficiale ricevette la borsa e poi andai via”.
Ayala ha escluso “in modo perentorio” che sia stato l’ufficiale ad afferrare la borsa e a fare il gesto di passargliela: “Escludo comunque in modo perentorio che all’inverso sia stato l’ufficiale di cui si parla a consegnare a me la borsa. La borsa da me prelevata era bruciacchiata ma apparentemente integra. Non era particolarmente pesante, nel senso che il suo contenuto non sembrava avere un grosso spessore”. Sulla presenza della scorta Ayala, riducendo notevolmente il tempo di permanenza in via D’Amelio rispetto alle dichiarazioni del 1998, ha aggiunto: “Rimasi sul posto non più di 20 minuti complessivamente. Se mal non ricordo l’auto di servizio e quelle di scorta mi avevano frattanto raggiunto all’ingresso di via D’Amelio sulla mia autovettura partii per andare a Mondello dai miei figli.”
La terza versione L’8 febbraio 2006 Ayala è stato ascoltato dai magistrati nisseni Francesco Messineo e Renato Di Natale ed ha modificato nuovamente la propria versione dei fatti: “Subito dopo avere identificato i resti di Paolo Borsellino mi allontanai dal giardinetto del palazzo nel quale giacevano i detti resti e mi mossi verso l’autovettura del dottore Borsellino che si trovava a pochi metri dal giardinetto nella sede stradale. Qui incontrai il giornalista Cavallaro che, in preda a viva emozione, mi disse tra l’altro di raggiungere subito i miei figli a Mondello perché si era sparsa la voce che l’attentato era stato consumato in mio danno. In tale momento ebbi modo di vedere una persona in abiti borghesi (…) che è certo che non fosse in divisa, la quale prelevava dall’autovettura attraverso lo sportello posteriore sinistro una borsa. Io mi trovavo a pochissima distanza dallo sportello e la persona in divisa si volse verso di me e mi consegnò la borsa. E poiché ero già in posizione di fuori ruolo dalla magistratura per mandato parlamentare non avevo alcun titolo per ricevere detta borsa e quindi, dato che accanto alla macchina vi era anche un ufficiale dei Carabinieri in divisa, quasi istintivamente la consegnai al predetto ufficiale. (…) Non conoscevo e tuttora non ho mai avuto modo di conoscere né l’ufficiale in divisa né la persona in borghese di cui ho detto. Non lo ho riconosciuto neanche nella fotografia che mi viene mostrata pubblicata dal Corriere della Sera”. Questa volta Ayala si dice quindi certo che chi ha prelevato la borsa non fosse in divisa, ma in borghese. Non fu lui quindi a estrarla, ma la prese in mano e la consegnò ad un altro ufficiale in divisa. Ayala ha fatto presente ai magistrati l’esistenza di un testimone disposto a confermare la sua versione dei fatti, Felice Cavallaro, il quale sembra entrare in scena nel momento in cui la borsa viene prelevata dalla macchina, a differenza della prima versione di Ayala del 1998, nella quale il giornalista arrivava dopo il prelievo della borsa e dopo il riconoscimento del corpo di Borsellino. L’otto febbraio 2006 Giuseppe Ayala, dopo essere stato sentito dai PM di Caltanissetta, è stato messo a confronto con Giovanni Arcangioli, il quale ha dichiarato di aver ricevuto l’ordine di prendere la borsa probabilmente da Ayala e di avervi guardato all’interno assieme a lui. L’ex parlamentare è stato fermissimo nel negare che gli eventi siano andati secondo quanto affermato da Arcangioli: “Nego quindi sia di avere comunque richiesto il prelievo della borsa, sia di avere in qualsiasi modo aperto la borsa stessa o visionato il contenuto della predetta. Per altro, in contrasto con quanto ha affermato il Col. Arcangioli, io in quella circostanza non ho mai attraversato la via D’Amelio e non mi sono mai portato sul lato opposto alla casa della madre di Borsellino. (…) Non credo di avere mai conosciuto in precedenza il Col. Arcangioli, che credo di aver incontrato oggi per la prima volta. Non sono in grado di affermare o escludere che lo stesso Col. Arcangioli si identifichi nella persona in borghese che estrasse la borsa dall’autovettura.”
Felice Cavallaro, sentito dai magistrati Francesco Messineo e Renato Di Natale il 23 febbraio 2006, ha confermato la versione di Ayala (anche se ha posizionato la borsa sul pianale dell’auto e non sul sedile), aggiungendo alcuni particolari:
“Per quanto posso ricordare l’autovettura non era in fiamme e nemmeno da essa si levava fumo. Io e il dott. Ayala ci fermammo per qualche momento vicino all’autovettura di cui ho detto scambiandoci commenti sull’accaduto. A questo punto vidi una persona ancor giovane di età che indossava abiti civili con una camicia estiva e senza giacca il quale prelevava dall’autovettura del dottore Borsellino una borsa di cuoio che era posata sul pianale posteriore sinistro, dietro lo schienale dell’autista. La persona di cui ho detto prese la borsa e stava per consegnarla al dottore Ayala il quale, per quanto posso ricordare, non arrivò neanche ad impugnarla saldamente ma nel momento in cui ne sfiorava il manico venne preso dal dubbio di non essere a ciò autorizzato, dato che non rivestiva più la qualità di magistrato. Vidi pertanto il dottore Ayala, quasi con lo stesso movimento, consegnare la borsa ad un ufficiale dei Carabinieri in divisa che si avvicinò in quel momento. (…) L’ufficiale indossava la divisa estiva dei Carabinieri completa della giacca. Si trattava di un Colonnello o di un Ten. Colonnello perché le spalline portavano il contrassegno di una torre e comunque certamente non si trattava di un Capitano perché non aveva le tre stelle che io riconosco. Dopo che il Colonnello prese in consegna la borsa non ci siamo più interessati della questione.”
Questo ricordo, nella memoria di Cavallaro, è emerso a quattordici anni dalla strage e dopo quindici giorni che l’autorità giudiziaria di Caltanissetta aveva disposto il confronto diretto tra Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli che lo aveva chiamato in causa.
Dopo tre anni, il 22 luglio 2009, Cavallaro ha aggiunto inaspettatamente in un’intervista un dettaglio affermando che anche lui ebbe in mano la borsa:
- “(…) Eravamo accanto all’auto del giudice Borsellino con la portiera posteriore spalancata – ha detto Cavallaro – e fra il sedile anteriore dell’autoguida e la poltrona posteriore, proprio poggiata a terra, c’era una borsa di cuoio che una persona, credo un agente in borghese, ha preso e quasi consegnato a me, forse scambiandomi per un assistente (…) Fatto sta che questa borsa, avendola avuta per un istante così…avendola tenuta dal manico per un istante, io la stavo quasi passando al giudice Ayala con il quale ci siamo scambiati… così… degli sguardi. (…) Giuseppe Ayala ha avuto la prontezza di spirito di… vedendo un colonnello dei Carabinieri o comunque un alto ufficiale dei Carabinieri, del quale non ricordiamo con esattezza né i gradi né purtroppo il volto, (…) Il giudice Ayala ha consegnato questa borsa a un colonnello dicendo: − La tenga lei −”.
Durante la deposizione al processo ‘Borsellino QUATER’, il 29 aprile 2013, Felice Cavallaro ha confermato la versione data nell’interrogatorio del 2006 ed ha ribadito il dettaglio mancante emerso nell’intervista del 2009, aggiungendo però di non ricordarsi più il grado dell’ufficiale al quale fu consegnata la borsa e confermando che fosse in divisa.
Nel corso dell’udienza, l’avvocato di parte civile Fabio Repici ha mostrato a Cavallaro un articolo a sua firma, datato 26 luglio 1992, nel quale il giornalista scrive a proposito della sparizione dell’agenda rossa:
‘… Significa che, davanti alla portineria della strage, fino a domenica mattina doveva essere parcheggiata una macchina diversa da rimuovere poco prima del “via libera” con uno spostamento dell’autobomba, effettuato in un raggio ristretto alle vicinanze di via D’Amelio. Ma trovare il box o il garage d’appoggio non sarà facile. Non è l’unico buco nero. C’è pure quello dell’agenda di Borsellino. E’ sparita? A sera una Tv attribuisce alla famiglia la notizia del ritrovamento, ma in Questura non si retrocede dal ‘no comment’ ed ogni dubbio resta’
Alla richiesta dell’avv. Repici di spiegare per quale motivo Cavallaro non abbia ritenuto importante, dopo aver scritto della scomparsa dell’agenda rossa, comunicare all’autorità giudiziaria il fatto di aver avuto in mano un oggetto così importante, Cavallaro ha risposto:
“(…) Non devo averlo messo in relazione a questo… a quella scena della borsa.”
La quarta versione Il 23 luglio 2009 Ayala ha rilasciato un’intervista al sito internet Affaritaliani.it durante la quale, parlando del momento del prelievo della borsa dall’autovettura ancora fumante di Borsellino, ha cambiato ancora una volta versione:
“La borsa nera di Borsellino l’ho trovata io, dopo l’esplosione, sulla macchina. Che ci fosse, nessuno lo può sapere meglio di me, perché l’ho presa io. Non l’ho aperta io perché ero già deputato e non avevo nessun titolo per farlo. A differenza di quanto si ricordi, io sono andato in Parlamento prima della morte di Borsellino e quindi non avevo nessun titolo per aprirla. Ma io sono arrivato per primo sul posto perché abito a 150 metri. Anche prima dei pompieri. Quando l’ho trovata l’ho consegnata ad un ufficiale dei Carabinieri. E’ verosimile che l’agenda fosse dentro la borsa e che sia stata fatta sparire”.
E’ dunque Ayala che vede la borsa, la prende e la consegna ad un ufficiale dei Carabinieri. Ayala ha confermato la versione del luglio 2009 in occasione della manifestazione “FestivaLegalità” tenutasi a Venezia il 7 aprile 2013:
“(…) Dopodiché entro nel giardinetto e inciampo … stavo cadendo su un corpo, sono inciampato in un … cadavere bruciato, dopodiché io esco da questo giardinetto, quattro passi − questo è quello che io ricordo eh – non ho un ricordo lucido, il ricordo che io ho è che nella macchina di Paolo con lo sportello aperto questa borsa e istintivamente – non tenendo conto che non ero più procuratore della Repubblica (…) istintivamente io prendo questa borsa e la porto là e la consegno ad un ufficiale dei Carabinieri, non c’è dubbio che pensavo di metterla in mani sicure (…).”
La quinta versione All’udienza del processo Borsellino QUATER, il 14 maggio 2013, Giuseppe Ayala ha dato la quinta versione su quanto accaduto il 19 luglio 1992. Ayala ha detto di aver udito l’esplosione ed essersi diretto in macchina con i ragazzi della scorta verso via D’Amelio, dove arrivò circa dieci minuti dopo lo scoppio. Sul luogo si accorse della presenza di una macchina della Procura e poi riconobbe il cadavere di Paolo Borsellino: “Io abitavo al Marbella Residence (…) – ha dichiarato Ayala – che è a 300 metri rispetto a Via D’Amelio. (…) Scendo e con i ragazzi della scorta andiamo. Anche perché nessun collegamento potevo fare né lo potevano fare i ragazzi della scorta perché io non sapevo che la povera mamma di Paolo abitasse in quella zona, non avevo idea, per cui non ho pensato a nessuna soggettività particolare. E siamo scesi dalla macchina, siamo entrati in via d’Amelio, (…) mi avvicino verso, dove capivo che c’era stato l’epicentro, diciamo e vedo… e lì entrai un po’ in crisi perché vedo una macchina blindata con lo sportello posteriore aperto (…). E questa macchina era nelle immediate vicinanze di un cancelletto, di un accesso ad un giardinetto al di là del quale c’era il portone del palazzo. Mi viene istintivo entrare lì per capire meglio, per vedere meglio e sono inciampato. (…) su un troncone di uomo, con la testa, carbonizzato. (…)”
Poi Ayala si avvicinò alla macchina del giudice e vide la borsa: “Siccome lo sportello aperto era quello lato… posteriore (…) e in un fotogramma ho visto quella borsa che era proprio sul sedile posteriore, non c’è dubbio, ed era proprio lì, vicinissimo a me. In quel momento è arrivato Felice Cavallaro, stravolto, (…) La borsa era lì, io me la sono ritrovata in mano, mi sembra che ci fosse uno che me l’ha… ma era questione di centimetri, era proprio lì, vicinissima, ripeto, io l’ho tenuta pochissimi secondi in mano, poi ho visto questo ufficiale dei Carabinieri e gli ho detto ‘guardi la tenga…’ anche perché io non avevo nessun titolo per tenerla, non essendo in quel momento in ruolo, non facevo il magistrato, (…) C’era qualcuno (in abiti borghesi) ma forse più di uno, lì vicino, ma c’era molta gente che si andava avvicinando. Io quello che ricordo perfetto era Cavallaro alla mia sinistra (…) e poi c’era questo ufficiale dei Carabinieri che era quasi di fronte a me e poi ho intravisto con la coda dell’occhio c’erano altre persone, tre, due, non me lo ricordo, certo non eravamo solo io, Cavallaro, questo ufficiale dei Carabinieri, (…).”
A domanda specifica su chi avesse prelevato la borsa, Ayala ha risposto: “Ora, se materialmente l’ho presa io o se questa persona me l’ha data, io francamente questo è un dettaglio che non ricordo, non sta a me fare apprezzamenti e ci mancherebbe altro ma la cosa importante è che io questa borsa l’ho avuta in mano, non c’è dubbio e l’ho consegnata immediatamente a un ufficiale dei Carabinieri, e lì finisce il mio rapporto con la borsa.”
Il Pubblico Ministero ha chiesto se fosse possibile che qualcuno della sua scorta si fosse intromesso o si fosse adoperato in riferimento al prelievo della borsa dall’autovettura. Ayala ha risposto seccamente: “Lo escludo”.
Il PM ha poi rivolto ad Ayala ulteriori domande alle quali il magistrato ha così risposto:
“Guardi io, siccome sappiamo di cosa stiamo parlando, e cioè dell’agenda di Paolo, la cui esistenza ovviamente è confermata dai familiari più stretti e dai collaboratori più stretti di Paolo e che non essendosi trovata da nessuna altra parte è presumibile, è chiaro che era dentro quella borsa. Io non ne avevo idea di questo (che Paolo scrivesse tutto sulle sue agende), si può chiedere anche ai colleghi dell’epoca, diciamo. Paolo era noto e per me fu utilissimo perché lui teneva delle rubriche (…). Erano rubriche, di agende non me ne ricordo affatto ma soprattutto, (…) da sei anni non avevo contatti con Paolo, rapporti di lavoro, di ufficio, di frequentazione, da sei anni a parte alcune vicende occasionali, quindi io non avevo idea che ‘A’ che lui avesse un’agenda ma, dico, un’agenda ce l’avevamo tutti, ma soprattutto quello che ci fosse scritto. Che evidentemente, questo è una cosa di percezione immediata, eh, beh, che dovevano essere annotazioni delicate. (…), ‘B’ che fosse nella sua borsa, ‘C’ ma meno che mai che ci potessero essere delle annotazioni delicate, perché poi era pure domenica, nella borsa non pensi che ci possa essere…”
Ad Ayala è stato chiesto se abbia mai parlato con il giornalista Felice Cavallaro riguardo al prelievo della borsa. Ayala ha negato, nonostante nell’interrogatorio dell’8 febbraio 2006 avesse sostenuto di aver verificato assieme al giornalista i loro ricordi.
Ayala ha sostenuto, analogamente a quanto detto da Cavallaro, di non aver mai ricollegato la borsa con la sparizione dell’agenda rossa, di cui – ha detto – non venne a sapere per anni, nonostante tutti i giornali, a pochi giorni dalla strage, ne parlassero.
Alla domanda se abbia aperto o meno la borsa in quel frangente, Giuseppe Ayala ha risposto:
“Posto che l’agenda era nella borsa, non possiamo dubitarne, posto che il contenuto di quell’agenda era ignoto, tranne che al povero Paolo (…), la borsa non viene svuotata, viene eliminata l’agenda. Non penso che il criterio selettivo, perché di prelievo selettivo si tratta, sia stato in base al colore dell’agenda, io credo che sia stato in base al contenuto dell’agenda, allora ci vuole qualcuno che ha avuto il tempo di tirarla fuori, leggere e ritenere, tradendo le istituzioni, che era meglio che quella roba lì non venisse fuori. Lei pensa sia possibile farlo in quel contesto, davanti a decine di persone? (…) Senza che nessuno se ne accorga?”
Il PM di Caltanissetta ha chiesto ulteriori informazioni riguardo all’ufficiale a cui Ayala avrebbe consegnato la borsa ed Ayala ha affermato:
“Aveva un’uniforme (…) Quando in un primo momento ho detto ‘ma come ho individuato questo ufficiale dei Carabinieri?’, poi c’ho riflettuto ed era un’uniforme non estiva, cioè non una di queste camicie azzurre, diciamo, era un’uniforme classica. Il grado non glielo so dire assolutamente ma ho capito che era un ufficiale, che era un carabiniere è sicuro. Non conoscevo quest’ufficiale”.
Il Pubblico Ministero ha infine chiesto ad Ayala di specificare il tempo di permanenza sul luogo della strage, rileggendo un verbale del 1998, dove il magistrato dichiarava di essere rimasto in via D’Amelio circa un’ora. La risposta di Ayala è stata la seguente:
“Un’ora?? Ma questo è un errore di verbalizzazione clamoroso, bisogna leggerli i verbali prima di firmarli. Ma quale un’ora? E nel verbale del 2005 che cosa ho detto?”
Ayala ha sostenuto di essere rimasto sul luogo un tempo massimo di venti minuti.
Giovanni Arcangioli
Il tenente colonnello dei Carabinieri Giovanni Arcangioli (all’epoca dei fatti capitano) è colui che è stato ripreso da un fotografo poco dopo la strage mentre trasporta la borsa del giudice Borsellino verso l’uscita di via D’Amelio, in direzione di via Autonomia Siciliana. Dopo il ritrovamento della foto prima e di un video poi, l’autorità giudiziaria di Caltanissetta il 5 maggio 2005 lo convocò come persona informata sui fatti.
I PM hanno cercato di chiarire alcuni punti e Arcangioli ha risposto:
“Non riesco a ricordare se mentre mi recavo sul luogo della strage mi fu detto per radio che una delle vittime era il dottor Borsellino. (…) Prelevata la borsa mi spostai andando verso i palazzi di fronte all’abitazione della mamma del dottore Borsellino, non ricordo se scendendo in direzione di via Autonomia Siciliana o in direzione opposta. Ricordo comunque di non aver mai superato, portando la borsa, il cordone “di Polizia” che sbarrava l’accesso alla via D’Amelio. Non ho un ricordo preciso. Posso comunque affermare con certezza che quando ho aperto la borsa per esaminarne il contenuto mi trovavo nel luogo che già ho indicato e cioè sul lato opposto della via D’Amelio rispetto alla casa della madre del dottore Borsellino. Non so dire però a quale altezza rispetto all’asse longitudinale della strada. Quando ho aperto la borsa credo di ricordare che era con me il dottore Ayala; credo anche di ricordare che vi era altra persona, di cui però non so indicare alcun elemento identificativo. Per quanto posso ricordare il prelievo della borsa fu da me effettuato su richiesta di un magistrato che, per esclusione, dato che non si trattava del dottore Teresi, credo di poter identificare nel dottor Ayala. La verifica del contenuto, per quanto ricordo, fu una iniziativa condivisa con il dottor Ayala. (…) Non riesco a ricordare se la prelevai direttamente io ovvero se fu altra persona di cui comunque non conservo memoria. (…) Ricordo di aver verbalmente riferito al mio superiore dell’epoca, Capitano Minicucci, in ordine al contenuto della borsa del dottore Borsellino ed in particolare che vi si trovava un crest dei Carabinieri.”
Arcangioli ha fatto quindi entrare in scena il suo superiore dell’epoca, il capitano (oggi tenente colonnello) Marco Minicucci, il quale, sentito dai magistrati, ha ricordato del rapporto a voce che il capitano Arcangioli gli fece circa il rinvenimento della borsa e del coinvolgimento di un magistrato presente sul posto, di cui, però, Minicucci non ha ricordato il nome.
La testimonianza al processo ‘Borsellino QUATER’
Il 14 maggio 2013 Giovanni Arcangioli ha deposto a Caltanissetta al processo ‘Borsellino QUATER’. Il tenente colonnello ha iniziato la sua testimonianza denunciando le vicissitudini e le difficoltà passate dal giorno del ritrovamento della foto che lo ritraeva con la borsa del giudice in mano ed ha detto alla corte di non essere nelle condizioni di serenità necessarie per poter rendere una testimonianza utile. Ed infatti la sua testimonianza è stata piena di “non ricordo” e di “non posso esserne sicuro”. Arcangioli ha confermato solo una piccola parte dei ricordi affiorati nelle precedenti versioni:
“Quando mi hanno dato quella borsa – ha testimoniato Arcangioli − ho aperto la borsa ed ho controllato, non ho visto niente di importante, la borsa aveva un valore pari a zero, l’unica cosa che mi ha colpito è stato questo crest dei Carabinieri. (…) Il primo dei magistrati che vidi io fu il dottor Ayala. Il 19 luglio conoscevo già il dottor Ayala, (…) frequentavo la procura e in procura ho visto e conosciuto il dottor Ayala. Non credo di averci mai fatto indagini. Non ricordo di aver avuto contatti personali con il dottor Ayala, ricordo che quella persona fosse il dottor Ayala e ricordo di averlo visto in procura. (…) Oltre al crest c’era qualcos’altro ma non ha attirato assolutamente la mia attenzione. (…) Non ricordo di averla presa io la borsa dalla macchina, quindi immagino che me la abbiano passata. (…) Io mi ricordo la presenza del dottor Ayala, mi ricordo che fece un qualche cosa, non ho il ricordo esatto di cosa fece.”
Sulla mancata relazione di servizio Arcangioli ha affermato:
“In quel contesto non avevo necessità, non avevo, diciamo così, dovere di fare relazione di servizio, diverso è quando uno non la fa e la fa a posteriori dopo sei mesi. Però a me viene contestata questa cosa come tante altre, ad altri queste cose non vengono contestate”.
Durante l’udienza Arcangioli ha sottolineato più volte che agli atti del suo procedimento furono acquisiti solo dei riassuntivi e non gli integrali degli interrogatori, dove, secondo lui, si sarebbero evinte le incertezze e la confusione che ebbe sin dall’inizio circa i suoi ricordi. Inoltre, l’allora capitano dei Carabinieri ha lamentato più volte una disparità di trattamento tra se stesso e chi ha modificato più volte la propria versione (con riferimento indiretto a Giuseppe Ayala) o chi ha redatto una relazione di servizio con cinque mesi di ritardo, seppur appartenente all’organo che fu ufficialmente incaricato di svolgere le indagini, riferendosi quindi all’agente di Polizia Francesco Paolo Maggi.
L’intercettazione Il 24 maggio 2010 la DIA di Caltanissetta, lavorando ad un’indagine diversa da quella sulla scomparsa dell’agenda rossa ha intercettato una telefonata tra Massimo Ciancimino, testimone e imputato nel processo in corso a Palermo sulla trattativa Stato–mafia, e la giornalista Elvira Terranova.
Durante la conversazione intercettata Ciancimino e Terranova parlano dell’agenda rossa e di un colonnello:
Terranova: “Per altro, all’uscita, il colonnello mi ha voluto fermare e mi ha detto: ‘Mi dispiace se le ho creato problemi … però … io, insomma mi sono trovato in grosse difficoltà ho dovuto querelare … quindi mi dispiace per averla fatta venire qui, capisco che è un momento un po’ così ma anche io, insomma ho avuto i miei problemi’… ho detto no, si figuri …”.
- Ciancimino: “… Si … va bè … (si accavallano le voci) … fai … quello che piglia l’agen… quello che piglia la borsa … ma digli che se la vadano a pigliar… ”
- Terranova: “… E infatti alla fine che abbiamo discusso, gli ho detto scusi, ma mi toglie una curiosità? … sta agenda rossa dove caspita è finita? …fa “allora non mi crede? … io non me lo ricordo a chi l’ho data la borsa e poi non è detto che ci fosse l’agenda rossa dentro”.
- Ciancimino: “Si la moglie… che fa è pazza? Dai!! (si riferisce ad Agnese Borsellino, che testimoniò che il marito avesse con sè l’agenda quando partì per via D’Amelio quel giorno, NdA)”.
- Terranova: “… Non lo so … la moglie … anche il figlio … pure Manfredi aveva detto che c’era l’agenda … bò, non lo so, io oggi (accavallano le voci) …”
- Ciancimino: “Gli assistenti di Falcone!!! Dai … gli assistenti di Falcone … no, può essere che ancora prima che arrivasse lui qualcun altro l’ha levata, io questo non lo escludo”.
- Terranova: “… No, lui ha fatto un po’ così … notare una cosa … dice: “Ayala, la prima cosa che ha fatto invece di preoccuparsi se era morto Borsellino mi ha fatto aprire con il piede di porco la blindata che era ovviamente tutta chiusa … (accavallano le voci)”.
- Ciancimino: “… Allora chi è paraculo campa cent’anni …”
- Terranova: “… Io ho detto va beh. Ma Ayala dico non è mai stato indagato … e lui fa: ‘Appunto, come mai’.”
- Ciancimino: “… Ayala … non ricordo … ricordo … chi è paraculo campa cent’anni …”
Durante un’udienza del processo ‘Borsellino QUATER’ l’avvocato di Salvatore Borsellino, Fabio Repici, ha chiesto a Giovanni Arcangioli se conoscesse la giornalista Elvira Terranova e se a lui capitò mai di parlare con lei del processo e dell’agenda rossa. Nella sua risposta Arcangioli sembra confermare l’incontro di cui si parla nella telefonata intercettata:
“Elvira Terranova l’ho conosciuta molto dopo, perché a seguito delle notizie che sono uscite sulla mia persona ho presentato una serie di denunce e credo che la giornalista Elvira Terranova abbia oblato per il reato di pubblicazione di notizie coperte da segreto.
Non ricordo di aver parlato della borsa di Borsellino al telefono, l’ho vista al tribunale di Catania quando ha oblato. Mi disse che le mie denunce le avevano provocato dei problemi (…) ed io le dissi che in questo modo dovevo tutelare la mia persona e la mia immagine (…). L’argomento si spostò… le dissi che io poiché ero stato, diciamo così, indagato e imputato perché i miei ricordi erano labili e sicuramente fallaci, e quindi ero stato per false indicazione al PM e poi per furto aggravato mentre lo stesso trattamento non era stato riservato ad altre persone il cui ricordo era altrettanto labile e le cui versioni si erano modificate nel corso degli anni. Feci riferimento in particolare al dottor Ayala”.
Conclusioni
Dopo aver letto queste testimonianze possiamo avere un quadro più chiaro su quelli che sono i dati accertati e sui vuoti di memoria ancora esistenti in merito a ciò che accadde in via D’Amelio il 19 luglio 1992 poco dopo la strage.
Dalle dichiarazioni fornite da Giuseppe Ayala, Giovanni Arcangioli e Rosario Farinella si evince che lo sportello dell’auto del giudice Borsellino fu aperto pochi istanti prima che fosse asportata la borsa del magistrato. Francesco Paolo Maggi, invece, trovò lo sportello già spalancato.
La versione dei fatti che sembra più probabile vede il dottor Ayala e il caposcorta Farinella arrivare tra i primi sul luogo della strage, aprire la macchina del giudice con l’aiuto di un vigile del fuoco, prelevare la borsa ancora integra e consegnarla ad una persona non meglio identificata.
Qui c’è il primo vuoto: chi è questa persona? Era un ufficiale dei Carabinieri? Se si, era Giovanni Arcangioli?
La borsa compare successivamente in mano al capitano Arcangioli, che si dirige con essa verso la fine di Via D’Amelio.
Secondo vuoto: perché Arcangioli si sposta verso l’uscita della via? Cosa fa con la borsa?
La borsa alla fine ricompare all’interno della macchina del giudice, dove è trovata dall’agente Francesco Maggi che la prende e la porta nella stanza del dirigente Arnaldo La Barbera. Al momento del prelievo da parte di Maggi, la borsa presenta segni di bruciature. Da quando viene depositata nella stanza di La Barbera, passeranno ben tre mesi e mezzo prima che compaia il primo atto scritto riguardante questa borsa: un verbale di apertura redatto dalla Procura di Caltanissetta.
La ricostruzione cronologica dei passaggi di mano della borsa del giudice Borsellino presenta ancora dei ‘buchi neri’ ed i protagonisti degli eventi hanno fornito, durante le udienze del processo ‘Borsellino QUATER’, ulteriori versioni dei fatti rispetto a quanto dichiarato in precedenza. Alla luce di queste considerazioni sorge spontanea la domanda: sono in corso nuove indagini sulla sottrazione dell’agenda rossa? L’autorità giudiziaria di Caltanissetta sta procedendo in questa direzione?
Ad oggi sappiamo che l’agenda rossa di Paolo Borsellino sparì nel pomeriggio del 19 luglio 1992, mentre i cadaveri del giudice e dei cinque agenti della sua scorta erano ancora caldi. I familiari e colleghi di Borsellino ne denunciarono subito la scomparsa e l’importanza ma evidentemente le autorità competenti non ritennero di darle il peso cruciale che realmente aveva. Una telefonata anonima decise nel 2005 di far trovare una foto finita nel dimenticatoio per tredici anni, riaprendo il “caso dell’agenda rossa”. Quando i ricordi affiorarono nuovamente alla mente di alcune persone, emersero palesi contraddizioni e comodi vuoti di memoria. Ritardi, mancanze e leggerezze che hanno fatto si che, dopo ventidue anni, l’agenda rossa ed i responsabili del suo trafugamento non siano ancora pervenuti alla giustizia.
“Chissà, forse un uomo delle istituzioni ha in mano l’agenda rossa di Paolo: sono sicura che esiste ancora. Non è andata dispersa nell’inferno di via d’Amelio, ma era nella borsa di mio marito, borsa che è stata recuperata integra, con diverse altre cose dentro. Sono sicura che qualcuno la conserva ancora l’agenda rossa, per acquisire potere e soldi. Quell’uomo che ha trafugato l’agenda rossa sappia che io non gli darò tregua. Nessun italiano deve dargli tregua (Agnese Borsellino)”
Federica Fabbretti (Paolo Borsellino e l’agenda rossa, 19 luglio 2014, www.19luglio1992.com)
PALERMO, 20 MAG 2013 – ”L’agenda rossa che Borsellino usava era grande, un’agenda dell’Arma dei carabinieri in cui Paolo scriveva tutto: dopo la morte di Falcone comincio’ a usarla sempre piu’ spesso”. E’ la testimonianza di Diego Cavaliero, ex pm a Marsala quando Borsellino era procuratore capo, molto vicino al magistrato ucciso in via D’Amelio il 19 luglio del 1992. Cavaliero ha deposto davanti alla corte d’assise di Caltanissetta che celebra il quarto processo sulla strage. Il testimone ha ricordato il particolare modo di prendere appunti di Borsellino. ”Usava dei simboli – ha detto – Ad esempio, quando andava a trovare la madre disegnava una chiocciola”. Infine Cavaliero ha riferito di avere appreso dalla vedova del giudice una confidenza ricevuta dal marito prima della sua morte e che riguardava l’ex capo del Ros Antonio Subranni. ”Paolo le avrebbe detto – ha raccontato – che Subranni era punciuto (affiliato alla mafia, ndr)”
La borsa di Borsellino – Parlando delle modalità con cui ricevette la borsa di Borsellino, al cui interno ha dichiarato di non aver mai saputo che poteva esserci l’agenda rossa, in mano ha aggiunto: “Non ricordo come la borsa sia arrivata nelle mie mani. Mi trovo con questa borsa di Paolo in mano. Non so che farne, sono confuso. In uno stato di agitazione trovo due ufficiali dei carabinieri e la consegno agli ufficiali. Cosa che rifarei. Poi me ne vado. Accanto a me c’era il giornalista Felice Cavallaro il quale insiste e mi dice, ‘Ah Giuseppe meno male che sei vivo. Palermo è piena della voce che l’attentato l’hanno fatto a te. Vai subito dai tuoi figli. E io me ne vado. Mi ritrovo con quella borsa in mano forse per meno di un minuto”. Ayala dunque ha raccontato di essere tornato a casa per tranquillizzare i suoi figli. Proprio le tempistiche sulla sua presenza in via d’Amelio restano poco chiare. Giovedì, come al Borsellino quater, ha sostenuto di essere stato sul luogo della strage per pochi minuti. Eppure nel primo verbale del 1998 aveva dichiarato di essere stato presente per circa un’ora mentre nel verbale del settembre del 2005 aveva asserito di “di essere rimasto in via d’Amelio per non più di 20 minuti”. Alla domanda del procuratore Bertone che gli ha chiesto il motivo per cui non ha telefonato a casa per tranquillizzare i figli, Ayala ha replicato dicendo che non aveva telefono. Ma il procuratore capo di Caltanissetta ha incalzato evidenziando come vi siano immagini delle televisioni dove lo stesso Ayala è inquadrato mentre telefona. “Io vorrei vedere queste immagini. Faccio fatica a credere che ci siano” ha risposto il teste.Anche l’avvocato Repici ha evidenziato delle anomalie rispetto a quell’azione in primo luogo perché, secondo quanto affermato dallo stesso ex pm, immediatamente dopo lo scoppio della bomba si sarebbe visto con la moglie che era appena uscita di casa (“Forse ci scambiammo uno sguardo”), poi perché il giornalista Cavallaro si sentì al telefono con la stessa donna (“Lei oggi dice che lui arrivò dicendole ‘meno male che sei vivo’. Ma se ha già sentito sua moglie che sapeva che era vivo non è tanto normale che esordisca in quel modo” ha sottolineato il legale). Rispetto alle precedenti dichiarazioni l’ex parlamentare del Pri è stato meno certo rispetto al dato se avesse visto o meno la borsa all’interno della macchina di Borsellino “Ci metto un forse davanti. Forse sì ma non ne sono sicuro” ha dichiarato giovedì. Diversamente al Borsellino quater, sentito il 14 maggio 2013 aveva dichiarato con più sicurezza: “tornai verso la macchina e notai lo sportello posteriore sinistro aperto. Appoggiata sui sedili, più verso il lato del guidatore, notammo la valigetta”. Mentre in un verbale precedente aveva indicato la presenza della borsa in un’altra posizione (“Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiatura e tuttavia integra”). Quando l’avvocato Repici ha chiesto se sapesse se la borsa la prese dalla macchina o se la prese qualcuno per dargliela Ayala ha sbottato: “Confermo che quella borsa è arrivata nella mia mano, confermo che l’ho consegnata all’ufficiale dei Carabinieri, visto il momento non ricordo come è arrivata nella mia mano. Sarà una colpa gravissima di cui risponderò davanti a Dio. Se non me lo ricordo cosa vuole?”.Per chi è credente la giustizia di Dio non è qualcosa di astratto così come, per chi è laico, non lo è neanche la giustizia degli uomini, e Ayala avrà il suo bel da far per dare risposte che vadino oltre al “non ricordo” e le “versioni discordanti”. Il nervosismo del teste si è manifestato in tutto il corso della deposizione. “Non so quante volte sono stato sentito in questa vicenda. Avanzare dubbi con una forma ossessiva è una cosa che mi crea disagi” ha aggiunto Ayala riferendosi sia a Salvatore Borsellino che alla figlia del giudice, Fiammetta, più volte dicendo di non ricordare alcune circostanze perché sono passati 27 anni dai fatti.Ayala ha anche preso le distanze rispetto a quanto dichiarato da un uomo della sua scorta, Farinella, che ai giudici disse che Ayala sapeva che in via d’Amelio abitava la madre di Borsellino. “E’ del tutto inventato. O un cattivo ricordo, non voglio essere offensivo – ha detto giovedì il teste – Io non avevo idea che lì vi abitasse la madre di Paolo Borsellino. Che non lo sapevo è una certezza. Devo dire che di questo caposcorta, deve essere lui che ha detto della consegna della borsa ad un uomo in borghese, mi è venuta una curiosità. Bisognerebbe controllare se questa dichiarazione è stata fatta prima o dopo l’arrivo del filmato che ritrae un ufficiale dei Carabinieri (Arcangioli, ndr) che la porta via. Perché se è antecedente mi fa pensare ad una possibile copertura. Verifichiamo le date. Coperture di cosa? Mi dicono che c’erano uomini di servizi segreti. Felice Cavallaro, firma storica del Corriere della Sera, conferma la consegna ad un ufficiale dei Carabinieri, non ad un uomo in borghese. Siamo due a uno calcisticamente parlando”. Dunque Ayala ha totalmente escluso di aver consegnato la borsa ad Arcangioli, affermando che le immagini in cui lo stesso è ritratto con la valigetta in mano sono sicuramente successive alla sua presenza in via d’Amelio. E rispetto all’accusa mossa in passato dal colonnello dei carabinieri che riferì della presenza dell’ex pm al momento della verifica del contenuto della borsa ha parlato di “terrapiattismo”.Le immagini di via d’AmelioAltro momento di scontro c’è stato quando l’avvocato Repici ha ritenuto di mostrare alcune immagini della strage di via d’Amelio, acquisite agli atti, dopo aver fatto un lungo elenco di nomi di figure che sono state identificate nel luogo dell’attentato, tra cui il maggiore dei carabinieri Borghini, che era in divisa. Una visione che Ayala, preventivamente e ingiustificatamente, vorrebbe evitare affermando di “escludere che dopo 27 anni posso riconoscere da una fotografia quelli che ho visto per pochi secondi in quel momento. E sono sicuro che anche lei non ci riuscirebbe. Quindi non perdiamo tempo”. Vedendo le immagini Ayala ha riconosciuto Mazzamuto, un collega magistrato con cui non aveva avuto alcun tipo di rapporto, e il Prefetto Iovine.Divrsamente non ha riconosciuto l’unico uomo in divisa dei Carabinieri, appunto Borghini, successore di Mori al Ros. “Non lo ricordo. Mori lascia Palermo nel 1990. E io nell’ultima parte della mia carriera a Palermo mi sono occupato di furti Enel, questo chi lo doveva vedere?”. Ayala ha anche riconosciuto se stesso in un fotogramma ed è rimasto incredulo rispetto all’assenza di Cavallaro nelle immagini ribadendo, comunque, di essersene andato dal luogo del delitto dopo pochi minuti.
La testimonianza di Salvatore La Barbera– Il processo è proseguito con l’audizione di Salvatore La Barbera, ex membro della Squadra Mobile di Palermo ed oggi a capo del Compartimento di Polizia postale delle comunicazioni per la Lombardia con sede a Milano, che si occupò delle indagini sulla strage di via d’Amelio. In passato fu anche indagato per il depistaggio sulla strage, accusato direttamente dai due falsi pentiti Salvatore Candura e Francesco Andriotta che hanno dichiarato che lui era presente in diverse fasi della loro “falsa collaborazione”. La sua posizione fu archiviata assieme a Vincenzo Ricciardi e Mario Bo con quest’ultimo che oggi si trova imputato nel processo. L’esame di La Barbera, al tempo giovanissimo funzionario di polizia che lavorava alla sezione omicidi, è durato circa un paio d’ore in cui ha risposto alle domande del procuratore capo Bertone a quelle del sostituto procuratore Stefano Luciani e delle parti civili. “All’epoca delle stragi fui investito delle indagini su Capaci, solo in parte su quelle di via d’Amelio per quanto riguarda i telecomandi utilizzati – ha riferito al Tribunale – Il giorno della strage andai in via d’Amelio ma vidi che era presente il dottor Fassari, funzionario di turno quel giorno, così decisi di tornare in ufficio. Non avrei potuto fare qualcosa di diverso”. Rispondendo alle domande del pm ha riferito di non aver mai saputo che Arnaldo La Barbera aveva dei rapporti con i servizi di informazione, né aveva mai saputo alcunché delle informative del Sisde in cui si rappresentava, nell’agosto ’92, che la Polizia era già in grado di individuare il luogo in cui l’auto fosse stata ricoverata per essere imbottita di esplosivo. “Non ho memoria di apporti informativi dei servizi – ha detto – Non credo, non mi viene in mente ma mi sentirei di escluderlo”. E quando Luciani gli ha rivelato l’esistenza del documento ha aggiunto: “Io ho il ricordo che noi arrivammo ad avere elementi come il blocco motore che ci permise di individuare la 126 e la targa che portò alla carrozzeria. Dire però che si era individuato il luogo dell’imbottitura mi sembra un po’ un volo pindarico”. Certo è che tra le anomalie e le zone d’ombra di quelle prime indagini sulla strage vi è la singolare cronologia del sopralluogo eseguito dalla Polizia Scientifica di Palermo (“su richiesta della locale Squadra Mobile”), nella carrozzeria di Giuseppe Orofino alle ore 11 del lunedì 20 luglio 1992. Proprio in quella mattina, un paio d’ore prima, quest’ultimo aveva denunciato, il furto delle targhe (ed altro) da una Fiat 126 di una sua cliente, all’interno della sua autofficina. Ebbene, quando vennero compiuti quei rilievi ancora in via d’Amelio non erano stati rinvenuti né la targa oggetto della denuncia di Orofino (la stessa venne ritrovata soltanto il 22 luglio 1992), né il blocco motore della Fiat 126 rubata a Pietrina Valenti (rinvenuto verso le 13.00/13.30 di quel 20 luglio 1992).Non solo. Il blocco motore fu attribuito ad una Fiat 126 solo nel pomeriggio del 20 luglio, quando un tecnico Fiat di Termini Imerese, riuscì a certificare il dato.Perché dunque vi fu quel sopralluogo nella carrozzeria di Orofino. La Barbera ha spiegato al Tribunale che “quella denuncia del furto della targa lasciò sospetti in quanto vi era stata una segnalazione del fatto che l’Orofino era stato visto salutare un pregiudicato tempo prima. Quindi la scientifica fu mandata sul posto a cristallizzare il fatto”. Successivamente il teste ha persino aggiunto che “qualora vi fossero stati in quel giorno altri furti di targa lui stesso avrebbe ordinato il medesimo sopralluogo anche negli altri luoghi”. Una circostanza sicuramente anomala così come anomalo è il dato che, già nel pomeriggio del 19 luglio 1992, fonti della Polizia di Stato ipotizzavano (con tanto di lancio di agenzia) l’utilizzo, come autobomba, proprio di una Fiat di piccole dimensioni e, in particolare, “una 600, una Panda, una 126”.Nel corso dell’esame, in cui ha spiegato il motivo per cui non entrò a far parte ufficialmente del gruppo Falcone e Borsellino (“Preferivo restare alla Mobile. Solo in alcun occasioni La Barbera mi chiese di accompagnare qualche magistrato per attività”) non sono mancati i “non ricordo”. Tra le attività a cui partecipò vi fu l’interrogatorio di Andriotta accompagnando la dottoressa Boccassini nel settembre 1993: “La Barbera diede la disposizione di andare e non è che mi potevo opporre. Ricordo che in quell’attività vi erano due magistrati, con la Boccassini c’era la dottoressa Zanetti. Non ricordo altre persone. La presenza di La Barbera a Milano? Non lo ricordo ma non lo posso escludere. Lo stesso non ricordo che vi fosse Ricciardi”. Il test ha quindi negato di aver mai avuto interlocuzioni con Andriotta per introdurre Arnaldo La Barbera, come invece ha più volte sostenuto quest’ultimo (“Mi sembra inverosimile. Non facevo il cerimoniere”). Quindi ha dichiarato di non aver mai saputo di colloqui investigativi con Scarantino prima e dopo l’avvio della collaborazione di quest’ultimo e che solo per sommi capi ha saputo dei sopralluoghi effettuati da Scarantino a Palermo, senza poter indicare chi vi abbia partecipato. Parlando di Scarantino La Barbera ha anche ricordato che da parte sua, vi furono dei dubbi sul fatto che “potesse aver preso parte alla strage, non vi erano perplessità per quanto riguarda il furto dell’auto. I soggetti erano compatibili. Di questo ne parlai con Ricciardi anche invitandolo a trasmettere quel pensiero a La Barbera. Tempo dopo ricordo che lo stesso La Barbera, quando sopraggiunsero altre evidenze mi disse qualcosa del tipo ‘hai visto collega?’. Non era una frase di senso compiuto ma chiaramente era per dire che quelle perplessità erano ingiustificate”. Inoltre il teste ha anche riferito che la prima volta che emerse il nome di Scarantino, secondo quanto gli riferì Ricciardi, “La Barbera sobbalzò sulla sedia come se gli avesse acceso una pista. So che Scarantino non era un soggetto sconosciuto agli archivi della Squadra mobile. Lui era alla Mobile da più tempo di me e magari era in grado di collegar il nominativo a qualcosa di rilevante. Ma prima delle dichiarazioni di Candura non vi fu nulla su Scarantino come possibile partecipe alla strage”. Infine il teste ha anche raccontato di aver visto la borsa di Borsellino nell’ufficio di La Barbera. Su come vi arrivò però, seppe qualcosa solo dalla relazione “postuma” di Maggi, che lui stesso consegna al pm Cardella. Il controesame proseguirà il prossimo 12 luglio quando sarà risentito anche Scarantino e l’ispettore Giovanni Guerrera. ANTIMAFIA 2000
Borsellino quater: Arcangioli non ricorda, Ayala cambia i tempi dei fatti – Mostrato al colonnello un ulteriore video in cui è ritratto nel giorno della strage di Aaron Pettinari – 14 maggio 2013
Diciannove luglio millenovecentonovantadue. Poteva essere una domenica come tante. Poi un boato, la cortina di fumo che si innalza tra i palazzi di via d’Amelio. E’ la strage Borsellino. Assieme al giudice muoiono gli agenti della scorta e l’immagine che si presenta ai soccorsi è agghiacciante con pezzi di corpi in ogni dove. Un pomeriggio di morte che diventa mistero nel corso degli anni di ricerca della verità non solo con il colossale depistaggio, svelato grazie alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia Spatuzza e Tranchina e che oggi porta alla celebrazione di un nuovo procedimento, ma anche con la scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Nell’aula bunker di Caltanissetta sono stati sentiti oggi al Borsellino Quater, che si celebra innanzi alla Corte d’Assise, due protagonisti di quel 19 luglio: il colonnello Giovanni Arcangioli e l’ex pm Giuseppe Ayala, che in momenti diversi hanno avuto in mano la valigetta del giudice palermitano. Il primo è stato addirittura immortalato da una foto (e da un filmato Rai) con in mano la borsa di Paolo Borsellino, pochi minuti dopo la strage. Elementi che, insieme ad alcune sue contraddizioni, lo hanno portato ad essere indagato per il furto dell’Agenda (prosciolto definitivamente nel febbraio 2009) e per falsa testimonianza ai pm (decreto di archiviazione emesso lo scorso 26 aprile). Ciò non ha impedito la sua audizione come teste e pertanto ha dovuto rispondere alle domande del procuratore Sergio Lari, dell’aggiunto Domenico Gozzo e del sostituto Stefano Luciani. Tra i tanti non ricordo della sua deposizione l’ufficiale ha detto inizialmente di non ricordare da chi ha avuto la borsa e a chi l’ha successivamente consegnata. “Non ricordo come e perché avessi la borsa del giudice Borsellino, né che fine abbia fatto – ha raccontato alla Corte -Vi guardai dentro, forse insieme al giudice Ayala. Non c’era nulla di rilevante se non un crest dei carabinieri. E’ proprio perché non vi avevo trovato nulla di interessante sul piano investigativo che non ricordo cosa feci della borsa dopo”. Eppure nel verbale del 5 maggio 2005, reso all’autorità giudiziaria (di cui è stata chiesta l’acquisizione al dibattimento), disse: “Se non ricordo male aprii lo sportello posteriore sinistro e posata sul pianale, dove si poggiano di solito i piedi, rinvenni una borsa, credo di color marrone, in pelle, che prelevai e portai dove stavano in attesa il dottore Ayala e il dottore Teresi”. “Uno dei due predetti magistrati – specificò poi l’ufficiale – aprì la borsa e constatammo che non vi era all’interno alcuna agenda, ma soltanto dei fogli di carta. Verificato ciò, non ricordo esattamente lo svolgersi dei fatti. Per quanto posso ricordare, incaricai uno dei miei collaboratori di cui non ricordo il nome, di depositare la borsa nella macchina di servizio di uno dei magistrati. Si tratta di un ricordo molto labile e potrebbe essere impreciso”. Il teste, molto teso e provato, ha più volte detto di non ricordare i fatti e di temere di essere nuovamente indagato. “Non so che cosa ho fatto per meritare tutto questo. Ho visto tanti altri che hanno cambiato le loro versioni e non sono stati neppure indagati e io sono finito sotto processo: sono 8 anni che vivo in questa situazione che ha distrutto me e la mia famiglia con gli attacchi di giornali e Tv”. Alla domanda sul perché si fosse spostato con la borsa in mano di oltre 60 metri dalla vettura di Borsellino ha risposto: “Io giravo continuamente per rendermi conto di quel che stava succedendo. All’inizio pensavo che dell’inchiesta sull’eccidio ci saremmo occupati noi carabinieri, in particolare il Ros, poi seppi dal capitano Minicucci (all’epoca suo superiore) che invece l’avrebbe seguita la polizia. Può darsi che quel percorso l’ho fatto più volte. Non ho ricordo del momento in cui presi la borsa in mano. Non ricordo se l’ho riposta io in macchina ma pensavo che nella valigetta non ci fosse nulla di rilevante”. Quindi Arcangioli ha sostenuto di aver riferito della borsa al suo superiore, l’allora capitano Minicucci “dicendogli che ero rimasto colpito dal fatto che avesse con se un crest dei carabinieri”. E sul motivo per cui non ha compiuto una relazione di servizio ha lamentato come “in questi anni, è stato ritenuto strano che non ho scritto una relazione di servizio sull’episodio solo perché non ritenevo, probabilmente sbagliando, quel reperto di interesse, e non viene ritenuto strano che l’operatore di polizia la relazione l’ha fatta dopo 6 mesi”. Successivamente la Procura, tramite l’utilizzo di un ipad, ha mostrato allo stesso Arcangioli un video in parte inedito sulla strage di via d’Amelio in cui in diversi fotogrammi in cui appare l’allora capitano dei carabinieri a colloquio con altre persone. Nel primo parla accanto alla blindata di Borsellino con una persona in abiti civili (soggetto non riconosciuto da Arcangioli ndr). Nel secondo con una persona in divisa (per cui il colonnello ha dichiarato di poterlo riconoscere con un ingrandimento della foto ndr). Nel terzo viene ritratto più distante mentre parla con tre sottoufficiali dell’Arma, individuati invece dal testimone. In questo fotogramma sembra addirittura che Arcangioli dia un oggetto (apparentemente la stessa valigetta) a uno dei sottufficiali. Successivamente all’esame di Arcangioli è stata il turno della testimonianza di Giuseppe Ayala che, dopo aver dato una sua opinione sulla scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino (”Qualcuno ha aperto la borsa di Paolo Borsellino, ha preso l’agenda e deciso, tradendo lo Stato, di farla sparire”) ha detto di avere avuto, dopo la strage, per pochi istanti, la borsa e di averla passata a un ufficiale dei carabinieri in divisa. Una tesi che smentisce di fatto il racconto del colonnello Arcangioli, il quale, pur non confermando oggi il fatto al cento per cento, non ha escluso di aver aperto la valigetta alla presenza di Ayala. L’ex parlamentare del Pri, rispondendo alle domande dei pm, ha ripercorso i fatti di quel pomeriggio di luglio fornendo una versione uguale nei contenuti alla prima, datata 8 aprile 1998, ma in ordine cronologico differente. Dopo aver dichiarato di aver udito perfettamente lo scoppio dell’autobomba, in quanto abitante al residence Marbella, a meno di 200 metri da via d’Amelio, ha detto di essersi recato sul luogo della strage. “Arrivo in via d’Amelio e vedo le macchine blindate. Riconosco quelle in dotazione alla Procura. Poi andai verso lo stabile verso l’ingresso quando inciampai in un troncone umano. In un secondo momento, ricordo che arrivò anche il giudice Lo Forte, riconoscemmo che si trattava di Paolo Borsellino. Solo poi tornai verso la macchina e notai lo sportello posteriore sinistro aperto. Appoggiata sui sedili, più verso il lato del guidatore, notammo la valigetta”. Una piccola differenza rispetto al verbale in cui Ayala aveva collocato la borsa del giudice in un’altra posizione (“Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiatura e tuttavia integra”). Sulla borsa di Borsellino Ayala ricorda: “Era lì e me la sono trovata in mano. Mi sembra che c’era un ufficiale dei carabinieri. Io non avevo i titoli per avere quella valigetta così neanche il tempo di afferrarla per il manico che la diedi all’ufficiale dell’Arma in divisa, e non era quella estiva. Accanto a me alla mia sinistra c’era Felice Cavallaro, stravolto, che mi diceva di correre dai miei figli, avvisarli, perché si era sparsa la voce a Palermo che ad essere colpito nell’attentato fossi io”. Altro aspetto a non convincere è proprio la tempistica. Nonostante il momento tanto tragico e drammatico Ayala, davanti ai giudici, sostiene di essere stato in via d’Amelio per pochi minuti. Eppure nel primo verbale del 1998 dichiara di essere stato presente per circa un’ora mentre nel verbale del settembre del 2005 asserisce di “di essere rimasto in via d’Amelio per non più di 20 minuti”. Oggi ha dichiarato di essere rimasto anche minor tempo “perché andai subito a Mondello dai miei figli per rassicurarli e tranquillizzarli, perché la notizia che mi era stata data era vera e concreta”. Anche questa una contraddizione rispetto al passato, quando aveva dichiarato di essere tornato in un primo momento nella propria abitazione ed aver sentito i suoi telefonicamente, così come quella sulla modalità con cui si è recato in via d’Amelio. Nel verbale dell’8 aprile ’98 infatti Ayala dice di essere giunto sul posto a piedi, mentre oggi ha sostenuto di esser giunto, accompagnato dalla sua scorta, in macchina. “Probabilmente il riferimento a piedi del verbale è riferito al mio camminare in via d’Amelio. Io non facevo un passo a piedi a Palermo” – ha detto. Quindi l’ex magistrato ha anche dichiarato di non ricordare in alcun modo l’appuntato Rosario Farinella come appartenente alla sua scorta. “E’ un nome che non mi dice nulla. Magari lo è stato”. Altro elemento di contraddizione ha poi riguardato la presenza della moglie in casa al momento dell’esplosione. “Ho fatto in tempo a sentire la porta chiudersi e poi c’è stato lo scoppio – ha detto ai giudici – pensavo potesse essere successo qualcosa a lei poi sono uscito e ho visto che se ne stava andando”. E alla domanda se sapesse dell’agenda rossa di Borsellino ha risposto: “Sappiamo dell’esistenza dell’agenda rossa dai suoi familiari e dalle dichiarazioni dei suoi collaboratori più stretti. Non è stata trovata ed è presumibile fosse dentro la borsa. Certo io non potevo saperlo. Io non avevo rapporti con lui da 6 anni e non avevo idea di quello che c’era scritto. Chi l’ha presa doveva avere il tempo di leggere il contenuto e lì, in via D’Amelio, non si poteva. Per di più il giorno della strage era domenica e non si poteva pensare che quella borsa, che ho avuto in mano per pochi secondi, potesse contenere documenti tanto importanti”. E così l’agenda non viene più ritrovata come in passato era accaduto ad altri documenti importanti come quelli contenuti nella cassaforte e nella valigetta del generale dalla Chiesa, come quelli sottratti dal computer di Falcone. Ma l’escussione di Ayala non si conclude qui con i pm che riprenderanno con le domande il prossimo 21 maggio mentre il giorno prima si terrà comunque un’udienza con altri testimoni.
Borsellino quater: la tracotanza di Ayala di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo – 21 maggio 2013 – Caltanissetta. “Una gaffe”. Così Giuseppe Ayala all’udienza odierna del Borsellino quater ha definito le sue stesse parole registrate in un’intervista del 2009 per il sito affariitaliani.it. “Io ho parlato personalmente con Nicola Mancino – diceva Ayala alla giornalista Floriana Rullo – che naturalmente è persona con cui ho un ottimo rapporto, siamo stati per diversi anni colleghi in Parlamento, in Senato. Mancino ha avuto un incontro con Borsellino del tutto casuale il giorno in cui Mancino andò per la prima volta al Viminale a prendere possesso della sua carica ministeriale”. La giornalista lo incalzava chiedendo la ragione per la quale lo stesso Mancino continuasse invece a negare quell’incontro. Ed è proprio la risposta dell’ex senatore che oggi è stata definita “una gaffe”. “No, no, lui ha detto che l’ha avuto questo incontro, come no – replicava all’epoca Ayala –. Lo ha detto anche a me. Le dirò addirittura di più, forse svelo una cosa privata. Mi ha fatto vedere l’agenda con l’annotazione perchè lui è di quelli che ha le agende conservate con tutte le annotazioni. Per cui francamente io non ho elementi per leggere nessuna dietrologia dietro a quest’incontro”. Inizia così la deposizione dell’ex pm del maxiprocesso che inaugura lo stile dell’udienza-spettacolo dove il mattatore è lo stesso teste. Atteggiamento tracotante, battuta ironica da elargire a giudici e a magistrati, seduto in una posizione alquanto rilassata, Ayala non si risparmia. Sul cancello dell’aula bunker spicca lo striscione “Fraterno sostegno Agnese Borsellino”, la pretesa di giustizia della vedova del giudice, recentemente scomparsa, continua a pulsare anche qui. All’interno dell’aula è rimasto l’eco delle parole del sovrintendente della Polizia, Francesco Maggi, all’epoca in servizio in via D’Amelio nell’immediatezza della strage, interrogato ieri in questo stesso processo. “Devo dire, per un problema di coscienza – aveva spiegato Maggi ai magistrati –, a distanza di 21 anni, che quando sono arrivato sul posto della strage, c’erano almeno quattro, cinque uomini dei servizi. Avevano la spilletta del Ministero dell’Interno. Era gente di Roma e non capivo che cosa facevano. Ma sono certo, perchè li conoscevo. Ancora oggi non mi spiego come fossero sul posto e chi li avesse avvisati in così poco tempo”. “La borsa era piena, sono sicuro che era piena e non svuotata. La borsa si trovava sul lato destro dell’auto ed era posizionata tra il sedile posteriore e quello anteriore. Sono sicuro di essermi abbassato ma ero con un vigile del fuoco. Non sono certo che la presi io o me la passò il vigile del fuoco. La presi e dopo averla in mano incontrai Ayala, ma non ricordo quanti minuti dopo. La diedi, quindi, al mio funzionario, per portarla alla Mobile”. Di fatto verso le ore 18,30 la borsa del giudice Borsellino veniva ritrovata nell’ufficio del dirigente della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera. Senza l’agenda rossa. In un remix di “non ricordo” o “non posso ricordare” Giuseppe Ayala ha parlato ancora una volta del momento in cui prese in mano la borsa di Paolo Borsellino: “Non ricordo chi mi consegnò la borsa di Paolo Borsellino subito dopo la strage di via D’Amelio. Non ricordo se la prese un carabiniere della scorta, ricordo solo che la consegnai a un ufficiale dei Carabinieri”. A tutti gli effetti una dichiarazione in antitesi con quella dell’ex capo scorta di Ayala, Roberto Farinella, che nelle scorse udienze aveva raccontato: “Presi la borsa del magistrato, volevo consegnarla al giudice Ayala ma lui chiamò un uomo in abiti civili che mi indicò come ufficiale. Questi prese la borsa e si allontanò senza aprirla”. Farinella aveva anche parlato della presenza sul luogo della strage di Roberto Campesi (riconosciuto in una fotografia) assieme ad altri esponenti delle forze dell’ordine. Non solo, Farinella aveva spiegato di essere stato allontanato dalla scorta dopo avere fatto notare che la presenza di un civile in una scorta armata di un magistrato antimafia era quantomeno inopportuna. E di Campesi ha oggi parlato anche Ayala: “Roberto Campesi era nella mia scorta ma non lo misi io. Mi si presentò e mi disse di essere un esperto di sicurezza, non un agente segreto. Mi disse che era un grande amico di Antonio Montinaro, agente di scorta morto con Giovanni Falcone e di essere Presidente della Fondazione Montinaro, anche se poi ho scoperto che non esisteva. E lo misi in contatto con i miei responsabili della sicurezza. Purtroppo sono caduto in un grande trappolone”. Come è noto Roberto Campesi, detto “il caramellaio” in quanto aveva in passato un negozio di caramelle, è un personaggio molto controverso e misterioso: rimase per diverso tempo nella scorta di Ayala e nel 1997 venne arrestato con l’accusa di millantato credito e truffa nei confronti dei figli di Gianni Ienna, un imprenditore arrestato per mafia nel ’94 ritenuto un prestanome dei boss Graviano. Con fare decisamente teatrale Ayala ha successivamente affermato di non voler “far parlare i morti” attraverso le citazioni di giudici assassinati, poi però, con molta nonchalance ha tirato fuori una fotocopia di uno stralcio di un libro con le dichiarazioni, a lui favorevoli, di Antonino Caponnetto. Un senso di commiserazione ha pervaso l’aula. L’udienza è stata sospesa in attesa della ripresa pomeridiana nella quale l’avvocato di parte civile, Fabio Repici (legale di Salvatore Borsellino) procederà all’esame di Giuseppe Ayala.
RICERCA DELL’AGENDA ROSSA – IL CONFRONTO AYALA-ARCANGIOLI – di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo – 14 maggio 2013
Giuseppe Ayala: parole, parole, parole. Con un salto indietro nel tempo di 12 anni ci addentriamo nei labirinti delle dichiarazioni di Giuseppe Ayala. In un verbale dell’8 aprile 1998 Ayala fornisce la sua prima versione dei fatti. L’ex pm dichiara di aver udito perfettamente lo scoppio dell’autobomba quel 19 luglio 1992 in quanto abitante al residence Marbella, a meno di 200 metri da via d’Amelio. Secondo la sua prima ricostruzione dopo circa dieci minuti dall’esplosione scende in strada insieme ai suoi agenti di scorta per verificare l’accaduto. Una volta giunto in via d’Amelio comincia ad accorgersi dei pezzi di cadaveri per terra. Vede due macchine blindate. Il suo pensiero va subito a Paolo Borsellino.
A detta dell’ex parlamentare in quel momento arrivano i pompieri. Ayala si trova in prossimità del cratere. Si avvicina alla Croma. «Tornai indietro verso la blindata della procura – racconta ai magistrati – anche perché nel frattempo un carabiniere in divisa, quasi certamente un ufficiale, se mal non ricordo aveva aperto lo sportello posteriore sinistro dell’auto». «Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore – afferma Ayala – dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiatura e tuttavia integra, l’ufficiale tirò fuori la borsa e fece il gesto di consegnarmela. Gli feci presente che non avevo alcuna veste per riceverla e lo invitai pertanto a trattenerla per poi consegnarla ai magistrati della procura di Palermo… Davanti a me la borsa non fu mai aperta… non so poi a chi di fatto sia stata consegnata…». Nelle dichiarazioni dell’ex pm non v’è alcuna traccia dell’apertura della portiera della Croma di Borsellino effettuata dal suo agente di scorta Rosario Farinella. «Subito dopo – continua Ayala nel suo racconto – mi diressi verso lo stabile. In prossimità dell’ingresso, sulla sinistra per chi lo guardava, inciampai in un troncone umano che solo successivamente capii essere quello del collega Borsellino. Nel frattempo arrivarono infatti i colleghi Lo Forte e Natoli e insieme cercammo conferma del sospetto che già avevamo. Dalle caratteristiche somatiche riconoscemmo Paolo Borsellino. L’arrivo dei colleghi sul posto ebbe luogo, stimo, circa venti minuti dopo che vi ero giunto io. […] Complessivamente pertanto rimasi sul posto circa un’ora, forse anche meno».
A distanza di quasi dieci anni l’ex pm ritocca palesemente il contenuto dei suoi ricordi. E’ il 12 settembre 2005 quando si siede davanti agli investigatori nisseni per riannodare i fili della sua memoria. Ayala arriva addirittura ad affermare di aver prelevato personalmente la borsa del giudice dalla sua macchina e di averla affidata immediatamente a un ufficiale dei carabinieri senza però ricordare se quest’ultimo indossasse o meno una divisa. «Notai – sottolinea Ayala – che lo sportello posteriore sinistro dell’autovettura (di Paolo Borsellino, nda) era aperto. Scorsi sul sedile posteriore una borsa di pelle bruciacchiata. Istintivamente la presi, ma mi resi subito conto che non avevo alcun titolo per fare ciò per cui ricordo di averla affidata immediatamente ad un ufficiale dei carabinieri che era a pochi passi. Nell’affidargli la borsa gli spiegai che probabilmente era la borsa appartenente al dottore Borsellino». A quel punto gli inquirenti chiedono all’ex pm un approfondimento sull’ufficiale dei carabinieri al quale avrebbe consegnato la borsa di Paolo Borsellino. «Per quanto ricordo – replica laconico Ayala – la persona a cui consegnai la borsa era un ufficiale dei carabinieri ed era in divisa, perché diversamente non avrei potuto identificarlo come tale. Non riesco a ricordare se si trattasse della formale divisa oppure di una casacca come quelle che vengono adoperate in tali circostanze, comunque, per quanto posso ricordare tenuto conto del tempo trascorso e dell’emozione del momento, non conoscevo l’ufficiale in questione». I magistrati gli mostrano allora la foto del capitano Arcangioli, ma Ayala non lo riconosce. «Non ricordo di aver mai conosciuto, né all’epoca né successivamente il capitano Arcangioli. Non posso escludere ma neanche affermare con certezza che detto ufficiale sia la persona alla quale io affidai la borsa – osserva –. Per quanto posso sforzarmi di ricordare mi sembra che la persona alla quale affidai la borsa fosse meno giovane, ma può darsi che il mio ricordo mi inganni. Insisto comunque nel dire che l’ufficiale ricevette la borsa e poi andai via. Escludo comunque in modo perentorio che all’inverso sia stato l’ufficiale di cui si parla a consegnare a me la borsa». Gli investigatori chiedono all’ex parlamentare quali altre personalità istituzionali ricordi presenti in via d’Amelio in quei momenti e quali altri dettagli ricordi sulla borsa prelevata. «Sul posto – risponde Ayala – non ricordo esattamente quali magistrati fossero presenti. Posso solo ricordare la presenza del dottore Lo Forte, che fu colto da crisi di pianto, e ricordo anche che era presente il dottore Teresi (che invece asserisce di essere arrivato in via d’Amelio un’ora e mezza dopo lo scoppio della bomba, nda). Complessivamente credo di essere rimasto in via d’Amelio per non più di 20 minuti». «La borsa da me prelevata – evidenzia Giuseppe Ayala – era bruciacchiata ma apparentemente integra. Non era particolarmente pesante, nel senso che il suo contenuto non sembrava avere un grosso spessore». Anche in questo caso l’evidenza che le sue dichiarazioni non coincidono con le altre testimonianze diviene sempre più palpabile.
Il confronto Ayala/Arcangioli Alle 16,15 di mercoledì 8 febbraio 2006 Giuseppe Ayala viene sentito nuovamente dall’autorità giudiziaria. Come primo atto gli vengono riletti i suoi due verbali del 1998 e del 2005. La palese contraddizione tra i due verbali viene riconosciuta dallo stesso Ayala che ammette la «discordanza» tra le sue affermazioni. «Successivamente a tali dichiarazioni – spiega l’ex pm agli inquirenti – sono stato contattato, specificatamente nella giornata di ieri, dal giornalista Felice Cavallaro il quale, come ho già riferito, giunse sul posto dell’attentato dopo che vi ero arrivato io e che quindi mi ha riferito ieri, di avere assistito all’episodio della borsa. Verificando insieme i nostri ricordi ritengo di avere ricostruito l’episodio così come si è effettivamente verificato». Nel suo nuovo resoconto non è più lui a prelevare la borsa, ma un agente rigorosamente in borghese. «Ebbi modo di vedere una persona in abiti borghesi che non sono in grado di descrivere neanche nell’abbigliamento ma che comunque è certo che non fosse in divisa la quale prelevava dall’autovettura attraverso lo sportello posteriore sinistro una borsa. Io mi trovavo a pochissima distanza dallo sportello e la persona in divisa si volse verso di me e mi consegnò la borsa». «Poichè ero già in posizione di fuori ruolo dalla magistratura per mandato parlamentare – ribadisce Ayala – non avevo alcun titolo per ricevere detta borsa e quindi, dato che accanto alla macchina vi era anche un ufficiale dei carabinieri in divisa, quasi istintivamente la consegnai al predetto ufficiale». I magistrati chiedono di conoscere ulteriori dettagli, ma l’ex parlamentare continua ad avere grandi difficoltà a mettere insieme una volta per tutte i ricordi di quella giornata. «Non ricordo assolutamente – prosegue Giuseppe Ayala – se con i due personaggi di cui ho detto sia stata scambiata parola o espressione; subito dopo aver consegnato la borsa all’ufficiale in divisa mi allontanai dai luoghi per raggiungere i miei figli». Gli inquirenti insistono per farsi raccontare la scena del rinvenimento della borsa di Paolo Borsellino. «In mia presenza – replica Ayala smentendo Arcangioli – la borsa non fu aperta né vi fu alcuna attività diretta a verificarne il contenuto; tutto l’insieme durò lo spazio di una trentina di secondi, forse un minuto. Non conoscevo, e tuttora non ho mai avuto modo di conoscere né l’ufficiale in divisa né la persona in borghese di cui ho detto. Non lo ho riconosciuto neanche nella fotografia che mi viene mostrata». A quel punto viene disposto il confronto tra Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli. L’ufficiale dei carabinieri rientra nella saletta della Dia adibita agli interrogatori per essere ascoltato la terza volta. Arcangioli ripercorre il filo delle sue dichiarazioni plasmando nuovamente la precedente versione. Riepilogando l’accaduto l’ufficiale ricorda di avere preso la borsa dall’auto del giudice Borsellino per «esortazione ricevuta» da una persona di cui non ricorda il nome, di essersi spostato verso il lato opposto alla casa del dott. Borsellino e dopo aver visionato il contenuto della borsa (trovandovi «solo un crest e pochi altri oggetti di nessuno interesse») di averla rimessa lui stesso o qualcun altro nella macchina di Borsellino. Gli inquirenti tornano a chiedere maggiori dettagli sul momento specifico del rinvenimento della borsa del giudice. Arcangioli ritiene plausibile che nell’istante della verifica del contenuto della borsa «fosse presente il dottore Ayala e, forse, anche un’altra persona di cui non so indicare alcun elemento significativo». «Credo di ricordare – insiste l’ufficiale dei carabinieri – anche come ho già detto, che il prelievo della borsa mi fu richiesto dal dottore Ayala e che alla verifica del contenuto era presente anche il dottore Ayala». I magistrati chiedono quindi ad Ayala di reiterare succintamente la versione dei fatti precedentemente dichiarata. Questa volta la versione fornita dall’ex parlamentare mira decisamente a contraddire l’esposizione dell’accaduto fatta da Arcangioli. Dopo avere ribadito le dichiarazioni rese qualche ora prima Ayala si determina a smontare la testimonianza dell’ufficiale dei carabinieri. «Nego – sottolinea con forza l’ex pm del Maxiprocesso – sia di avere comunque richiesto il prelievo della borsa, sia di avere in qualsiasi modo aperto la borsa stessa o visionato il contenuto della predetta. Per altro, in contrasto con quanto ha affermato il col. Arcangioli io in quella circostanza non ho mai attraversato la via d’Amelio e non mi sono mai portato sul lato opposto rispetto alla casa della madre di Borsellino». Gli inquirenti chiedono allora a Giovanni Arcangioli di chiarire se effettivamente abbia rivolto la parola ad Ayala in quella occasione. L’ufficiale dei carabinieri “lima” la sua precedente versione sconfinando nel campo delle ipotesi. «Non ricordo se fra me e il dottore Ayala vi fu un qualsivoglia scambio di parole o espressioni – replica sommessamente Arcangioli – io conoscevo il dottore Ayala ma non ricordo se in quella occasione gli rivolsi la parola». Ayala non ci sta. Interviene e puntualizza la sua versione. «Non credo di avere mai conosciuto in precedenza il col. Arcangioli che credo di aver incontrato oggi per la prima volta. Non sono in grado di affermare o escludere che lo stesso col. Arcangioli si identifichi nella persona in borghese che estrasse la borsa dall’autovettura». Punto e a capo. Si conclude così un confronto definito dagli stessi magistrati «infruttuoso», che non riesce a fare luce sulle rispettive contraddizioni in quanto, così come riporta il verbale, «i testi insistono nelle rispettive versioni». Il 23 febbraio 2006 viene sentito l’inviato del Corriere della Sera Felice Cavallaro. La sua versione si adatta ineluttabilmente all’ultima di Ayala. «Giunto al palazzo dove abita la madre del dottore Borsellino – racconta il cronista – ho visto Ayala che usciva gravemente turbato dal giardinetto antistante l’edificio dove poi appresi essere stati rinvenuti i resti del dottore Borsellino. Davanti al giardinetto, in mezzo alla strada vi era un’autovettura che appresi successivamente essere del dottore Borsellino che appariva con lo sportello posteriore sinistro aperto». Il particolare della portiera aperta temporizza inevitabilmente l’avvenimento in sé ponendolo successivo al racconto dell’agente di scorta di Ayala, Rosario Farinella, che per primo si fa aiutare da un vigile del fuoco ad aprire l’auto di Paolo Borsellino. «Per quanto posso ricordare – continua Cavallaro – l’autovettura non era in fiamme e nemmeno da essa si levava fumo. Io e il dottore Ayala ci fermammo per qualche momento vicino all’autovettura di cui ho detto scambiandoci commenti sull’accaduto». «A questo punto – ricorda il giornalista del Corriere – vidi una persona ancor giovane di età che indossava abiti civili con una camicia estiva e senza giacca il quale prelevava dall’autovettura del dottore Borsellino una borsa di cuoio che era posata sul pianale posteriore sinistro, dietro lo schienale dell’autista. La persona di cui ho detto prese la borsa e stava per consegnarla al dottore Ayala il quale, per quanto possa ricordare, non arrivò neanche ad impugnarla saldamente ma nel momento in cui ne sfiorava il manico venne preso dal dubbio di non essere a ciò autorizzato, dato che non rivestiva più la qualità di magistrato». «Vidi pertanto il dottore Ayala, quasi con lo stesso movimento, consegnare la borsa ad un ufficiale dei carabinieri in divisa che si avvicinò in quel momento». Gli inquirenti chiedono quindi a Cavallaro ulteriori dettagli sul carabiniere in divisa che si avvicina a loro. «L’ufficiale – risponde il cronista – indossava la divisa estiva dei carabinieri completa della giacca. Si trattava di un colonnello o di un tenente colonnello perché le spalline portavano il contrassegno di una torre e comunque certamente non si trattava di un capitano perché non aveva le tre stelle che io riconosco. Dopo che il colonnello prese in consegna la borsa non ci siamo più interessati della questione perché il dottore Ayala riteneva di avere fatto quanto necessario consegnando il reperto ai carabinieri». I magistrati mostrano a quel punto una foto in bianco e nero di Giovanni Arcangioli in via d’Amelio chiedendo se sia in grado di riconoscere nell’immagine mostratagli la persona che estrae dall’auto la borsa del giudice Borsellino. Cavallaro però riferisce di non essere in grado di riconoscerla anche perché «la persona indicata nella fotografia ha un distintivo delle forze dell’ordine» e lui non ricorda che la persona vista in quel frangente «recasse su di sé un tale contrassegno». «Chiarisco – ribadisce l’inviato del Corriere – che io all’epoca dei fatti non conoscevo il capitano dei carabinieri Arcangioli che, invece, ho avuto modo successivamente di conoscere sia pure superficialmente. Pertanto la mia affermazione di poco prima va interpretata nel senso che io ho riconosciuto nella fotografia l’immagine del capitano Arcangioli ma, come ho detto, non lo identifico con la persona che estrasse dall’autovettura la borsa del dottore Borsellino». «Chiarisco ancora – conclude Cavallaro – che per quanto ho potuto vedere, il colonnello dopo avere ricevuto la borsa dal dottore Ayala si allontanò con la borsa stessa, nel senso che in mia presenza non la restituì alla persona che l’aveva estratta dalla macchina». Anni dopo è lo stesso Cavallaro a raccontare in un’intervista gli attimi cruciali di quella domenica di fine luglio del ’92 in via d’Amelio aggiungendo il particolare di avere tenuto anche lui per pochi istanti la borsa di Paolo Borsellino. «Erano già trascorsi tre quarti d’ora dall’esplosione – racconta il cronista al collega che lo sta intervistando – e la portiera posteriore della macchina di Borsellino era spalancata. Lì, tra il sedile anteriore e quello posteriore c’era la sua borsa. A un certo punto un agente in borghese la prese e vedendomi, forse mi credeva un uomo della scorta di Ayala, me la diede in mano. Solo pochi attimi. Mi girai verso Ayala, vedendo un carabiniere in divisa, fu lo stesso Ayala che disse: “Ma questa dovrebbe tenerla lei”. Fu così che la consegnammo. Quando fu ritrovata mancava l’agenda rossa di Borsellino». In un’intervista del 23 luglio 2009 Giuseppe Ayala ritorna inspiegabilmente alla sua seconda versione. «La borsa nera di Borsellino l’ho trovata io – dichiara l’ex parlamentare – dopo l’esplosione, sulla macchina. Che ci fosse, nessuno lo può sapere meglio di me, perché l’ho presa io. Non l’ho aperta io perché ero già deputato e non avevo nessun titolo per farlo. […] Quando l’ho trovata l’ho consegnata ad un ufficiale dei carabinieri. E’ verosimile che l’agenda fosse dentro la borsa e che sia stata fatta sparire». Il 30 luglio del 2010 un sito Internet pubblica un’altra intervista a Giuseppe Ayala. Questa volta la narrazione del ritrovamento della borsa di Paolo Borsellino acquisisce un nuovo dettaglio. «Ho preso la valigetta (del dott. Borsellino, nda), ma l’ho consegnata subito ad un ufficiale dei carabinieri che compare in un video mentre si allontana». Nell’ultimissima versione di Ayala quindi, il carabiniere al quale consegna la borsa sarebbe l’ufficiale ripreso nei filmati acquisiti dall’autorità giudiziaria. Ma il video che riprende un uomo delle forze dell’ordine con la valigetta di Paolo Borsellino in mano riguarda un solo carabiniere: Giovanni Arcangioli.
La testimonianza dell’appuntato Parzialmente divergente rispetto alle predette deposizioni del giornalista Felice Cavallaro e del dottor Giuseppe Ayala, anche sulla durata della permanenza di quest’ultimo in via D’Amelio, oltre che su diversi altri particolari, tutt’altro che secondari, si rivela la deposizione del Carabiniere che faceva da capo scorta ad Ayala, quel pomeriggio, vale a dire l’Appuntato Rosario Farinella.
Il Carabiniere, infatti, ricordava che, subito dopo la deflagrazione, quando si muovevano, con l’automobile blindata, dal residence ‘Marbella’, per andare ad accertarsi dell’accaduto, parcheggiando poi all’incrocio fra la via dell’Autonomia Siciliana e la via D’Amelio, Ayala faceva presente che in quella strada abitava la madre di Paolo Borsellino (circostanza che contrasta con quanto affermato dallo stesso Ayala, in merito al fatto che, prima della strage, non era al corrente della circostanza appena menzionata). Dopo il riconoscimento dei resti di Paolo Borsellino e delle altre vittime, il militare si recava presso la Croma blindata, unitamente ad Ayala, che non perdeva mai di vista. Vi era qualche fiammata dal lato posteriore destro ed un vigile del fuoco la spegneva. Poi, Farinella e il vigile del fuoco aprivano la portiera posteriore destra della Croma, forzandola, poiché Ayala si accorgeva che dentro vi era la borsa di Paolo Borsellino.
Lo stesso Farinella, inoltre, prelevava direttamente la borsa dal sedile posteriore e, dopo un certo lasso di tempo in cui la teneva in mano, su indicazione di Ayala, la consegnava ad una persona -in abiti civili- conosciuta dal Parlamentare (anche questo ricordo del teste contrasta decisamente con quanto affermato da Ayala ed anche da Cavallaro, in merito alla consegna della borsa ad un ufficiale in uniforme, neppure conosciuto). Il soggetto che riceveva la borsa non era Giovanni Arcangioli (la cui fotografia veniva mostrata al teste) ed era una persona (si ripete) conosciuta da Ayala. Quest’ultimo spiegava al consegnatario che si trattava della borsa del Magistrato (“Questa è la borsa che abbiamo preso della macchina del dottore Borsellino”) e veniva rassicurato dall’interlocutore, prima che questi s’allontanasse verso via dell’Autonomia Siciliana (“lo stesso ci rassicurò, dicendo che si sarebbe occupato della cosa, per cui gli consegnai la borsa”).
uno stralcio della deposizione:
- P.M. Dott. GOZZO – Sì, buonasera, appuntato, buongiorno. Le volevo fare in primo luogo la domanda specifica, diciamo, orientiamoci nel tempo e nello spazio: lei dove prestava servizio il 19 luglio del 1992?
- TESTE FARINELLA R. – Ero in servizio al Nucleo Radiomobile di Palermo, però in servizio provvisorio presso le scorte di Palermo. (…) Scortavo il dottor Ayala.
- P.M. Dott. GOZZO – Seguiva, quindi, il dottor Ayala. Si ricorda se in particolare proprio il giorno 19 luglio del 1992 lei era in servizio di scorta al dottor Ayala?
- TESTE FARINELLA R. – Sì, come caposcorta.
- P.M. Dott. GOZZO – Come caposcorta. Nella fattispecie, nel momento in cui… lei dove si trovava nel momento della strage, diciamo al momento dello scoppio?
- TESTE FARINELLA R. – Circa cinquanta metri, cento metri in linea d’aria, eravamo all’hotel Marbella, se ricordo male. (…) Perché la personalità abitava lì.
- P.M. Dott. GOZZO – La personalità abitava là. Quindi stavate aspettando la personalità, doveva scendere?
- TESTE FARINELLA R. – Sì.
- P.M. Dott. GOZZO – Cosa avete fatto subito dopo lo scoppio?
- TESTE FARINELLA R. – Subito l’abbiamo avvisato e abbiamo capito che veniva il fumo di là. Lui diceva che là ci abitava la… la mamma e siamo andati subito lì.
- P.M. Dott. GOZZO – La mamma di chi?
- TESTE FARINELLA R. – Del Giudice Borsellino.
- P.M. Dott. GOZZO – Dunque il dottor Ayala sapeva di questo fatto.
- TESTE FARINELLA R. – Sì.
- P.M. Dott. GOZZO – Una cosa le volevo chiedere: se ci può descrivere, se può descrivere alla Corte, che potrebbe anche non saperlo, quanto dista l’hotel Marbella da via D’Amelio.
- TESTE FARINELLA R. – In linea d’aria nemmeno cento metri, perché deve passare la ferrovia, il palazzo e quello.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi nel momento in cui il dottore Ayala ha ricostruito che poteva essere il dottore Borsellino la vittima dell’attentato, perché diceva…
- TESTE FARINELLA R. – No, no, no.
- P.M. Dott. GOZZO – Cioè che, insomma, proveniva comunque dai pressi…
- TESTE FARINELLA R. – Proveniva di là.
- P.M. Dott. GOZZO – Cosa avete fatto?
- TESTE FARINELLA R. – Mica avevamo la sfera magica.
- P.M. Dott. GOZZO – Cosa avete fatto?
- TESTE FARINELLA R. – Niente, ci siamo portati su quella parte e poi siamo entrati; non potevamo entrare, perché siamo entrati i primi di tutti quasi là, perché eravamo vicino. Siamo arrivati contemporaneamente ai Vigili del Fuoco, quindi nemmeno potevamo entrare con le fiamme che c’erano.
- P.M. Dott. GOZZO – Può quantificare all’incirca quanto tempo era passato dall’esplosione che lei ha sentito da lontano?
- TESTE FARINELLA R. – Non lo saprei dire. (…) Poco tempo.
- P.M. Dott. GOZZO – …cronologicamente quando siete arrivati, siete arrivati contemporaneamente ai Vigili del Fuoco.
- TESTE FARINELLA R. – Sì, sì.
- P.M. Dott. GOZZO – Chi c’era lì di altre Forze di Polizia lo ricorda?
- TESTE FARINELLA R. – No.
- P.M. Dott. GOZZO – Quando siete arrivati voi.
- TESTE FARINELLA R. – No, perché noi siamo arrivati, io mi… stavo dietro; c’era tanta gente, quindi ho dato ordine al mio carabiniere di lasciare la macchina, chiudere la macchina e stare con me, insieme con la personalità, cosa che è fuori dalla regola, visto la gravità della situazione.
- P.M. Dott. GOZZO – Certo. Senta, che cosa avete fatto una volta arrivati in via D’Amelio? Quindi arrivate insieme ai Vigili del Fuoco. Cosa fate con il dottor Ayala?
- TESTE FARINELLA R. – Andiamo dove è successo il cratere, camminando vedevamo dei corpi dei colleghi della scorta.
- P.M. Dott. GOZZO – Sì. E in particolare vi siete diretti ad un posto specifico?
- TESTE FARINELLA R. – Sì, siamo entrati dentro, abbiamo visto…
- P.M. Dott. GOZZO – Dentro il cortiletto, stiamo parlando…
- TESTE FARINELLA R. – Sì, sì.
- P.M. Dott. GOZZO – …dei numeri 19 e 21 di via D’Amelio.
- TESTE FARINELLA R. – Ma… sì, sì. Poi abbiamo visto il dottore che era lì per terra, l’abbiamo conosciuto tramite i baffi.
- P.M. Dott. GOZZO – Parliamo del dottore Borsellino, evidentemente.
- TESTE FARINELLA R. – Sì, perché era senza gambe e senza arti.
- P.M. Dott. GOZZO – Il dottor Ayala l’ha riconosciuto da questo.
- TESTE FARINELLA R. – Sì, sì.
- P.M. Dott. GOZZO – Dopo avere visto queste scene terribili, dove siete andati? Se lo ricorda.
- TESTE FARINELLA R. – Ma abbiamo visto un po’ sia la collega, la poliziotta, era sul marciapiede, vicino la macchina, e altri colleghi.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi, diciamo, avete fatto un giro dei luoghi per riuscire a verificare qual era lo stato.
- TESTE FARINELLA R. – Sì.
- P.M. Dott. GOZZO – E ricorda se vi siete avvicinati all’autovettura (…) che doveva essere del magistrato?
- TESTE FARINELLA R. – No, dopo. (…) Al momento pensavamo soltanto alle persone (…) Alle vittime.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi, diciamo, c’è stato un periodo in cui avete
- pensato a verificare dov’erano i corpi, essenzialmente.
- TESTE FARINELLA R. – Sì, vedere tutti i colleghi che, cioè, conoscevamo e uscivamo insieme.
- P.M. Dott. GOZZO – Dopo avere fatto questa cosa tremenda, diciamo, siete andati poi sulla macchina, vicino alla macchina?
- TESTE FARINELLA R. – Poi, appena siamo usciti, le due macchine erano posizionate al centro della strada e guardando le macchine il dottor Ayala ha notato che c’era la borsa dentro il sedile posteriore.
- P.M. Dott. GOZZO – Ci può descrivere la macchina com’era? Prima di tutto se vi erano delle fiamme, se non vi erano delle fiamme, se era chiusa, se era aperta.
- TESTE FARINELLA R. – Ma no, la macchina era chiusa, chiusa ma non forse a chiave, era chiusa e c’era un po’ di… di fiamma nel lato destro, la ruota, non mi ricordo bene. Abbiamo chiamato i Vigili del Fuoco e abbiamo fatto spegnere.
- P.M. Dott. GOZZO – Dico, il vigile del fuoco in particolare cosa ha fatto?
- TESTE FARINELLA R. – Abbiamo… ha spento la… quell’incendio che c’era all’esterno e poi abbiamo… ha forzato la macchina per aprire lo sportello posteriore.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi per aprire la porta, l’ha fatto da solo o lei lo ha aiutato?
- TESTE FARINELLA R. – Non ricordo se l’ho aiutato io o l’abbiamo fatto insieme o l’ha fatto solo lui, non… è impossibile ricordare queste cose.
- P.M. Dott. GOZZO – E allora, per aiuto del suo ricordo, il 2 marzo del 2006 lei ha detto, a pagina 1: “Con l’aiuto dello stesso vigile del fuoco abbiamo aperto la portiera posteriore”.
- TESTE FARINELLA R. – Sì, dico… può essere, sì.
- P.M. Dott. GOZZO – Si ricorda dove il dottor Ayala aveva visto la borsa? Va beh, l’ha vista anche lei, immagino, facendo…
- TESTE FARINELLA R. – Sì, passando da là, vicino le macchine.
- P.M. Dott. GOZZO – Dov’era la borsa del dottore Borsellino?
- TESTE FARINELLA R. – Nel sedile posteriore.
- P.M. Dott. GOZZO – Nel sedile posteriore. Dove ci si siede, diciamo così, o sotto, diciamo, dove si poggiano i piedi?
- TESTE FARINELLA R. – No, no, dove… nel seggiolino.
- P.M. Dott. GOZZO – Nel seggiolino.
- TESTE FARINELLA R. – Altrimenti, se era sotto, come facevamo a vederlo?
- P.M. Dott. GOZZO – Senta, l’operazione di aprire la porta è stata difficile, facile? Da che cosa dipendeva?
- TESTE FARINELLA R. – Sì, era un po’ incastrata dall’onda d’urto, naturalmente.
- P.M. Dott. GOZZO – Dal calore anche?
- TESTE FARINELLA R. – Non sono un esperto per questo.
- P.M. Dott. GOZZO – Senta, l’ha prelevata lei la borsa poi dall’autovettura?
- TESTE FARINELLA R. – Sì.
- P.M. Dott. GOZZO – Ma l’ha fatto autonomamente o su disposizione del dottor Ayala?
- TESTE FARINELLA R. – Io l’ho presa la borsa, se ricordo… se non ricordo male, l’ho presa io, perché aprendo la porta ho preso la borsa e volevo darla a lui; lui non l’ha voluta prendere perché non era più magistrato, quindi mi ha detto di tenerla io, e l’ho tenuta io.
- P.M. Dott. GOZZO – Tenerla in attesa di qualcosa o tenerla definitivamente?
- TESTE FARINELLA R. – No, tenerla in… che lui individuasse qualche persona da dare la borsa e dire la borsa di chi era.
- P.M. Dott. GOZZO – Sì. E a chi dovevate… cioè aveva già individuato a chi dovevate consegnarla? No nel senso della persona, dico, dovevate consegnarla alle Forze dell’Ordine?
- TESTE FARINELLA R. – Mah, di questo non me ne ha parlato e non abbiamo parlato, mi ha detto, dice, di tenerla, che… di consegnarla a qualche persona, o qualche ufficiale o qualche ispettore di Polizia e di darla, a qualche persona.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi a qualcuno delle Forze dell’Ordine.
- TESTE FARINELLA R. – Certo. Che noi non avevamo il potere, cioè la cosa per tenerla, non è che la possiamo tenere una borsa.
- P.M. Dott. GOZZO – Una volta che il dottor Ayala ha individuato questa persona… l’ha individuata questa persona? Domanda preliminare che non ho fatto. Dico, ha individuato questa persona appartenente alle Forze dell’Ordine a cui darla?
- TESTE FARINELLA R. – Sì, lui ha individuato una persona, che mi… mi disse, dice: “Appuntato, dia la borsa”, mi avrebbe detto il nome, ma non ricordo, e io ho consegnato la borsa alla persona che mi ha detto il dottor Ayala. Io non conoscevo.
- P.M. Dott. GOZZO – Senta, il dottor Ayala le disse che si trattava di una persona delle Forze dell’Ordine o le disse semplicemente di darla a questa persona?
- TESTE FARINELLA R. – Mi ha detto allora che era o un ufficiale o un ispettore, non ricordo. Mi ha detto che era un funzionario, appartenente o alla Polizia o ai Carabinieri, non ricordo.
- P.M. Dott. GOZZO – Si trattava di una persona, che lei rico… prima di tutto se ricorda come era fatta, diciamo, questa persona e poi com’era vestita anche.
- TESTE FARINELLA R. – Come era vestita non… non ricordo.
- P.M. Dott. GOZZO – No, non intendo dire se aveva un vestito rosso o verde.
- TESTE FARINELLA R. – Ah.
- P.M. Dott. GOZZO – No, non le sto chiedendo questo. (…) Le sto chiedendo, visto che le è stato
- presentato come un ufficiale, se era vestito, diciamo così, d’ordinanza o se invece era in abiti civili.
- TESTE FARINELLA R. – Adesso ho capito. No, in abiti civili. (…) Se era in divisa, era facile capirlo.
- P.M. Dott. GOZZO – Certo. Che lei sappia, il dottor Ayala lo conosceva o si è qualificato lui come persona appartenente alle Forze di Polizia?
- TESTE FARINELLA R. – No, penso che lo conosceva.
- P.M. Dott. GOZZO – Pensa che lo conoscesse.
- TESTE FARINELLA R. – Perché mi ha detto: “Dagliela a lui”, che è una persona che conosceva lui, perché… Gli ho detto: “Devo darla a lui?” “Sì – dice – è una persona che conosco io”. “Ecco qua la borsa”.
- P.M. Dott. GOZZO – Nel consegnare la borsa, il dottor Ayala spiegò di che cosa si trattava all’ufficiale?
- TESTE FARINELLA R. – Certo, ha detto, dice: “Questa è la borsa che abbiamo preso della macchina del dottore Borsellino”.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi che era la borsa di Borsellino, essenzialmente.
- TESTE FARINELLA R. – Certo, quella era.
- P.M. Dott. GOZZO – Si ricorda se vi disse qualche cosa, a questo punto, questo ufficiale che lei non conosceva?
- TESTE FARINELLA R. – No, perché non… io ho consegnato, loro si sono parlati e basta. Non è che… io non conoscevo, quindi ho stato in fiducia del dottor Ayala e basta.
- P.M. Dott. GOZZO – Sempre per aiuto alla sua memoria, le ricordo che il 2 marzo del 2006 lei ha detto, a pagina 2: “Lo stesso ci rassicurò, dicendo che si sarebbe occupato della cosa, per cui gli consegnai la borsa”.
- TESTE FARINELLA R. – Certamente, una volta che la… prende la borsa, è normale che…
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi lo conferma questo, che vi disse: “Non vi preoccupate, ci penso io”.
- TESTE FARINELLA R. – E certo.
- P.M. Dott. GOZZO – E voi vi siete disinteressati di questa vicenda.
- TESTE FARINELLA R. – Certamente, eh, certo.
- P.M. Dott. GOZZO – Avete aperto la borsa mentre l’avevate nella vostra disponibilità? Sto parlando di lei e del dottor Ayala, chiaramente.
- TESTE FARINELLA R. – Assolutamente no, perché l’avevo io soltanto.
- P.M. Dott. GOZZO – Quando il dottor Ayala ha avuto la borsa, ricorda se si sono avvicinate… quando lei aveva la borsa, diciamo, si sono avvicinate delle persone, degli amici del dottor Ayala che lo hanno salutato?
- TESTE FARINELLA R. – No, no, ma…
- P.M. Dott. GOZZO – Le faccio una domanda specifica: ricorda se si è avvicinato il giornalista Cavallaro? Con cui oltretutto la personalità stava scrivendo in qualche modo un libro e quindi lei avrà avuto modo di vedere altre volte.
- TESTE FARINELLA R. – No.
- P.M. Dott. GOZZO – Non ricorda il dottore Cavallaro nel…
- TESTE FARINELLA R. – Assolutamente. Ma lì c’erano una calca di persone, quindi parlava con tante persone, non è che parlava solo con una persona in una parte da soli, allora vedevo con chi parlava. Si parlava con tante persone che… in divisa, colleghi, quindi non è che era… Deve pensare che eravamo avvolti da… da una folla di persone.
- P.M. Dott. GOZZO – Senta, lei ricorda se vi erano dei magistrati sul luogo del…? Degli altri magistrati, perché il dottore era in quiescenza, ma era ancora magistrato. C’erano degli altri magistrati in servizio che lei conosceva lì sui luoghi?
- TESTE FARINELLA R. – No, no.
- P.M. Dott. GOZZO – Il dottore Lo Forte, nella fattispecie.
- TESTE FARINELLA R. – No, no, no.
- P.M. Dott. GOZZO – Non lo ricorda. Quanto tempo siete rimasti sui luoghi? Se ricorda.
- TESTE FARINELLA R. – Un’ora, non ricordo con… circa un’oretta o di più o di meno, non… non saprei dire, perché non è che stavamo lì a guardare l’orologio in quei momenti, una cosa…
- P.M. Dott. GOZZO – Lei aveva detto nel 2006: “Almeno un paio d’ore”. (…) Ecco, le volevo fare una domanda: prima di tutto se lo conferma questo, almeno un paio d’ore, che aveva detto allora.
- TESTE FARINELLA R. – Dico (…) non saprei quantificare. Se allora ho detto così, io adesso non riesco a quantificarlo.
- P.M. Dott. GOZZO – Certo.
- TESTE FARINELLA R. – Dopo ventun anni come facciamo?
- P.M. Dott. GOZZO – Dico, ma ricorda se vi siete allontanati per recarvi da qualche altra parte?
- TESTE FARINELLA R. – Poi siamo andati… ce ne siamo andati di lì e siamo andati a Mondello.
- P.M. Dott. GOZZO – Volevo riuscire a capire. Quindi è stato successivo questo fatto, dico, non è stata una parentesi, cioè prima siete stati in via D’Amelio, siete andati là e poi siete tornati?
- TESTE FARINELLA R. – No, no, siamo andati via e non siamo più ritornati.
- P.M. Dott. GOZZO – Una volta che l’ufficiale ebbe la borsa, lei ricorda cosa fece l’ufficiale? Al di là di quello che ha detto. Che cosa fece? Dove si recò?
- TESTE FARINELLA R. – Ha preso la borsa ed è andato verso l’uscita.
- P.M. Dott. GOZZO – Aprì la borsa?
- TESTE FARINELLA R. – No.
- P.M. Dott. GOZZO – Non lei, l’ufficiale.
- TESTE FARINELLA R. – No, assolutamente.
- P.M. Dott. GOZZO – E’ un’altra domanda rispetto a quella che ho fatto prima.
- TESTE FARINELLA R. – No, no, no, assolutamente. Davanti a noi ha preso la borsa, si è parlato con il dottor Ayala, ha girato, ha salutato e se n’è andato verso l’uscita.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi verso via D’Amelio, verso l’uscita di via D’Amelio, diciamo.
- TESTE FARINELLA R. – Sì, sì.
- P.M. Dott. GOZZO – Verso via Autonomia Siciliana.
- TESTE FARINELLA R. – Sì, verso via Autonomia Siciliana.
- P.M. Dott. GOZZO – Io le volevo mostrare, a questo punto… Presidente, sono le stesse foto che ho mostrato, quelle allegate (…) Quelle esibite già ieri, sì. (…) allora, le volevo fare le domande specifiche: se riconosce qualcuno nelle prime due foto che… quindi nella prima pagina che le viene mostrata, la pagina 3 di questa relazione.
- TESTE FARINELLA R. – Il dottor Ayala.
- P.M. Dott. GOZZO – Sì. E l’altra persona, invece, quella vestita con…
- TESTE FARINELLA R. – Arcangioli.
- P.M. Dott. GOZZO – Eh.
- TESTE FARINELLA R. – No, no, non la ricono… non la ricordo, perché non… completamente.
- P.M. Dott. GOZZO – (…) E io questo le volevo chiedere, non gliel’ho chiesto immediatamente. Un’altra cosa le volevo chiedere: quella persona a cui avete consegnato la borsa, se lo ricorda, ricorda, prendendo a base la sua altezza, se fosse della sua altezza, altezza superiore, altezza inferiore?
- TESTE FARINELLA R. – Guardi, in quel momento io ho avuto solo ed esclusivamente fiducia del dottor Ayala; mi sono disinteressato della persona, chi poteva essere e chi non poteva essere, quindi non ho fatto tanta attenzione alla persona in cui io ho consegnato la borsa, perché il
- dottor Ayala ha garantito lui, dice: “Dagliela a lui, è una persona che conosco io”, basta, per me… non dovevo… cioè la mia idea, la mia mente non doveva stare… avevo tante cose in testa all’infuori di quella persona. (…) Ha garantito lui, me l’ha detto lui, per me…
- P.M. Dott. GOZZO – Per lei va bene. Senta, un’altra cosa le volevo chiedere: lei ricorda se, diciamo, quando avete aperto l’autovettura vi erano delle fiamme all’interno?
- TESTE FARINELLA R. – No.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi non è stato necessario utilizzare l’idrante per…
- TESTE FARINELLA R. – Era… no.
- P.M. Dott. GOZZO – Per la macchina, per l’interno della macchina intendo.
- TESTE FARINELLA R. – No, all’interno non c’era…
- P.M. Dott. GOZZO – No, glielo chiedo relativamente allo stato della borsa. Lei ricorda in che stato era la borsa? Perché lei l’ha tenuta per un po’ di tempo, ha detto.
- TESTE FARINELLA R. – Perfetto.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi era assolutamente intonsa, diciamo così, non era…
- TESTE FARINELLA R. – Integra, ma si vede come… si evince anche nelle foto, quindi… La borsa…
- P.M. Dott. GOZZO – E no, adesso le mostro le foto, perché, diciamo, lo stato della borsa è un po’ diverso poi, successivamente. Ecco, volevo sapere prima di tutto se riconosce il tipo di borsa. Presidente, chiederei di mostrare questo, è un album fotografico che era allegato al verbale di s.i.t. di una persona che dovremmo sentire oggi, cioè Maggi. (…) E’ la fotografia della borsa del dottore
- Borsellino. (…) Dico, io le specifico che dalle fotografie si evince che la borsa è da un lato, diciamo, abbastanza direi carbonizzata, mentre dall’altro lato è perfetta. Dico, quando lei l’ha presa era in queste condizioni o era in condizioni perfette, come ha detto lei?
- TESTE FARINELLA R. – No, la borsa era integra.
- (…)
- AVV. REPICI – Quando, quindi, fermate la macchina, il dottor Ayala vi spiega che cosa ci fosse lì nei pressi, nella zona dell’esplosione, in via D’Amelio? Se ci abitasse qualcuno.
- TESTE FARINELLA R. – Quando siamo entrati, dice: “Ma qua c’è… – dice – abita la mamma del dottor Borsellino”.
- AVV. REPICI – Ah, quindi ve lo dice lui.
- TESTE FARINELLA R. – Sì.
- TESTE FARINELLA R. – Io ricordo che passando di là, il dottor Ayala ha detto: “C’è la borsa all’interno”. Poi se hanno detto gli altri o gli altri hanno visto, non lo so, non l’ho sentito io.
- AVV. REPICI – A lei l’ha detto il dottor Ayala?
- TESTE FARINELLA R. – Sì, certo.
- AVV. REPICI – Può riferire le modalità pratiche con cui fu forzata la portiera?
- TESTE FARINELLA R. – Avvocato, come faccio a saperlo adesso? Se è stata forzata, c’era un vigile del fuoco. (…) Aveva… non so, in quel momento aveva un attrezzo e l’ho aiutato pure io ad aprire la portiera, non…
- AVV. REPICI – Non ha ricordo.
- TESTE FARINELLA R. – E’ impossibile, cioè è impossibile ricordare quegli attimi di…
- AVV. REPICI – Lo capisco.
- TESTE FARINELLA R. – Queste piccolezze che… visto la gravità
- della situazione andavo…
- AVV. REPICI – Lo capisco, appuntato, lo capisco, cerchiamo di riuscire a recuperare ogni dettaglio. Mentre lei fa questa operazione, cioè cerca di aprire la porta, poi si avvale dell’aiuto del vigile del fuoco e poi, infine, una volta aperta la portiera, estrae dalla macchina la borsa, il dottor Ayala è rimasto lì al suo fianco?
- TESTE FARINELLA R. – Certamente. Mica posso lasciare la personalità. Il mio compito era la personalità, non la borsa.
- AVV. REPICI – E’ chiaro. In quel frangente lei sentì il dottor Ayala o chiunque altro parlare di un’agenda del dottor Borsellino?
- TESTE FARINELLA R. – Assolutamente no, nessuno ha parlato di questo finché avevo la borsa io, o successivamente non abbiamo mai parlato, che non c’è stato nessun motivo
Audio di Borsellino, l’ex pm Ayala: «Ho pianto a risentire la sua voce» L’ex pm e collega del giudice Paolo Borsellino dopo la pubblicazione degli audio del giudice ucciso dalla mafia «Quella voce. Mi sono salite le lacrime. Non credevo… Ma devo dire che ho pianto. Sarà l’età». Ho ripensato a quei giorni. Io non ero nel pool antimafia, ma ero il loro pubblico ministero di riferimento. E ogni sera scendevo da loro, all’ammezzato, a parlare di lavoro, ma anche di altro».
L’audio (e le parole amare) di Borsellino: «La macchina blindata …
Qual era la situazione? «Quella che Paolo fotografa esattamente. Lui aveva molte doti e una era proprio quella di fornire un quadro sintetico e preciso».
C’era amarezza tra voi? «Sembra incredibile, ma si affrontava la situazione anche con molta ironia. Paolo era molto ironico, e anche Giovanni Falcone. Nelle riunioni si scherzava. Antonino Caponnetto ci divideva come a scuola».
Poi, le stragi… «Certo quando fu ucciso Rocco Chinnici fu molto difficile, per noi era come se ci fosse stato ucciso un padre».
Borsellino lamenta scorte ridotte a mezza giornata, il computer rotto. Era una guerra strisciante? «Non scivoliamo nella dietrologia. C’erano Scalfaro ministro dell’Interno e Martinazzoli alla Giustizia. Secondo me non c’era sufficiente sensibilità per capire. Almeno fino all’84».
Dopo? «Le cose cambiarono. Scorte full time e nell’85 partì il supporto tecnologico. L’autista di Chinnici (Giovanni Paparcuri ns. precisazione) – scampato all’attentato perché l’auto blindata lo protesse – si dedicò a memorizzare tutti i dati: fu preziosissimo nel maxiprocesso».
Cosa l’ha più colpita di quell’audio? «Ho riflettuto che Paolo lì aveva 44 anni. Io ne avevo 5 di meno. Eravamo giovani, animati da grandi speranze. Che poi si sono realizzate. Ma a carissimo prezzo. Paolo e Giovanni erano straordinari non perché sono stati uccisi, ma perché erano magistrati di altissimo livello e avevano una grandissima umanità. Tutti abbiamo perso moltissimo». 16 luglio 2019 Corriere della Sera di Virginia Piccolillo
Le testimonianze di Giuseppe Ayala e del suo capo scorta Ayala vede la borsa in pelle dentro i resti della Fiat Croma blindata; forse un ufficiale dei carabinieri apre lo sportello o forse lo sportello posteriore sinistro è già aperto. La borsa del magistrato è nel sedile posteriore oppure nel pianale fra i sedili anteriori e quelli posteriori, ma Ayala non ci guarda dentro. Si limita a prenderla in mano per pochi attimi. Forse è una persona in borghese che gliela passa. Poi il giudice la consegna ad un ufficiale dei carabinieri che non conosce. Differente è la ricostruzione offerta dall’agente Farinella, suo capo scorta
Affatto diversa è la versione del dottor Giuseppe Ayala, fra i primi a giungere nel luogo della strage, con la sua scorta, dopo avere udito il boato della deflagrazione dal vicino Residence ‘Marbella’, a pochissime centinaia di metri dalla via D’Amelio, dove il teste (all’epoca fuori ruolo dalla Magistratura), soggiornava nei fine settimana, in occasione dei suoi rientri a Palermo (da Roma, dove faceva il Parlamentare). Infatti, il teste (non senza alcune difficoltà mnemoniche) spiegava che non sapeva nemmeno che Paolo Borsellino teneva un’agenda nella quale annotava le proprie riflessioni più delicate, anche perché, da diversi anni (cioè da quando non lavoravano più – entrambi – alla Procura di Palermo), aveva pochissime occasioni di frequentarlo.
Comunque, Ayala escludeva decisamente d’aver guardato dentro alla borsa di Paolo Borsellino, che pure passava fugacemente fra le sue mani, così come escludeva d’averla portarla via sulla autovettura blindata della propria scorta. Ayala giungeva in via D’Amelio con la sua scorta ed intuiva quanto poteva essere accaduto, pur non sapendo che la madre di Paolo Borsellino abitava lì, dopo notato che la blindata vicino al cratere dell’esplosione era una di quelle in dotazione alla Procura della Repubblica di Palermo. Il teste aveva conferma dei propri sospetti quando andava a riconoscere i resti di Paolo Borsellino (assieme al dottor Guido Lo Forte) e vedeva anche la sua borsa in pelle dentro alla Fiat Croma, dopo che un ufficiale dei Carabinieri apriva lo sportello (come il teste dichiarava nelle indagini preliminari) od approfittando del fatto che lo sportello posteriore sinistro era già aperto (come dichiarava, invece, al dibattimento). La borsa del Magistrato era nel sedile posteriore oppure nel pianale fra i sedili anteriori e quelli posteriori, ma Ayala (come già detto) non vi guardava dentro, limitandosi a prenderla in mano per pochi attimi (forse, era una persona in borghese che gliela passava), consegnandola – subito dopo – ad un ufficiale dei Carabinieri che nemmeno conosceva, per poi recarsi a Mondello a rassicurare i propri figli, poiché il giornalista Felice Cavallaro gli spiegava che si stava diffondendo la falsa notizia che fosse proprio lui la vittima dell’attentato.
Si riporta qui di seguito uno stralcio dell’articolata deposizione dibattimentale del teste:
- TESTE AYALA G. – Guardi, io… siccome sappiamo di cosa stiamo parlando, e cioè dell’agenda di Paolo, la cui esistenza ovviamente è confermata dai familiari più stretti, dai collaboratori più stretti di Paolo, e che non essendosi trovata da nessun’altra parte è presumibile, è chiaro che era dentro quella borsa.
- P.M. Dott. GOZZO – Lei ne era a conoscenza che comunque…
- TESTE AYALA G. – No.
- P.M. Dott. GOZZO – …Paolo Borsellino scriveva tutto sulle sue agende?
- TESTE AYALA G. – Non ne avevo idea di questo.
- TESTE AYALA G. – Questo sapevo che faceva, agende non… non me ne ricordo affatto, ma sopratutto, dico questo perché, sa, poi si alimentano tante cose, ma insomma, lasciamo perdere. Io non potevo sapere… da sei anni non avevo contatti con Paolo di rapporti di lavoro, di ufficio, di frequentazione, da sei anni, a parte in alcune vicende occasionali, quindi non avevo idea: a), che lui avesse un’agenda, ma dico l’agenda ce l’abbiamo tutti, soprattutto di che cosa ci fosse scritto; che evidentemente, questa è una cosa, diciamo, di percezione immediata, eh, dovevano essere delle annotazioni delicate, altrimenti non si capisce perché qualcuno, tradendo le istituzioni, l’ha fatta scomparire. Ora, delle annotazioni, da quello che so io, non ne sapevano niente neanche i suoi collaboratori più stretti, più fidati, quelli con cui si vedeva quotidianamente, credo neanche i parenti più stretti. (…) Per cui io non avevo idea, a), che esistesse questa agenda di Paolo; b), che fosse nella borsa, ma meno che mai che ci potessero essere delle annotazioni delicate. Rispondo alla sua domanda sul…
- P.M. Dott. GOZZO – Certo.
- P.M. Dott. GOZZO – Ora ci arriviamo, io vorrei che facessimo un attimo un passo indietro e poi arriviamo proprio a questo punto, che è il punto, chiaramente, nodale di tutta la vicenda. Relativamente all’autovettura, quando lei la vede la prima volta, era chiusa l’autovettura?
- TESTE AYALA G. – No, no, lo sportello è aperto.
- P.M. Dott. GOZZO – Io sto parlando quando la vede arrivando in…
- TESTE AYALA G. – Quando io arrivo, noto questa macchina con lo sportello posteriore aperto; e ripeto, la cosa non poteva essere diversamente, perché per chi è abituato a fare una vita da scortato, quella macchina… quello sportello doveva essere aperto, perché o c’era seduto il… Io non so se Paolo era seduto dietro o davanti, lo sportello è lato cancelletto, proprio il la… quello che porta in direzione, sennò devi fare il giro della macchina o scendi dall’altro lato; o scendeva uno della scorta. Quindi… questo dello sportello aperta era…
- P.M. Dott. GOZZO – Questo però, ecco, io chiedo sempre ai testi di distinguere tra quelli che sono i loro ricordi effettivi, diciamo così (…) dai ricordi ricostruiti in punto logico, diciamo così.
- TESTE AYALA G. – No, no, questo è un ricordo proprio…
- P.M. Dott. GOZZO – No, le spiego, perché quando lei è stato sentito nel 1998, questo lo dico anche per aiuto della sua memoria, a pagina 2 del verbale lei dice, proprio racconta di quando arriva alla via D’Amelio: “Vidi i primi cadaveri a brandelli e osservai la blindata che era ancora integra. Cercai di guardare all’interno senza risultato per via del fumo che avvolgeva tutto, cercando di capire chi fosse stato l’obiettivo. Allora mi guardai intorno e vidi il cratere causato dallo scoppio”. Quindi va al…
- TESTE AYALA G. – Sì, sì.
- P.M. Dott. GOZZO – “Frattanto i pompieri avevano spento le fiamme. Tornai indietro verso la blindata, anche perché nel frattempo un carabiniere in divisa, quasi certamente un ufficiale, aveva aperto lo sportello posteriore sinistro dell’auto”. Da queste dichiarazioni, ecco, si evince che prima la macchina era chiusa, evidentemente lei non riusciva a vedere all’interno.
- TESTE AYALA G. – Guardi… guardi, può darsi che… il fatto che lo sportello era aperto è quando io faccio ritorno, diciamo, dopo avere…
- P.M. Dott. GOZZO – Ecco, io questo le chiedevo poco fa.
- TESTE AYALA G. – Io in questo momento… beh, insomma, e ventun anni sono passati.
- P.M. Dott. GOZZO – No, lo so, questo…
- TESTE AYALA G. – Per me… per me vedere quella macchina con lo sportello aperto mi sembrò la cosa più normale. Probabilmente forse nel ’98 magari ricordavo meglio, insomma. Però, ripeto, quando sono ritornato dalla scoperta tremenda che avevo fatto, lo sportello era sicuramente aperto, questo è… Perché ho il fotogramma della borsa, la vedo io sul sedile posteriore, sono lì vicino; ci sono… nel frattempo erano arrivate altre persone.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi possiamo dire che la seconda volta che si avvicina alla macchina, lo sportello era aperto.
- TESTE AYALA G. – Sì, sì.
PASSAGGI DI MANO
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi, per riuscire a capire e quindi tornando a questo punto sul tema oggetto di questa testi… anche oggetto, oltre ad altri, di questa testimonianza: la borsa viene presa da lei, viene presa dalla persona che aveva aperto la macchina?
- TESTE AYALA G. – Guardi, la borsa era lì, io me la sono ritrovata in mano. Mi sembra che ci fosse uno che me la… ma erano questione di centimetri, insomma, era proprio lì, vicinissima. Ripeto, io l’ho tenuta pochissimi secondi in mano, ho visto questo ufficiale dei Carabinieri: “Guardi, la tenga”, anche perché io non avevo nessun titolo per tenerla, in ogni caso, non essendo neanche in quel momento in ruolo, non facevo il magistrato, non facevo il Sostituto. Quindi io… io ho questo ricordo, ripeto, legato al momento, proprio di un attimo, di… tanto è vero che, ripeto, mi sono poi detto: “Ma può darsi che… Ma che dovevo fare?” Poi, ripeto, io questo lo voglio ribadire, perché ognuno di noi c’ha una storia personale alla quale tiene. Se nessuno di quelli che Paolo sapeva… che sapevano che Paolo aveva questa agenda sa che cosa c’era scritto, io potevo pensare mai che fosse uno di quei documenti in cui bisogna stare molto attenti in questi casi? Cioè non avevo… non potevo avere… dico, a una dimensione dell’umano, fino ai confini estremi, qualcuno che è generoso nei miei giudizi può pensare che io ci arrivi, ma qui siamo fuori dalla… dall’umano, cioè è una cosa che ignori, non… non ne sai nulla; non ne sapevano nulla nemmeno quelli che sapevano che lui l’aveva, la portava sempre con… con sé, era… Quindi, ripeto, non mi… non mi sento di muovermi neanche un rimprovero di leggerezza, non…
- P.M. Dott. GOZZO – Senta, una cosa non sono riuscito a capire: se in questa scena, diciamo così, in cui stiamo parlando proprio dell’apprensione della borsa, se trova in qualche modo spazio anche un soggetto che non è un ufficiale dei Carabinieri o comunque che è in abiti borghesi. Che lei ricordi.
- TESTE AYALA G. – C’era, sì, c’era qualcuno, ma forse più di uno lì vicino. Cioè c’era molta gente che si andava avvicinando. Io avevo, quello che ricordo perfetto è, Cavallaro alla mia sinistra, che mi ripeteva ‘sta storia, che era sconvolto pure lui, esagitato, e poi c’era questo ufficiale dei Carabinieri che era quasi di fronte a me e poi ho intravisto con l’altra… con l’altra parte dell’occhio, c’erano altre persone, tre, due, non me lo ricordo, insomma, ma certo non eravamo soltanto io, Cavallaro e l’ufficiale dei Carabinieri, c’era altra gente e altra ne arrivava, cioè c’era una certa… Perché ormai si era sparsa la voce, arrivavano persone, magari forse gente che abitava nei palazzi e scendeva, adesso non so, non ho idea di chi potessero essere, né li ho memorizzati, non avevo nessun motivo di memorizzarli.
- P.M. Dott. GOZZO – No, no, io le faccio questa domanda, dico (…) proprio e glielo dico sempre anche in questo caso per aiuto della memoria, perché lei l’8 febbraio del 2006 ha detto che riceve la borsa da un uomo in borghese e poi lei la dà all’ufficiale, la consegna all’ufficiale.
- TESTE AYALA G. – Sì, sì, quello che dicevo prima, sì.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi ci sarebbe stata questa specie di passaggio di mano.
- TESTE AYALA G. – Sì, ma una cosa proprio contestuale, che so, distanza zero, insomma. E poi io… io l’unica cosa ferma che ho sempre ricordato e che ho sempre detto, malgrado, diciamo, la particolarità del momento è che non mi sembrò vero, addirittura, che ci fosse ‘sto ufficiale dei Carabinieri per consegnarmi questa borsa e scapparmene via. Dico, io vorrei molto insistere su questo, sono rimasto…
- P.M. Dott. GOZZO – Ecco, inizialmente lei questo, la presenza della persona in borghese non la ricordava. Ecco, volevo riuscire a capire (…) quanto di questo suo ricordo sia suo o sia, invece, un apporto di persone che conosceva, come per esempio il dottore Cavallaro, che aveva altri ricordi, ecco.
LA DEPOSIZIONE DELL’AGENTE FARINELLA Parzialmente divergente rispetto alle predette deposizioni […], si rivela la deposizione del Carabiniere che faceva da capo scorta ad Ayala, quel pomeriggio, vale a dire l’Appuntato Rosario Farinella. Il Carabiniere, infatti, ricordava che, subito dopo la deflagrazione, quando si muovevano, con l’automobile blindata, dal residence ‘Marbella’, per andare ad accertarsi dell’accaduto, parcheggiando poi all’incrocio fra la via dell’Autonomia Siciliana e la via D’Amelio, Ayala faceva presente che in quella strada abitava la madre di Paolo Borsellino (circostanza che contrasta con quanto affermato dallo stesso Ayala, in merito al fatto che, prima della strage, non era al corrente della circostanza appena menzionata). Dopo il riconoscimento dei resti di Paolo Borsellino e delle altre vittime, il militare si recava presso la Croma blindata, unitamente ad Ayala, che non perdeva mai di vista. Vi era qualche fiammata dal lato posteriore destro ed un vigile del fuoco la spegneva. Poi, Farinella e il vigile del fuoco aprivano la portiera posteriore destra della Croma, forzandola, poiché Ayala si accorgeva che dentro vi era la borsa di Paolo Borsellino. Lo stesso Farinella, inoltre, prelevava direttamente la borsa dal sedile posteriore e, dopo un certo lasso di tempo in cui la teneva in mano, su indicazione di Ayala, la consegnava ad una persona – in abiti civili – conosciuta dal Parlamentare (anche questo ricordo del teste contrasta decisamente con quanto affermato da Ayala ed anche da Cavallaro, in merito alla consegna della borsa ad un ufficiale in uniforme, neppure conosciuto). Il soggetto che riceveva la borsa non era Giovanni Arcangioli (la cui fotografia veniva mostrata al teste) ed era una persona (si ripete) conosciuta da Ayala. Quest’ultimo spiegava al consegnatario che si trattava della borsa del Magistrato (“Questa è la borsa che abbiamo preso della macchina del dottore Borsellino”) e veniva rassicurato dall’interlocutore, prima che questi s’allontanasse verso via dell’Autonomia Siciliana (“lo stesso ci rassicurò, dicendo che si sarebbe occupato della cosa, per cui gli consegnai la borsa”). A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA16 luglio 2021 – Borsellino Quater
Quattro domande a Giuseppe Ayala (che ha perso ancora una volta un’ottima occasione per tacere)di Salvatore Borsellino, dal suo blog su ilfattoquotidiano.itEro rimasto a disagio, e non è la prima volta che mi succede, nel leggere le dichiarazioni di Giuseppe Ayala riguardanti le scorte dei magistrati e in particolare dei magistrati di Palermo. Mi era sembrata una dichiarazione inopportuna, stonata e stranamente sincrona con una analoga dichiarazione dell’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo che aveva addirittura lamentato un preteso spreco di risorse pubbliche per “quanto si spende per le cene dei magistrati con scorta”. Delle affermazioni del monsignore non vale nemmeno la pena di parlare, basterà ricordargli i 2,5 milioni di euro che verranno dilapidati per la visita del Papa a Palermo – una città con enormi problemi di ogni tipo – in opere delle quali alla città non rimarrà nulla, o chiedergli perché invece di lamentarsi dei fondi per pretese cene dei magistrati con scorta, che non mi risultano avvenire abitualmente o essere a carico dello Stato, non abbia parlato invece dei costi della politica istituzionale non per scorte ma piuttosto per escort e al costo dei voli di Stato adoperati per trasferire in ville in Sardegna nani, ballerine e menestrelli di ogni tipo. Ad Ayala che afferma, tra l’altro che “Cosa nostra è cambiata, da oltre 18 anni non uccide più” e che auspica per questo “una responsabile, se pur graduale rivisitazione delle scorte in circolazione” avrei voluto ricordare i progetti di attentati, per fortuna scoperti in tempo grazie a quelle intercettazioni che si vorrebbero abolire, nei confronti di magistrati come Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Sergio Lari, Giovanbattista Tona e gli attentati, progettati o anche realizzati seppure finora per fortuna senza esiti mortali, nei confronti di magistrati calabresi. Ma piuttosto che a disagio sono rimasto ora indignato nel leggere la replica di Ayala alle sacrosante reazioni dell’Anm e in particolare del presidente della giunta di Palermo, Nino Di Matteo che dice, e le sue parole mi sento di sottoscrivere pienamente, “L’intervento di Ayala mi lascia veramente perplesso. Evidentemente il collega, anche per la sua lunga militanza politica è da troppi anni ben lontano dalla trincea e dall’attualità delle inchieste e dei processi di mafia. Proprio questa attualità dovrebbe semmai indurre gli organismi preposti ad una rinnovata attenzione”. Nella sua risposta Ayala, che ha perso ancora una volta un’ottima occasione per tacere, replica, quasi ironizzando, definendo Nino Di Matteo “un collega che ha cominciato a muovere i primi passi da magistrato soltanto nel 1993”, quasi che questo costituisse una colpa e senza accorgersi di quanto le sue parole siano tristemente simili a quelle di Francesco Cossiga quando credeva di bollare con l’epiteto di “giudice ragazzino” quel Rosario Livatino la cui grandezza è semmai accresciuta proprio da quella definizione che il Presidente Emerito aveva usato in maniera spregiativa. Poi Ayala non si esime, come è suo costume, di pavoneggiarsi citando i suoi “dieci anni nel pool antimafia e i diciannove anni di vita blindata”. Peccato che del pool antimafia Ayala non abbia mai fatto parte essendo il pool diretto dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto e formato da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta, tutti magistrati facenti parte dell’Ufficio Istruzione presso il Tribunale di Palermo. Non ne poteva far parte Giuseppe Ayala che esercitava il suo ruolo di Magistrato presso la Procura di Palermo e che ricoprì il ruolo di Pubblico Ministero al primo maxiprocesso insieme a Domenico Signorino, morto suicida dopo le accuse da parte di Gaspare Mutolo di essersi venduto alla mafia a causa degli ingenti debiti di gioco. Ma Ayala ha sempre giocato sull’equivoco proclamando in ogni occasione la sua appartenenza al pool antimafia e non se ne capisce la ragione , se non quella di volere concentrare l’attenzione su di sé, quando invece dovrebbe essergli sufficiente , senza alterare la verità, citare il fatto di avere, in qualità di pm, sostenuto al processo il procedimento istruito proprio dal pool di Falcone e Borsellino. Strana coincidenza, questa dei debiti, che accomuna i due pm del maxiprocesso, ma che a uno, Domenico Signorino, costarono il volontario addio alla vita spinto dal tormento del rimorso per aver ceduto ai ricatti della mafia, all’altro, Giuseppe Ayala, soltanto un provvedimento disciplinare da parte del Csm e il volontario trasferimento al tribunale di Caltanissetta nelle more di un inspiegabile ritardo nell’attuazione del provvedimento di spostamento dal tribunale di Palermo per incompatibilità ambientale.Non conoscevo di persona Ayala prima della morte di Paolo, né avevo sentito parlare proprio per il suo ruolo di pm al maxiprocesso e dopo la strage di Capaci mi aveva colpito, e non favorevolmente, il suo continuo accreditarsi come l’amico più intimo di Giovanni Falcone, per cui una volta mi capitò di parlarne con Paolo in una delle poche telefonate che avemmo in quei tragici 57 giorni che intercorsero tra la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio. Mi ricordo che mi disse, in quel dialetto in cui abbiamo sempre amato esprimerci tra di noi, e mi sorprese il tono, quasi di fastidio, che usò allora “chistu l’avi a chiantari, pari ca fussi sulu iddu amicu di Giovanni” (“questo la deve piantare, sembra che fosse solo lui amico di Giovanni”). In seguito ho incontrato Ayala poche volte, in occasione di incontri ai quali eravamo stati invitati entrambi come relatori e ogni volta ho ascoltato quasi con avidità i suoi racconti, è dotato di spiccate dosi di affabulatore, di episodi e di aneddoti della vita di Paolo, cosa che faccio ogni volta che incontro una persona che ha avuto l’occasione di condividere con Paolo una parte di quei 23 anni di vita in cui io, che sono andato via da Palermo a 27 anni, gli sono stato, per la maggior parte del tempo, lontano.
Più volte mi è invece capitato, a fronte di episodi nei quali è stato coinvolto Giuseppe Ayala, di sentire la necessità di porgli delle domande, delle domande su pesanti dubbi che mi erano nati a fronte di certi episodi che lo hanno coinvolto dopo la morte di Paolo, ma mi sono sempre trattenuto pensando ai rapporti di amicizia che lo legavano a Paolo di cui mi ha sempre parlato nei suoi racconti. Ma adesso a sentirlo vantarsi, nella sua replica a Nino Di Matteo, del suo “self control”, a sentirlo irridere chi, parlando della situazione attuale in Sicilia parla di “trincea”, scrivendo testualmente: “Accantono ogni pudore. Non credo proprio che riuscirò mai a dimenticare le vittime della barbarie mafiosa di quell’orrendo periodo. Le vedove e gli orfani ai quali ho donato una carezza consolatoria. I miei dieci anni nel pool antimafia e i diciannove di vita blindata. E non aggiungo altro. Altrimenti qualcuno mi accuserà di volere infierire”, dato che il pudore lo ha veramente accantonato, sono io ad abbandonare ogni remora e a fargli finalmente quelle do-mande che da tanto tempo rimugino nella mente . Perché, se si ha avuto la sorte di partecipare a quei funerali soltanto da spettatore e non da vittima, si deve avere il pudore di non ascrivere a proprio merito le “carezze consolatorie” che si è riusciti a “dispensare” e non si può rinfacciare i propri “diciannove anni di vita blindata” conclusi peraltro con l’abbandono, per di più temporaneo, della magistratura ed il passaggio ad una più agiata vita da parlamentare, a chi invece la vita blindata la conduce ancora oggi.
E allora eccole, rivolte ad Ayala e in attesa di una risposta, le domande che non avrei voluto fare.
La prima domanda riguarda l’Agenda Rossa di Paolo e la sparizione di questa dalla borsa che sicuramente la conteneva dato che la moglie di Paolo, Agnese, gliela aveva vista riporre prima di partire per il suo appuntamento con la morte. Delle circostanze relative al rinvenimento e al prelievo di questa borsa Ayala, che è testimone diretto visto che fu uno dei primi ad arrivare sulla scena della strage, ha dato, in successione e in tempi diversi almeno quattro versioni differenti.
La prima è dell’ 8 aprile 1998 e fu resa quindi da Giuseppe Ayala, che il 19 luglio 1992 era deputato della Repubblica, sette anni prima del coinvolgimento del Capitano Giovanni Arcangioli.
“Tornai indietro verso la blindata della procura anche perché nel frattempo un carabiniere in divisa, quasi certamente un ufficiale, se mal non ricordo aveva aperto lo sportello posteriore sinistro dell’auto. Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiature e tuttavia integra, l’ufficiale tirò fuori la borsa e fece il gesto di consegnarmela. Gli feci presente che non avevo alcuna veste per riceverla e lo invitai pertanto a trattenerla per poi consegnarla ai magistrati della procura di Palermo”.
In questa prima versione è dunque un ufficiale in divisa ad aprire la portiera, ad estrarre la borsa e a fare il gesto di consegnarla ad Ayala, ma lui rifiuta di prenderla in mano.
Il 2 luglio 1998, al processo Borsellino Ter, Ayala dichiara di essere residente all’hotel Marbella, a non più di 200 me-tri in linea d’aria da Via D’Amelio. Sente il boato nel silenzio della domenica pomeriggio. Si affaccia, ma non vede nul-la perché davanti c’era un palazzo. Per curiosità scende giù, si reca in via D’Amelio e vede “una scena da Beirut”. Dal momento dell’esplosione “saranno passati dieci minuti, un quarto d’ora massimo”. Dice di non sapere che lì ci abitava la madre di Paolo Borsellino. Camminando comincia a vedere pezzi di cadavere. Vede due macchine blindate, una con un’antenna lunga, di quelle che hanno solo le macchine della procura di Palermo. Pensa subito a Paolo Borsellino. “Ho cercato di guardare dentro la macchina, ma c’era molto fumo nero”. Ayala afferma che proprio in quel momento stavano arrivando i pompieri. Osserva il cratere e poi torna indietro. “Sono tornato verso la macchina, era arrivato qualcuno… parlo di forze di polizia. Ora, il mio ricordo è che a un certo punto questa persona, che probabilmente io ricordo in divisa, però non giurerei che fosse un ufficiale dei carabinieri, (….) ciò che è sicuro è che questa persona aprì lo sportello posteriore sinistro della macchina di Paolo. Guardammo dentro e c’era nel sedile posteriore la borsa con le carte di Paolo, bruciacchiata, un po’ fumante anche… però si capiva sostanzialmente… lui la prese e me la consegnò (….) Io dissi: – Guardi, non ho titolo per… La tenga lei. –“.
In questa versione, leggermente ritoccata rispetto alla prima, non c’è più la sicurezza di un ufficiale in divisa che apre la portiera, ma permane la certezza che sia stata questa persona ad aprire la portiera e a raccogliere la borsa. Ayala, in ogni caso, nega assolutamente di avere preso in mano ed aperto la borsa. “Io poi mi sono girato, sono andato di nuovo verso questo giardinetto, e lì poi ho trovato il cadavere di Paolo (…). Io ci ho inciampato nel cadavere di Paolo, perché non era una cadavere… era senza braccia e senza gambe”.
Le corrispondenti dichiarazioni rilasciate il 5 maggio 2005 dal Capitano Arcangioli, l’ufficiale cui fa riferimento Ayala, sono completamente differenti. Ayala parla di un ufficiale in divisa mentre Arcangioli dice che è in borghese, Ayala dice di avere esaminato la macchina con l’ufficiale mentre Arcangioli dice che Ayala era rimasto in un posto diverso. Ayala dice che la borsa era bruciacchiata mentre Arcangioli dice di no. Ayala dice di avere rifiutato la borsa e di non averla mai aperta ed esaminata mentre Arcangioli dice che addirittura la aprirono e la esaminarono insieme. E’ chiaro che almeno uno dei due mente, se non entrambi.
Il 12 settembre 2005 Ayala cambia completamente versione.
Afferma di essere arrivato sul luogo subito dopo l’esplosione, di avere identificato il cadavere di Paolo Borsellino e di avere notato l’auto del magistrato con la portiera posteriore sinistra aperta. “Scorsi sul sedile posteriore una borsa di pelle bruciacchiata. Istintivamente la presi, ma mi resi subito conto che non avevo alcun titolo per fare ciò, per cui ri-cordo di averla affidata immediatamente ad un ufficiale dei carabinieri che era a pochi passi. Nell’affidargli la borsa gli spiegai che probabilmente era la borsa appartenente al dottore Borsellino”. Quando gli viene mostrata la foto di Arcangioli, Ayala dichiara: “Non ricordo di avere mai conosciuto, né all’epoca né successivamente il capitano Arcangioli. Non posso escludere ma neanche affermare con certezza che detto ufficiale sia la persona alla quale io affidai la borsa. Per quanto possa sforzarmi di ricordare mi sembra che la persona alla quale affidai la borsa fosse meno giovane, ma può darsi che il mio ricordo mi inganni. Insisto comunque nel dire che l’ufficiale ricevette la borsa e poi andai via. Escludo comunque in modo perentorio che all’inverso sia stato l’ufficiale di cui si parla a consegnare a me la borsa”.
Cambia tutto dunque. Non è più l’ufficiale in divisa ad estrarre la borsa dalla macchina, ma Ayala in persona, che aveva precedentemente escluso di avere mai preso in mano la borsa.
E’ lui a questo punto a consegnarla all’ufficiale e questa volta esclude “in modo perentorio” che sia avvenuto l’inverso.
L’8 febbraio 2006 Ayala modifica di nuovo la propria versione dei fatti: “Ebbi modo di vedere una persona in abiti borghesi (…) è certo che non fosse in divisa, la quale prelevava dall’autovettura attraverso lo sportello posteriore sinistro una borsa. Io mi trovavo a pochissima distanza dallo sportello e la persona in divisa si volse verso di me e mi consegnò la borsa (…). Dato che accanto alla macchina vi era anche un ufficiale in divisa quasi istintivamente la consegnai al predetto ufficiale.”
Cambia tutto di nuovo. Questa volta Ayala si dice certo che la persona non fosse in divisa, ma in borghese. Non fu lui quindi ad estrarla, ma la prese in mano e la consegnò poi ad un altro ufficiale, in divisa. Questa dichiarazione di Ayala è talmente confusa che lui stesso chiaramente sbaglia quando dice “la persona in divisa si volse verso di me”, visto che due secondi prima si era detto certo che non fosse in divisa. La ritrattazione di Ayala non potrebbe essere più traballante e incoerente di così.
La domanda che a questo punto mi preme fare a Giuseppe Ayala è la seguente: ma come è possibile che un magistrato della sua esperienza, abituato a vagliare le deposizioni dei testimoni e degli imputati, possa dare versioni così contrastanti e contraddittorie di una circostanza di cui lui stesso è non testimone ma attore diretto, come è possibile che si sia prestato ad alterare la scena del delitto prelevando la borsa e poi consegnandola ad una persona della quale non ricorda neppure chiaramente se fosse in divisa o in borghese, come è possibile che avendo avuto in mano un reperto così fondamentale come la borsa contenente l’agenda rossa di Paolo non lo abbia protetto per assicurarsi, se egli come dice “non aveva titolo” per prenderlo in consegna, che fosse almeno consegnato ad una persona di sua assoluta fiducia.
Giuseppe Ayala ha avuto in mano l’agenda di Paolo, la cui sottrazione è stata uno dei motivi di quella strage e non la ha saputa proteggere come avrebbe potuto e dovuto?
O c’è qualche altra, agghiacciante, risposta ?
Ma c’è un altro episodio, sempre relativo a Paolo Borsellino che mi ha fatto nascere forti perplessità su Giuseppe Ayala e riguarda l’incontro del 1° luglio 1992 tra lo stesso Paolo e Nicola Mancino nel suo studio del Viminale dove Manci-no si era appena insediato come ministro dell’Interno. Io ho sempre sostenuto che quest’incontro non solo ci fu ma che nel corso di esso Mancino parlò a Paolo di quella scellerata “trattativa” che era stata avviata tra la criminalità organizzata e pezzi dello Stato, e di cui Mancino, come da recenti rivelazioni di alcuni collaboratori di Giustizia, costituiva il “terminale istituzionale”. Sostengo anche da tempo che deve essere stata la reazione violenta e senza appello di Paolo a quella proposta che deve avere affrettato la necessità della sua eliminazione e l’attuazione della strage del 19 luglio 1992. Di quell’incontro resta la testimonianza diretta di Paolo che nella sua agendina grigia che, diversamente dalla sua agenda rossa non è stata sottratta subito dopo la strage, annota “1° luglio – Ore 19:30 – Mancino”. Mancino ha però sempre negato l’incontro, sostenendo addirittura, e qui la sua affermazione risulta assolutamente inverosimile, che anche se avesse incontrato Paolo non potrebbe ricordarlo perché “non lo conosceva fisicamente”. E a fronte dell’esibizione da parte mia dell’agenda di Paolo che prova il contrario di quello che egli afferma, ha esibito in televisione una sua agenda ‘planning’, cioè quelle agende che riportano sulla stessa pagina i giorni di tutta una settimana nella quale, per quel giorno, non risulta alcun appuntamento. Ora a parte il fatto che ciò non prova nulla perché l’appuntamento potrebbe non averlo annotato, è la stessa agenda ad essere inverosimile perché in tutta la settimana sono annotate soltanto tre righe e non è pensabile che tutta l’attività settimanale di un ministro della Repubblica, appena nominato, riesca a riempire solo tre righe di un planning.
Su questa storia dell’incontro e dell’agenda Giuseppe Ayala ha dato a Mancino un maldestro assist cadendo anche in questo caso in evidenti contraddizioni come nel caso dell’agenda rossa.
Il 24 luglio del 2009, durante un’intervista ad Affari Italiani, Ayala dichiara: “lo stesso Nicola Mancino mi ha detto che il 1° luglio incontrò Paolo Borsellino. Le dirò di più, Mancino mi ha fatto vedere la sua agenda con l’annotazione dell’incontro”.
Ma poche ore dopo, questa vota sul settimanale Sette ribalta completamente la precedente dichiarazione e afferma: “Si è trattato di un lapsus. In realtà volevo dire che non ci fu nessun incontro. Anzi Mancino tirò fuori la sua agenda per farmi vedere che non c’era nessuna annotazione”.
Ci risiamo, per la seconda volta, e sempre in relazione a Paolo Borsellino, Ayala si contraddice in maniera evidente e fa dichiarazioni che, da magistrato, avrebbe pesantemente contestato a qualsiasi testimone, imputato o collaboratore di Giustizia. E non si tratta di una contraddizione da poco perché riguarda un incontro che, come io ritengo, è stato la cau-sa o almeno ha affrettato la fine di Paolo Borsellino.
Può chiarire Ayala questa contraddizione e questa circostanza? Perché si è prestato a sostenere questa versione e su sollecitazione di chi ha poi ritrattato? Finora non lo ha fatto perché della sua prima dichiarazione esiste la registrazione audio e quindi non può in alcuna maniera affermare di essere stato frainteso.
Un’ultima cosa. Ayala continua a ricordare in ogni suo intervento la sua amicizia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e senza dubbio in un certo periodo della sua vita questa amicizia c’è stata, ma proprio per questo dovrebbe evitare di mercificarla e sono rimasto veramente allibito quando, qualche giorno fa, ho letto testualmente di un “recital-spettacolo“ dal titolo “Chi ha paura muore ogni giorno” nel quale il “consigliere preso la Corte D’Appello dell’Aquila, debutta a teatro” E, in coda è riportato : “Prezzi: Poltronissima 40,00; Poltrona I settore 35,00; Poltrona II settore 25,00; Tribuna 15,00”. Siamo alla svendita dell’amicizia e dei ricordi.
Anche se poi oggi forse non è più tanto conveniente vantarsi di essere stato amico di Paolo, come in tanti, troppi, dopo la sua morte hanno preso l’abitudine di fare, se, come hanno testimoniato due magistrati che lavoravano con Paolo a Marsala, Alessandra Camassa e Massimo Russo, a pochi giorni dalla strage del 19 luglio, essendo andati a trovare Paolo nel suo ufficio alla Procura di Palermo, lo trovarono sconvolto e in pianto mentre, con la testa tra le mani, ripete-va “Un amico mi ha tradito, un amico mi ha tradito”. E nell’ agenda rossa sparita Paolo Borsellino avrà sicuramente annotato anche il nome di quel traditore. MICRO MEGA (27 settembre 2010)
“Il collega Ayala – ha detto il pm Nico Gozzo – ha reso diverse versioni… non so quanto tutto questo appartenga al modo di essere di Ayala oppure evidentemente a una voglia in qualche modo di depistare le indagini. Saranno i colleghi di Caltanissetta a stabilirlo”.
In un recente editoriale, il cronista Saverio Lodato scrive: «Ripetutamente interrogato sul punto, Giuseppe Ayala, avanti negli anni come tutti noi, a spiegazione di una quasi mezza dozzina di versioni differentisu questa circostanza, si è dichiarato pronto a rendere conto a Dio quando sarà, visto che su questa terra la memoria non lo aiuta più, nel ricordare a quali mani affidò la borsa delle discordia».
(ANSA) 4 LUG 2019 – “Mi sono ritrovato vicino alla blindata dopo essere inciampato sul cadavere di Borsellino. Ero presente fisicamente ma con la testa non c’ero. Vi lascio immaginare quale era in quel momento il mio stato d’animo”. Lo ha detto il magistrato, allora parlamentare, Giuseppe Ayala, rispondendo alle domande del procuratore capo Amedeo Bertone e del Pm Stefano Luciani nel corso dell’udienza al processo sul depistaggio della strage di via d’Amelio che si celebra a Caltanissetta e che vede imputati tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. “Mi trovo con questa borsa di Paolo in mano. Non so che farne – ha continuato Ayala – sono confuso. In uno stato di agitazione trovo due ufficiali dei carabinieri e la do a loro. Cosa che rifarei”. Ayala ha poi aggiunto: “La figlia di Borsellino invece di andare al carcere a sentire gli assassini del padre, può venire da me se ha bisogno di chiarimenti?”.
VIDEO
- Il prelievo della borsa
- Prelievo della borsa 2
- Video inedito
- Video di un Vigile del Fuoco
- Subito dopo l’esplosione
- Le conversazioni inedite della polizia subito dopo l’attentato
- Nuove ipotesi su borsa e agenda rossa scomparsa
- Borsa e scomparsa dell’agenda rossa – riprese dopo l’attentato
- Promemoria dell’indicibile
Audio udienze
DEPOSIZIONI DI AYALA AL PROCESSO DEPISTAGGIO 4.7.2019
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Processo a Mario Bo ed altri
- Nel Borsellino quater una conferma ai dubbi di Fiammetta– Le motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater potrebbero contenere elementi chiarificatori per la strage di via D’Amelio.
- La versione di Ayala
- Ajala cambia i tempi
- I “non ricordo” di Ayala sulla valigetta di BorsellinoInterrogato dai giudici della Corte d’assise di Caltanissetta al processo per la strage di via D’Amelio il magistrato ammette di aver tenuto in mano la borsa del collega ucciso ma di non ricordare a chi l’ha consegnata.
AYALA E L’AGENDA ROSSA – Il mistero dei misteri resta la scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Su questo aspetto si sono scritti fiumi di inchiostro: unatelefonata anonima ad un giornalista nel 2005 permise di far trovare una foto finita nel dimenticatoio per 13 anni; nel celebre scatto di Franco Lannino, l’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli, con la borsa in mano. Arcangioli fu poi indagato e assolto in via definitiva.
Sappiamo comunque che l’ex pm Giuseppe Ayala fu tra i primi ad arrivare in via D’Amelio. Le sue molteplici versioni sulla borsa di Paolo Borsellino sono considerate “contraddittorie” da Fiammetta Borsellino.
Di recente Ayala ha replicato nervosamente (LEGGI QUI) alla figlia di Borsellino. E in aula si è scontrato duramente con l’avvocato Fabio Repici (legale di parte civile di Salvatore Borsellino) che puntava a dimostrare l’inattendibilità del teste.
“Il collega Ayala – ha detto il pm Nico Gozzo – ha reso diverse versioni… non so quanto tutto questo appartenga al modo di essere di Ayala oppure evidentemente a una voglia in qualche modo di depistare le indagini. Saranno i colleghi di Caltanissetta a stabilirlo”.
In un recente editoriale, il cronista Saverio Lodato scrive: «Ripetutamente interrogato sul punto, Giuseppe Ayala, avanti negli anni come tutti noi, a spiegazione di una quasi mezza dozzina di versioni differenti su questa circostanza, si è dichiarato pronto a rendere conto a Dio quando sarà, visto che su questa terra la memoria non lo aiuta più, nel ricordare a quali mani affidò la borsa delle discordia».L’unica cosa certa è che quella borsa tornerà improvvisamente dentro l’auto, ancora fumante e con qualche focolaio da spegnere. Poi la nuova asportazione. La borsa sarà per oltre 6 mesi nell’ufficio di Arnaldo La Barbera, abbandonata. E non appena Lucia Borsellino chiese chiarimenti per l’assenza dell’agenda rossa, fu presa per pazza.
Depistaggio via d’Amelio, Ayala depone tra nervosismo e supponenza“La borsa di Paolo arrivò nella mia mano. Non ricordo come. Sarà una colpa di cui risponderò davanti a Dio”. Al processo sentito anche Salvatore La Barbera, ex funzionario della Squadra Mobile di Palermo
L’ex pm Giuseppe Ayala, l’uomo delle molteplici versioni sulla sua presenza in via d’Amelio nel giorno della strage e che tenne in mano la borsa di Paolo Borsellino, è stato sentito giovedì scorso al processo sul depistaggio di via d’Amelio, che vede come imputati i poliziotti Mario Bo,Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo accusati di concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.
Una deposizione dove, ancora una volta, il teste non ha mancato di mostrare quei tratti di nervosismo, supponenza e tracotanza in particolare di fronte alle domande della parte civile di Salvatore Borsellino, rappresentata in aula dall’avvocato Fabio Repici, tanto che lo stesso presidente del Tribunale, Francesco D’Arrigo, lo ha dovuto richiamare al proprio ruolo (“Lei è qui in veste di testimone, la domanda non è fatta in modo offensivo, deve accettare il ruolo di testimone che è nobile”) prima di predisporre una pausa per stemperare gli animi che si erano surriscaldati.
Eppure anche in questa deposizione Ayala ha avuto modo di fornire nuovi particolari rispetto alle dichiarazioni del Borsellino quater, in particolare sulla persona che lo aiutò ad identificare Paolo Borsellino. Non si trattava di Guido Lo Forte, ma di un’altra persona che non ricorda chi fosse. “Prima di venire qui ho chiamato a Lo Forte e telefonicamente mi ha assicurato che non era lui la persona che mi aiutò a riconoscere Borsellino – ha detto – Lui arrivò dopo. Lo Forte mi ha confermato che ci siamo visti successivamente, che ci abbracciammo e che lui non volle vedere Paolo. Io quindi ricordavo male. C’è stata una persona che mi aiutò ma non ricordo assolutamente chi era”.
Ayala ha così giustificato i suoi “difetti” di memoria: “Sin dall’inizio ho fatto una precisazione. Non credo di dover spendere molte parole per descrivere quale era il mio stato d’animo in via d’Amelio quel 19 luglio. Sono arrivato tra i primi perché abitavo lì vicinissimo, ripeto sempre le stesse cose, e sono inciampato in un tronco di uomo carbonizzato, senza braccia e senza gambe. Non sapendo che lì abitava la madre di Paolo Borsellino mi sono sforzato di riconoscerlo perché ero stato messo in allarme dalla presenza della macchina blindata. Poi sono uscito, mi sono ritrovato di fianco alla macchina bruciacchiata di Paolo. L’ho sempre detto, ero presente fisicamente ma con la testa non c’ero. Ero stravolto, anche perché mi era venuto il pensiero se questi continuano il terzo potrei essere io”. ANTIMAFIA 2000 7 LUGLIO 2019
ESAME DEL TESTE GIUSEPPE AYALA – 4 luglio 2019 – processo sul depistaggio sulla strage di Via D’Amelio Trascrizione delle domande del PM Bertone, dell’Avv.Repici legale parte civile della famiglia Salvatore Borsellino e dell’Avv.Greco, parte civile Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino
PM Bertone – Rispetto alle sue precedenti dichiarazioni, tenuto conto che è capitato qualche volta che poi si è discostato dalle stesse, vorrei capire se a distanza di ulteriore tempo è in grado di fornirci ulteriori ricordi.
Ayala – Sin dall’inizio ho fatto una precisazione. Non credo di dover spendere molte parole per esprimere quale era il mio stato d’animo in Via D’Amelio quel 19 luglio. Sono arrivato tra i primi perché abitavo lì vicinissimo, ripeto sempre le stesse cose, e sono inciampato in un tronco di uomo carbonizzato, senza braccia e senza gambe. Non sapendo che lì abitava la madre di Paolo Borsellino mi sono sforzato di riconoscerlo. Poi sono uscito, mi sono ritrovato di fianco alla macchina bruciacchiata di Paolo. L’ho sempre detto, ero presente fisicamente ma con la testa non c’ero. Ero stravolto, anche perché mi era venuto il pensiero se questi continuano il terzo potrei essere io. Preoccupazione condivisa anche dagli organi di sicurezza nazionali, tant’è vero che da subitolo ebbi un rafforzamento incredibile della scorta.
Focalizziamo il problema: la scomparsa dell’agenda rossa. Allora, io non avevo idea di cosa Paolo Borsellino vi scrivesse.
Quindi quando mi trovo improvvisamente con questa borsa in mano, che capisco essere la borsa di Paolo. Non so che farmene, tanto perchè non avevo alcun titolo per tenerla in quanto in quel momento io ero parlamentare. Sono confuso. C’è Felice Cavallaro che mi ripete sempre “Vattene dai tuoi figli. A Palermo corre voce (visto che era vicinissimo a casa mia) che l’attentato è stato fatto atto danno”. Allora io in uno stato di agitazione che non devo spiegare, credo, trovo due ufficiali dei Carabinieri, certamente in divisa, altrimenti come li avrei riconosciuti? e do la borsa ai Carabinieri, cosa che rifarei domani mattina, perché io con i Carabinieri, con le forze di polizia ci ho lavorato per anni. Quanti accessi ho fatto nei luoghi di delitto?! I reperti si danno alla polizia giudiziaria. C’è accanto Cavallaro che insiste di andarmene e io me ne vado.
IL RAPPORTO TRA ME E LA BORSA CHE CONTENEVA L’AGENDA E’ DURATO UN MINUTO. Dopodiché me ne sono andato e non so più nulla. Quando arriva il filmato che ritrae un ufficiale dei Carabinieri che si porta via la borsa dal teatro della strage, è una conferma che ho dato la borsa ai Carabinieri. L’ho data a uno in borghese? Io l’ho data ad uno in uniforme, che non era Arcangioli, di questo sono sicuro abbastanza, che se la porta via.
- PM Bertone – In alcune immagini della televisioni lei risulta inquadrato mentre telefona. Se lo ricorda?
- Ayala – Assolutamente no. Io vorrei vedere queste immagini. Faccio fatica a credere che ci siano.
- PM Bertone – Dall’esame del Borsellino quater un uomo della sua scorta, il teste Farinella, riferisce che quando l’hanno contattata dicendo il fumo arrivava da là, lei disse che ci abitava la mamma.
- Ayala – Del tutto inventato. Io non avevo idea che lì vi abitasse la madre di Paolo Borsellino. Che non lo sapevo è’ una certezza. Devo dire che di questo caposcorta, deve essere lui che ha detto della consegna della borsa ad un uomo in borghese, mi è venuta una curiosità. Bisognerebbe controllare se questa dichiarazione è stata fatta prima o dopo l’arrivo del filmato che ritrae un ufficiale dei Carabinieri che la porta via. Perché se è antecedente mi fa pensare ad una possibile copertura. Verifichiamo le date. Dice un fatto oggettivamente non vero. Felice Cavallaro, firma storica del Corriere della Sera, conferma la consegna ad un ufficiale dei Carabinieri, non ad un uomo in borghese.
- PM Bertone – Lei conosce il dottore Nicola Mazzamuto?
- Ayala – Un collega Mazzamuto vagamente me lo ricordo
- PM Bertone – Ricorda di averlo visto?
- Ayala – No guardi, ricordo soltanto di aver visto Guido Lo Forte. Ci siamo abbracciati e messi a piangere, poco dopo che avevo riconosciuto la salma di Paolo. Ho letto che c’era pure Teresi. Io non me lo ricordo. Neanche Natoli. Forse non è chiaro: io me ne sono andato subito. Magari loro sono venuti un pò dopo. … Durante la consegna della borsa agli ufficiali dei Carabinieri come posso ricordarmi chi c’era?
L’AVANZARE DUBBI COME VIENE FATTO DA ANNI CON UNA FORMA OSSESSIVA NEI MIEI CONFRONTI PRIMA DAL FRATELLO DI PAOLO, E SUCCESSIVAMENTE, DA UN ANNO DALLA FIGLIA, E’ UNA COSA CHE MI CREA GRANDE DISAGIO, uno non sa che fare… voglio approfittare di questa occasione per dire che questa ossessione si è risolta in una vicenda estremamente grave. Io non frequento i social. Al precedente processo è stato ascoltato un collaboratore di giustizia, Gaspare MUTOLO, che non aveva mai parlato del sottoscritto in più di 20 anni di collaborazione. Poco tempo prima della sua deposizione davanti alla Corte rilascia un’intervista che mi viene segnalata sul Fatto Quotidiano, in cui improvvisamente formula un’ACCUSA MOLTO PESANTE NEI MIEI CONFRONTI: avrei agevolato al maxiprocesso un importantissimo mafioso Gambino Giacomo Giuseppe, suo capofamiglia, mentre io non avevo chiesto 10 anni, ma 18 anni e non potevo chiedere di più. La Corte accoglie la mia richiesta e lo condanna a 18 anni. Quando Mutolo compare al dibattimento l’avvocato di Salvatore Borsellino, qui presente, gli pone le domande esattamente riferenti all’intervista che Mutolo conferma. Con ciò determina che Mutolo è imputato di calunnia davanti al Tribunale di Roma. Controllare a computer prima di porre quella domanda? Questo per chiarire l’atmosfera che si è creata. E QUANDO LA FIGLIA DI PAOLO, RECENTEMENTE DICE “IO VORREI CHIEDERE AD AYALA LE SUE INESATTEZZE” ECC. , PERCHE’ NON ME LE VIENE A CHIEDERE? VA A PARLARE CON GLI ASSASSINI DI SUO PADRE IN CARCERE E NON VIENE A CHIEDERE A ME CHIARIMENTI? IL SENSO E’ CHE FORSE E’ IMPORTANTE LA DOMANDA, NON LA RISPOSTA.
AVV.FABIO REPICI, parte civile della famiglia Salvatore Borsellino
- LEI HA DICHIARATO POCO FA “SONO CERTO DI ESSERMI TROVATO LA BORSA DI PAOLO BORSELLINO IN MANO.” COME E’ ARRIVATA NELLA SUA MANO?
- AYALA – L’HO DETTO. IO NON MI RICORDO COME E’ ARRIVATA
- Avv.Repici – Lei non sa se l’ha presa in macchina, se l’ha presa qualcuno e gliel’ha data…
- Ayala – Avvocato, ripeto. Confermo che quella borsa è arrivata nella mia mano, confermo che l’ho consegnata all’ufficiale dei Carabinieri, visto il momento non ricordo come è arrivata nella mia mano. Sarà una colpa gravissima di cui risponderò davanti a Dio. Se non me lo ricordo cosa vuole?
- Avv.Repici – Ricorda se la vide sulla macchina?
- Ayala – Ci metto un forse davanti. Forse sì ma non ne sono sicuro.
- Avv.Repici – Quando lei osservò la macchina dalla quale era sceso Paolo Borsellino, c’era qualcuno?
- Ayala – Non so se era già arrivato Cavallaro o meno. Parliamoci chiaro. Non sono stato lì ad ispezionare la macchina. Se è stato è stato uno sguardo di passaggio. A me che mi fregava della macchina? Non ho capito la domanda.
- Avv.Repici – Lei ha detto di aver visto le immagini con il capitano Arcangioli con la borsa. Lei si è visto in quelle immagini?
- Ayala – Ma quando mai?! Io me ne ero andato chissà quanto prima. Vuole scherzare? Lei non segue bene gli atti del processo. Ma che domanda è? Fuori dal mondo.
- Avv.Repici – Ayala lei è nervoso, lo capisco………Lei vede arrivare Cavallaro?
- Ayala – Di nuovo? Avvocato le arriva la mia voce? Sì
- Avv.Repici – Qual è la prima cosa che le dice?
- Ayala – Meno male che sei vivo. Palermo è piena della voce che l’attentato l’hanno fatto a te. Vai subito dai tuoi figli.
- Avv.Repici – Quando è arrivato in Via D’Amelio, da dove era partito?
- Ayala – Da Marbella Residence […] C’era mia moglie che è scesa…
- Avv.Repici – Quando al momento dell’esplosione sua moglie ebbe consapevolezza che lei non era rimastovittima di questo attentato?
- Ayala – Questo è automatico. Non avevo capito la domanda.
- Avv.Repici – Visto che ci attiviamo? Lei sa se Cavallaro aveva sentito al telefono sua moglie dopo l’esplosione?
- Ayala – Secondo lei in quel momento faccio quella domanda a Cavallaro? Ma lei dove vive?
- pausa … per calmare la tensione…..
- Avv.Repici – Lei ha saputo nell’immediatezza, o anche in epoca successiva, se Cavallaro aveva sentito suamoglie?
- Ayala – Credo di sì
- Avv.Repici – Quindi sapeva che lei era vivo
- Avv.Repici – Cavallaro arrima prima o dopo che lei riceve la borsa?
- Ayala – Prima. Sicuro. Cavallaro assiste a tutta la scena.
- Avv.Repici – Quindi lei consegna la borsa ad un ufficiale dei Carabinieri in divisa. Quindi non ad Arcangioli, che non era in divisa. Giusto?
- Ayala – La domanda contiene già la risposta.
- Avv.Repici – Ricorda di essersi trovato vicino ad Arcangioli
- Ayala – Io non me lo ricordo
- Avv.Repici – Dottor Mazzamuto, allora magistrato al Tribunale di sorveglianza di Palermo. Ricorda se lo videin Via D’Amelio?
- – Ah ora me lo ricordo. Lo conoscevo. Lavorava in ufficio diverso dal mio. Assolutamente no.
- Avv.Repici – Quando era stata l’ultima volta che aveva sentito Paolo Borsellino?
- Ayala – Falcone e Borsellino parteciparono ad una iniziativa elettorale a favore del candidato Ayala. Lo cito perché la fotografia che li ritrae insieme sorridenti uno accanto all’altro, è una fotografia tagliata. Perché poi a seguire c’è anche il sottoscritto e credo che questo sia significativo anche per sottolineare il tipo di rapporto con Falcone e Borsellino. Borsellino come tutti sanno aveva idee politiche molto diverse dalle mie, io ero partito repubblicano, lui era monarchico e votava fiamma tricolore. Ciò malgrado ritenne di partecipare a quell’iniziativa elettorale a mio favore. Il che non è un attestato di amicizia. E’ molto di più. Perché fu avvertito che rischiava un provvedimento disciplinare. Caponnetto dopo la strage di Capaci mi disse di fargli il favore di andare a trovare Borsellino perché non gli piaceva come lo aveva sentito. Lo incontro una volta sola a giugno al Palazzo di Giustizia. Mi disse la famosa frase Non posso lavorare di meno, perché mi resta poco tempo. Non l’ho più sentito neanche telefonicamente.
Quindi, l’Avv.Repici sulle persone presenti in Via D’Amelio e sul’ipotetico o ipotetici ufficiali in divisa a cui il dottor Ayala consegnò materialmente la borsa che teneva in mano rappresenta la necessità di fare vedere delle immagini, che sono già state acquisite agli atti.
- Ayala interviene affermando di escludere che dopo 27 anni di poter riconoscere da una fotografia quelli che ha visto per pochi secondi in quel momento. “E sono sicuro che anche lei non ci riuscirebbe. Quindi non perdiamo tempo.”
- Avv.Repici – Questa si chiama renitenza. Non reticenza, renitenza
- Ayala – Si chiama quello che vuole lei
- Il Presidente D’Arrigo – Sono persone che Ayala ha visto al Palazzo di Giustizia, quindi credo sia pertinente. Se insiste su questa domanda noi ci attrezziamo
- Ayala – Non ci si crede…
- Avv.Repici – Sono tutti fermo immagine del video già al fascicolo del dibattimento (viene mostrata al testimone l’immagine numero 1) E’ in grandi di riferire se la borsa di Paolo Borsellino nel momento in cui l’ha avuta in mano era in queste condizioni, cioè particolarmente bruciacchiata, oppure in condizioni più incontaminate
- Ayala – Io l’ho vista per pochi secondi. Questa parte anteriore più combinata io dall’alto non l’ho vista perché mi è arrivata in mano, ho visto la parte alta meno danneggiata, ho fatto due tre passi e l’ho data all’ufficiale dei Carabinieri. Tutto qua.
- Avv.Repici – Ha avvertito calore nel prendere la borsa?
- Ayala – Che io ricordi no. Cose un pò di calore sì ma non mi sono bruciacchiato
- Avv.Repici – (immagine successiva) Riconosce Mazzamuto?
- Ayala – Non me lo ricordo là, ma è lui.
- Avv.Repici – immagine di Arcangioli. In questo momento lei è già andato via?
- Ayala – Ma certo. (all’immagine successiva) questo è Iovine
- Avv.Repici – …Iovine, il questore federaleC’è un solo uomo in divisa, ed è una divisa dei Carabinieri, è il colonnello Emilio Borghini. E’ il successore di Mori
- Ayala – Non me lo ricordo.
- Avv.Repici – In questa c’è una persona indiana come Ayala. Lei si riconosce?
- Ayala – Grosso modo… se non sono io mi somiglia molto. Ma penso di essere io. Borghini (poco più in là) non lo ricordo. Non vedo Cavallaro
- Avv.Repici – Le anticipo che non siamo riusciti a trovarlo in nessuna immagine. La borsa l’ha avuta prima o dopo quell’immagine di Arcangioli?
- Ayala – Prima. E’ chiaro che questa è successiva, io l’ho consegnata ad uno dei due ufficiali dei Carabinieri e me ne sono andato. Erano due ufficiali, uno accanto all’altro.
- Avv.Repici – Bisognerà trovare nelle immagini due ufficiali dei Carabinieri, impresa -credo- ardua
- Ayala – E’ un problema suo
- Avv.Repici – Ultima questione a proposito di Giacomo Giuseppe Gambino. Lei fu mai avvisato di un procedimento a suo carico sulla scorta di dichiarazioni di di Giovanni Brusca a proposito di presunto favore fatto da lei a Gambino e ricambiato?
- Ayala – Se c’è stato forse mi avrebbero dovuto avvertire. Assolutamente non ho avuto nessun avviso.
- Avv.Repici – Lei ha mai avuto debiti di gioco delle carte?
- Ayala – Mai. Giocavo ogni tanto con gli amici. C’è un problema di pertinenza della domanda. Avv.Repici – Brusca dice che lei gli ha fatto un favore perché aveva debiti di gioco. Favore nella gestione da parte sua di quel processo. Lo dice anche Mutolo.
- Ayala – Mutolo nei miei confronti dichiara il falso perché dice che io avevo chiesto un favore, che avevo chiesto la condanna a 10 anni anche se aveva fatto 50 omicidi. Io ho richiesto la condanna a 18 anni. Il favore qual è?
Presidente – Domanda non ammessa. Fuori tema.
- Avv.Repici – Neanche sull’attendibilità del testimone? In tutta lealtà, secondo me il dottor Ayala ha avuto difficoltà nel poter riferire la verità sulla borsa di Paolo Borsellino.
- AVV. VINCENZO GRECO, parte civile Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino – Lei poc’anzi ha riferito di essersi recato sul luogo dei fatti qualche minuto dopo , in compagnia della scorta. Non c’è un protocollo secondo cui quando si ravvisa una situazione di pericolo la scorta dovrebbe portarla in un punto lontano rispetto a questa situazione di pericolo?
- Ayala – Il protocollo lo ignoro. Quello che è successo è che sono sceso, sono salito su una delle 3 macchine blindate e siamo andati là.
- Avv.Greco – Lei oggi ha riferito, diversamente dalle sue precedenti dichiarazioni, che il suo ricordo è diverso rispetto a chi con lei per riconoscere la salma . Chi era accanto a lei?
- Ayala – Io pensavo Lo Forte. Per questo gli ho telefonato per chiederglielo. Non posso mettere in dubbio la parola di Lo Forte.
- Avv.Greco – Però non era solo nel momento in cui ha riconosciuto la salma?
- Ayala – Sono arrivato solo, all’inizio ero solo, piegato a terra. Quando ho detto è Paolo Borsellino?! Qualcuno mi ha detto sì Sì è Paolo. Non ho idea chi potesse essere.
- Avv.Greco – Lei non riesce a ricordare come materialmente è venuto in possesso della borsa, chi gliela diede, . Lei ha avuto un barlume di ricordo quando ha iniziato a guardare le immagini…Ha detto quando ho ricevuto la borsa… Lei è entrato dentro la macchina?
- Ayala – Qualcuno me l’avrà data. Non sono entrato. Forse dall’esterno l’ho vista.
- Avv.Greco – Dopodiché si materializza la borsa nelle sue mani
Ayala – Dopo un pò. Secondi. E me ne libero immediatamente. e me ne vado. Io sono perfettamente convinto che tutto parte dall’attentato dell’Addaura giugno 1989. Falcone parlò di menti raffinatissime, centri occulti di potere capaci anche di orientare le scelte di Cosa Nostra. Il quadro disegnato da Giovanni prevedeva non solo il coinvolgimento di Cosa Nostra. Io sono fermamente convinto che il quadro vale per il 23 maggio e 19 luglio 1992 - Avv.Greco – Lei subito dopo questi tragici eventi ha avuto negli anni successivi ha avuto incarichi di governo?
- Ayala – Sono stato sottosegretario al Ministero della giustizia con delega ai rapporti internazionali
- Avv.Greco – in ambito governativo ha avuto a che fare con i Servizi Segreti
- Ayala – Mai. Mai mai e me ne guardo bene. Equivale ad una bestemmia
I sospetti del Sovrintendente di polizia
- P.M. Dott. GABRIELE PACI – Le posso leggere il passaggio che risale al 2005, quindi, diciamo, un periodo lontano dalla strage, ma sicuramente (…) più vicino nel tempo rispetto ad oggi. Su questo punto lei dice, dunque: “Relativamente alla borsa ho un flash che posso spiegare in questi termini: ricordo di avere notato una persona in abiti civili, alla quale ho chiesto spiegazioni in merito alla sua presenza nei pressi dell’auto. A questo proposito non riesco a ricordare se la persona menzionata mi abbia chiesto qualcosa in merito alla borsa o se io l’ho vista con la borsa in mano o comunque nei pressi dell’auto del Giudice. Di sicuro io ho chiesto a questa persona chi fosse per essere interessato alla borsa del Giudice e lui mi ha risposto di appartenere ai Servizi”.
- TESTE GIUSEPPE GAROFALO – E allora se ho riferito nel 2005 così, probabilmente sì, è…
- P.M. Dott. PACI – No, sostanzialmente è quello che ripete anche oggi. Le voglio chiedere se è in grado di attivare i circuiti della sua memoria per capire questo riferimento a una borsa, che era la borsa del dottor Borsellino, se deriva da una interlocuzione diretta con questo signore, cioè.
- TESTE G. GAROFALO – Sì, probabilmente sì, perché, insomma, non…
- P.M. Dott. PACI – Sì. Cioè viene strano pensare che lei possa avere, così, autonomamente…
- TESTE G. GAROFALO – Esatto, sì.
- P.M. Dott. PACI – …correlato una borsa al fatto poi…
- TESTE G. GAROFALO – Del soggetto.
- P.M. Dott. PACI – …che questa appartenesse al Giudice.
- TESTE G. GAROFALO – Sì, probabilmente sì, cioè l’argomento era la borsa.
- P.M. Dott. PACI – Questo signore lei non l’aveva visto mai e non l’ha più rivisto?
- TESTE G. GAROFALO – No.
- P.M. Dott. PACI – Ma lei aveva, diciamo, rapporti, conosceva il personale del SISDE…
- TESTE G. GAROFALO – No, no. No, assolutamente no.
- P.M. Dott. PACI – …a Palermo, che lavorava a Palermo? Ha avuto mai contatti, rapporti?
- TESTE G. GAROFALO – No, no.
- P.M. Dott. PACI – Professionali intendo, con queste…
- TESTE G. GAROFALO – Mai con nessuno.
- P.M. Dott. PACI – Senta, di questa persona lei è in grado di dare una descrizione?
- TESTE G. GAROFALO – Allora, di questa persona ho dato una descrizione anche in passato, è una descrizione però molto… molto approssimativa, perché, ripeto, il contatto è stato immediato e il contesto in cui è nato questo contatto era un po’ particolare. Altezza media, carnagione chiara. L’unica cosa che mi è… che, insomma, mi ha incuriosito, mi ha… è stata cristallizzata nella memoria, è il fatto di… che questo soggetto indossava una giacca. Evidentemente una situazione un po’ particolare e strana, perché eravamo in estate e quindi non era consuetudinario notare una persona in giro con una giacca. Solo questo mi ha attirato… ha attirato la mia attenzione, per il resto a livello di… di riconoscimento o comunque di fornire delle indicazioni somatiche del soggetto, ricordo che era stempiato o comunque non aveva i capelli e…
- P.M. Dott. PACI – Quindi pochi capelli.
- TESTE G. GAROFALO – Sì, stempiato, pochi capelli. Poteva essere rasato, non… onestamente… però di fatto non aveva una chioma fluente.
- P.M. Dott. PACI – Fluente. Senta, l’inflessione, visto che ha avuto anche per breve tempo modo di parlare conquesta persona, ricorda se era un uomo (…) che si esprimeva in dialetto, che si…?
- TESTE G. GAROFALO – Non ricordo se si è… se ha parlato in dialetto o in palermitano o in… in italiano, non… non potrei dire, non potrei essere certo.
- PRESIDENTE – Ma qualche inflessione, ecco, la ricorda di qualche provenienza geografica?Indipendentemente dal fatto che fosse dialetto oppure…
- TESTE G. GAROFALO – No, no, Presidente.
- PRESIDENTE – …lingua italiana, qualche…
- TESTE G. GAROFALO – Presidente, i momenti erano così concitati che non… non ci facevi caso, cioè era una situazione troppo… troppo particolare. E ripeto, il… il contatto è stato velocissimo, breve, pochi…
- PRESIDENTE – Senta, questa forma di interessamento in qualche modo per la borsa del dottor Borsellino (…)lei ricorda se si concretò anche in qualche gesto?
- TESTE G. GAROFALO – No.
- PRESIDENTE – Cioè in che senso era interessato? Lo spieghi, se riesce a scavare nei suoi ricordi in modopiù preciso.
- TESTE G. GAROFALO – Non… l’argomento, ripeto, potrebbe essere quello legato alla borsa, però di fatto e ribadisco, non posso dire se l’ho visto con la borsa o se lui mi abbia chiesto della borsa. Sono momenti troppo…
- PRESIDENTE – Comunque ricorda se era una di queste due cose oppure se si trattava di qualcos’altro?
- TESTE G. GAROFALO – No, no. Era probabilmente della borsa.
- PRESIDENTE – Quindi riguardava la borsa.
- TESTE G. GAROFALO – Sì.
- PRESIDENTE – In qualche modo…
- TESTE G. GAROFALO – Collegato alla… alla borsa.
- PRESIDENTE – L’interesse, ecco, sì.
- TESTE G. GAROFALO – Sì.
- PRESIDENTE – E lei questa borsa la vide?
- TESTE G. GAROFALO – No.
- PRESIDENTE – Prego, Pubblico Ministero.
- P.M. Dott. PACI – Allora, un’ulteriore domanda, ispettore: quando lei vede questa persona, riesce a ricordare se il quadro che lei ha indicato quando è arrivato, e cioè quel fumo, le fiamme, è mutato o meno?
- TESTE G. GAROFALO – Quando ho il contatto con questa persona?
- P.M. Dott. PACI – Quando è in contatto con questa persona.
- TESTE G. GAROFALO – Probabilmente era il momento in cui noi eravamo già scesi dalle abitazioni e quindi, ovviamente, non immediatamente vicino (…) al nostro arrivo, sì. Probabilmente era un momento in cui i curiosi incominciavano a sopraggiungere, personale, giornalisti e…
- P.M. Dott. PACI – Senta, ma quanto è rimasto lei lì quel giorno?
- TESTE G. GAROFALO – In quel luogo?
- P.M. Dott. PACI – Sì.
- TESTE G. GAROFALO – Tutta la (…). Tutto il turno e probabilmente, se non ricordo male, fino a tarda ora.
- P.M. Dott. PACI – Senta, le mostriamo questa foto, ed è una foto che è depositata in atti e che riguarda, appunto, la presenza di un soggetto con in mano una borsa in via D’Amelio nei momenti successivi all’esplosione.
- TESTE G. GAROFALO – Sì.
- P.M. Dott. PACI – E’ in grado di fornire qualche…? Questa immagine è in grado di fornirle qualche delucidazione, di sollecitare qualche ricordo?
- TESTE G. GAROFALO – Questa è… sì, questa è una delle tante foto che mi hanno mostrato e ritrae l’ufficiale dei Carabinieri sul… sul teatro dei fatti. (…) Perché l’ho letto dopo e perché… E’ chiaro.
- P.M. Dott. PACI – Ecco, quel giorno l’ha visto quel signore?
- TESTE G. GAROFALO – No, no, non lo ricordo in quel momento.
- P.M. Dott. PACI – E la persona che lei… il ricordo che lei ha di questa persona, questo ricordo sfumato, ha qualche compatibilità con quella persona?
- TESTE G. GAROFALO – Con questo soggetto no, evidentemente.
- P.M. Dott. PACI – Assolutamente no.
- TESTE G. GAROFALO – Assolutamente no. Poi mi hanno fatto vedere parecchi filmati e… insomma, è stato notato questo soggetto, quindi l’ufficiale dei Carabinieri, insieme ad un altro soggetto, che orientativamente potrebbe essere…
- P.M. Dott. PACI – Va beh.
- TESTE G. GAROFALO – …insomma, questo…
- P.M. Dott. PACI – D’accordo.
- TESTE G. GAROFALO – Però, insomma, non…
- P.M. Dott. PACI – D’accordo, d’accordo. Senta, allora, parliamo del suo collega con cui lei ha poi parlato successivamente di questa vicenda, credo che si chiami ispettore…
- TESTE G. GAROFALO – L’assistente Migliore.
- P.M. Dott. PACI – L’assistente Migliore, sì. Allora, c’è, diciamo, un ulteriore scatto nel suo ricordo, no? A seguito di un contatto che lei ha con un suo collega.
- TESTE G. GAROFALO – Ecco, questo… questo piccolo particolare io… non è che lo ricordo. Di seguito ci siamo incontrati con… con questo collega, che fa servizio nella provincia di Ragusa, e…
- P.M. Dott. PACI – Che oggi fa servizio a Ragusa, ma un tempo faceva servizio…
- TESTE G. GAROFALO – Faceva servizio a Palermo, era sulle Volanti, non era sulle Volanti… sulla 32 e neanche sulla 21. (…) Ma se non ricordo male faceva servizio sulla Volante che si occupava della zona di Brancaccio, però potrei sbagliarmi. Logicamente abbiamo cercato di ripercorrere quello che avevamo vissuto in quel… in quel contesto.
- P.M. Dott. PACI – Perché anche lui intervenne in via D’Amelio, diciamo.
- TESTE G. GAROFALO – Lui… ovviamente tutte le autovetture sono state (…) dirottate sul luogo, anche se quel… anche le auto che non dovevano essere dirottate sono arrivate lì, perché evidentemente è una situazione troppo eclatante. E c’era pure lui. Ora, lui mi dice di… così, parlando, rivangando un po’ i… tra i ricordi, che io gli ho detto…
- P.M. Dott. PACI – Mi scusi (…) questo per farlo capire alla Corte (…) anche se è ben esplicitato nei verbali cheproduciamo, e cioè lei riceve l’avviso di…
- TESTE G. GAROFALO – Ho ricevuto una citazione, evidentemente un invito a presentarmi per essere nuovamente sentito e… logicamente parecchi colleghi che facevano servizio a Palermo in quel momento sono stati trasferiti con l’andare del tempo, uno di questi è il collega Migliore, che fa servizio al Commissariato di Modica.
- P.M. Dott. PACI – Quindi l’occasione è questa.
- TESTE G. GAROFALO – L’occasione è quella. Ne abbiamo parlato, ho detto: “Senti, Michele – il nome è Michele – ma tu che cosa ti ricordi di questi fatti?” Anche perché con l’andar del tempo determinati fatti tendono a diventare una sorta di… non so neanche come spiegare, fino a un certo punto io pensavo che tutto quello che avevo visto era un sogno, un… un qualcosa di (…) di irreale; dal 2005 in poi incomincio a… a focalizzare e a cercare di ricordare, perché ovviamente vengo… vengo convocato e incomincio a fornire delle dichiarazioni. A seguito di quest’ultima…
- P.M. Dott. PACI – Scusi, lei prima non era stato mai sentito su questi fatti?
- TESTE G. GAROFALO – No, no, mai. Dal 2005…
- P.M. Dott. PACI – Il 2005 è la prima volta che lei viene sentito.
- TESTE G. GAROFALO – Sono stato la prima volta. Insomma, parliamo con questo collega e abbiamo cercato di capire, ho detto: “Ma tu cosa ti ricordi di queste… di questi fatti?” Perché i miei sono quelli legati a tutto quello che ho detto finora. E lui mi dice: “Sì, no, io mi ricordo che tu lì, sul luogo del… dell’attentato, mi hai parlato di questo… di questo fantomatico soggetto, di questo soggetto, del contatto che hai avuto e… di come eri sconvolto e…” Insomma, questo è quanto, non… Quindi rafforza ulteriormente la convinzione che…
- P.M. Dott. PACI – Lei non ricordava di aver parlato con il suo collega quel giorno?
- TESTE G. GAROFALO – No.
- P.M. Dott. PACI – E’ lui che le rammenta…
- TESTE G. GAROFALO – E’ lui che me lo ricorda, sì.
- P.M. Dott. PACI – Esattamente lo rammenta che cosa…? Cioè le dice di averlo incontrato quel giorno a via D’Amelio e sostanzialmente di essersi sfogato con lui a proposito di che cosa?
- TESTE G. GAROFALO – Sì, lui mi diceva di… che, insomma, da… io gli ho raccontato questo contatto con… con un soggetto appartenente ai Servizi sul posto, di come l’argomento era la borsa del dottore Borsellino e… e basta, insomma, questo sostanzialmente ricordo che mi dice.
- P.M. Dott. PACI – Senta, l’incontro con questo soggetto è stato un incontro, diciamo, sereno o è stato dato luogo a un contrasto?
- TESTE G. GAROFALO – Con chi?
- P.M. Dott. PACI – Sì, tra lei… non con il suo collega.
- TESTE G. GAROFALO – Ah.
- P.M. Dott. PACI – Con questo fantomatico soggetto che lei incontra a via D’Amelio. Cioè ci sono stati momenti di tensione?
- TESTE G. GAROFALO – Allora…
- P.M. Dott. PACI – Anche normali in quei frangenti.
- TESTE G. GAROFALO – Lo stato d’animo, insomma, era… era quello che era. No, è stato un contatto… duro, diretto, immediato, veloce, non… non potevamo perdere tempo, insomma, a… il nostro… il nostro obiettivo primario, la nostra… il nostro obiettivo era quello di salvare le persone che erano all’interno delle… degli stabili. Del resto i colleghi… non c’era più nulla da fare, insomma.
- P.M. Dott. PACI – Senta, aveva placche di riconoscimento questo signore?
- TESTE G. GAROFALO – No, no.
- P.M. Dott. PACI – Non aveva nulla che potesse, insomma, in qualche modo…
- TESTE G. GAROFALO – No, no, no.
- P.M. Dott. PACI – …se non evidentemente quella che poi è stata…
- TESTE G. GAROFALO – Altrimenti – ma questo vado per esclusione – non avrei… non l’avrei bloccato, non avrei avuto un contatto, perché se… se aveva una placca di riconoscimento, così come riporta l’ufficiale dei Carabinieri, non avevo motivo di… di chiedere che cosa facesse in quel… in quel momento lì.
- P.M. Dott. PACI – Quindi anche se non lo ricorda, la deduzione è, diciamo, conseguente.
- TESTE G. GAROFALO – Sì, è…
- P.M. Dott. PACI – Il fatto che lei gli abbia chiesto… che questo le abbia mostrato dei documenti di riconoscimento.
- TESTE G. GAROFALO – Sì.
- P.M. Dott. PACI – Perché altrimenti non gli avrebbe consentito di rimanere lì?
- TESTE G. GAROFALO – Altrimenti non gli avrei consentito di rimanere lì e altrimenti lo avrei preso e consegnato ad altri colleghi o comunque lo avrei allontanato dai luoghi, perché comunque in quel momento ogni persona si dirigeva su quel luogo e… e si metteva a girare tra…
- P.M. Dott. PACI – Senta, lei ricorda poi, ovviamente tra i tanti organi dello Stato che sono intervenuti quel giorno, naturalmente sono intervenuti anche i Vigili del Fuoco.
- TESTE G. GAROFALO – Ovviamente.
- P.M. Dott. PACI – Lei ricorda di attività svolta dai Vigili del Fuoco quel giorno a via D’Amelio, di attività sulle macchine, sulle blindate?
- TESTE G. GAROFALO – Le attività che ricordo erano quelle di… di spegnimento dei focolai di incendio e di mettere in sicuro ogni tipo di potenziale pericolo che poteva scaturire dall’esplosione di… di serbatoi di benzina.
- P.M. Dott. PACI – Queste macchine lei… faccio riferimento alle blindate.
- TESTE G. GAROFALO – Sì.
- P.M. Dott. PACI – Perché, diciamo, è la cosa che ci interessa. Ricorda se la macchina del dottor Borsellino era chiusa o aveva lo sportello aperto?
- TESTE G. GAROFALO – No, non… non lo ricordo, no. Probabilmente era aperto, ma non… non lo ricordo, no. Ma lo dico perché di solito le autovetture quando lasciano le personalità comunque rimangono con le porte aperte. (…) Però non… no, non… non potrei dare una risposta certa, vado per… per deduzione. Ma in quel momento non… cioè non ricordo materialmente se l’autovettura era chiusa o aperta, non…
- P.M. Dott. PACI – Sempre parlando poi con il suo collega, il suo collega le rammenta questo particolare, che le dice che c’era stato un incontro – scontro con questo… Cioè lui glielo definisce così, glielo ricorda così, le ha detto che c’era stato un incontro – scontro e che lei era molto arrabbiato. Questa cosa aveva una ragione e una spiegazione? Se a lei…
- TESTE G. GAROFALO – Era…
- P.M. Dott. PACI – Cioè ogni particolare che lei può riferire sulla…
- TESTE G. GAROFALO – Non era uno scontro, cioè nel senso…
- P.M. Dott. PACI – …sull’incontro con questa persona è importante. Cioè…
- TESTE G. GAROFALO – Va beh, è stato un incontro…
- P.M. Dott. PACI – …al di là di dirgli: “Lei chi è?” E questo le dice: “Guardi, sono dei Servizi e questo è il tesserino”, c’è stato qualcosa in più, qualcosa di…?
- TESTE G. GAROFALO – No, il…
- P.M. Dott. PACI – Il fatto che lei l’ha invitato ad andar via e quello è voluto rimanere. Insomma…
- TESTE G. GAROFALO – No, no, no, i toni sono duri perché lo stato d’animo era… era particolare, quindi probabilmente sono stato un po’ aggressivo, ma faceva parte del… del contesto e quindi (…). Ma non è stato né invitato ad allontanarsi, niente (…). Sarò stato un po’ duro, un po’… un po’ forte nel… nel mio modo di esprimermi, ma questo, insomma (…) lo sono di sovente così.
- AVV. REPICI – Senta, una precisazione mi interessava: lei ha fatto riferimento all’incontro con questo soggettoche si qualifica come agente dei Servizi e che lei poi verifica essere effettivamente, diciamo, tale. (…) Fino aquel momento, cioè fino a questo incontro, lei, dal momento in cui arriva lì in via D’Amelio, la sua mente, lasua attenzione era andata, anche solo con il pensiero, alla borsa del dottore Borsellino?
- TESTE G. GAROFALO – No, no, no. (…) Noi… il nostro interesse primario era quello di verificare se vi era rimasto qualcuno in vita e… e poi provvedere…
- AVV. REPICI – E dare soccorso.
- TESTE G. GAROFALO – E dare soccorso ai…
- AVV. REPICI – Questo è ovvio. Quindi, diciamo, nella sua mente l’attenzione alla borsa del dottor Borsellino arriva in concomitanza (…) con l’incontro con questa persona?
- TESTE G. GAROFALO – Sì.
- AVV. REPICI – A proposito della possibilità di riconoscere in qualche modo, nel corso delle sue audizioni,questa persona, lei ha detto: “Sicuramente non è quel capitano Arcangioli”, di cui alla foto che le è statamostrata.
- TESTE G. GAROFALO – No, lo… lo escludo.
- AVV. REPICI – Sì, sì, e questo l’ha già detto chiaramente. Poi lei ha detto: “C’era una possibile compatibilitàcon altro soggetto che in un video mi è stato mostrato vicino al capitano Arcangioli”. Ho capito bene?
- P.M. Dott. LUCIANI – Presidente, ci troviamo costretti a fare opposizione su questa domanda, che, come si sarà potuto notare, non è stata esplorata, essendoci in corso attività da parte di questo ufficio.
- PRESIDENTE – Va beh, allora su questo evidentemente lasciamo… per adesso soprassediamo. Eventualmente il Pubblico Ministero comunicherà il momento in cui queste attività saranno completate e sarà possibile, eventualmente, riprendere la deposizione del teste a questo scopo.
DEPOSIZIONI DI AYALA AL PROCESSO BORSELLINO QUATER 21.5.2013
- Processo Borsellino quater (Strage di via d’Amelio)
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AYALA HA DATO TROPPE VERSIONI DIVERSE …. E NON CONVINCE – Caltanissetta. “Una gaffe”. Così Giuseppe Ayala all’udienza odierna del Borsellino quater ha definito le sue stesse parole registrate in un’intervista del 2009 per il sito affariitaliani.it. “Io ho parlato personalmente con Nicola Mancino – diceva Ayala alla giornalista Floriana Rullo – che naturalmente è persona con cui ho un ottimo rapporto, siamo stati per diversi anni colleghi in Parlamento, in Senato. Mancino ha avuto un incontro con Borsellino del tutto casuale il giorno in cui Mancino andò per la prima volta al Viminale a prendere possesso della sua carica ministeriale”. La giornalista lo incalzava chiedendo la ragione per la quale lo stesso Mancino continuasse invece a negare quell’incontro. Ed è proprio la risposta dell’ex senatore che oggi è stata definita “una gaffe”. “No, no, lui ha detto che l’ha avuto questo incontro, come no – replicava all’epoca Ayala –. Lo ha detto anche a me. Le dirò addirittura di più, forse svelo una cosa privata. Mi ha fatto vedere l’agenda con l’annotazione perchè lui è di quelli che ha le agende conservate con tutte le annotazioni. Per cui francamente io non ho elementi per leggere nessuna dietrologia dietro a quest’incontro”.
Inizia così la deposizione dell’ex pm del maxiprocesso che inaugura lo stile dell’udienza-spettacolo dove il mattatore è lo stesso teste. Atteggiamento tracotante, battuta ironica da elargire a giudici e a magistrati, seduto in una posizione alquanto rilassata, Ayala non si risparmia. Sul cancello dell’aula bunker spicca lo striscione “Fraterno sostegno Agnese Borsellino”, la pretesa di giustizia della vedova del giudice, recentemente scomparsa, continua a pulsare anche qui. All’interno dell’aula è rimasto l’eco delle parole del sovrintendente della Polizia, Francesco Maggi, all’epoca in servizio in via D’Amelio nell’immediatezza della strage, interrogato ieri in questo stesso processo. “Devo dire, per un problema di coscienza – aveva spiegato Maggi ai magistrati –, a distanza di 21 anni, che quando sono arrivato sul posto della strage, c’erano almeno quattro, cinque uomini dei servizi. Avevano la spilletta del Ministero dell’Interno. Era gente di Roma e non capivo che cosa facevano. Ma sono certo, perchè li conoscevo. Ancora oggi non mi spiego come fossero sul posto e chi li avesse avvisati in così poco tempo”. “La borsa era piena, sono sicuro che era piena e non svuotata. La borsa si trovava sul lato destro dell’auto ed era posizionata tra il sedile posteriore e quello anteriore. Sono sicuro di essermi abbassato ma ero con un vigile del fuoco. Non sono certo che la presi io o me la passò il vigile del fuoco. La presi e dopo averla in mano incontrai Ayala, ma non ricordo quanti minuti dopo. La diedi, quindi, al mio funzionario, per portarla alla Mobile”.
Di fatto verso le ore 18,30 la borsa del giudice Borsellino veniva ritrovata nell’ufficio del dirigente della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera. Senza l’agenda rossa. In un remix di “non ricordo” o “non posso ricordare” Giuseppe Ayala ha parlato ancora una volta del momento in cui prese in mano la borsa di Paolo Borsellino: “Non ricordo chi mi consegnò la borsa di Paolo Borsellino subito dopo la strage di via D’Amelio. Non ricordo se la prese un carabiniere della scorta, ricordo solo che la consegnai a un ufficiale dei Carabinieri”. A tutti gli effetti una dichiarazione in antitesi con quella dell’ex capo scorta di Ayala, Roberto Farinella, che nelle scorse udienze aveva raccontato: “Presi la borsa del magistrato, volevo consegnarla al giudice Ayala ma lui chiamò un uomo in abiti civili che mi indicò come ufficiale. Questi prese la borsa e si allontanò senza aprirla”. Farinella aveva anche parlato della presenza sul luogo della strage di Roberto Campesi (riconosciuto in una fotografia) assieme ad altri esponenti delle forze dell’ordine. Non solo, Farinella aveva spiegato di essere stato allontanato dalla scorta dopo avere fatto notare che la presenza di un civile in una scorta armata di un magistrato antimafia era quantomeno inopportuna. E di Campesi ha oggi parlato anche Ayala: “Roberto Campesi era nella mia scorta ma non lo misi io. Mi si presentò e mi disse di essere un esperto di sicurezza, non un agente segreto. Mi disse che era un grande amico di Antonio Montinaro, agente di scorta morto con Giovanni Falcone e di essere Presidente della Fondazione Montinaro, anche se poi ho scoperto che non esisteva. E lo misi in contatto con i miei responsabili della sicurezza. Purtroppo sono caduto in un grande trappolone”. Come è noto Roberto Campesi, detto “il caramellaio” in quanto aveva in passato un negozio di caramelle, è un personaggio molto controverso e misterioso: rimase per diverso tempo nella scorta di Ayala e nel 1997 venne arrestato con l’accusa di millantato credito e truffa nei confronti dei figli di Gianni Ienna, un imprenditore arrestato per mafia nel ’94 ritenuto un prestanome dei boss Graviano. Con fare decisamente teatrale Ayala ha successivamente affermato di non voler “far parlare i morti” attraverso le citazioni di giudici assassinati, poi però, con molta nonchalance ha tirato fuori una fotocopia di uno stralcio di un libro con le dichiarazioni, a lui favorevoli, di Antonino Caponnetto. Un senso di commiserazione ha pervaso l’aula. L’udienza è stata sospesa in attesa della ripresa pomeridiana nella quale l’avvocato di parte civile, Fabio Repici (legale di Salvatore Borsellino) procederà all’esame di Giuseppe Ayala. – Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo (AntimafiaDuemila)
L’agenda rossa, la borsa del giudice, il depistaggio Un’agenda dell’Arma dei Carabinieri, con la copertina rossa, avuta in dono all’inizio dell’anno. Un libricino con la copertina rigida dal quale, negli ultimi mesi, Paolo Borsellino non si separava mai. Sparito a pochi minuti dall’attentato del 19 luglio 1992. In quell’agenda, secondo il racconto dei suoi più stretti collaboratori, e dopo l’attentato a Giovanni Falcone, il giudice aveva iniziato a scrivere una serie di appunti. Nella sua sparizione potrebbe celarsi uno dei grandi misteri della storia italiana.
Si dice che Paolo Borsellino non si separasse mai dalla sua agenda rossa. Era sempre con lui, quando lavorava con Giovanni Falcone, quando andava in chiesa, quando citofonava alla madre. Ed era con lui quando il 19 luglio del 1992 una Fiat 126 esplose, squarciando via d’Amelio, portando via l’ultimo baluardo, forse il più forte, della lotta contro la mafia. Quell’agenda rossa che il magistrato aveva riposto con cura nella ventiquattrore con cui era uscito di casa, quell’agenda che aveva avuto in dono dall’Arma dei Carabinieri all’inizio dell’anno, nessuno l’ha più trovata. Le testimonianze della moglie Agnese Piraino e del figlio Manfredi lo confermano: quel giorno, Borsellino aveva riposto l’agenda rossa dentro la borsa trovata praticamente intatta dentro l’auto blindata dopo l’esplosione. Nella 24 ore sono stati trovati il costume da bagno che il giudice aveva utilizzato poche ore prima al mare, un paio di occhiali da sole, altri effetti personali. Nulla più. Borsellino era solito prendere appunti nelle agende annuali, dove registrava gli appuntamenti di lavoro, gli spostamenti privati e anche le spese di casa. Nell’agenda rossa, secondo la testimonianza dei suoi più stretti collaboratori, e dopo l’attentato a Giovanni Falcone, il giudice aveva iniziato a scrivere una serie di appunti su quei drammatici giorni seguiti alla strage di Capaci. L’allora tenente Carmelo Canale, uno dei suoi fidati investigatori, lo aveva visto scriverci pochi giorni prima dell’attentato. “Ma che fa, vuole diventare pentito pure lei?” chiese al giudice, scherzando. Ricevette una risposta, che lo gelò: “Sono successi troppi fatti in questi mesi, anch’io ho le mie cose da scrivere”.
In quei giorni Borsellino, da procuratore aggiunto a Palermo, stava raccogliendo le prime rivelazioni di diversi “pentiti” di mafia di primissimo piano. Con lui aveva iniziato a collaborare Gaspare Mutolo, ex autista dell’allora latitante Totò Riina, che svelò i nomi delle “talpe” di Cosa nostra nelle istituzioni come l’ex numero 3 del Sisde, Bruno Contrada, o il magistrato Domenico Signorino. E in quei giorni aveva avuto notizia di un “dialogo” tra pezzi dello Stato e i mafiosi, cioè la “trattativa” di cui si sta occupando il processo in corso a Palermo a carico di alti ufficiali dei carabinieri, mafiosi, politici. L’1 luglio, nell’agenda grigia (un’altra agenda che Borsellino teneva a casa e che è stata ritrovata) è segnato il cognome del neo ministro degli Interni, Nicola Mancino, che Borsellino ha incontrato al Viminale. Mancino ha sempre detto di non ricordarsi di quell’incontro. I familiari di Paolo Borsellino ne denunciarono subito la scomparsa tramite il magistrato Antonino Caponnetto, fino al 1990 a capo del Pool antimafia. Fu lui a volere accanto a sé Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. L’allora capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, ipotizzò che con molta probabilità l’agenda fosse stata bruciata dalle fiamme in via d’Amelio e che comunque non fosse di importanza investigativa. La Barbera si rivolse ad Agnese Piraino con queste parole: “Quest’agenda è il frutto della vostra farneticazione”.
Quel giorno Borsellino aveva l’agenda con sé –Dalle testimonianze di Agnese Piraino e dei figli Lucia e Manfredi, il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino aveva l’agenda rossa sulla scrivania del suo studio nella casa di Villagrazia di Carini e, alla partenza in direzione di via d’Amelio, l’agenda sul tavolo non c’era più. Sappiamo, dal racconto dell’unico sopravvissuto alla strage, l’agente di polizia Antonino Vullo, che Borsellino e la sua scorta non fecero soste durante il percorso verso via d’Amelio e che il giudice era solo al volante della sua Croma blindata. Sappiamo, grazie alle perizie della polizia scientifica su un filmato video, che tra le 17.20 e le 17.30, l’allora capitano dei Carabinieri Giovanni Arcangioli ebbe la borsa in mano e la portò in direzione dell’uscita di via d’Amelio. Sappiamo, dalle dichiarazioni rilasciate ai giornalisti da Arnaldo La Barbera pochi giorni dopo la strage, che la borsa fece tappa alla Questura di Palermo. Sappiamo che la famiglia del giudice controllò la borsa dopo la strage, denunciando la mancanza dell’agenda. Sappiamo che il primo verbale di apertura della borsa fu redatto dalla Procura di Caltanissetta il 5 novembre 1992, ben tre mesi e mezzo dopo la strage. Sappiamo, sempre grazie ai reperti fotografici e video, che la borsa nelle mani di Arcangioli era integra, senza segni di bruciature, mentre la borsa repertata dalla Procura era parzialmente bruciata su un lato.
La borsa del giudice: la foto finita nel dimenticatoio –Una telefonata anonima decise nel 2005 di far trovare una foto finita nel dimenticatoio per tredici anni, riaprendo il “caso dell’agenda rossa”. Una foto scattata subito dopo l’attentato. Nell’immagine, e poi nei filmati girati dalla Rai, si vede un carabiniere in borghese che si allontana da via d’Amelio con in mano la 24 ore di Borsellino. Ma, si scoprirà dalle indagini e dalle relazioni di servizio, la borsa viene “ufficialmente” ritrovata dentro l’auto blindata del magistrato solo dopo aver compiuto questo strano tragitto. Il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, il carabiniere in borghese che si è allontanato con la borsa in mano, è stato indagato per il reato di furto dell’agenda rossa con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa, e poi prosciolto “per non aver commesso il fatto”. Sulla questione della borsa, sono due i momenti importanti e due i testimoni giunti in via d’Amelio poco dopo la strage: Rosario Farinella e Francesco Paolo Maggi. Le loro dichiarazioni fanno parte delle testimonianze raccolte durante i processi ‘Borsellino TER’ e ‘Borsellino QUATER’. Rosario Farinella, carabiniere e membro della scorta dell’allora deputato Giuseppe Ayala, è stato identificato come colui che prelevò la borsa, integra, dalla macchina del giudice Borsellino su richiesta dello stesso Ayala. Francesco Paolo Maggi, agente della Polizia di Stato, dichiarò di aver preso anche lui la borsa e fu incaricato di portarla in un ufficio della Questura di Palermo. Maggi redasse una relazione di servizio con la descrizione minuziosa dei fatti in questione cinque mesi dopo l’evento e su richiesta del funzionario incaricato delle indagini, Arnaldo La Barbera.
Chi ha preso per primo la borsa? Maggi dichiarò di essere arrivato sul posto quasi contemporaneamente ai primi vigili del fuoco. Ma è ragionevole ritenere che sia stato Farinella ad arrivare sul posto prima di Maggi. A tale conclusione si giunge confrontando gli spostamenti compiuti da Farinella e da Maggi prima di arrivare in via d’Amelio dopo lo scoppio dell’autobomba, fermo restando che tutti e due, una volta arrivati, furono impegnati in altre attività prima di occuparsi della macchina e della borsa del giudice.
Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli Abbiamo fin qui ricostruito alcuni passaggi del percorso della borsa di Paolo Borsellino dal momento dell’esplosione all’instante in cui fu verosimilmente depositata in Questura nella stanza di Arnaldo La Barbera. Le parti mancanti sono nei ricordi contrastanti, parzialmente ritrattati o modificati dei due protagonisti principali di questi eventi: Giuseppe Ayala e il carabiniere Giovanni Arcangioli.
Le testimonianze di Giuseppe Ayala – L’allora parlamentare e ora di nuovo magistrato ha dato negli anni cinque versioni differenti della vicenda. Su due punti, invece, ha confermato lo stesso ricordo: non aveva idea che in via d’Amelio abitasse la madre di Borsellino e non conosceva personalmente l’ufficiale al quale consegnò la borsa del giudice.
La prima versione 5 maggio 2005. Davanti ai magistrati, Giovanni Arcangioli ha rilasciato la sua prima versione: “Allorché giunsi sul posto la scena del delitto non era stata ancora perimetrata (…) Vi erano all’opera i Vigili del Fuoco e, per quanto posso ricordare, arrivò per primo il magistrato dottor Ayala. (…). Arrivò sul posto il dottor Teresi e anche il dott. Di Pisa, magistrato di turno. Non ricordo se il dottor Ayala o il dottor Teresi, ma più probabilmente il primo dei due, e sicuramente non il dottor Di Pisa, mi informarono del fatto che doveva esistere una agenda tenuta dal dottor Borsellino e mi chiesero di controllare se per caso all’interno della vettura vi fosse una tale agenda, eventualmente all’interno di una borsa. Se non ricordo male, aprii lo sportello posteriore sinistro e posata sul pianale, dove si poggiano di solito i piedi, rinvenni una borsa, credo di color marrone, in pelle, che prelevai e portai dove stavano in attesa il dottore Ayala e il dottore Teresi. Uno dei due predetti magistrati aprì la borsa e constatammo che non vi era all’interno alcuna agenda, ma soltanto dei fogli di carta. Verificato ciò, non ricordo esattamente lo svolgersi dei fatti. Per quanto posso ricordare, incaricai uno dei miei collaboratori di cui non ricordo il nome, di depositare la borsa nella macchina di servizio di uno dei magistrati”. Nella prima versione, datata 8 aprile 1998 (quindi sette anni prima che comparisse la foto che ritrae Arcangioli con in mano la borsa di Paolo Borsellino), Giuseppe Ayala ha raccontato di aver sentito l’esplosione dal Residence Marbella in cui alloggiava, a 200 metri in linea d’aria dal luogo della strage, e di essersi recato in via d’Amelio a piedi. Ayala ha affermato che davanti alla macchina del giudice Borsellino c’era un ufficiale dei Carabinieri in divisa che aprì la portiera, estrasse la borsa e fece il gesto per consegnargliela, ma lui rifiutò di prenderla in mano. Tre mesi dopo, ha deposto a Caltanissetta nel processo ‘Borsellino TER’. Ha confermato la versione precedente, dicendo però che non era più sicuro che la persona che prese la borsa dalla macchina del giudice fosse un carabiniere in divisa.
La seconda versione Nel settembre 2005, viene ascoltato in merito alle indagini seguite al ritrovamento della foto che ritrae il capitano Arcangioli con in mano la 24 ore di Borsellino. Ayala modifica sostanzialmente alcuni punti cruciali dei suoi ricordi, in particolare dal momento in cui si avvicina all’auto del giudice. Non è più l’ufficiale in divisa a estrarre la borsa dall’automobile, ma Ayala in persona ed è lui stesso a consegnarla all’ufficiale. Quando gli viene mostrata la foto di Arcangioli, dichiara: “Non ricordo di aver mai conosciuto, né all’epoca né successivamente il capitano Arcangioli. Non posso escludere ma neanche affermare con certezza che detto ufficiale sia la persona alla quale io affidai la borsa”. Ayala ha escluso “in modo perentorio” che sia stato l’ufficiale ad afferrare la borsa e a fare il gesto di passargliela.
La terza versione Nel febbraio 2006 Ayala viene nuovamente ascoltato. Modifica nuovamente la propria versione dei fatti. Questa volta si dice certo che chi ha prelevato la borsa non fosse in divisa, ma in borghese. Non fu lui quindi a estrarla, ma la prese in mano e la consegnò a un altro ufficiale in divisa. Dopo essere stato sentito dai PM di Caltanissetta, Ayala viene dunque messo a confronto con Giovanni Arcangioli, il carabiniere ritratto con la 24 ore in mano. Arcangioli ha dichiarato di aver ricevuto l’ordine di prendere la borsa probabilmente da Ayala e di aver guardato all’interno assieme a lui. L’ex parlamentare è stato fermissimo nel negare che gli eventi siano andati secondo quanto affermato da Arcangioli. Il giornalista Felice Cavallaro, che era sul luogo dell’attentato, ha confermato la versione di Ayala.
La quarta versione Luglio 2009. Ayala ha rilasciato un’intervista al sito internet Affaritaliani.it nella quale ha cambiato di nuovo versione: è lui che vede la borsa, la prende e la consegna a un ufficiale dei Carabinieri.
La quinta versione Borsellino QUATER, maggio 2013. Giuseppe Ayala ha detto di aver udito l’esplosione ed essersi diretto in macchina (quindi non a piedi) con i ragazzi della scorta verso via d’Amelio. A domanda specifica su chi abbia prelevato la borsa, ha risposto: “Ora, se materialmente l’ho presa io o se questa persona me l’ha data, io francamente questo è un dettaglio che non ricordo, non sta a me fare apprezzamenti e ci mancherebbe altro, ma la cosa importante è che io questa borsa l’ho avuta in mano, non c’è dubbio e l’ho consegnata immediatamente a un ufficiale dei Carabinieri, e lì finisce il mio rapporto con la borsa.”
Alla domanda se abbia aperto o meno la borsa, Ayala ha risposto: “Posto che l’agenda era nella borsa, non possiamo dubitarne, posto che il contenuto di quell’agenda era ignoto, tranne che al povero Paolo (…), la borsa non viene svuotata, viene eliminata l’agenda. Non penso che il criterio selettivo, perché di prelievo selettivo si tratta, sia stato in base al colore dell’agenda, io credo che sia stato in base al contenuto dell’agenda, allora ci vuole qualcuno che ha avuto il tempo di tirarla fuori, leggere e ritenere, tradendo le istituzioni, che era meglio che quella roba lì non venisse fuori. Lei pensa sia possibile farlo in quel contesto, davanti a decine di persone? (…) Senza che nessuno se ne accorga?”
Quindi, il Pm ha chiesto ulteriori informazioni riguardo all’ufficiale a cui avrebbe consegnato la borsa e Ayala ha affermato:“Aveva un’uniforme (…) Quando in un primo momento ho detto ‘ma come ho individuato questo ufficiale dei Carabinieri?’, poi c’ho riflettuto ed era un’uniforme non estiva, cioè non una di queste camicie azzurre, diciamo, era un’uniforme classica. Il grado non glielo so dire assolutamente ma ho capito che era un ufficiale, che era un carabiniere è sicuro. Non conoscevo quest’ufficiale”.
Le deposizioni di Giovanni Arcangioli Il tenente colonnello dei Carabinieri Giovanni Arcangioli (all’epoca dei fatti capitano) è colui che è stato ripreso da un fotografo poco dopo la strage mentre trasporta la borsa del giudice Borsellino verso l’uscita di via d’Amelio, in direzione di via Autonomia Siciliana. Dopo il ritrovamento della foto prima e di un video poi, l’autorità giudiziaria di Caltanissetta il 5 maggio 2005 lo convoca come persona informata sui fatti.
Le domande ancora aperte La versione dei fatti che sembra più probabile vede il dottor Ayala e il caposcorta Farinella arrivare tra i primi sul luogo della strage, aprire la macchina del giudice con l’aiuto di un vigile del fuoco, prelevare la borsa ancora integra e consegnarla a una persona non meglio identificata.hi è la persona alla quale fu consegnata la 24 ore di Borsellino? Era un ufficiale dei Carabinieri? La borsa compare successivamente in mano al capitano Arcangioli, che si dirige con essa verso la fine di Via d’Amelio. perché Arcangioli si sposta verso l’uscita della via? Cosa fa con la borsa? La borsa alla fine ricompare all’interno della macchina del giudice, dove è trovata dall’agente Francesco Maggi. Al momento del prelievo da parte di Maggi, la borsa presenta segni di bruciature. L’agenda rossa di Paolo Borsellino sparì nel pomeriggio del 19 luglio 1992.
Chi l’ha presa? “Chissà, forse un uomo delle istituzioni ha in mano l’agenda rossa di Paolo: sono sicura che esiste ancora. Non è andata dispersa nell’inferno di via d’Amelio, ma era nella borsa di mio marito, borsa che è stata recuperata integra, con diverse altre cose dentro. Sono sicura che qualcuno la conserva ancora l’agenda rossa, per acquisire potere e soldi. Quell’uomo che ha trafugato l’agenda rossa sappia che io non gli darò tregua. Nessun italiano deve dargli tregua”. (Agnese Borsellino)
19 luglio 1992: una borsa che cammina da solaIn Italia ogni omicidio eccellente che si rispetti ha i suoi misteri, i suoi depistaggi e oggetti che “misteriosamente” scompaiono. Scomparvero alcuni documenti dalla cassaforte del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, furono cancellati dei dati dall’agenda elettronica di Giovanni Falcone e furono trafugate delle carte dall’abitazione dell’agente di Polizia Antonino Agostino. Nel caso del giudice Paolo Borsellino, a scomparire, quel maledetto 19 luglio 1992, fu l’agenda rossa dalla quale negli ultimi mesi di vita non si separava mai. I familiari del giudice ne denunciarono subito la scomparsa tramite il dottor Antonino Caponnetto che il 25 luglio 1992 rilasciò le seguenti dichiarazioni alla stampa:
- Giornalista: “Allora c’è da sperare che il lavoro fatto da Borsellino sia al sicuro”.
- Caponnetto: “Lo spero. Per ora l’Agnese lamenta la sparizione dalla borsa della agenda di Paolo, che a lei è particolarmente cara. Un’agenda sopra cui c’era tutto l’indirizzario telefonico, anche quello di famiglia. Paolo non se ne distaccava mai, se la teneva con se’ in modo quasi ossessivo, al punto che il maresciallo Canale scherzando diceva che ci andava perfino al gabinetto”.
- Giornalista: “L’agenda era in una borsa che non è andata distrutta nell’esplosione?”
- Caponnetto: “La borsa c’è e manca solo l’agenda. E fino a ieri sera ancora non l’avevano ritrovata”.
L’allora capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera ipotizzò che con molta probabilità l’agenda fosse stata bruciata dalle fiamme in via D’Amelio e che comunque non fosse di importanza investigativa. La Barbera si rivolse ad Agnese Piraino Borsellino, moglie del giudice, con queste parole: “Quest’agenda è il frutto della vostra farneticazione”. Dell’agenda non si seppe più nulla. Finché non arrivò il 27 gennaio 2005, quando una fonte riservata segnalò alla redazione della rivista AntimafiaDuemila l’esistenza di una foto che ritraeva un carabiniere in borghese aggirarsi in via D’Amelio nei minuti successivi l’esplosione con in mano la borsa appartenuta a Paolo Borsellino (vedi foto in alto, ndr).
Il carabiniere della foto fu individuato dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Caltanissetta nel capitano dei ROS Giovanni Arcangioli ed ascoltato dall’Autorità Giudiziaria per la prima volta il 5 maggio 2005. Il 12 Ottobre 2006si apprese dalla stampa che Arcangioli era indagato dai magistrati inquirenti nisseni per false dichiarazioni al pubblico ministero. Il 1 febbraio 2008 il GIP Ottavio Sferlazza ordinò alla DDA di Caltanissetta l’iscrizione nel registro degli indagati di Arcangioli per il reato di furto con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa. Il 1 aprile 2008 il Giudice dell’udienza preliminare (GUP) di Caltanissetta Paolo Scotto di Luzio dichiarò il non luogo a procedere nei confronti di Arcangioli “per non aver commesso il fatto”. Infine il 17 febbraio 2009 la sesta sezione penale della Cassazione prosciolse definitivamente Giovanni Arcangioli dall’accusa di aver sottratto l’agenda rossa di Paolo Borsellino. Sul furto dell’agenda rossa non si celebrò nessun dibattimento, né a carico di Arcangioli né a carico di ignoti, nonostante le versioni di chi ebbe materialmente a che fare con la borsa di pelle nell’immediatezza della strage risultassero lacunose e discordanti. Di seguito analizzeremo nello specifico le dichiarazioni dei protagonisti che vennero a contatto con la borsa del giudice nei momenti immediatamente successivi alla strage di via D’Amelio, durante i quali l’agenda fu sottratta dalla borsa stessa. Le parole che leggerete sono tratte dalle testimonianze rilasciate, tra il 2004 e il 2013, dai protagonisti degli eventi durante le indagini seguenti al ritrovamento della famosa foto e durante le udienze dei processi ‘Borsellino TER’ e ‘Borsellino QUATER’.
I dati accertati Nel quadro delle dichiarazioni discordanti e a volte confuse che andremo ad esaminare, possiamo contare su alcuni fatti che sono incontrovertibili. Sappiamo con certezza, per esempio, dalle testimonianze della moglie Agnese Piraino e dei figli Lucia e Manfredi, che il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino aveva l’agenda rossa sulla scrivania del suo studio presso la casa a Villagrazia di Carini e che, alla partenza in direzione di via D’Amelio, l’agenda sul tavolo non c’era più. Sappiamo, dal racconto dell’unico sopravvissuto alla strage, l’agente di polizia Antonino Vullo, che Borsellino e la sua scorta non fecero soste durante il percorso verso via D’Amelio e che il giudice era solo al volante della sua Croma blindata. Sappiamo, grazie alle perizie della polizia scientifica su un filmato video, che tra le 17.20 e le 17.30 l’allora capitano dei Carabinieri Giovanni Arcangioli ebbe la borsa in mano e la portò in direzione dell’uscita di via D’Amelio. Sappiamo, dalle dichiarazioni rilasciate ai giornalisti da Arnaldo La Barbera pochi giorni dopo la strage, che la borsa fece tappa alla Questura di Palermo. Sappiamo che la famiglia del giudice controllò la borsa dopo la strage, denunciando la mancanza dell’agenda. Sappiamo che il primo verbale di apertura della borsa fu redatto dalla Procura di Caltanissetta il 5 novembre 1992, ben tre mesi e mezzo dopo la strage. Sappiamo, sempre grazie ai reperti fotografici e video, che la borsa nelle mani di Arcangioli era integra, senza segni di bruciature mentre la borsa repertata dalla Procura era parzialmente bruciata su un lato.
Le testimonianze sul prelievo della borsa Ai dati accertati di cui sopra, possiamo aggiungere alcune sequenze degli spostamenti della borsa del giudice considerando le dichiarazioni di due testimoni giunti in via D’Amelio poco dopo la strage: Rosario Farinella e Francesco Paolo Maggi. Rosario Farinella, carabiniere e membro della scorta dell’allora deputato Giuseppe Ayala, è stato identificato come colui che prelevò la borsa, integra, dalla macchina del giudice Borsellino su richiesta dello stesso Ayala. Francesco Paolo Maggi, agente della Polizia di Stato, dichiarò di aver preso anche lui la borsa e fu incaricato di portarla in un ufficio della Questura di Palermo. Maggi redasse una relazione di servizio con la descrizione minuziosa dei fatti in questione cinque mesi dopo l’evento e su richiesta del funzionario incaricato delle indagini, Arnaldo La Barbera. Grazie ai ricordi di Farinella e Maggi, siamo in grado di ricostruire due momenti importanti per definire la cronologia dei fatti.
Il primo prelievo della borsa Rosario Farinella ha testimoniato di essere arrivato in auto in via D’Amelio, assieme al collega Angelo De Simone(entrambi in servizio di scorta) e al dottor Giuseppe Ayala, pochi minuti dopo l’esplosione. Dopo aver riconosciuto il cadavere del giudice Borsellino, Giuseppe Ayala notò la borsa in pelle all’interno della macchina. Farinella ha dichiarato:
“Abbiamo raggiunto l’abitazione e sono salito nell’appartamento della personalità (Giuseppe Ayala, ndr), il quale aveva anche udito l’esplosione, per cui siamo immediatamente scesi per recarci in direzione della stessa via D’Amelio. Ricordo che il fumo era perfettamente visibile da dove ci trovavamo. A bordo dell’auto di servizio abbiamo raggiunto la via Autonomia Siciliana e da lì, a piedi, abbiamo cercato di entrare nella via D’Amelio”.
“Mi trovavo a circa 50 − 100 metri in linea d’aria, eravamo all’hotel Marbella (…). Stavamo aspettando la personalità che doveva scendere. Subito dopo lo scoppio l’abbiamo avvisato e abbiamo capito che veniva il fumo di là, lui diceva che là ci abitava la mamma del giudice Borsellino. (…) Insieme a me c’era una carabiniere De Simone. (…) Ci siamo portati su quella parte, siamo arrivati quasi i primi di tutti, contemporaneamente ai vigili del fuoco e nemmeno potevamo entrare per le fiamme che c’erano. (…) Siamo arrivati, ho dato ordine al mio carabiniere di lasciare la macchina, di chiuderla e di stare con me e la personalità. (…) Appena arrivati andiamo dove c’era il cratere e, camminando, vediamo i corpi dei colleghi della scorta. Siamo entrati dentro il cortiletto, abbiamo visto il dottore che era lì per terra e l’abbiamo riconosciuto per via dei baffi. (…) Al momento abbiamo pensato solo alle vittime, poi appena siamo usciti le due macchine erano posizionate al centro della strada. Guardando le macchine, il dottor Ayala ha visto che c’era la borsa dentro il sedile posteriore”
Farinella ed un vigile del fuoco forzarono la portiera della macchina e, dopo non pochi tentativi, riuscirono ad aprirla. A quel punto Farinella prese in mano la borsa, totalmente integra ed asciutta, fece per consegnarla ad Ayala che rifiutò di prenderla non essendo più magistrato in servizio. Dopo pochi minuti Ayala stesso chiamò un uomo in abiti civili, che indicò come un funzionario di Polizia o un ufficiale, e gli fece consegnare la borsa da Farinella, spiegandogli dove la avessero trovata e a chi appartenesse. Farinella ha dichiarato:
“Ricordo perfettamente che quando ci siamo avvicinati all’auto del magistrato che aveva tutte le portiere chiuse, ma non a chiave, il Dr. Ayala ha notato che all’interno della stessa, appoggiata sul sedile posteriore, c’era la borsa di cuoio del dr. Borsellino per cui, con l’aiuto dello stesso vigile del fuoco abbiamo aperto la portiera posteriore. Preciso che questa operazione non è stata semplice, in quanto l’esplosione aveva fatto incastrare le portiere. Io personalmente ho prelevato la borsa dall’auto e avevo voluto consegnarla al dr. Ayala. Questi però mi disse che non poteva prendere la borsa in quanto non più magistrato, per cui io gli chiesi che cosa dovevo farne. Lui mi rispose di tenerla qualche attimo in modo da individuare qualcuno delle Forze dell’Ordine a cui affidarla. Unitamente a lui ed al mio collega ci siamo allontanati dall’auto dirigendoci verso il cratere provocato dall’esplosione, mentre io reggevo sempre la borsa. Dopo pochissimi minuti, non più di 5 − 7, lo stesso Ayala chiamò un uomo in abiti civili che si trovava poco distante (…)”.
Secondo Farinella, l’uomo indicato da Ayala prese la borsa, parlò un po’ con l’ex PM e poi si diresse verso l’uscita di Via D’Amelio:
“Lui ha individuato una persona e mi disse ‘appuntato, dia la borsa a …’ mi avrebbe detto il nome ma non ricordo ed io ho consegnato la borsa alla persona che mi ha detto il dottor Ayala, che io non conoscevo. Mi ha detto che era un ufficiale o un ispettore, mi ha detto che era un funzionario appartenente o alla Polizia o ai Carabinieri. (…) Era in abiti civili. Penso che il dottor Ayala lo conosceva, perché mi ha detto ‘è una persona che conosco io’. Ayala gli disse ‘questa è la borsa che abbiamo preso dalla macchina del dott. Borsellino’. L’ufficiale non disse niente, a parte un ‘ci penso io, non vi preoccupate’, si sono parlati lui e Ayala. (…) Non abbiamo aperto assolutamente la borsa. Mentre avevo io la borsa non si è avvicinato nessuno, non ricordo che si avvicinò Cavallaro ma Ayala parlò con tante persone in quei momenti. (…) Una volta che l’ufficiale ha preso la borsa, ha parlato con il dottor Ayala, la prende e la porta via verso l’uscita, verso via Autonomia Siciliana. Poi ce ne siamo andati da lì e poi siamo andati a Mondello. Siamo andati via e non siamo più tornati”.
Riguardo le condizioni della borsa Farinella è sicuro, la borsa era integra: “Posso affermare con quasi certezza che la borsa che ho prelevato dall’auto era perfettamente integra e non presentava bruciature come quelle che sono evidenti nelle foto che mi mostrate. Peraltro, nel momento in cui abbiamo aperto l’auto la stessa non era stata interessata dalle fiamme nell’abitacolo. (…) le fiamme interessavano solo l’esterno dell’auto, compreso i pneumatici, ma non l’interno. Peraltro, se all’interno vi fossero state fiamme e fumo, non avremmo potuto notare nemmeno la borsa al suo interno.
Farinella si dice convinto che l’uomo a cui consegnò la borsa su richiesta di Ayala, non portasse distintivi delle forze dell’ordine in vista: “Non sono in grado di riconoscere la persona che mi mostrate; posso aggiungere però che non ricordo assolutamente che la persona alla quale ho consegnato la borsa avesse una placca metallica di riconoscimento; di questo particolare ritengo che mi ricorderei”.
Le testimonianze di Farinella del 2006 e del 2013 sono quasi sovrapponibili, tranne che per un piccolo particolare: nella seconda deposizione lo sportello che Farinella ricorda di aver aperto sembra essere stato quello destro.
Il secondo prelievo della borsa La borsa, dopo un breve lasso di tempo, ricompare lo stesso pomeriggio del 19 luglio 1992 nell’auto del giudice. Dopo anni di indagini e testimonianze, per l’autorità giudiziaria non è ancora stato possibile identificare la persona che riposizionò la borsa all’interno dell’abitacolo. L’agente Francesco Paolo Maggi, perlustrando la zona e le macchine, disse di essersi accorto di una borsa di pelle che, all’interno di una delle macchine blindate, stava per essere interessata da un inizio di fiamma. Dopo averla fatta spegnere da un vigile del fuoco, prese la borsa, parzialmente bruciacchiata e bagnata dagli idranti del pompiere, e si diresse verso il suo superiore, il funzionario Paolo Fassari a cui chiese disposizioni. Fassari gli ordinò di portare la borsa nell’ufficio dell’allora dirigente della Squadra Mobile, Arnaldo La Barbera. Maggi ha dichiarato: “Abbiamo iniziato a perlustrare la zona e le macchine. In tale contesto ho notato che all’interno della macchina blindata sulla quale viaggiava il magistrato c’era una borsa di cuoio che stava per essere aggredita dalle fiamme, tanto che risultava parzialmente danneggiata in un lato. Pertanto, ho attirato l’attenzione di uno dei vigili a me più vicino, chiedendogli di provvedere a spegnere la macchina e la borsa; cosa che fece ed io così ho potuto prelevarla. Preciso che la portiera posteriore sinistra dell’auto blindata era aperta mentre la borsa si trovava sul pianale posteriore, dietro il sedile passeggeri; dopo che il vigile ha spento le fiamme sono stato io ad allungarmi dal lato sinistro dell’auto per prelevare la borsa dal lato destro. Presa la borsa mi sono diretto verso l’uscita della strada per portarla al dottore Fassari il quali mi disse di portarla immediatamente alla Squadra Mobile e di depositarla nell’Ufficio dell’allora Dirigente, dottor Arnaldo La Barbera. Io ripresi l’auto di servizio e ottemperai immediatamente a quanto disposto. Giunto in ufficio, ricordo che nel corridoio antistante l’ufficio del dirigente c’erano diversi colleghi, tre o quattro, e tra costoro c’era un certo Di Franco, autista del dirigente, al quale spiegai la provenienza della borsa e la depositai sopra il divanetto che era ubicato sulla sinistra entrando nell’ufficio del dottor la Barbera, dopodiché ritornai in via D’Amelio. (…) Non ho mai aperto la borsa ed escludo che il dottore Fassari lo abbia fatto lì in mia presenza; lo stesso, apprendendo da me la provenienza della borsa, si è limitato a darmi la disposizione già riferita.
Ricordo di avere inizialmente fatto più volte avanti e indietro dalla via D’Amelio perché il fuoco e soprattutto il fumo impedivano di stare troppo vicino ai luoghi della strage. Ritengo che nel periodo in questione siano trascorsi circa 10 minuti”. In occasione della deposizione di Francesco Maggi al processo ‘Borsellino QUATER’, il Pubblico Ministero ha chiesto spiegazioni sul ritardo nella stesura della relazione di servizio da parte di Maggi e sulla consegna della borsa in Questura e Maggi ha così risposto: “‘Sta relazione non so perché non la feci al momento, l’ho fatta successivamente e la consegnai al dott. La Barbera personalmente. Si, magari lui si incavolò su questa cosa, disse ‘come mai ancora non l’hai fatta sta relazione?’, ‘dottore, tra una cosa e un’altra non l’ho fatta’, mi giustificai così. Mi venne richiesta la relazione dal dott. La Barbera perché dovevo essere sentito.. a quel tempo dal dottor Cardella (PM che si occupò delle indagini e del primo processo sulla strage di Via D’Amelio, NdA). (…) La borsa era piena sicuramente ed era abbastanza pesante, conteneva materiale all’interno. (…) La borsa l’ho consegnata al collega Di Franco, era l’autista del dottor La Barbera. Entrammo insieme nella stanza del funzionario, del capo della mobile, sulla destra c’era un divano con delle poltrone e l’ha messa sul divano”. L’allora Primo Dirigente Paolo Fassari, sentito dai PM di Caltanissetta, non ha ricordato di aver ordinato a Maggi di portare la borsa nella stanza del dottor La Barbera, né i colleghi di servizio nei pressi della stanza in questione hanno confermato a verbale di aver visto Maggi o preso da lui in custodia una borsa. In particolare, l’autista del dirigente Arnaldo La Barbera, il poliziotto Sergio Di Franco, ha negato fermamente di aver preso in carico la borsa e di aver incontrato Maggi che lo aveva chiamato in causa. Ad oggi, non sono stati trovati riscontri da parte dei colleghi di Francesco Maggi che abbiano potuto confermare la sua versione dei fatti; gli unici ricordi, per loro stessa ammissione molto flebili, sono quelli di due funzionari della Questura di Palermo, i vicequestori aggiunti Gabriella Tomasello e Andrea Grassi, che hanno ricordato vagamente di aver visto una borsa in pelle, rispettivamente, nella stanza del dottor La Barbera e in quella del dirigente della Sezione Omicidi. Il dottor Grassi ha ricordato di aver intravisto, dalla borsa che era aperta, ‘alcuni effetti personali, quali un pantaloncino o una maglietta tipo tennis’. Un pantaloncino fu effettivamente ritrovato all’interno della borsa.
Chi ha preso per primo la borsa? C’è chi, come il dottor Paolo Scotto di Luzio, il GUP che dichiarò il non luogo a procedere per il reato di furto aggravato dell’agenda rossa a carico di Giovanni Arcangioli, ha messo in discussione che Ayala e Farinella fossero stati i primi a prendere la borsa, ipotizzando che potesse essere stato lo stesso Maggi ad averla notata e prelevata per primo. Maggi dichiarò di essere arrivato sul posto quasi contemporaneamente ai primi vigili del fuoco. Ma è ragionevole ritenere che sia stato Farinella ad arrivare sul posto prima di Maggi. A tale conclusione si giunge confrontando gli spostamenti compiuti da Farinella e da Maggi prima di arrivare in via D’Amelio dopo lo scoppio dell’autobomba, fermo restando che tutti e due, una volta arrivati, furono impegnati in altre attività prima di occuparsi della macchina e della borsa del giudice. Farinella sentì l’esplosione e partì in macchina, assieme ad Ayala, dal Marbella Residence che è collocato ad una distanza percorsa in auto di circa 650 metri da via D’Amelio. Maggi ricevette la notizia dell’esplosione tramite radio, passò a prendere Fassari presso l’abitazione di quest’ultimo, sita in Corso Pisani, ed assieme a lui di diresse in via D’Amelio. Corso Pisani dista circa 6 chilometri da via D’Amelio. Risulta poco probabile che l’ispettore Maggi e il funzionario Fassari possano essere arrivati sul posto prima del deputato Ayala e dell’appuntato Farinella e ancor meno verosimile la possibilità che siano arrivati quasi contemporaneamente al primo gruppo di vigili del fuoco i quali, come risulta dalla relazione di servizio, giunsero sul luogo alle ore 17.03, dopo soli cinque minuti dall’esplosione.
Le testimonianze di Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli a confronto Abbiamo fin qui ricostruito alcuni passaggi del percorso della borsa di Paolo Borsellino dal momento dell’esplosione all’instante in cui fu verosimilmente depositata in Questura nella stanza del dottor Arnaldo La Barbera. Le parti mancanti sono nei ricordi contrastanti, parzialmente ritrattati e/o modificati dei due protagonisti principali di questi eventi: Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli.
Giuseppe Ayala L’allora parlamentare ed ora di nuovo magistrato Giuseppe Ayala ha dato negli anni cinque versioni differenti della vicenda. Su due punti, invece, ha confermato lo stesso ricordo: non aveva idea che in via D’Amelio abitasse la madre di Borsellino e non conosceva personalmente l’ufficiale al quale consegnò la borsa del giudice.
La prima versione Nella prima versione, datata 8 aprile 1998 (quindi sette anni prima che comparisse la foto che ritrae Arcangioli con in mano la borsa di Paolo Borsellino), Giuseppe Ayala, interrogato come persona informata sui fatti dai PM nisseni Carmelo Petralia ed Annamaria Palma, ha raccontato di aver sentito l’esplosione dal Residence Marbella in cui alloggiava, a 200 metri in linea d’aria dal luogo della strage, e di essersi recato in via D’Amelio a piedi: “Appena sentita la deflagrazione ed appreso dal personale della scorta il luogo presumibile dello scoppio, mi recai a piedi in direzione della zona interessata. (…) la vista dell’auto blindata che riconobbi come una di quelle della Procura mi diedero la certezza che si trattasse di un attentato in danno di un collega della Procura; non sapevo infatti che in quel luogo abitasse la mamma di Paolo Borsellino. Dal momento dello scoppio a quello del mio arrivo in via D’Amelio non trascorsero più di dieci−quindici minuti.” Ayala ha affermato che davanti alla macchina del giudice Borsellino c’era un ufficiale dei Carabinieri in divisa che aprì la portiera, estrasse la borsa e fece il gesto per consegnargliela, ma lui rifiutò di prenderla in mano: “(…) Vidi i primi cadaveri a brandelli ed osservai la blindata che era ancora integra. Cercai di guardare all’interno senza risultato per via del fumo che avvolgeva tutto. Tornai indietro verso la blindata della procura anche perché nel frattempoun carabiniere in divisa, quasi certamente un ufficiale, se mal non ricordo aveva aperto lo sportello posteriore sinistro dell’auto. Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiature e tuttavia integra,l’ufficiale tirò fuori la borsae fece il gesto di consegnarmela. Gli feci presente che non avevo alcuna veste per riceverla e lo invitai pertanto a trattenerla per poi consegnarla ai magistrati della procura di Palermo non appena fossero intervenuti. Davanti a me la borsa non fu né aperta, né poggiata su un muretto (…). Non so poi a chi di fatto sia stata consegnata.” Successivamente Ayala vide il corpo del giudice Borsellino ed incontrò il giornalista Felice Cavallaro, che lo invitò a tranquillizzare i suoi figli sul fatto che l’attentato non avesse avuto lui come bersaglio. Ayala decise allora di tornare a casa a telefonare: “Subito dopo mi diressi verso lo stabile. In prossimità dell’ingresso, sulla sinistra per chi lo guardava, inciampai in un troncone umano che solo successivamente capii essere quello del collega Borsellino. (…) Poco dopo arrivò Felice Cavallaro, il quale mi invita ad avvisare i miei figli del fatto che non ero coinvolto nell’attentato, essendo si sparsa la voce che l’attentato era stato perpetrato ai miei danni. Per tale ragione corsi subito a casa a telefonare. Complessivamente rimasi sul posto circa un’ora, forse anche meno”.
La prima versione riveduta Nemmeno tre mesi dopo, il 2 luglio 1998, Giuseppe Ayala ha deposto a Caltanissetta nel processo denominato ‘Borsellino TER’. Qui ha confermato la versione precedente, modificando leggermente un ricordo: non era più sicuro che la persona che prese la borsa dalla macchina del giudice fosse un carabiniere in divisa: “Sono tornato verso la macchina, era arrivato qualcuno… parlo di forze di polizia. Ora, il mio ricordo è che a un certo punto questa persona, che probabilmente io ricordo in divisa, però non giurereiche fosse un ufficiale dei Carabinieri, (…) ciò che è sicuro è che questa persona aprì lo sportello posteriore sinistro della macchina di Paolo. Guardammo dentro e c’era nel sedile posteriore la borsa con le carte di Paolo, bruciacchiata, un po’ fumante anche… però si capiva sostanzialmente… lui la prese e me la consegnò. (…) Io dissi: − Guardi, non ho titolo per… La tenga lei −”.
La seconda versione Il 12 settembre 2005, Giuseppe Ayala è stato sentito in merito alle indagini seguenti il ritrovamento della famosa foto che ritraeva il capitano Arcangioli con in mano la borsa del giudice Borsellino. Davanti ai magistrati di Caltanissetta, Francesco Messineo e Renato Di Natale, Ayala ha modificato sostanzialmente alcuni punti cruciali dei suoi ricordi di quella giornata. Ayala ha ribadito di essere arrivato in via D’Amelio a piedi e di non sapere che lì abitasse la madre del giudice: “Sono sceso e mi sono subito recato a piedi sul posto, ho percorso la via D’Amelio in direzione del fumo che notavo sempre più denso (…). Non avevo idea che cosa potesse essere avvenuto anche perché non sapevo che in quella via abitasse la madre del dottore Borsellino. (…) Dal momento in cui ho udito lo scoppio ed il momento del mio arrivo in via D’Amelio saranno trascorsi non più di 7 o 8 minuti (…)”. Ayala ha confermato di aver notato l’auto con l’antenna e di aver capito che fosse della Procura, di aver identificato il cadavere di Paolo Borsellino e, successivamente, di aver notato l’auto del magistrato. Ed è a questo punto che i ricordi di Ayala cambiano drasticamente: “Istintivamente mi allontanai qualche passo dell’auto di sopra e notai che lo sportello posteriore sinistro dell’autovettura – che non bruciava più − era aperto. Scorsi sul sedile posteriore una borsa di pelle bruciacchiata. Istintivamente la presi, ma mi resi subito conto che non avevo alcun titolo per fare ciò, per cui ricordo di averla affidata immediatamente ad un ufficiale dei Carabinieri che era a pochi passi. Era in divisa, perché diversamente non avrei potuto identificarlo come tale. Non riesco a ricordare se si trattasse della formale divisa oppure di una casacca come quelle che vengano adoperato in tali circostanze, comunque, non conoscevo l’ufficiale in questione. Nell’affidargli la borsa gli spiegai che probabilmente era la borsa appartenente al dottore Borsellino”. Non è più l’ufficiale in divisa, quindi, ad estrarre la borsa dalla macchina ma Ayala in persona ed è lo stesso Ayala a consegnarla all’ufficiale. Ayala ha confermato l’arrivo del giornalista Cavallaro ma, diversamente dalla deposizione al ‘Borsellino TER’, ha affermato di non essersi recato a casa per telefonare ai figli e di essersi recato subito a Mondello: “Poco dopo fui raggiunto dal dottore Felice Cavallaro, il quale piangendo mi comunicò che a Palermo si era sparsa la voce dell’attentato e venivo indicato come la vittima dell’attentato stesso. Mi suggerì di correre dai miei figli per rassicurarli. Per tale ragione lasciai la via D’Amelio e mi recai subito a Mondello presso la mia famiglia”.
Quando gli è stata mostrata la foto di Arcangioli, Ayala ha dichiarato: “Non ricordo di aver mai conosciuto, né all’epoca né successivamente il capitano Arcangioli. Non posso escludere ma neanche affermare con certezza che detto ufficiale sia la persona alla quale io affidai la borsa. Per quanto posso sforzarmi di ricordare mi sembra che la persona alla quale affidai la borsa fosse meno giovane, ma può darsi che il mio ricordo mi inganni. Insisto comunque nel dire che l’ufficiale ricevette la borsa e poi andai via”.
Ayala ha escluso “in modo perentorio” che sia stato l’ufficiale ad afferrare la borsa e a fare il gesto di passargliela: “Escludo comunque in modo perentorio che all’inverso sia stato l’ufficiale di cui si parla a consegnare a me la borsa. La borsa da me prelevata era bruciacchiata ma apparentemente integra. Non era particolarmente pesante, nel senso che il suo contenuto non sembrava avere un grosso spessore”. Sulla presenza della scorta Ayala, riducendo notevolmente il tempo di permanenza in via D’Amelio rispetto alle dichiarazioni del 1998, ha aggiunto: “Rimasi sul posto non più di 20 minuti complessivamente. Se mal non ricordo l’auto di servizio e quelle di scorta mi avevano frattanto raggiunto all’ingresso di via D’Amelio sulla mia autovettura partii per andare a Mondello dai miei figli.”
La terza versione L’8 febbraio 2006 Ayala è stato ascoltato dai magistrati nisseni Francesco Messineo e Renato Di Natale ed ha modificato nuovamente la propria versione dei fatti: “Subito dopo avere identificato i resti di Paolo Borsellino mi allontanai dal giardinetto del palazzo nel quale giacevano i detti resti e mi mossi verso l’autovettura del dottore Borsellino che si trovava a pochi metri dal giardinetto nella sede stradale. Qui incontrai il giornalista Cavallaro che, in preda a viva emozione, mi disse tra l’altro di raggiungere subito i miei figli a Mondello perché si era sparsa la voce che l’attentato era stato consumato in mio danno. In tale momento ebbi modo di vedere una persona in abiti borghesi (…) che è certo che non fosse in divisa, la quale prelevava dall’autovettura attraverso lo sportello posteriore sinistro una borsa. Io mi trovavo a pochissima distanza dallo sportello e la persona in divisa si volse verso di me e mi consegnò la borsa. E poiché ero già in posizione di fuori ruolo dalla magistratura per mandato parlamentare non avevo alcun titolo per ricevere detta borsa e quindi, dato che accanto alla macchina vi era anche un ufficiale dei Carabinieri in divisa, quasi istintivamente la consegnai al predetto ufficiale. (…) Non conoscevo e tuttora non ho mai avuto modo di conoscere né l’ufficiale in divisa né la persona in borghese di cui ho detto. Non lo ho riconosciuto neanche nella fotografia che mi viene mostrata pubblicata dal Corriere della Sera”. Questa volta Ayala si dice quindi certo che chi ha prelevato la borsa non fosse in divisa, ma in borghese. Non fu lui quindi a estrarla, ma la prese in mano e la consegnò ad un altro ufficiale in divisa. Ayala ha fatto presente ai magistrati l’esistenza di un testimone disposto a confermare la sua versione dei fatti, Felice Cavallaro, il quale sembra entrare in scena nel momento in cui la borsa viene prelevata dalla macchina, a differenza della prima versione di Ayala del 1998, nella quale il giornalista arrivava dopo il prelievo della borsa e dopo il riconoscimento del corpo di Borsellino. L’otto febbraio 2006 Giuseppe Ayala, dopo essere stato sentito dai PM di Caltanissetta, è stato messo a confronto con Giovanni Arcangioli, il quale ha dichiarato di aver ricevuto l’ordine di prendere la borsa probabilmente da Ayala e di avervi guardato all’interno assieme a lui. L’ex parlamentare è stato fermissimo nel negare che gli eventi siano andati secondo quanto affermato da Arcangioli: “Nego quindi sia di avere comunque richiesto il prelievo della borsa, sia di avere in qualsiasi modo aperto la borsa stessa o visionato il contenuto della predetta. Per altro, in contrasto con quanto ha affermato il Col. Arcangioli, io in quella circostanza non ho mai attraversato la via D’Amelio e non mi sono mai portato sul lato opposto alla casa della madre di Borsellino. (…) Non credo di avere mai conosciuto in precedenza il Col. Arcangioli, che credo di aver incontrato oggi per la prima volta. Non sono in grado di affermare o escludere che lo stesso Col. Arcangioli si identifichi nella persona in borghese che estrasse la borsa dall’autovettura.”
Felice Cavallaro, sentito dai magistrati Francesco Messineo e Renato Di Natale il 23 febbraio 2006, ha confermato la versione di Ayala (anche se ha posizionato la borsa sul pianale dell’auto e non sul sedile), aggiungendo alcuni particolari:
“Per quanto posso ricordare l’autovettura non era in fiamme e nemmeno da essa si levava fumo. Io e il dott. Ayala ci fermammo per qualche momento vicino all’autovettura di cui ho detto scambiandoci commenti sull’accaduto. A questo punto vidi una persona ancor giovane di età che indossava abiti civili con una camicia estiva e senza giacca il quale prelevava dall’autovettura del dottore Borsellino una borsa di cuoio che era posata sul pianale posteriore sinistro, dietro lo schienale dell’autista. La persona di cui ho detto prese la borsa e stava per consegnarla al dottore Ayala il quale, per quanto posso ricordare, non arrivò neanche ad impugnarla saldamente ma nel momento in cui ne sfiorava il manico venne preso dal dubbio di non essere a ciò autorizzato, dato che non rivestiva più la qualità di magistrato. Vidi pertanto il dottore Ayala, quasi con lo stesso movimento, consegnare la borsa ad un ufficiale dei Carabinieri in divisa che si avvicinò in quel momento. (…) L’ufficiale indossava la divisa estiva dei Carabinieri completa della giacca. Si trattava di un Colonnello o di un Ten. Colonnello perché le spalline portavano il contrassegno di una torre e comunque certamente non si trattava di un Capitano perché non aveva le tre stelle che io riconosco. Dopo che il Colonnello prese in consegna la borsa non ci siamo più interessati della questione.”
Questo ricordo, nella memoria di Cavallaro, è emerso a quattordici anni dalla strage e dopo quindici giorni che l’autorità giudiziaria di Caltanissetta aveva disposto il confronto diretto tra Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli che lo aveva chiamato in causa.
Dopo tre anni, il 22 luglio 2009, Cavallaro ha aggiunto inaspettatamente in un’intervista un dettaglio affermando che anche lui ebbe in mano la borsa:
“(…) Eravamo accanto all’auto del giudice Borsellino con la portiera posteriore spalancata – ha detto Cavallaro – e fra il sedile anteriore dell’autoguida e la poltrona posteriore, proprio poggiata a terra, c’era una borsa di cuoio che una persona, credo un agente in borghese, ha preso e quasi consegnato a me, forse scambiandomi per un assistente (…) Fatto sta che questa borsa, avendola avuta per un istante così…avendola tenuta dal manico per un istante, io la stavo quasi passando al giudice Ayala con il quale ci siamo scambiati… così… degli sguardi. (…) Giuseppe Ayala ha avuto la prontezza di spirito di… vedendo un colonnello dei Carabinieri o comunque un alto ufficiale dei Carabinieri, del quale non ricordiamo con esattezza né i gradi né purtroppo il volto, (…) Il giudice Ayala ha consegnato questa borsa a un colonnello dicendo: − La tenga lei −”.[11]
Durante la deposizione al processo ‘Borsellino QUATER’, il 29 aprile 2013, Felice Cavallaro ha confermato la versione data nell’interrogatorio del 2006 ed ha ribadito il dettaglio mancante emerso nell’intervista del 2009, aggiungendo però di non ricordarsi più il grado dell’ufficiale al quale fu consegnata la borsa e confermando che fosse in divisa.
Nel corso dell’udienza, l’avvocato di parte civile Fabio Repici ha mostrato a Cavallaro un articolo a sua firma, datato 26 luglio 1992, nel quale il giornalista scrive a proposito della sparizione dell’agenda rossa:
‘… Significa che, davanti alla portineria della strage, fino a domenica mattina doveva essere parcheggiata una macchina diversa da rimuovere poco prima del “via libera” con uno spostamento dell’autobomba, effettuato in un raggio ristretto alle vicinanze di via D’Amelio. Ma trovare il box o il garage d’appoggio non sarà facile. Non è l’unico buco nero. C’è pure quello dell’agenda di Borsellino. E’ sparita? A sera una Tv attribuisce alla famiglia la notizia del ritrovamento, ma in Questura non si retrocede dal ‘no comment’ ed ogni dubbio resta’
Alla richiesta dell’avv. Repici di spiegare per quale motivo Cavallaro non abbia ritenuto importante, dopo aver scritto della scomparsa dell’agenda rossa, comunicare all’autorità giudiziaria il fatto di aver avuto in mano un oggetto così importante, Cavallaro ha risposto:
“(…) Non devo averlo messo in relazione a questo… a quella scena della borsa.”
La quarta versione Il 23 luglio 2009 Ayala ha rilasciato un’intervista al sito internet Affaritaliani.it durante la quale, parlando del momento del prelievo della borsa dall’autovettura ancora fumante di Borsellino, ha cambiato ancora una volta versione:
“La borsa nera di Borsellino l’ho trovata io, dopo l’esplosione, sulla macchina. Che ci fosse, nessuno lo può sapere meglio di me, perché l’ho presa io. Non l’ho aperta io perché ero già deputato e non avevo nessun titolo per farlo. A differenza di quanto si ricordi, io sono andato in Parlamento prima della morte di Borsellino e quindi non avevo nessun titolo per aprirla. Ma io sono arrivato per primo sul posto perché abito a 150 metri. Anche prima dei pompieri. Quando l’ho trovata l’ho consegnata ad un ufficiale dei Carabinieri. E’ verosimile che l’agenda fosse dentro la borsa e che sia stata fatta sparire”.
E’ dunque Ayala che vede la borsa, la prende e la consegna ad un ufficiale dei Carabinieri. Ayala ha confermato la versione del luglio 2009 in occasione della manifestazione “FestivaLegalità” tenutasi a Venezia il 7 aprile 2013:
“(…) Dopodiché entro nel giardinetto e inciampo … stavo cadendo su un corpo, sono inciampato in un … cadavere bruciato, dopodiché io esco da questo giardinetto, quattro passi − questo è quello che io ricordo eh – non ho un ricordo lucido, il ricordo che io ho è che nella macchina di Paolo con lo sportello aperto questa borsa e istintivamente – non tenendo conto che non ero più procuratore della Repubblica (…) istintivamente io prendo questa borsa e la porto là e la consegno ad un ufficiale dei Carabinieri, non c’è dubbio che pensavo di metterla in mani sicure (…).”
La quinta versione All’udienza del processo Borsellino QUATER, il 14 maggio 2013, Giuseppe Ayala ha dato la quinta versione su quanto accaduto il 19 luglio 1992. Ayala ha detto di aver udito l’esplosione ed essersi diretto in macchina con i ragazzi della scorta verso via D’Amelio, dove arrivò circa dieci minuti dopo lo scoppio. Sul luogo si accorse della presenza di una macchina della Procura e poi riconobbe il cadavere di Paolo Borsellino: “Io abitavo al Marbella Residence (…) – ha dichiarato Ayala – che è a 300 metri rispetto a Via D’Amelio. (…) Scendo e con i ragazzi della scorta andiamo. Anche perché nessun collegamento potevo fare né lo potevano fare i ragazzi della scorta perché io non sapevo che la povera mamma di Paolo abitasse in quella zona, non avevo idea, per cui non ho pensato a nessuna soggettività particolare. E siamo scesi dalla macchina, siamo entrati in via d’Amelio, (…) mi avvicino verso, dove capivo che c’era stato l’epicentro, diciamo e vedo… e lì entrai un po’ in crisi perché vedo una macchina blindata con lo sportello posteriore aperto (…). E questa macchina era nelle immediate vicinanze di un cancelletto, di un accesso ad un giardinetto al di là del quale c’era il portone del palazzo. Mi viene istintivo entrare lì per capire meglio, per vedere meglio e sono inciampato. (…) su un troncone di uomo, con la testa, carbonizzato. (…)”
Poi Ayala si avvicinò alla macchina del giudice e vide la borsa: “Siccome lo sportello aperto era quello lato… posteriore (…) e in un fotogramma ho visto quella borsa che era proprio sul sedile posteriore, non c’è dubbio, ed era proprio lì, vicinissimo a me. In quel momento è arrivato Felice Cavallaro, stravolto, (…) La borsa era lì, io me la sono ritrovata in mano, mi sembra che ci fosse uno che me l’ha… ma era questione di centimetri, era proprio lì, vicinissima, ripeto, io l’ho tenuta pochissimi secondi in mano, poi ho visto questo ufficiale dei Carabinieri e gli ho detto ‘guardi la tenga…’ anche perché io non avevo nessun titolo per tenerla, non essendo in quel momento in ruolo, non facevo il magistrato, (…) C’era qualcuno (in abiti borghesi) ma forse più di uno, lì vicino, ma c’era molta gente che si andava avvicinando. Io quello che ricordo perfetto era Cavallaro alla mia sinistra (…) e poi c’era questo ufficiale dei Carabinieri che era quasi di fronte a me e poi ho intravisto con la coda dell’occhio c’erano altre persone, tre, due, non me lo ricordo, certo non eravamo solo io, Cavallaro, questo ufficiale dei Carabinieri, (…).”
A domanda specifica su chi avesse prelevato la borsa, Ayala ha risposto: “Ora, se materialmente l’ho presa io o se questa persona me l’ha data, io francamente questo è un dettaglio che non ricordo, non sta a me fare apprezzamenti e ci mancherebbe altro ma la cosa importante è che io questa borsa l’ho avuta in mano, non c’è dubbio e l’ho consegnata immediatamente a un ufficiale dei Carabinieri, e lì finisce il mio rapporto con la borsa.”
Il Pubblico Ministero ha chiesto se fosse possibile che qualcuno della sua scorta si fosse intromesso o si fosse adoperato in riferimento al prelievo della borsa dall’autovettura. Ayala ha risposto seccamente: “Lo escludo”.
Il PM ha poi rivolto ad Ayala ulteriori domande alle quali il magistrato ha così risposto:
“Guardi io, siccome sappiamo di cosa stiamo parlando, e cioè dell’agenda di Paolo, la cui esistenza ovviamente è confermata dai familiari più stretti e dai collaboratori più stretti di Paolo e che non essendosi trovata da nessuna altra parte è presumibile, è chiaro che era dentro quella borsa. Io non ne avevo idea di questo (che Paolo scrivesse tutto sulle sue agende), si può chiedere anche ai colleghi dell’epoca, diciamo. Paolo era noto e per me fu utilissimo perché lui teneva delle rubriche (…). Erano rubriche, di agende non me ne ricordo affatto ma soprattutto, (…) da sei anni non avevo contatti con Paolo, rapporti di lavoro, di ufficio, di frequentazione, da sei anni a parte alcune vicende occasionali, quindi io non avevo idea che ‘A’ che lui avesse un’agenda ma, dico, un’agenda ce l’avevamo tutti, ma soprattutto quello che ci fosse scritto. Che evidentemente, questo è una cosa di percezione immediata, eh, beh, che dovevano essere annotazioni delicate. (…), ‘B’ che fosse nella sua borsa, ‘C’ ma meno che mai che ci potessero essere delle annotazioni delicate, perché poi era pure domenica, nella borsa non pensi che ci possa essere…”
Ad Ayala è stato chiesto se abbia mai parlato con il giornalista Felice Cavallaro riguardo al prelievo della borsa. Ayala ha negato, nonostante nell’interrogatorio dell’8 febbraio 2006 avesse sostenuto di aver verificato assieme al giornalista i loro ricordi.
Ayala ha sostenuto, analogamente a quanto detto da Cavallaro, di non aver mai ricollegato la borsa con la sparizione dell’agenda rossa, di cui – ha detto – non venne a sapere per anni, nonostante tutti i giornali, a pochi giorni dalla strage, ne parlassero.
Alla domanda se abbia aperto o meno la borsa in quel frangente, Giuseppe Ayala ha risposto:
“Posto che l’agenda era nella borsa, non possiamo dubitarne, posto che il contenuto di quell’agenda era ignoto, tranne che al povero Paolo (…), la borsa non viene svuotata, viene eliminata l’agenda. Non penso che il criterio selettivo, perché di prelievo selettivo si tratta, sia stato in base al colore dell’agenda, io credo che sia stato in base al contenuto dell’agenda, allora ci vuole qualcuno che ha avuto il tempo di tirarla fuori, leggere e ritenere, tradendo le istituzioni, che era meglio che quella roba lì non venisse fuori. Lei pensa sia possibile farlo in quel contesto, davanti a decine di persone? (…) Senza che nessuno se ne accorga?”
Il PM di Caltanissetta ha chiesto ulteriori informazioni riguardo all’ufficiale a cui Ayala avrebbe consegnato la borsa ed Ayala ha affermato:
“Aveva un’uniforme (…) Quando in un primo momento ho detto ‘ma come ho individuato questo ufficiale dei Carabinieri?’, poi c’ho riflettuto ed era un’uniforme non estiva, cioè non una di queste camicie azzurre, diciamo, era un’uniforme classica. Il grado non glielo so dire assolutamente ma ho capito che era un ufficiale, che era un carabiniere è sicuro. Non conoscevo quest’ufficiale”.
Il Pubblico Ministero ha infine chiesto ad Ayala di specificare il tempo di permanenza sul luogo della strage, rileggendo un verbale del 1998, dove il magistrato dichiarava di essere rimasto in via D’Amelio circa un’ora. La risposta di Ayala è stata la seguente:
“Un’ora?? Ma questo è un errore di verbalizzazione clamoroso, bisogna leggerli i verbali prima di firmarli. Ma quale un’ora? E nel verbale del 2005 che cosa ho detto?”
Ayala ha sostenuto di essere rimasto sul luogo un tempo massimo di venti minuti.
Giovanni Arcangioli
Il tenente colonnello dei Carabinieri Giovanni Arcangioli (all’epoca dei fatti capitano) è colui che è stato ripreso da un fotografo poco dopo la strage mentre trasporta la borsa del giudice Borsellino verso l’uscita di via D’Amelio, in direzione di via Autonomia Siciliana. Dopo il ritrovamento della foto prima e di un video poi, l’autorità giudiziaria di Caltanissetta il 5 maggio 2005 lo convocò come persona informata sui fatti.
I PM hanno cercato di chiarire alcuni punti e Arcangioli ha risposto:
“Non riesco a ricordare se mentre mi recavo sul luogo della strage mi fu detto per radio che una delle vittime era il dottor Borsellino. (…) Prelevata la borsa mi spostai andando verso i palazzi di fronte all’abitazione della mamma del dottore Borsellino, non ricordo se scendendo in direzione di via Autonomia Siciliana o in direzione opposta. Ricordo comunque di non aver mai superato, portando la borsa, il cordone “di Polizia” che sbarrava l’accesso alla via D’Amelio. Non ho un ricordo preciso. Posso comunque affermare con certezza che quando ho aperto la borsa per esaminarne il contenuto mi trovavo nel luogo che già ho indicato e cioè sul lato opposto della via D’Amelio rispetto alla casa della madre del dottore Borsellino. Non so dire però a quale altezza rispetto all’asse longitudinale della strada. Quando ho aperto la borsa credo di ricordare che era con me il dottore Ayala; credo anche di ricordare che vi era altra persona, di cui però non so indicare alcun elemento identificativo. Per quanto posso ricordare il prelievo della borsa fu da me effettuato su richiesta di un magistrato che, per esclusione, dato che non si trattava del dottore Teresi, credo di poter identificare nel dottor Ayala. La verifica del contenuto, per quanto ricordo, fu una iniziativa condivisa con il dottor Ayala. (…) Non riesco a ricordare se la prelevai direttamente io ovvero se fu altra persona di cui comunque non conservo memoria. (…) Ricordo di aver verbalmente riferito al mio superiore dell’epoca, Capitano Minicucci, in ordine al contenuto della borsa del dottore Borsellino ed in particolare che vi si trovava un crest dei Carabinieri.”
Arcangioli ha fatto quindi entrare in scena il suo superiore dell’epoca, il capitano (oggi tenente colonnello) Marco Minicucci, il quale, sentito dai magistrati, ha ricordato del rapporto a voce che il capitano Arcangioli gli fece circa il rinvenimento della borsa e del coinvolgimento di un magistrato presente sul posto, di cui, però, Minicucci non ha ricordato il nome.
La testimonianza al processo ‘Borsellino QUATER’
Il 14 maggio 2013 Giovanni Arcangioli ha deposto a Caltanissetta al processo ‘Borsellino QUATER’. Il tenente colonnello ha iniziato la sua testimonianza denunciando le vicissitudini e le difficoltà passate dal giorno del ritrovamento della foto che lo ritraeva con la borsa del giudice in mano ed ha detto alla corte di non essere nelle condizioni di serenità necessarie per poter rendere una testimonianza utile. Ed infatti la sua testimonianza è stata piena di “non ricordo” e di “non posso esserne sicuro”. Arcangioli ha confermato solo una piccola parte dei ricordi affiorati nelle precedenti versioni:
“Quando mi hanno dato quella borsa – ha testimoniato Arcangioli − ho aperto la borsa ed ho controllato, non ho visto niente di importante, la borsa aveva un valore pari a zero, l’unica cosa che mi ha colpito è stato questo crest dei Carabinieri. (…) Il primo dei magistrati che vidi io fu il dottor Ayala. Il 19 luglio conoscevo già il dottor Ayala, (…) frequentavo la procura e in procura ho visto e conosciuto il dottor Ayala. Non credo di averci mai fatto indagini. Non ricordo di aver avuto contatti personali con il dottor Ayala, ricordo che quella persona fosse il dottor Ayala e ricordo di averlo visto in procura. (…) Oltre al crest c’era qualcos’altro ma non ha attirato assolutamente la mia attenzione. (…) Non ricordo di averla presa io la borsa dalla macchina, quindi immagino che me la abbiano passata. (…) Io mi ricordo la presenza del dottor Ayala, mi ricordo che fece un qualche cosa, non ho il ricordo esatto di cosa fece.”
Sulla mancata relazione di servizio Arcangioli ha affermato:
“In quel contesto non avevo necessità, non avevo, diciamo così, dovere di fare relazione di servizio, diverso è quando uno non la fa e la fa a posteriori dopo sei mesi. Però a me viene contestata questa cosa come tante altre, ad altri queste cose non vengono contestate”.
Durante l’udienza Arcangioli ha sottolineato più volte che agli atti del suo procedimento furono acquisiti solo dei riassuntivi e non gli integrali degli interrogatori, dove, secondo lui, si sarebbero evinte le incertezze e la confusione che ebbe sin dall’inizio circa i suoi ricordi. Inoltre, l’allora capitano dei Carabinieri ha lamentato più volte una disparità di trattamento tra se stesso e chi ha modificato più volte la propria versione (con riferimento indiretto a Giuseppe Ayala) o chi ha redatto una relazione di servizio con cinque mesi di ritardo, seppur appartenente all’organo che fu ufficialmente incaricato di svolgere le indagini, riferendosi quindi all’agente di Polizia Francesco Paolo Maggi.
L’intercettazione Il 24 maggio 2010 la DIA di Caltanissetta, lavorando ad un’indagine diversa da quella sulla scomparsa dell’agenda rossa ha intercettato una telefonata tra Massimo Ciancimino, testimone e imputato nel processo in corso a Palermo sulla trattativa Stato–mafia, e la giornalista Elvira Terranova.
Durante la conversazione intercettata Ciancimino e Terranova parlano dell’agenda rossa e di un colonnello:
Terranova: “Per altro, all’uscita, il colonnello mi ha voluto fermare e mi ha detto: ‘Mi dispiace se le ho creato problemi … però … io, insomma mi sono trovato in grosse difficoltà ho dovuto querelare … quindi mi dispiace per averla fatta venire qui, capisco che è un momento un po’ così ma anche io, insomma ho avuto i miei problemi’… ho detto no, si figuri …”.
- Ciancimino: “… Si … va bè … (si accavallano le voci) … fai … quello che piglia l’agen… quello che piglia la borsa … ma digli che se la vadano a pigliar… ”
- Terranova: “… E infatti alla fine che abbiamo discusso, gli ho detto scusi, ma mi toglie una curiosità? … sta agenda rossa dove caspita è finita? …fa “allora non mi crede? … io non me lo ricordo a chi l’ho data la borsa e poi non è detto che ci fosse l’agenda rossa dentro”.
- Ciancimino: “Si la moglie… che fa è pazza? Dai!! (si riferisce ad Agnese Borsellino, che testimoniò che il marito avesse con sè l’agenda quando partì per via D’Amelio quel giorno, NdA)”.
- Terranova: “… Non lo so … la moglie … anche il figlio … pure Manfredi aveva detto che c’era l’agenda … bò, non lo so, io oggi (accavallano le voci) …”
- Ciancimino: “Gli assistenti di Falcone!!! Dai … gli assistenti di Falcone … no, può essere che ancora prima che arrivasse lui qualcun altro l’ha levata, io questo non lo escludo”.
- Terranova: “… No, lui ha fatto un po’ così … notare una cosa … dice: “Ayala, la prima cosa che ha fatto invece di preoccuparsi se era morto Borsellino mi ha fatto aprire con il piede di porco la blindata che era ovviamente tutta chiusa … (accavallano le voci)”.
- Ciancimino: “… Allora chi è paraculo campa cent’anni …”
- Terranova: “… Io ho detto va beh. Ma Ayala dico non è mai stato indagato … e lui fa: ‘Appunto, come mai’.”
- Ciancimino: “… Ayala … non ricordo … ricordo … chi è paraculo campa cent’anni …”
Durante un’udienza del processo ‘Borsellino QUATER’ l’avvocato di Salvatore Borsellino, Fabio Repici, ha chiesto a Giovanni Arcangioli se conoscesse la giornalista Elvira Terranova e se a lui capitò mai di parlare con lei del processo e dell’agenda rossa. Nella sua risposta Arcangioli sembra confermare l’incontro di cui si parla nella telefonata intercettata:
“Elvira Terranova l’ho conosciuta molto dopo, perché a seguito delle notizie che sono uscite sulla mia persona ho presentato una serie di denunce e credo che la giornalista Elvira Terranova abbia oblato per il reato di pubblicazione di notizie coperte da segreto.
Non ricordo di aver parlato della borsa di Borsellino al telefono, l’ho vista al tribunale di Catania quando ha oblato. Mi disse che le mie denunce le avevano provocato dei problemi (…) ed io le dissi che in questo modo dovevo tutelare la mia persona e la mia immagine (…). L’argomento si spostò… le dissi che io poiché ero stato, diciamo così, indagato e imputato perché i miei ricordi erano labili e sicuramente fallaci, e quindi ero stato per false indicazione al PM e poi per furto aggravato mentre lo stesso trattamento non era stato riservato ad altre persone il cui ricordo era altrettanto labile e le cui versioni si erano modificate nel corso degli anni. Feci riferimento in particolare al dottor Ayala”.
Conclusioni
Dopo aver letto queste testimonianze possiamo avere un quadro più chiaro su quelli che sono i dati accertati e sui vuoti di memoria ancora esistenti in merito a ciò che accadde in via D’Amelio il 19 luglio 1992 poco dopo la strage.
Dalle dichiarazioni fornite da Giuseppe Ayala, Giovanni Arcangioli e Rosario Farinella si evince che lo sportello dell’auto del giudice Borsellino fu aperto pochi istanti prima che fosse asportata la borsa del magistrato. Francesco Paolo Maggi, invece, trovò lo sportello già spalancato.
La versione dei fatti che sembra più probabile vede il dottor Ayala e il caposcorta Farinella arrivare tra i primi sul luogo della strage, aprire la macchina del giudice con l’aiuto di un vigile del fuoco, prelevare la borsa ancora integra e consegnarla ad una persona non meglio identificata.
Qui c’è il primo vuoto: chi è questa persona? Era un ufficiale dei Carabinieri? Se si, era Giovanni Arcangioli?
La borsa compare successivamente in mano al capitano Arcangioli, che si dirige con essa verso la fine di Via D’Amelio.
Secondo vuoto: perché Arcangioli si sposta verso l’uscita della via? Cosa fa con la borsa?
La borsa alla fine ricompare all’interno della macchina del giudice, dove è trovata dall’agente Francesco Maggi che la prende e la porta nella stanza del dirigente Arnaldo La Barbera. Al momento del prelievo da parte di Maggi, la borsa presenta segni di bruciature. Da quando viene depositata nella stanza di La Barbera, passeranno ben tre mesi e mezzo prima che compaia il primo atto scritto riguardante questa borsa: un verbale di apertura redatto dalla Procura di Caltanissetta.
La ricostruzione cronologica dei passaggi di mano della borsa del giudice Borsellino presenta ancora dei ‘buchi neri’ ed i protagonisti degli eventi hanno fornito, durante le udienze del processo ‘Borsellino QUATER’, ulteriori versioni dei fatti rispetto a quanto dichiarato in precedenza. Alla luce di queste considerazioni sorge spontanea la domanda: sono in corso nuove indagini sulla sottrazione dell’agenda rossa? L’autorità giudiziaria di Caltanissetta sta procedendo in questa direzione?
Ad oggi sappiamo che l’agenda rossa di Paolo Borsellino sparì nel pomeriggio del 19 luglio 1992, mentre i cadaveri del giudice e dei cinque agenti della sua scorta erano ancora caldi. I familiari e colleghi di Borsellino ne denunciarono subito la scomparsa e l’importanza ma evidentemente le autorità competenti non ritennero di darle il peso cruciale che realmente aveva. Una telefonata anonima decise nel 2005 di far trovare una foto finita nel dimenticatoio per tredici anni, riaprendo il “caso dell’agenda rossa”. Quando i ricordi affiorarono nuovamente alla mente di alcune persone, emersero palesi contraddizioni e comodi vuoti di memoria. Ritardi, mancanze e leggerezze che hanno fatto si che, dopo ventidue anni, l’agenda rossa ed i responsabili del suo trafugamento non siano ancora pervenuti alla giustizia.
“Chissà, forse un uomo delle istituzioni ha in mano l’agenda rossa di Paolo: sono sicura che esiste ancora. Non è andata dispersa nell’inferno di via d’Amelio, ma era nella borsa di mio marito, borsa che è stata recuperata integra, con diverse altre cose dentro. Sono sicura che qualcuno la conserva ancora l’agenda rossa, per acquisire potere e soldi. Quell’uomo che ha trafugato l’agenda rossa sappia che io non gli darò tregua. Nessun italiano deve dargli tregua (Agnese Borsellino)”
Federica Fabbretti (Paolo Borsellino e l’agenda rossa, 19 luglio 2014, www.19luglio1992.com)
PALERMO, 20 MAG 2013 – ”L’agenda rossa che Borsellino usava era grande, un’agenda dell’Arma dei carabinieri in cui Paolo scriveva tutto: dopo la morte di Falcone comincio’ a usarla sempre piu’ spesso”. E’ la testimonianza di Diego Cavaliero, ex pm a Marsala quando Borsellino era procuratore capo, molto vicino al magistrato ucciso in via D’Amelio il 19 luglio del 1992. Cavaliero ha deposto davanti alla corte d’assise di Caltanissetta che celebra il quarto processo sulla strage. Il testimone ha ricordato il particolare modo di prendere appunti di Borsellino. ”Usava dei simboli – ha detto – Ad esempio, quando andava a trovare la madre disegnava una chiocciola”. Infine Cavaliero ha riferito di avere appreso dalla vedova del giudice una confidenza ricevuta dal marito prima della sua morte e che riguardava l’ex capo del Ros Antonio Subranni. ”Paolo le avrebbe detto – ha raccontato – che Subranni era punciuto (affiliato alla mafia, ndr)”
La borsa di Borsellino – Parlando delle modalità con cui ricevette la borsa di Borsellino, al cui interno ha dichiarato di non aver mai saputo che poteva esserci l’agenda rossa, in mano ha aggiunto: “Non ricordo come la borsa sia arrivata nelle mie mani. Mi trovo con questa borsa di Paolo in mano. Non so che farne, sono confuso. In uno stato di agitazione trovo due ufficiali dei carabinieri e la consegno agli ufficiali. Cosa che rifarei. Poi me ne vado. Accanto a me c’era il giornalista Felice Cavallaro il quale insiste e mi dice, ‘Ah Giuseppe meno male che sei vivo. Palermo è piena della voce che l’attentato l’hanno fatto a te. Vai subito dai tuoi figli. E io me ne vado. Mi ritrovo con quella borsa in mano forse per meno di un minuto”. Ayala dunque ha raccontato di essere tornato a casa per tranquillizzare i suoi figli. Proprio le tempistiche sulla sua presenza in via d’Amelio restano poco chiare. Giovedì, come al Borsellino quater, ha sostenuto di essere stato sul luogo della strage per pochi minuti. Eppure nel primo verbale del 1998 aveva dichiarato di essere stato presente per circa un’ora mentre nel verbale del settembre del 2005 aveva asserito di “di essere rimasto in via d’Amelio per non più di 20 minuti”. Alla domanda del procuratore Bertone che gli ha chiesto il motivo per cui non ha telefonato a casa per tranquillizzare i figli, Ayala ha replicato dicendo che non aveva telefono. Ma il procuratore capo di Caltanissetta ha incalzato evidenziando come vi siano immagini delle televisioni dove lo stesso Ayala è inquadrato mentre telefona. “Io vorrei vedere queste immagini. Faccio fatica a credere che ci siano” ha risposto il teste.Anche l’avvocato Repici ha evidenziato delle anomalie rispetto a quell’azione in primo luogo perché, secondo quanto affermato dallo stesso ex pm, immediatamente dopo lo scoppio della bomba si sarebbe visto con la moglie che era appena uscita di casa (“Forse ci scambiammo uno sguardo”), poi perché il giornalista Cavallaro si sentì al telefono con la stessa donna (“Lei oggi dice che lui arrivò dicendole ‘meno male che sei vivo’. Ma se ha già sentito sua moglie che sapeva che era vivo non è tanto normale che esordisca in quel modo” ha sottolineato il legale). Rispetto alle precedenti dichiarazioni l’ex parlamentare del Pri è stato meno certo rispetto al dato se avesse visto o meno la borsa all’interno della macchina di Borsellino “Ci metto un forse davanti. Forse sì ma non ne sono sicuro” ha dichiarato giovedì. Diversamente al Borsellino quater, sentito il 14 maggio 2013 aveva dichiarato con più sicurezza: “tornai verso la macchina e notai lo sportello posteriore sinistro aperto. Appoggiata sui sedili, più verso il lato del guidatore, notammo la valigetta”. Mentre in un verbale precedente aveva indicato la presenza della borsa in un’altra posizione (“Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiatura e tuttavia integra”). Quando l’avvocato Repici ha chiesto se sapesse se la borsa la prese dalla macchina o se la prese qualcuno per dargliela Ayala ha sbottato: “Confermo che quella borsa è arrivata nella mia mano, confermo che l’ho consegnata all’ufficiale dei Carabinieri, visto il momento non ricordo come è arrivata nella mia mano. Sarà una colpa gravissima di cui risponderò davanti a Dio. Se non me lo ricordo cosa vuole?”.Per chi è credente la giustizia di Dio non è qualcosa di astratto così come, per chi è laico, non lo è neanche la giustizia degli uomini, e Ayala avrà il suo bel da far per dare risposte che vadino oltre al “non ricordo” e le “versioni discordanti”.Il nervosismo del teste si è manifestato in tutto il corso della deposizione. “Non so quante volte sono stato sentito in questa vicenda. Avanzare dubbi con una forma ossessiva è una cosa che mi crea disagi” ha aggiunto Ayala riferendosi sia a Salvatore Borsellino che alla figlia del giudice, Fiammetta, più volte dicendo di non ricordare alcune circostanze perché sono passati 27 anni dai fatti.Ayala ha anche preso le distanze rispetto a quanto dichiarato da un uomo della sua scorta, Farinella, che ai giudici disse che Ayala sapeva che in via d’Amelio abitava la madre di Borsellino. “E’ del tutto inventato. O un cattivo ricordo, non voglio essere offensivo – ha detto giovedì il teste – Io non avevo idea che lì vi abitasse la madre di Paolo Borsellino. Che non lo sapevo è una certezza. Devo dire che di questo caposcorta, deve essere lui che ha detto della consegna della borsa ad un uomo in borghese, mi è venuta una curiosità. Bisognerebbe controllare se questa dichiarazione è stata fatta prima o dopo l’arrivo del filmato che ritrae un ufficiale dei Carabinieri (Arcangioli, ndr) che la porta via. Perché se è antecedente mi fa pensare ad una possibile copertura. Verifichiamo le date. Coperture di cosa? Mi dicono che c’erano uomini di servizi segreti. Felice Cavallaro, firma storica del Corriere della Sera, conferma la consegna ad un ufficiale dei Carabinieri, non ad un uomo in borghese. Siamo due a uno calcisticamente parlando”. Dunque Ayala ha totalmente escluso di aver consegnato la borsa ad Arcangioli, affermando che le immagini in cui lo stesso è ritratto con la valigetta in mano sono sicuramente successive alla sua presenza in via d’Amelio. E rispetto all’accusa mossa in passato dal colonnello dei carabinieri che riferì della presenza dell’ex pm al momento della verifica del contenuto della borsa ha parlato di “terrapiattismo”.Le immagini di via d’AmelioAltro momento di scontro c’è stato quando l’avvocato Repici ha ritenuto di mostrare alcune immagini della strage di via d’Amelio, acquisite agli atti, dopo aver fatto un lungo elenco di nomi di figure che sono state identificate nel luogo dell’attentato, tra cui il maggiore dei carabinieri Borghini, che era in divisa. Una visione che Ayala, preventivamente e ingiustificatamente, vorrebbe evitare affermando di “escludere che dopo 27 anni posso riconoscere da una fotografia quelli che ho visto per pochi secondi in quel momento. E sono sicuro che anche lei non ci riuscirebbe. Quindi non perdiamo tempo”. Vedendo le immagini Ayala ha riconosciuto Mazzamuto, un collega magistrato con cui non aveva avuto alcun tipo di rapporto, e il Prefetto Iovine.Divrsamente non ha riconosciuto l’unico uomo in divisa dei Carabinieri, appunto Borghini, successore di Mori al Ros. “Non lo ricordo. Mori lascia Palermo nel 1990. E io nell’ultima parte della mia carriera a Palermo mi sono occupato di furti Enel, questo chi lo doveva vedere?”. Ayala ha anche riconosciuto se stesso in un fotogramma ed è rimasto incredulo rispetto all’assenza di Cavallaro nelle immagini ribadendo, comunque, di essersene andato dal luogo del delitto dopo pochi minuti.
La testimonianza di Salvatore La Barbera– Il processo è proseguito con l’audizione di Salvatore La Barbera, ex membro della Squadra Mobile di Palermo ed oggi a capo del Compartimento di Polizia postale delle comunicazioni per la Lombardia con sede a Milano, che si occupò delle indagini sulla strage di via d’Amelio. In passato fu anche indagato per il depistaggio sulla strage, accusato direttamente dai due falsi pentiti Salvatore Candura e Francesco Andriotta che hanno dichiarato che lui era presente in diverse fasi della loro “falsa collaborazione”. La sua posizione fu archiviata assieme a Vincenzo Ricciardi e Mario Bo con quest’ultimo che oggi si trova imputato nel processo. L’esame di La Barbera, al tempo giovanissimo funzionario di polizia che lavorava alla sezione omicidi, è durato circa un paio d’ore in cui ha risposto alle domande del procuratore capo Bertone a quelle del sostituto procuratore Stefano Luciani e delle parti civili. “All’epoca delle stragi fui investito delle indagini su Capaci, solo in parte su quelle di via d’Amelio per quanto riguarda i telecomandi utilizzati – ha riferito al Tribunale – Il giorno della strage andai in via d’Amelio ma vidi che era presente il dottor Fassari, funzionario di turno quel giorno, così decisi di tornare in ufficio. Non avrei potuto fare qualcosa di diverso”. Rispondendo alle domande del pm ha riferito di non aver mai saputo che Arnaldo La Barbera aveva dei rapporti con i servizi di informazione, né aveva mai saputo alcunché delle informative del Sisde in cui si rappresentava, nell’agosto ’92, che la Polizia era già in grado di individuare il luogo in cui l’auto fosse stata ricoverata per essere imbottita di esplosivo. “Non ho memoria di apporti informativi dei servizi – ha detto – Non credo, non mi viene in mente ma mi sentirei di escluderlo”. E quando Luciani gli ha rivelato l’esistenza del documento ha aggiunto: “Io ho il ricordo che noi arrivammo ad avere elementi come il blocco motore che ci permise di individuare la 126 e la targa che portò alla carrozzeria. Dire però che si era individuato il luogo dell’imbottitura mi sembra un po’ un volo pindarico”.Certo è che tra le anomalie e le zone d’ombra di quelle prime indagini sulla strage vi è la singolare cronologia del sopralluogo eseguito dalla Polizia Scientifica di Palermo (“su richiesta della locale Squadra Mobile”), nella carrozzeria di Giuseppe Orofino alle ore 11 del lunedì 20 luglio 1992. Proprio in quella mattina, un paio d’ore prima, quest’ultimo aveva denunciato, il furto delle targhe (ed altro) da una Fiat 126 di una sua cliente, all’interno della sua autofficina. Ebbene, quando vennero compiuti quei rilievi ancora in via d’Amelio non erano stati rinvenuti né la targa oggetto della denuncia di Orofino (la stessa venne ritrovata soltanto il 22 luglio 1992), né il blocco motore della Fiat 126 rubata a Pietrina Valenti (rinvenuto verso le 13.00/13.30 di quel 20 luglio 1992).Non solo. Il blocco motore fu attribuito ad una Fiat 126 solo nel pomeriggio del 20 luglio, quando un tecnico Fiat di Termini Imerese, riuscì a certificare il dato.Perché dunque vi fu quel sopralluogo nella carrozzeria di Orofino. La Barbera ha spiegato al Tribunale che “quella denuncia del furto della targa lasciò sospetti in quanto vi era stata una segnalazione del fatto che l’Orofino era stato visto salutare un pregiudicato tempo prima. Quindi la scientifica fu mandata sul posto a cristallizzare il fatto”. Successivamente il teste ha persino aggiunto che “qualora vi fossero stati in quel giorno altri furti di targa lui stesso avrebbe ordinato il medesimo sopralluogo anche negli altri luoghi”. Una circostanza sicuramente anomala così come anomalo è il dato che, già nel pomeriggio del 19 luglio 1992, fonti della Polizia di Stato ipotizzavano (con tanto di lancio di agenzia) l’utilizzo, come autobomba, proprio di una Fiat di piccole dimensioni e, in particolare, “una 600, una Panda, una 126”.Nel corso dell’esame, in cui ha spiegato il motivo per cui non entrò a far parte ufficialmente del gruppo Falcone e Borsellino (“Preferivo restare alla Mobile. Solo in alcun occasioni La Barbera mi chiese di accompagnare qualche magistrato per attività”) non sono mancati i “non ricordo”. Tra le attività a cui partecipò vi fu l’interrogatorio di Andriotta accompagnando la dottoressa Boccassini nel settembre 1993: “La Barbera diede la disposizione di andare e non è che mi potevo opporre. Ricordo che in quell’attività vi erano due magistrati, con la Boccassini c’era la dottoressa Zanetti. Non ricordo altre persone. La presenza di La Barbera a Milano? Non lo ricordo ma non lo posso escludere. Lo stesso non ricordo che vi fosse Ricciardi”. Il test ha quindi negato di aver mai avuto interlocuzioni con Andriotta per introdurre Arnaldo La Barbera, come invece ha più volte sostenuto quest’ultimo (“Mi sembra inverosimile. Non facevo il cerimoniere”). Quindi ha dichiarato di non aver mai saputo di colloqui investigativi con Scarantino prima e dopo l’avvio della collaborazione di quest’ultimo e che solo per sommi capi ha saputo dei sopralluoghi effettuati da Scarantino a Palermo, senza poter indicare chi vi abbia partecipato. Parlando di Scarantino La Barbera ha anche ricordato che da parte sua, vi furono dei dubbi sul fatto che “potesse aver preso parte alla strage, non vi erano perplessità per quanto riguarda il furto dell’auto. I soggetti erano compatibili. Di questo ne parlai con Ricciardi anche invitandolo a trasmettere quel pensiero a La Barbera. Tempo dopo ricordo che lo stesso La Barbera, quando sopraggiunsero altre evidenze mi disse qualcosa del tipo ‘hai visto collega?’. Non era una frase di senso compiuto ma chiaramente era per dire che quelle perplessità erano ingiustificate”. Inoltre il teste ha anche riferito che la prima volta che emerse il nome di Scarantino, secondo quanto gli riferì Ricciardi, “La Barbera sobbalzò sulla sedia come se gli avesse acceso una pista. So che Scarantino non era un soggetto sconosciuto agli archivi della Squadra mobile. Lui era alla Mobile da più tempo di me e magari era in grado di collegar il nominativo a qualcosa di rilevante. Ma prima delle dichiarazioni di Candura non vi fu nulla su Scarantino come possibile partecipe alla strage”. Infine il teste ha anche raccontato di aver visto la borsa di Borsellino nell’ufficio di La Barbera. Su come vi arrivò però, seppe qualcosa solo dalla relazione “postuma” di Maggi, che lui stesso consegna al pm Cardella. Il controesame proseguirà il prossimo 12 luglio quando sarà risentito anche Scarantino e l’ispettore Giovanni Guerrera. ANTIMAFIA 2000
Borsellino quater: Arcangioli non ricorda, Ayala cambia i tempi dei fatti – Mostrato al colonnello un ulteriore video in cui è ritratto nel giorno della strage di Aaron Pettinari – 14 maggio 2013
Diciannove luglio millenovecentonovantadue. Poteva essere una domenica come tante. Poi un boato, la cortina di fumo che si innalza tra i palazzi di via d’Amelio. E’ la strage Borsellino. Assieme al giudice muoiono gli agenti della scorta e l’immagine che si presenta ai soccorsi è agghiacciante con pezzi di corpi in ogni dove. Un pomeriggio di morte che diventa mistero nel corso degli anni di ricerca della verità non solo con il colossale depistaggio, svelato grazie alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia Spatuzza e Tranchina e che oggi porta alla celebrazione di un nuovo procedimento, ma anche con la scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Nell’aula bunker di Caltanissetta sono stati sentiti oggi al Borsellino Quater, che si celebra innanzi alla Corte d’Assise, due protagonisti di quel 19 luglio: il colonnello Giovanni Arcangioli e l’ex pm Giuseppe Ayala, che in momenti diversi hanno avuto in mano la valigetta del giudice palermitano. Il primo è stato addirittura immortalato da una foto (e da un filmato Rai) con in mano la borsa di Paolo Borsellino, pochi minuti dopo la strage. Elementi che, insieme ad alcune sue contraddizioni, lo hanno portato ad essere indagato per il furto dell’Agenda (prosciolto definitivamente nel febbraio 2009) e per falsa testimonianza ai pm (decreto di archiviazione emesso lo scorso 26 aprile). Ciò non ha impedito la sua audizione come teste e pertanto ha dovuto rispondere alle domande del procuratore Sergio Lari, dell’aggiunto Domenico Gozzo e del sostituto Stefano Luciani. Tra i tanti non ricordo della sua deposizione l’ufficiale ha detto inizialmente di non ricordare da chi ha avuto la borsa e a chi l’ha successivamente consegnata. “Non ricordo come e perché avessi la borsa del giudice Borsellino, né che fine abbia fatto – ha raccontato alla Corte -Vi guardai dentro, forse insieme al giudice Ayala. Non c’era nulla di rilevante se non un crest dei carabinieri. E’ proprio perché non vi avevo trovato nulla di interessante sul piano investigativo che non ricordo cosa feci della borsa dopo”. Eppure nel verbale del 5 maggio 2005, reso all’autorità giudiziaria (di cui è stata chiesta l’acquisizione al dibattimento), disse: “Se non ricordo male aprii lo sportello posteriore sinistro e posata sul pianale, dove si poggiano di solito i piedi, rinvenni una borsa, credo di color marrone, in pelle, che prelevai e portai dove stavano in attesa il dottore Ayala e il dottore Teresi”. “Uno dei due predetti magistrati – specificò poi l’ufficiale – aprì la borsa e constatammo che non vi era all’interno alcuna agenda, ma soltanto dei fogli di carta. Verificato ciò, non ricordo esattamente lo svolgersi dei fatti. Per quanto posso ricordare, incaricai uno dei miei collaboratori di cui non ricordo il nome, di depositare la borsa nella macchina di servizio di uno dei magistrati. Si tratta di un ricordo molto labile e potrebbe essere impreciso”. Il teste, molto teso e provato, ha più volte detto di non ricordare i fatti e di temere di essere nuovamente indagato. “Non so che cosa ho fatto per meritare tutto questo. Ho visto tanti altri che hanno cambiato le loro versioni e non sono stati neppure indagati e io sono finito sotto processo: sono 8 anni che vivo in questa situazione che ha distrutto me e la mia famiglia con gli attacchi di giornali e Tv”. Alla domanda sul perché si fosse spostato con la borsa in mano di oltre 60 metri dalla vettura di Borsellino ha risposto: “Io giravo continuamente per rendermi conto di quel che stava succedendo. All’inizio pensavo che dell’inchiesta sull’eccidio ci saremmo occupati noi carabinieri, in particolare il Ros, poi seppi dal capitano Minicucci (all’epoca suo superiore) che invece l’avrebbe seguita la polizia. Può darsi che quel percorso l’ho fatto più volte. Non ho ricordo del momento in cui presi la borsa in mano. Non ricordo se l’ho riposta io in macchina ma pensavo che nella valigetta non ci fosse nulla di rilevante”. Quindi Arcangioli ha sostenuto di aver riferito della borsa al suo superiore, l’allora capitano Minicucci “dicendogli che ero rimasto colpito dal fatto che avesse con se un crest dei carabinieri”. E sul motivo per cui non ha compiuto una relazione di servizio ha lamentato come “in questi anni, è stato ritenuto strano che non ho scritto una relazione di servizio sull’episodio solo perché non ritenevo, probabilmente sbagliando, quel reperto di interesse, e non viene ritenuto strano che l’operatore di polizia la relazione l’ha fatta dopo 6 mesi”. Successivamente la Procura, tramite l’utilizzo di un ipad, ha mostrato allo stesso Arcangioli un video in parte inedito sulla strage di via d’Amelio in cui in diversi fotogrammi in cui appare l’allora capitano dei carabinieri a colloquio con altre persone. Nel primo parla accanto alla blindata di Borsellino con una persona in abiti civili (soggetto non riconosciuto da Arcangioli ndr). Nel secondo con una persona in divisa (per cui il colonnello ha dichiarato di poterlo riconoscere con un ingrandimento della foto ndr). Nel terzo viene ritratto più distante mentre parla con tre sottoufficiali dell’Arma, individuati invece dal testimone. In questo fotogramma sembra addirittura che Arcangioli dia un oggetto (apparentemente la stessa valigetta) a uno dei sottufficiali. Successivamente all’esame di Arcangioli è stata il turno della testimonianza di Giuseppe Ayala che, dopo aver dato una sua opinione sulla scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino (”Qualcuno ha aperto la borsa di Paolo Borsellino, ha preso l’agenda e deciso, tradendo lo Stato, di farla sparire”) ha detto di avere avuto, dopo la strage, per pochi istanti, la borsa e di averla passata a un ufficiale dei carabinieri in divisa. Una tesi che smentisce di fatto il racconto del colonnello Arcangioli, il quale, pur non confermando oggi il fatto al cento per cento, non ha escluso di aver aperto la valigetta alla presenza di Ayala. L’ex parlamentare del Pri, rispondendo alle domande dei pm, ha ripercorso i fatti di quel pomeriggio di luglio fornendo una versione uguale nei contenuti alla prima, datata 8 aprile 1998, ma in ordine cronologico differente. Dopo aver dichiarato di aver udito perfettamente lo scoppio dell’autobomba, in quanto abitante al residence Marbella, a meno di 200 metri da via d’Amelio, ha detto di essersi recato sul luogo della strage. “Arrivo in via d’Amelio e vedo le macchine blindate. Riconosco quelle in dotazione alla Procura. Poi andai verso lo stabile verso l’ingresso quando inciampai in un troncone umano. In un secondo momento, ricordo che arrivò anche il giudice Lo Forte, riconoscemmo che si trattava di Paolo Borsellino. Solo poi tornai verso la macchina e notai lo sportello posteriore sinistro aperto. Appoggiata sui sedili, più verso il lato del guidatore, notammo la valigetta”. Una piccola differenza rispetto al verbale in cui Ayala aveva collocato la borsa del giudice in un’altra posizione (“Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiatura e tuttavia integra”). Sulla borsa di Borsellino Ayala ricorda: “Era lì e me la sono trovata in mano. Mi sembra che c’era un ufficiale dei carabinieri. Io non avevo i titoli per avere quella valigetta così neanche il tempo di afferrarla per il manico che la diedi all’ufficiale dell’Arma in divisa, e non era quella estiva. Accanto a me alla mia sinistra c’era Felice Cavallaro, stravolto, che mi diceva di correre dai miei figli, avvisarli, perché si era sparsa la voce a Palermo che ad essere colpito nell’attentato fossi io”. Altro aspetto a non convincere è proprio la tempistica. Nonostante il momento tanto tragico e drammatico Ayala, davanti ai giudici, sostiene di essere stato in via d’Amelio per pochi minuti. Eppure nel primo verbale del 1998 dichiara di essere stato presente per circa un’ora mentre nel verbale del settembre del 2005 asserisce di “di essere rimasto in via d’Amelio per non più di 20 minuti”. Oggi ha dichiarato di essere rimasto anche minor tempo “perché andai subito a Mondello dai miei figli per rassicurarli e tranquillizzarli, perché la notizia che mi era stata data era vera e concreta”. Anche questa una contraddizione rispetto al passato, quando aveva dichiarato di essere tornato in un primo momento nella propria abitazione ed aver sentito i suoi telefonicamente, così come quella sulla modalità con cui si è recato in via d’Amelio. Nel verbale dell’8 aprile ’98 infatti Ayala dice di essere giunto sul posto a piedi, mentre oggi ha sostenuto di esser giunto, accompagnato dalla sua scorta, in macchina. “Probabilmente il riferimento a piedi del verbale è riferito al mio camminare in via d’Amelio. Io non facevo un passo a piedi a Palermo” – ha detto. Quindi l’ex magistrato ha anche dichiarato di non ricordare in alcun modo l’appuntato Rosario Farinella come appartenente alla sua scorta. “E’ un nome che non mi dice nulla. Magari lo è stato”. Altro elemento di contraddizione ha poi riguardato la presenza della moglie in casa al momento dell’esplosione. “Ho fatto in tempo a sentire la porta chiudersi e poi c’è stato lo scoppio – ha detto ai giudici – pensavo potesse essere successo qualcosa a lei poi sono uscito e ho visto che se ne stava andando”. E alla domanda se sapesse dell’agenda rossa di Borsellino ha risposto: “Sappiamo dell’esistenza dell’agenda rossa dai suoi familiari e dalle dichiarazioni dei suoi collaboratori più stretti. Non è stata trovata ed è presumibile fosse dentro la borsa. Certo io non potevo saperlo. Io non avevo rapporti con lui da 6 anni e non avevo idea di quello che c’era scritto. Chi l’ha presa doveva avere il tempo di leggere il contenuto e lì, in via D’Amelio, non si poteva. Per di più il giorno della strage era domenica e non si poteva pensare che quella borsa, che ho avuto in mano per pochi secondi, potesse contenere documenti tanto importanti”. E così l’agenda non viene più ritrovata come in passato era accaduto ad altri documenti importanti come quelli contenuti nella cassaforte e nella valigetta del generale dalla Chiesa, come quelli sottratti dal computer di Falcone. Ma l’escussione di Ayala non si conclude qui con i pm che riprenderanno con le domande il prossimo 21 maggio mentre il giorno prima si terrà comunque un’udienza con altri testimoni.
Borsellino quater: la tracotanza di Ayala di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo – 21 maggio 2013 – Caltanissetta. “Una gaffe”. Così Giuseppe Ayala all’udienza odierna del Borsellino quater ha definito le sue stesse parole registrate in un’intervista del 2009 per il sito affariitaliani.it. “Io ho parlato personalmente con Nicola Mancino – diceva Ayala alla giornalista Floriana Rullo – che naturalmente è persona con cui ho un ottimo rapporto, siamo stati per diversi anni colleghi in Parlamento, in Senato. Mancino ha avuto un incontro con Borsellino del tutto casuale il giorno in cui Mancino andò per la prima volta al Viminale a prendere possesso della sua carica ministeriale”. La giornalista lo incalzava chiedendo la ragione per la quale lo stesso Mancino continuasse invece a negare quell’incontro. Ed è proprio la risposta dell’ex senatore che oggi è stata definita “una gaffe”. “No, no, lui ha detto che l’ha avuto questo incontro, come no – replicava all’epoca Ayala –. Lo ha detto anche a me. Le dirò addirittura di più, forse svelo una cosa privata. Mi ha fatto vedere l’agenda con l’annotazione perchè lui è di quelli che ha le agende conservate con tutte le annotazioni. Per cui francamente io non ho elementi per leggere nessuna dietrologia dietro a quest’incontro”. Inizia così la deposizione dell’ex pm del maxiprocesso che inaugura lo stile dell’udienza-spettacolo dove il mattatore è lo stesso teste. Atteggiamento tracotante, battuta ironica da elargire a giudici e a magistrati, seduto in una posizione alquanto rilassata, Ayala non si risparmia. Sul cancello dell’aula bunker spicca lo striscione “Fraterno sostegno Agnese Borsellino”, la pretesa di giustizia della vedova del giudice, recentemente scomparsa, continua a pulsare anche qui. All’interno dell’aula è rimasto l’eco delle parole del sovrintendente della Polizia, Francesco Maggi, all’epoca in servizio in via D’Amelio nell’immediatezza della strage, interrogato ieri in questo stesso processo. “Devo dire, per un problema di coscienza – aveva spiegato Maggi ai magistrati –, a distanza di 21 anni, che quando sono arrivato sul posto della strage, c’erano almeno quattro, cinque uomini dei servizi. Avevano la spilletta del Ministero dell’Interno. Era gente di Roma e non capivo che cosa facevano. Ma sono certo, perchè li conoscevo. Ancora oggi non mi spiego come fossero sul posto e chi li avesse avvisati in così poco tempo”. “La borsa era piena, sono sicuro che era piena e non svuotata. La borsa si trovava sul lato destro dell’auto ed era posizionata tra il sedile posteriore e quello anteriore. Sono sicuro di essermi abbassato ma ero con un vigile del fuoco. Non sono certo che la presi io o me la passò il vigile del fuoco. La presi e dopo averla in mano incontrai Ayala, ma non ricordo quanti minuti dopo. La diedi, quindi, al mio funzionario, per portarla alla Mobile”. Di fatto verso le ore 18,30 la borsa del giudice Borsellino veniva ritrovata nell’ufficio del dirigente della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera. Senza l’agenda rossa. In un remix di “non ricordo” o “non posso ricordare” Giuseppe Ayala ha parlato ancora una volta del momento in cui prese in mano la borsa di Paolo Borsellino: “Non ricordo chi mi consegnò la borsa di Paolo Borsellino subito dopo la strage di via D’Amelio. Non ricordo se la prese un carabiniere della scorta, ricordo solo che la consegnai a un ufficiale dei Carabinieri”. A tutti gli effetti una dichiarazione in antitesi con quella dell’ex capo scorta di Ayala, Roberto Farinella, che nelle scorse udienze aveva raccontato: “Presi la borsa del magistrato, volevo consegnarla al giudice Ayala ma lui chiamò un uomo in abiti civili che mi indicò come ufficiale. Questi prese la borsa e si allontanò senza aprirla”. Farinella aveva anche parlato della presenza sul luogo della strage di Roberto Campesi (riconosciuto in una fotografia) assieme ad altri esponenti delle forze dell’ordine. Non solo, Farinella aveva spiegato di essere stato allontanato dalla scorta dopo avere fatto notare che la presenza di un civile in una scorta armata di un magistrato antimafia era quantomeno inopportuna. E di Campesi ha oggi parlato anche Ayala: “Roberto Campesi era nella mia scorta ma non lo misi io. Mi si presentò e mi disse di essere un esperto di sicurezza, non un agente segreto. Mi disse che era un grande amico di Antonio Montinaro, agente di scorta morto con Giovanni Falcone e di essere Presidente della Fondazione Montinaro, anche se poi ho scoperto che non esisteva. E lo misi in contatto con i miei responsabili della sicurezza. Purtroppo sono caduto in un grande trappolone”. Come è noto Roberto Campesi, detto “il caramellaio” in quanto aveva in passato un negozio di caramelle, è un personaggio molto controverso e misterioso: rimase per diverso tempo nella scorta di Ayala e nel 1997 venne arrestato con l’accusa di millantato credito e truffa nei confronti dei figli di Gianni Ienna, un imprenditore arrestato per mafia nel ’94 ritenuto un prestanome dei boss Graviano. Con fare decisamente teatrale Ayala ha successivamente affermato di non voler “far parlare i morti” attraverso le citazioni di giudici assassinati, poi però, con molta nonchalance ha tirato fuori una fotocopia di uno stralcio di un libro con le dichiarazioni, a lui favorevoli, di Antonino Caponnetto. Un senso di commiserazione ha pervaso l’aula. L’udienza è stata sospesa in attesa della ripresa pomeridiana nella quale l’avvocato di parte civile, Fabio Repici (legale di Salvatore Borsellino) procederà all’esame di Giuseppe Ayala.
A cura di Claudio Ramaccini -Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – PSF