AGENDA ROSSA – CARMELO CANALE Carabinieri

UN PENTITO ACCUSA CANALE RITA BORSELLINO: ‘ E’ ASSURDO’

 

 

“Sono senza parole, esterrefatto, e quando avrò modo di leggere il verbale dell’ udienza querelerò il collaboratore di giustizia che lancia queste accuse”. Il tenente Carmelo Canale, l’ ombra, l’ amico del giudice Paolo Borsellino, che del carabiniere si fidava ciecamente, replica così alle pesanti dichiarazioni del pentito Antonino Patti che lo accusa di essere colluso con la mafia di Marsala. Anche Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso nella strage di via D’ Amelio, appena appresa la notizia si mette a ridere e aggiunge: “Ho troppa stima per Canale, e non posso fare altro che ridere”. Da Bologna a Palermo la notizia giunge come una bomba. Il clima, dopo l’ arresto del poliziotto accusato di essere una “talpa” al servizio delle cosche, non è dei migliori. Nell’ aula bunker del carcere della Dozza, nel capoluogo emiliano, il pentito Antonino Patti, un killer della cosca mafiosa di Marsala, accusatosi di oltre cinquanta omicidi, spara a zero. Lo fa nel processo dove sono sotto accusa quattro carabinieri, imputati di avere fatto numerosi favori alle cosche mafiose del Trapanese. “Anche il maresciallo Carmelo Canale, passava informazioni alla famiglia di Marsala. La nostra famiglia gli ha fatto costruire una villa in contrada Amabilina, gli hanno fatto un favore”. Il procuratore aggiunto Luigi Croce, che ha preso il posto di Borsellino, è molto scettico. “Sono stato informato delle dichiarazioni rese da Patti nell’ udienza a Bologna – afferma il magistrato – si tratta di dichiarazioni che vanno assunte, approfondite, riscontrate”. Canale agli amici dice di non dare troppo peso alle “calunnie” di Patti e qualcuno ricorda la drammatica vicenda del cognato dell’ ufficiale, il maresciallo Antonino Lombardo, suicidatosi nel marzo dello scorso anno all’ interno della caserma della Regione militare Sicilia, dopo violente polemiche e accuse di “collusione” con la mafia. Era ai funerali del cognato, nella chiesa madre di Terrasini Canale, quando prese la parola e disse: “A quanti pensano che mio cognato si sia suicidato rispondo: vi sbagliate, questo è un omicidio calcolato da tempo, da quelle menti raffinatissime che poco hanno in comune con quanti, in silenzio, combattono la piovra mafiosa”.

 


La sera che Borsellino mi confidò i sospetti sul suo braccio destro

RICORDA gli amici e i nemici, gli imputati sconosciuti o eccellenti, i mafiosi di rango, ricorda soprattutto gli eroi dimenticati. E intorno a loro rievoca paure, le diffidenze e i risentimenti che si sono inseguiti in una Sicilia che sembra lontana nel tempo ma che è ancora lì, cangiante nella forma ma nella sostanza immobile, mascherata. Ricorda anche i tradimenti. È una lunga confessione a se stesso e alla sua Palermo, pensieri su potenti e prepotenti che ha incontrato in ormai quasi un quarto di secolo in quella sacca dove ha trovato e perduto i compagni di una vita. E il suo racconto non poteva partire che da là, da Marsala, dove per lui è cominciato tutto. Dove ha conosciuto un uomo che avrebbe segnato il suo destino: Paolo Borsellino. Le emozioni del procuratore aggiunto Antonio Ingroia sono scivolate in un libro – “Nel labirinto degli dèi, storie di mafia e di antimafia” (Il Saggiatore, pagg. 224, euro 15), una «ricostruzione di fatti» che riporta al passato più drammatico dei siciliani e soprattutto a lui, a quel magistrato incrociato in un tribunale di provincia nella seconda metà degli anni ‘ 80, un uomo piccolo con i baffetti ben curati e la sigaretta sempre in bocca. Uno ascoltava – Ingroia – e l’ altro – Borsellino – a volte si confidava: «Accadeva la sera, Paolo usciva allo scoperto, capace di parlare di tutto, dai suoi antichi trascorsi sportivi fino a delicate vicende giudiziarie del passato, per concludere con la recita, a memoria e in tedesco, dedicati da Goethe a Palermo, la città più bella del mondo, diceva…». Sono passati quasi vent’ anni e Borsellino è morto, saltato in aria. Da quelle “conversazioni” n’ è nato un capitolo che ha come titolo “Amicizie e tradimenti”. Scrive Ingroia: «Ero un “giudice ragazzino” quando iniziai a frequentare il palazzo di giustizia di Palermo… devo dire che mi è rimasta impressa l’ atmosfera ostile nei confronti di Falcone…». Ma più del clima, il procuratore in quel capitolo parla di due suoi «stretti collaboratori» accusati di tradimento. Parla per la prima volta del tenente dei carabinieri Carmelo Canale e del maresciallo della Finanza Giuseppe Ciuro. Sono fra le pagine più dolorose del libro. Partono da una testimonianza inedita su Canale, quella di Borsellino, che del carabiniere si fidava anche se c’ era un’ ombra. Racconta Ingroia: «Dell’ unica ragione di esitazione e perplessità espresse da Borsellino sono stato testimone. Riguardava una vicenda specifica: le indagini sull’ omicidio del colonnello Giuseppe Russo, ucciso il 20 agosto del 1977 a due passi da Corleone…». L’ omicidio fu voluto da Totò Riina, Bernardo Provenzanoe Leoluca Bagarella, ma per tanto tempo furono accusati tre pastori. Uno si chiamava Casimiro Russo: chiuso in una caserma dei carabinieri si autoaccusò del delitto senza averlo commesso. In quella caserma, proprio quando ci fu la confessione, c’ era anche Carmelo Canale. Gli chiedeva Borsellino: «Carmelo, dimmi la verità… a me la puoi dire… tu la sai, tu eri lì». Racconta ancora Ingroia: «Sì, c’ era qualcosa che non lo convinceva. Una volta, me lo disse in confidenza». Poi Canale fu coinvolto in un gorgo di mafia dal quale n’ è uscito pulito, ma con Ingroia non si parlarono mai più. Ancora più drammatica e ancora più forte la delusione e il dolore per il suo braccio destro, Ciuro, un finanziere che indagava al suo fianco e che è stato arrestato e condannato per mafia: «Ho dovuto prendere atto della sua infedeltà, godeva della mia massima fiducia, eravamo anche diventati amici… lui finì con il tradire entrambe, sia la fiducia che l’ amicizia… rivelava i contenuti dei miei interrogatori e persino le date dei miei spostamenti». Giuseppe Ciuro non ha mai chiesto perdono per ciò che ha fatto. «L’ ho aspettato inutilmente…», confessa Antonio Ingroia. ATTILIO BOLZONI



L’agenda rossa di Paolo Borsellino sparisce nel nulla

Ci si deve poi soffermare (come preannunciato) sulla vicenda relativa alla misteriosa scomparsa dell’agenda rossa del dottor Paolo Borsellino, dalla quale (come è noto) il Magistrato, nel periodo successivo alla morte di Giovanni Falcone, “non si separava mai”, portandola sempre nella sua borsa di cuoio e nella quale appuntava, in modo “quasi maniacale”42 e con grande ampiezza di dettagli, fatti e notizie riservate, nonché le proprie riflessioni sugli accadimenti che si susseguivano nell’ultimo periodo della sua vita, poiché, nella vana attesa d’essere convocato dal Procuratore Capo di Caltanissetta, per essere sentito sulla strage di Capaci, riteneva che era giunto “il momento di scrivere”.
[Cfr. deposizione di Carmelo Canale, nel verbale d’udienza dibattimentale del 6.5.2013”
TESTE CANALE C. – Sì, ci sono due circostanze, se è per questo: una, la circostanza è… eravamo a Salerno ed eravamo in albergo. (…) Al ritorno dalla… dalla Germania. (…) Una settimana prima di morire. (…) La mattina, mi riferisco alla… alla cosa principale, quello che è successo principalmente la mattina. La mattina lui, come al solito, si svegliava alle sei, cinque e mezzo, perché lui aveva… da buon palermitano sosteneva che si alzava prima per fottere almeno i palermitani di un’ora, questa era… così, proprio la diceva così. Mi venne a svegliare verso le sei – sei e mezzo. (…) non le… non le nascondo la felicità nel sentire bussare alle sei e mezzo, di farmi la sveglia, avevamo fatto tardi la sera prima, quindi… E nella circostanza mi disse di andarci a prendere il caffè, che già lui ne aveva preso uno. Naturalmente io mi alzai, mi feci in fretta e in furia la doccia, non… non lo volevo fare aspettare, e lui era… io credo che… io ho un ricordo, ricordo che era diste… no disteso, seduto sul letto che stava scrivendo proprio, o sul letto o sulla scrivania, ma io ho la certezza è sul letto, ho un ricordo… (…) Stava scrivendo. (…)
E io… mi venne così, ma perché noi eravamo due palermitani, tutti e due nati alla Kalsa, avevamo questo modo di parlare, tutti e due scherzavamo, la prendevamo perché non si poteva essere seri, sennò finiva prima la vita, quindi la prendevamo scherzando, gli dissi: “Procurato’, ma che fa, scrive a quest’ora? Ma che fa, ‘u pentito pure lei?” E lui inizialmente accennò ad un sorriso, ma poi, molto seriamente, disse che era venuto il momento di scrivere e che ce ne sarebbe stato per tutti: “Ivi compreso anche per lei”, naturalmente rideva, ma questa fu una battuta che… chiuse l’agenda, la ripose nella sua valigetta, nella sua borsa, e siamo scesi giù a prenderci il caffè in riva al mare, perché c’era… eravamo sul mare noi, era un albergo sul mare. Ecco, lo vidi però molto… non era al solito suo la mattina. Tra l’altro io mi pigliai il caffè, ma lui si mangiò il gelato, e quindi lo vidi, era un po’… era molto teso. Questo. (…) No, no, no, l’ho visto… io… allora, bisognerebbe conoscere Borsellino. Quando lui era così, c’era qualche cosa che non andava; io cercavo di… così, di rompere questo ghiaccio per farlo stare tranquillo, ma non… non è che stava poi bene bene, era proprio teso, molto teso, nervoso. (…) Andammo giù. Io presi il caffè, ma lui mangiò un gelato, se non ricordo male.(…) E lui in quella circostanza mi disse questa… questa battuta, cioè: “Sarei ipocrita – dice – a dirle che il dolore che lei, in quanto padre, ha provato per la morte di sua figlia, sia la stessa che io provo per Giovanni, per la morte di Giovanni Falcone, ma le assicuro che sono veramente colpito di questo”. Cioè assimilò al dolore che io provavo come padre, che mi era venuta a mancare una bambina, rispetto alla morte di Giovanni Falcone, che aveva lui. (…) E io credo che la connessione potrebbe essere in quello che lui aveva scritto in quel diario. (…) In quell’agenda. (…) Come se lui avesse trasferito qualche pensiero legato a Falcone su quell’agenda, non c’è dubbio.
P.M. Dott. LUCIANI – Ma glielo esplicitò chiaramente o è una sua deduzione?
TESTE CANALE C. – No, no, no, è una mia intuizione, perché non avevamo altri discorsi, ecco. E andare a toccare poi mia figlia, che lui sapeva che era un argomento che mi pesava tantissimo, era appena morta la bambina, quindi era un argomento molto pesante.
P.M. Dott. LUCIANI – Certo. Giusto per chiarire, lei, proseguendo, dice: “Ma certo, per me è stato un dolore immenso – riferendosi alla morte del dottore Falcone – per questo ho deciso che è giunto il momento di scrivere”.
TESTE CANALE C. – “E’ il momento di scrivere”, sì, questo io l’ho detto, certo.
P.M. Dott. LUCIANI – Ah, ok. Fa riferimento, comunque, al fatto.
TESTE CANALE C. – Certamente sì, di scrivere. Ed ecco perché io lo trovo mentre scrive. Guardi, poi questa sua… a questa agenda è legato un altro… un altro fatto, io ho un vago ricordo, ma io credo che ci siamo allontanati, credo, il sabato dalla… dall’albergo e Borsellino dimenticò l’agenda. Se la portava sempre dietro, e allora, arrivato a casa di Cavaliero successe l’inferno, perché dovevamo andare a prendere ‘sta agenda, cioè per lui l’agenda era sacra. (…) L’aveva dimenticata in albergo. (…) Lui pensava: “Non è che l’ho persa?” Cioè aveva tutte le… secondo me aveva tutti gli appunti in quell’agenda, che gli servivano, perché lui aspettava, e lo diceva sempre, non ne faceva mistero, lui aspettava di essere sentito dal Procuratore di Caltanissetta.
P.M. Dott. LUCIANI – E si mostrò agitato per il fatto che non trovava la borsa?
TESTE CANALE C. – Certo, era agitatissimo, abbiamo dovuto ritornare nuovamente in albergo e quando ha visto che la borsa era là, l’agenda era là, insomma, si è tranquillizzato. Ma lui non se ne distaccava mai, soprattutto negli ultimi tempi”.].

Ebbene, che Paolo Borsellino avesse portato con sé l’agenda in questione anche quel 19 luglio 1992, non v’è alcun dubbio.
Infatti, la figlia Lucia Borsellino, quella mattina, era con lui, nello studio di casa, quando il padre riordinava la propria scrivania e metteva proprio quell’agenda rossa dentro la sua borsa, subito prima di uscire
[Cfr. deposizione di Lucia Borsellino, nel verbale d’udienza dibattimentale del 19 ottobre 2015, pag. 55:
TESTE L. BORSELLINO – Lo ricordo perché dormendo nel suo studio vidi proprio gli oggetti che stava recuperando, tra cui un’agenda marrone, un’agenda rossa, il costume da bagno, le chiavi, le sigarette e qualche altra cosa; non ricordo se avesse anche qualche carta con sé, però ricordo tranquillamente che ordinò il tavolo riponendo all’interno della borsa questi oggetti..
46 Cfr. deposizione di Carmelo Canale, nel verbale d’udienza dibattimentale del 6.5.2013, pag. 98:
“TESTE CANALE C. – Allora, per quelli che sono i miei ricordi, credo che sia o Agnese Borsellino o Lucia mi riferirono… mi riferirono che suo marito aveva ricevuto… o l’aveva visto il professore Tricoli, aveva ricevuto una telefonata da un funzionario e lui aveva annotato un numero lunghissimo della Germania, perché, come le dicevo poc’anzi, ci preparavamo per andare a fare la rogatoria nuovamente in Germania, e quindi lui aveva annotato il numero di telefono proprio su quell’agenda rossa.
P.M. Dott. LUCIANI – Questo il giorno della domenica, il 19 luglio?
TESTE CANALE C. – Sì, prima di… prima di andarsene a Palermo. Questo me lo riferisce o la signora Agnese Borsellino o Lucia, o qualcuno della famiglia, o lo stesso professore Tricoli, non… non ho un ricordo”.
47 Cfr. deposizione di Antonio Vullo, nel verbale d’udienza dibattimentale del 8.4.2013, pag. 34:
AVV. REPICI – La prima: ha ricordo se… o meglio, il giorno in cui andaste, il pomeriggio del 19 luglio andaste a prendere il dottor Borsellino a Villagrazia di Carini, partendo verso Palermo il dottor Borsellino aveva una borsa professionale con sé?
TESTE VULLO A. – Ma io l’ho… l’ho visto uscire con la borsa, però non… non l’ho visto se l’ha messa in auto o meno, però l’ho visto con la borsa.
AVV. REPICI – Cioè lui è uscito di casa con la borsa.].

Inoltre, nel pomeriggio, quando il Magistrato riceveva una telefonata di lavoro a Villagrazia di Carini, usava proprio l’agenda rossa per annotarvi un lungo numero di telefono tedesco, in vista della nuova rogatoria che s’apprestava ad effettuare in Germania. Ancora, quando usciva dalla casa di villeggiatura di detta località, per recarsi a Palermo, dalla madre, in via D’Amelio, Paolo Borsellino aveva con sé la sua borsa, così come l’aveva quando salutava, per l’ultima volta, il figlio Manfredi [Cfr. deposizione di Manfredi Borsellino, nel verbale d’udienza dibattimentale del 19 ottobre 2015, pagg. 85 ss:
AVV. REPICI – Dottore, una precisazione: lei vide allontanarsi suo padre da Villagrazia di Carini nel pomeriggio?
TESTE M. BORSELLINO – Allora, mio padre da Villagrazia di Carini è andato via una volta che già, previ accordi con mia nonna, doveva… doveva raggiungerla per portarla dal cardiologo. Io ho trascorso buona parte della mattinata, il pranzo con mio padre; il pranzo un po’ come tanti pranzi siciliani durò abbastanza, dopodiché mio padre credo che ricevette pure una o due telefonate, non ricordo bene, tant’è che forse cercava una penna per annotarsi qualche cosa, comunque dopo il pranzo, ripeto, la nostra villa era aperta, probabilmente all’interno di quella villa aveva lasciato lui la borsa, perché comunque la nostra villa rimane tutto il tempo aperta, era da molto che era chiusa, per cui l’abitudine era di aprire finestre, porte, etc.
Dopo pranzo mio padre è andato a riposare. Io mi trattenni, invece, presso la villa del professore Tricoli, c’era un campo da… un tavolo da ping-pong, quindi mi misi a giocare a ping-pong, e mio padre è rimasto nella villa a riposare. In realtà lo capimmo dopo che non era andato a riposare, perché accanto… intanto non era salito sopra, dove c’era la camera matrimoniale dei miei genitori, ma si era trattenuto in una stanza giù, che, diciamo, ai tempi era adibita a… era la stanza matrimoniale dei… la camera matrimoniale dei miei nonni; e poi abbiamo notato che c’era un portacenere pieno, proprio carico di cicche di sigarette, cicche peraltro abbastanza recenti, perché lì la casa era chiusa da diverso tempo, per cui non poteva che… non potevano che essere riconducibili a lui. Si trattenne poco a riposare, perché, ripeto, il pranzo era finito tardi, abbastanza tardi; peraltro durante quelle ore abbiamo trascorso dei momenti assolutamente sereni, spensierati, anche mio padre pareva di buonumore. Poi però, ripeto, si andò a riposare. Era sua abitudine fare una (…) una piccola pausa dopo pranzo, però dovrebbe essere durata abbastanza poco, perché già era tardi, eravamo nel pomeriggio inoltrato. Quando mio padre ha deciso di… di prepararsi per fare rientro a Palermo, si è vestito lì nella casa nostra, ci ha raggiunto nella villa del professore Tricoli; ricordo che aveva questa borsa che teneva nella mano; chiese anche notizie un po’ del tour de France com’era andato, come non era andato, salutò tutti i commensali di quella… perché comunque aveva detto che si sarebbe allontanato, poi però è ritornato per salutare tutte le persone con cui aveva pranzato; ovviamente salutò mia madre, i miei zii, mia nipote, dopodiché io lo aspettavo in qualche modo sull’uscio della… del cancello della villa Tricoli e lui mi fece segno come dire: “Manfredi, vieni con me, accompagnami fino alla macchina”. Tra l’altro io credo che seppi in quel momento che stava andando da mia nonna, perché sapevo che sarebbe rientrato anticipatamente perché aveva necessità di… lavorava tantissimo in quei giorni e comunque lui era un momento in cui non gradiva probabilmente che noi familiari (…) entrassimo con lui nella macchina blindata o ci muovessimo con lui. Non lo so, probabilmente percepiva… anzi, no, sicuramente percepiva un pericolo maggiore dopo la morte di Falcone, ce lo disse in modo evidente: “Guardate, siamo a un punto di non ritorno, la morte… cioè Giovanni Falcone per me rappresentava uno scudo, dopo di lui io non ho più…” Ci diceva, siccome per tanti anni si era sforzato di farci condurre una vita normale, ci disse che non sarebbe più riuscito a garantirci questa vita normale, probabilmente avremmo vissuto tutti una situazione, lui in particolare, dalla quale non sarebbe più potuto sfuggire, non si sarebbe potuto sottrarre più a certi dispositivi di sicurezza. Io che in quei giorni seguivo molto mio padre anche con lo sguardo, quando andava via al Palazzo di Giustizia la mattina, quando rientrava, ero un po’ ansioso devo dire, anche quella mattina effettivamente mi è venuto naturale, a prescindere che mio padre mi chiedesse di fare questi due passi insieme, che poi…
AVV. REPICI – Quindi quel pomeriggio intende?
TESTE M. BORSELLINO – Sì, sì, quel pomeriggio, quando… dico, la distanza tra la villa del professore Tricoli e dove erano parcheggiate le tre macchine blindate, inclusa quella in cui poi entrò mio padre, che guidava mio padre, dico, è una distanza veramente irrisoria, parliamo di settanta metri, però io me li feci tutti insieme a… a mio padre. Scusate, non è facile parlare di questo istante, perché… (…) Niente, quindi percorro questo tratto di strada con mio padre. Ricordo bene anche un particolare: mio padre aveva la borsa da una parte e la mano assolutamente libera dall’altra. Ho solo un piccolo… faccio solo una piccola confusione sul fatto che questa borsa per un piccolo tratto gliel’ho portata io; però, in realtà, o gliel’ho portata io o l’ha portata lui, perché poi è stato lui a metterla dentro la macchina blindata, lui aveva la borsa, tutto il contenuto all’interno della borsa, l’altra mano era assolutamente libera, lo accompagno… proprio le macchine, gli agenti di scorta, i ragazzi, erano tutti che l’aspettavano, tranne forse uno che l’ha seguito insieme a me in questi settanta metri, tutti che l’aspettavano in questo piazzale che c’è all’ingresso del residence. Mio padre mi sa… mi salutò due volte. (…) ].

Di detta agenda rossa, tuttavia, non v’era più alcuna traccia, quando la borsa del Magistrato veniva restituita ai suoi familiari, diversi mesi dopo la strage, con ancora dentro tutti gli altri effetti personali, integri (fra i quali persino un pacchetto di sigarette, oltre ad un’altra agenda marrone).
L’istruttoria dibattimentale, oltre a far emergere molteplici contraddizioni fra le deposizioni dei vari testi esaminati sulla sparizione dell’agenda in questione, evidenziava un comportamento veramente inqualificabile da parte del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo: infatti, il dottor Arnaldo La Barbera dapprima diceva alla vedova Borsellino che la borsa del marito era andata distrutta ed incenerita nella deflagrazione (come risulta dalla deposizione del Maggiore Carmelo Canale, sul punto, de relato dalla Sig.ra Agnese Piraino) salvo poi restituirgliela, diversi mesi dopo (come si vedrà a breve), negando -in malo modo- l’esistenza di agende rosse.
[Cfr. deposizione di Carmelo Canale, nel verbale d’udienza dibattimentale del 6.5.2013, pagg. 100 s: “

P.M. Dott. LUCIANI – Questa circostanza che ora le leggo. Le ho già menzionato l’articolo apparso (…) sul settimanale “Esse”.
TESTE CANALE C. – Sì.
P.M. Dott. LUCIANI – In quella circostanza lei, è un virgolettato, quindi volevo capire se è… ma poi, diciamo, sul punto lei è stato anche specificamente sondato da questo ufficio, lei dice, o meglio, almeno è riportato virgolettato, quindi dovrebbero essere le sue parole: “Arnaldo La Barbera mi ha detto che la borsa è andata distrutta…”
TESTE CANALE C. – E’ così.
P.M. Dott. LUCIANI – “…disse a Canale la signora Agnese Borsellino”. E infatti sul punto lei viene escusso il 13 novembre del 2012 dalla Procura di Caltanissetta e anche in quella sede lei dichiara: “Sul punto confermo sostanzialmente, il contenuto di quanto riferito nell’intervista, precisando che la notizia secondo cui Arnaldo La Barbera aveva detto che la borsa era andata distrutta è stata da me appresa da Agnese Borsellino…”
TESTE CANALE C. – Sì.
P.M. Dott. LUCIANI – “…che me lo disse pochi giorni dopo il 19 luglio del ’92”.
TESTE CANALE C. – Sì.
P.M. Dott. LUCIANI – Glielo leggo perché, diciamo, lei l’ha posta in forma dubitativa ora.
TESTE CANALE C. – Sì, sì, ma io credo… credo di aver detto questo.
P.M. Dott. LUCIANI – Qua è assertivo, invece.
TESTE CANALE C. – Io credo di aver detto questo. Io confermo integralmente questo, cioè perché io quando… quando ho avuto l’opportunità di parlare con Agnese Borsellino, lei immagini l’indomani cosa c’era a casa.].

Dunque, si può affermare[…] che l’istruttoria dibattimentale ha fatto emergere le persistenti zone d’ombra sull’argomento, anche per le notevoli ambiguità e la scarsa linearità di alcuni dei testimoni assunti, sovente in contraddizione reciproca fra loro.
Non sono stati ancora raccolti elementi chiarificatori in grado di dipanare, in maniera definitiva, la matassa relativa alle modalità della sparizione dell’agenda rossa del Magistrato (certamente non sottratta da appartenenti a Cosa nostra), che si sarebbe rivelata di fondamentale importanza per lo sviluppo delle indagini sulle vicende stragiste.
Tuttavia, alcuni dati possono senz’altro esser affermati, alla luce delle emergenze istruttorie:
– già nell’immediatezza della strage, attorno all’automobile blindata del Magistrato ucciso, vi erano una pluralità di persone in cerca della sua borsa e di quello che la stessa conteneva, ivi compresi alcuni appartenenti ai Servizi Segreti;
– chi notava detta presenza di quella “gente di Roma” (oggettivamente anomala, se non altro per i tempi), non riteneva di riferire alcunché ai propri superiori gerarchici od ai Pubblici Ministeri (la circostanza, come detto, veniva affermata dal Sovrintendente Maggi, per la prima volta in assoluto, nel dibattimento di questo processo, oltre vent’anni dopo i fatti; anche il Vice Sovrintendente Garofalo veniva sentito, per la prima volta, dalla Procura di Caltanissetta, nell’anno 2005);
– ai familiari di Paolo Borsellino non veniva mai notificato alcun verbale di sequestro della borsa del loro congiunto ed alla vedova veniva mentito, considerato che il dottor Arnaldo La Barbera le diceva che detta borsa era andata distrutta nella deflagrazione, sebbene risulti (come detto) che il reperto giungeva nell’ufficio del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo già nel pomeriggio del 19 luglio 1992;
– chi portava la borsa nell’ufficio del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo, non riteneva di dover fare alcuna relazione di servizio (almeno fino a cinque mesi dopo), né di dover far rilevare che vi erano degli appartenenti ai Servizi Segreti sullo scenario della strage;
– alcuni mesi dopo la strage, il dottor Arnaldo La Barbera riteneva di recarsi, personalmente, a casa della Sig.ra Agnese Piraino, per la restituzione della borsa del marito, che avveniva in maniera irrituale e frettolosa (ancora una volta, non veniva redatto alcun verbale, né consta alcuna relazione di servizio);
– in detta occasione, innanzi alla richiesta della figlia, Lucia Borsellino, di riavere indietro anche l’agenda rossa del padre (non presente fra gli altri suoi effetti personali, dentro la borsa), il Dirigente della Squadra Mobile di Palermo, con un atteggiamento infastidito e sbrigativo, affermava, in maniera categorica (ed apodittica), che non esisteva alcuna agenda rossa da restituire;
– a fronte dell’insistenza della ragazza (che usciva persino dalla stanza, sbattendo la porta), il dottor Arnaldo La Barbera, con la sua voce roca, diceva alla vedova che sua figlia necessitava di assistenza psicologica, in quanto “delirava”
[Cfr. deposizione di Lucia Borsellino, nel verbale d’udienza dibattimentale del 19 ottobre 2015, pagg. 58 s:

TESTE L. BORSELLINO – Sì, disse proprio… non era stata per niente contemplata l’ipotesi che potesse esserci un altro… un altro oggetto, per cui, al mio insistere, mi fu detto addirittura che deliravo.]  o “farneticava” [Cfr. deposizione di Manfredi Borsellino, nel verbale d’udienza dibattimentale del 19 ottobre 2015, pagg.156:
TESTE M. BORSELLINO – Ma io mi riferisco al modo con cui si rivolse soprattutto a mia sorella e poi a noi tutti, sostenendo che farneticava, sostenendo che si stava inventando lì per lì il discorso dell’agenda rossa quasi per farle… per fargli perdere tempo. Cioè lui ha avuto… lui, sostanzialmente, non era venuto per acquisire informazioni, per avere dei colloqui investigativi, che in quel momento penso fosse il minimo dovere avere con la moglie e con i figli di Paolo Borsellino, cioè lui è venuto là semplicemente per liberarsi del… della borsa e del contenuto che… di cui riteneva di potersi liberare, cioè che non aveva rilevanza investigativa per lui e… e andarsene (…).].

Un atteggiamento, questo, che rivelava non solo una impressionante insensibilità per il dolore dei familiari di Paolo Borsellino, ma anche una aggressività volta a mascherare la propria evidente difficoltà a rispondere alle domande poste, con grande dignità e coraggio, da Lucia Borsellino, nel suo forte e costante impegno di ricerca della verità sulla morte del padre.

(pagg 824-829; pagg 962-964)


Ecco la valigetta di Borsellino La conserva il maggiore Canale Conteneva la famosa agenda rossa del magistrato, ma all’interno non c’è

 Ricompare dopo vent’anni e diventerà un cimelio da osservare al «museo della legalità» aperto lo scorso 3 settembre presso la Legione dei carabinieri di Palermo la borsa del giudice Paolo Borsellino. Proprio la borsa sparita e ritrovata dopo la strage di via D’Amelio priva della famosa Agenda rossa, da allora introvabile. Si è scoperto che nel 1992 la vedova, Agnese Borsellino, la donò all’allora maresciallo Carmelo Canale, l’uomo ombra del magistrato che oggi, dopo tanti sospetti, processi e assoluzioni, la dona al museo nella Legione dove, dopo una sorta di «esilio» calabrese, adesso lavora col grado di maggiore.

 

Ecco la valigetta di BorsellinoEcco la valigetta di BorsellinoEcco la valigetta di BorsellinoEcco la valigetta di BorsellinoEcco la valigetta di Borsellino

 

L’AGENDA SPARITA – La foto della borsa, sforacchiata com’è dall’effetto bomba, campeggia sulla prima pagina di “S”, il magazine del gruppo I love Sicilia, dove viene raccontata la storia di questo prezioso cimelio finito nelle mani dell’ufficiale incriminato dalla Procura di Palermo e poi sempre assolto, nonostante venti pentiti abbiano tentato di trasformare Canale in un infido collaboratore del giudice ucciso meno di due mesi dopo il massacro di Giovanni Falcone. «Fu la signora Agnese Borsellino a donarla a mia figlia Manuela…», rivela Canale lasciando inquadrare al fotoreporter Luigi Sarullo il fronte della borsa devastato dall’esplosione, al contrario della parte posteriore e dell’interno, perfettamente intatti. Questo significa che doveva essere integra l’agenda rossa contenuta in uno degli scomparti con gli appunti di Paolo Borsellino, con i riferimenti ai filoni su mafia e appalti, a tangentopoli e ai contatti avuti nelle settimane precedente con fonti tedesche per contattare un pentito agrigentino.

INDAGINI TARDIVE – «Ancora prima degli ingiusti sospetti rovesciati sulla mia persona, nemmeno la magistratura di Caltanissetta volle ascoltarmi quando dicevo che l’agenda rossa i numeri di telefono delle persone contattate in quelle settimane, che le ragioni della strage andavano cercate nel filone mafia appalti, ma si cominciò a indagare su tutto questo troppo tempo dopo», rivela Canale allo scrittore Aldo Sarullo che ne raccolse il primo disappunto. E l’ufficiale rincara la dose oggi: «Il dottore Borsellino aveva perfino in pubblico che attendeva di essere interrogato su Capaci, sulle notizie che lui aveva in relazione agli appalti, ma i magistrati di Caltanissetta non lo convocarono mai. Non solo, ma invitò a cena una sera a casa sua uno dei sostituti che indagavano e non servì a nulla…». Si riaccendono così i riflettori su questa introvabile agenda della quale esiste una copia, come mostra Canale: «Eccone una uguale. ‘Agenda dei carabinieri 1992’. Quando lavoravamo a Marsala, il dottor Brosellino come procuratore, io come suo stretto collaboratore, ce ne regalarono due…».

SOSPETTI SUGLI INQUIRENTI – I sospetti più pesanti coinvolsero il capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli, inquisito dopo che erano state trovate delle foto in cui figurava a due passi dall’auto di Borsellino mentre si allontana dalla scena del delitto con la borsa in mano. Una vicenda giudiziaria chiusa con un proscioglimento. Nessuno ha mai spiegato come quella stessa borsa sia ricomparsa vuota, repertata dall’allora capo della Mobile Arnaldo La Barbera, consegnata agli uffici giudiziari e, dopo qualche tempo, restituita alla signora Borsellino e ai suoi figli, compreso Manfredi, oggi funzionario i polizia.

IL DONO DI AGNESE – L’odissea giudiziaria ha comunque incrinato i rapporti tra la famiglia e Canale. La signora Borsellino nel ‘92 aveva grande considerazione del maresciallo, a sua volta oggi triste nel ricordo di una tragedia privata: «Mia figlia Antonella era stata uccisa da un tumore e mia figlia Manuela veniva a trovarmi in ufficio a Marsala, all’uscita da scuola. Quando andavamo tutti via, Paolo Borsellino che aveva amato Antonella come un padre e stravedeva per Manuela la coinvolgeva: ‘Prendi tu la borsa’. E lei ci seguiva, con la scorta. Si, quella borsa di cui abbiamo poi tanto parlato la portava Manuela, fiera di essere utile…». La stessa che l’ufficiale è pronto a portare al piano terra della Legione dove il 3 settembre, nel trentesimo anniversario di un’altra devastante strage, quella del generale Dalla Chiesa, alla presenza della figlia Rita, è stato inaugurato un piccolo ma prezioso museo della legalità. Un dono oggi apprezzato da Manfredi Borsellino: «Mia madre donò quella borsa alla quale teneva soprattutto la piccola Manuela. Andammo a casa loro. La bimba la teneva in camera sua. Toccante. E l’idea di esporla al museo dei carabinieri è una gran cosa…». Un simbolo fra tanti cimeli, compresa l’altra «Agenda rossa 1992», gemella di quella introvabile, oggi ancora sulla scrivania del maggiore Canale.

Felice Cavallaro Corriere della Sera

 

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