AGENDA ROSSA – Trstimonianza FELICE CAVALLARO – Giornlista

 

12.10.2020 LA BORSA DI PAOLO BORSELLINO CONTENENTE L’AGENDA ROSSA – Testimonianza del dott. Felice Cavallaro (giornalista) al “processo depistaggio


Il pomeriggio del 19 luglio 1992 si trovava nella sua abitazione di Via Villafranca a Palermo, stava attendendo il dott. Ayala perché si occupava della prefazione del libro che stava scrivendo, quando, dopo le 16:30 prima delle ore 17 sentì un forte boato. Corse sul terrazzo e vide un fumo nero in direzione della Fiera del Mediterraneo. Chiamò subito Ayala che abitava in un residence vicino alla Fiera del Mediterraneo. Gli rispose la moglie dicendo che era sceso con gli uomini della scorta perché era accaduto qualcosa di grosso.

Prese la sua moto e seguendo la scia di qualche volante arrivò in Via D’Amelio. Arrivò al massimo 15 minuti dopo il fatto. Arrivando vicino a quella che era la macchina di Borsellino intravede Ayala. Si ritrovano così lì, vicini, un pò sperduti. La portiera posteriore sinistra, lato guida, era aperta. C’era una borsa appoggiata sul pianale, fra la poltrona lato guida e il divano posteriore.

Ad un tratto accadde una cosa un pò singolare: “un -penso- un agente di polizia o comunque una persona in borghese prende questa borsa dal pianale della macchina e avendo visto me vicino ad Ayala e forse immaginando che fossi un assistente o a mia volta un uomo di scorta del dott. Ayala, quasi cerca di dare a me quella borsa., della quale io mi trovo a sfiorare quasi per caso il manico, guardando però Ayala con sorpresa, un pò come dire ‘che facciamo?’. Ayala capisce questa cosa e per fortuna proprio davanti ad Ayala viene fuori un ufficiale dei Carabinieri, non so se fosse un colonnello o un maggiore, in divisa, che non sarei in grado di riconoscere, come non sarei in grado di riconoscere la persona che provò a porgermi la borsa. La borsa finisce nelle mani dell’ufficiale.”
Avevo pensato che fosse nelle mani giuste, di un uomo in divisa, che stava lì rappresentando chi davvero poteva prendere un reperto importante. Non sapeva che si trattava della borsa di Paolo Borsellino, tant’è vero che non scrisse alcun articolo mentre la notizia sarebbe stata uno scoop.
Quando poi venne fuori la foto del capitano Arcangioli che si allontanava si è stupito, ha pensato che quell’ufficiale l’avesse consegnata ad un collega. Non ricorda di aver visto Arcangioli in Via D’Amelio.
Non ricorda nessuna persona vicina. Non c’erano transenne, non c’era nulla. Neanche il nastro bianco e rosso.

  • Avv. Repici – Il 26 luglio 1992 lei scrisse un articolo sul Corriere della Sera nel quale dava conto di dichiarazioni di Antonino Caponnetto a proposito della sparizione dell’agenda rossa. A lei capitò di parlare con il dott. Ayala di questa vicenda? Cavallaro – Sì certamente ne abbiamo parlato nella prima occasione in cui ci siamo visti, abbiamo evocato quel momento. Ero io soprattutto a dire ‘porca miseria, avevo la borsa in mano potuto comunque dare una diversa svolta a tutta questa storia, invece siamo diventati protagonisti ignari di un fatto che ci ha travolto.
  • Avv. Repici – Lei ebbe rapporti personali per lavoro con il dott. Arnaldo La Barbera? Cavallaro – Sì, l’ho conosciuto abbastanza bene per rapporti professionali ma non siamo mai andati oltre, però c’era u rapporto di stima reciproca.
  • Avv. Repici – Lei o suoi colleghi fra i più autorevoli a Palermo che si occupavano delle stragi. di vicende di mafia, avevate mai sentito notizie di collaborazione del dott. La Barbera con apparati di sicurezza e nella specie particolare con il SISDE? Cavallaro – No. Per quanto mi riguarda è stata una grande sorpresa aver letto le notizie riguardanti il suo ruolo all’interno dei Servizi Segreti. Ignoravo questo suo ruolo.
  • PM Gabriele Paci – Ricorda se era voluminosa? Cavallaro – Non era una borsa vuota.

Felice Cavallaro, sentito dai magistrati Francesco Messineo e Renato Di Natale il 23 febbraio 2006, ha confermato la versione di Ayala (anche se ha posizionato la borsa sul pianale dell’auto e non sul sedile), aggiungendo alcuni particolari:

“Per quanto posso ricordare l’autovettura non era in fiamme e nemmeno da essa si levava fumo. Io e il dott. Ayala ci fermammo per qualche momento vicino all’autovettura di cui ho detto scambiandoci commenti sull’accaduto. A questo punto vidi una persona ancor giovane di età che indossava abiti civili con una camicia estiva e senza giacca il quale prelevava dall’autovettura del dottore Borsellino una borsa di cuoio che era posata sul pianale posteriore sinistro, dietro lo schienale dell’autista. La persona di cui ho detto prese la borsa e stava per consegnarla al dottore Ayala il quale, per quanto posso ricordare, non arrivò neanche ad impugnarla saldamente ma nel momento in cui ne sfiorava il manico venne preso dal dubbio di non essere a ciò autorizzato, dato che non rivestiva più la qualità di magistrato. Vidi pertanto il dottore Ayala, quasi con lo stesso movimento, consegnare la borsa ad un ufficiale dei Carabinieri in divisa che si avvicinò in quel momento. (…) L’ufficiale indossava la divisa estiva dei Carabinieri completa della giacca. Si trattava di un Colonnello o di un Ten. Colonnello perché le spalline portavano il contrassegno di una torre e comunque certamente non si trattava di un Capitano perché non aveva le tre stelle che io riconosco. Dopo che il Colonnello prese in consegna la borsa non ci siamo più interessati della questione.”

Questo ricordo, nella memoria di Cavallaro, è emerso a quattordici anni dalla strage e dopo quindici giorni che l’autorità giudiziaria di Caltanissetta aveva disposto il confronto diretto tra Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli che lo aveva chiamato in causa.

Dopo tre anni, il 22 luglio 2009, Cavallaro ha aggiunto inaspettatamente in un’intervista un dettaglio affermando che anche lui ebbe in mano la borsa:

  1. (…) Eravamo accanto all’auto del giudice Borsellino con la portiera posteriore spalancata – ha detto Cavallaro  e fra il sedile anteriore dell’autoguida e la poltrona posteriore, proprio poggiata a terra, c’era una borsa di cuoio che una persona, credo un agente in borghese, ha preso e quasi consegnato a me, forse scambiandomi per un assistente (…) Fatto sta che questa borsa, avendola avuta per un istante così…avendola tenuta dal manico per un istante, io la stavo quasi passando al giudice Ayala con il quale ci siamo scambiati… così… degli sguardi. (…) Giuseppe Ayala ha avuto la prontezza di spirito di… vedendo un colonnello dei Carabinieri o comunque un alto ufficiale dei Carabinieri, del quale non ricordiamo con esattezza né i gradi né purtroppo il volto, (…) Il giudice Ayala ha consegnato questa borsa a un colonnello dicendo:  La tenga lei ”.

Durante la deposizione al processo ‘Borsellino QUATER’, il 29 aprile 2013, Felice Cavallaro ha confermato la versione data nell’interrogatorio del 2006 ed ha ribadito il dettaglio mancante emerso nell’intervista del 2009, aggiungendo però di non ricordarsi più il grado dell’ufficiale al quale fu consegnata la borsa e confermando che fosse in divisa.

Nel corso dell’udienza, l’avvocato di parte civile Fabio Repici ha mostrato a Cavallaro un articolo a sua firma, datato 26 luglio 1992, nel quale il giornalista scrive a proposito della sparizione dell’agenda rossa:

‘… Significa che, davanti alla portineria della strage, fino a domenica mattina doveva essere parcheggiata una macchina diversa da rimuovere poco prima del “via libera” con uno spostamento dell’autobomba, effettuato in un raggio ristretto alle vicinanze di via D’Amelio. Ma trovare il box o il garage d’appoggio non sarà facile. Non è l’unico buco nero. C’è pure quello dell’agenda di Borsellino. E’ sparita? A sera una Tv attribuisce alla famiglia la notizia del ritrovamento, ma in Questura non si retrocede dal ‘no comment’ ed ogni dubbio resta’

Alla richiesta dell’avv. Repici di spiegare per quale motivo Cavallaro non abbia ritenuto importante, dopo aver scritto della scomparsa dell’agenda rossa, comunicare all’autorità giudiziaria il fatto di aver avuto in mano un oggetto così importante, Cavallaro ha risposto:

“(…) Non devo averlo messo in relazione a questo… a quella scena della borsa.”


”La borsa di Borsellino finita nelle mani di un ufficiale dell’Arma” Il racconto di Felice Cavallaro

“Ayala diede la borsa a un colonnello o a un maggiore”. Ma precisa: “Non era Arcangioli” Agenda rossa, Vincenzo Scarantino e la presenza di uomini in “giacca e cravatta” sul luogo dell’attentato. Sono questi i temi toccati nell’ultima udienza del processo sul depistaggio della strage di via d’Amelio che vede imputati i tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. In aula, a Caltanissetta, è stato sentito Felice Cavallaro, giornalista agrigentino del Corriere della Sera, nonché uno dei primi ad arrivare quel pomeriggio sul luogo dell’esplosione, come già aveva riferito in passato in altri processi sulla strage. Cavallaro il 19 luglio ’92 era a casa sua, a Palermo, in attesa del giudice Giuseppe Ayala il quale doveva occuparsi della prefazione del suo libro, quando udì il “sordo boato” provenire da via d’Amelio. “Arrivai sul posto in moto massimo 15 minuti dopo l’esplosione”. “Al mio arrivo – ha raccontato – vidi una scena apocalittica. Inciampai anche su resti umani. Alla fine mi ritrovai davanti all’auto blindata del giudice Borsellino ma senza sapere che fosse la sua”. In quegli istanti concitati, ha riportato il giornalista, “accadde una cosa un po’ singolare”. “La portiera della macchina era aperta, c’era la borsa di Borsellino poggiata sul pianale retrostante del sedile del guidatore. Un agente di polizia penso, o comunque un giovane delle forze dell’ordine in borghese – ha detto Cavallaro rispondendo alle domande dell’avvocato di parte civile Fabio Repici – prese la borsa che si trovava nel pianale tra il sedile anteriore e quello posteriore e stava per darla a me tanto che ne sfiorai il manico. E con uno sguardo quasi di sorpreso guardava Ayala come per dire ‘che facciamo?’. Forse pensava che io fossi uno della scorta di Ayala o un agente. Poi però – ha continuato nel suo racconto – arrivò un ufficiale dei carabinieri in divisa forse un colonnello o un maggiore ma certamente non un sottufficiale”. Felice Cavallaro ha detto di ricordare “che Ayala gli fece porgere (al giovane delle forze dell’ordine, ndrla borsa o gliela diede lui stesso. L’ultimo ricordo che ho di quella scena è la borsa finita nelle mani di questo ufficiale dei carabinieri, ma non ricordo cosa fece dopo”. A questo punto l’avvocato Fabio Repici ha chiesto se col passare degli anni avesse riconosciuto nei mezzi stampa l’uomo al quale venne ceduta la valigetta. Il giornalista ha detto di non averlo riconosciuto e che sicuramente non si trattava “trattava del capitano Giovanni Arcangioli la cui immagine con la borsa in mano ho rivisto molti anni dopo”.

Scarantino e il presunto “giro in macchina” col capo della Mobile. In aula è stato toccato anche il caso Scarantino, determinante ai fini del processo, e la sua detenzione. A sollevare il tema è stato l’avvocato di parte civile di Gaetano Scotto, Giuseppe Scozzola, che ha posto alcune domande precise al primo teste ascoltato in aula, Luigi Savina ex capo della Squadra Mobile di Palermo da settembre 1994 a luglio 1997. L’avvocato ha chiesto al dirigente se abbia mai avuto sopralluoghi serali con l’ex picciotto della Guadagna. Domanda al quale più volte Savina ha risposto in maniera negativa. A questo punto l’avvocato ha riportato alcune carte di un brogliaccio contenente una conversazione tra Scarantino e Savina. Si tratta di una telefonata avvenuta il 21 aprile 1995. Scarantino voleva parlare con il questore Arnaldo La Barbera che però non era presente e venne chiesto a Savina se potevo occuparsene vista la sua carica di capo della Squadre Mobile. Della vicenda aveva accennato poco prima in aula lo stesso Savina senza però approfondire. Quel giorno, ha detto Savina, “Scarantino tempestò di telefonate la questura”, anche se l’avvocato ha replicato che il 21 aprile è avvenuta solo quella telefonata. L’avvocato ha letto quindi alcuni passaggi delle trascrizioni della conversazione tra Savina e il falso pentito. “Scarantino chiama la questura e a un certo punto il centralino le passa Lei (Savina, ndr). Poi la conversazione prosegue e siccome – ha affermato l’avvocato – c’era stata la deposizione di Cancemi avviene un certo tipo di discorso e lei dice a Scarantino: ‘Se viene glielo posso accennare io a lui’”. E si parlava, ha sottolineato l’avvocato, “del problema di Cancemi”. “Poi Lei aggiunge ‘ci siamo anche conosciuti una sera, Lei non ricorderà, siamo usciti quando Lei era qua a Palermo una volta per un giro in macchina’”.
E’ questo il passaggio contestato all’ex dirigente della sezione omicidi che però ha risposto dicendo trattarsi di una frase “probabilmente suggerita da un collega per tranquillizzare Scarantino” che , ha affermato, era “agitato”. Il legale di parte civile di Scotto quindi ha riportato altri passaggi di quella telefonata. “Ci volevo dire delle cose a livello di quello che ho sentito in televisione”, avrebbe detto Scarantino alla cornetta. “E lei – ha puntualizzato l’avvocato – pronuncia poi quella frase” alla quale, ha riportato l’avvocato, Scarantino ha risposto dicendo “ah, si”. L’avvocato quindi ha posto in aula una serie di osservazioni al teste. “Fino a quel momento Scarantino va solo ed esclusivamente alla ricerca del dottor La Barbera, perché il fatto di Cancemi, di cui parla Scarantino, e per il quale doveva essere tranquillizzato, è successivo. Quindi – ha dmandato Scozzola – quale motivo c’era di tranquillizzare Scarantino sino a quel momento? Per quale motivo gli si doveva dire sono uscito una sera in macchina con te per tranquillizzarlo”. “Non vedo logica”, ha osservato. “Mi è difficile ricostruire la vicenda”, è stata la risposta del teste chiedendo se sarà possibile poter ascoltare quella telefonata. “Ma continuo a escludere che sia uscito con Scarantino”.
Giacche e cravatte in via d’Amelio. Durante l’udienza è stato sentito anche Francesco Maria Maggi, ex sovrintendente capo della Squadra Mobile di Palermo. Maggi, ha raccontato di essere arrivato sul luogo dell’attentato circa 10 minuti dopo lo scoppio della Fiat 126. A pochi minuti dal suo arrivo, circa 15 minuti dopo, “vidi 5 o 6 persone aggirarsi in giacca e cravatta. Presumo fossero uomini dei servizi, non erano di mia conoscenza. Dagli atteggiamenti sembravano poliziotti però. Penso che qualcuno l’ho riconosciuto dopo un po’ di tempo, erano persone che frequentavano la Squadra Mobile di Palermo”, ha detto Maggi facendo appello alla memoria spesso sollecitata dagli avvocati. “Tra questi c’erano uomini dello SCO”, ha detto. “Mi è parso subito strano. – ha concluso – Il fumo ancora non si era diradato e già c’erano queste persone. Mi strideva un po’ questa cosa”. In aula Francesco Maria Maggi ha parlato anche della borsa di Paolo Borsellino che lui stesso prelevò dalla macchina del giudice dopo 5 minuti dal suo arrivo. “Ho notato questa borsa nel sedile posteriore della Fiat Croma, nel lato destro. – ha raccontato – Allertai un vigile del fuoco di fare un getto d’acqua dentro la macchina perché la borsa stava prendendo fuoco. Con la borsa andai dal dottore Fassari che mi disse di andare immediatamente dalla Mobile e di portare la borsa al dottor La Barbera. La consegnai al suo autista, Sergio Di Franco. La consegna avvenne davanti l’uscio degli uffici di La Barbera”. Gli avvocati hanno chiesto all’ex sovrintendente della Squadra Mobile se fece una relazione di servizio di quel ritrovamento. “La feci nel dicembre del 1992 – ha affermato – me lo disse di fare il dottor La Barbera che mi rimproverò perché ancora non l’avevo fatta”. “La borsa – ha concluso rispondendo alle domande degli avvocati – la presi prima di aver notato la presenza di questi soggetti in giacca e cravatta”Antimafia Duemila Karim El Sadi 14 Ottobre 2020