I carabinieri “in campo” dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio

Sentenza della Corte d’Assise di Palermo

stralci della sentenza di primo grado, la numero 514/06 dei magistrati della terza sezione penale del tribunale di Palermo, presidente Raimondo Loforti e giudice estensore Claudia Rosini.


Nell’anno 1992, dopo le note stragi di via Capaci e di via D’Amelio, si ritrovarono impegnati sul territorio siciliano, nel comune intento di portare avanti azioni investigative di contrasto alla mafia, da una parte, il nucleo operativo del reparto territoriale dell’arma dei carabinieri, articolato nei gruppi 1 e 2, rispettivamente comandati dal capitano Marco Minicucci e dal maggiore Domenico Balsamo, dall’altra la prima delle quattro sezioni in cui era suddiviso il reparto criminalità organizzata del Raggruppamento Operativo Speciale (d’ora in poi denominato Ros), con a capo l’allora cap. Sergio De Caprio.

I compiti tra i due gruppi del nucleo operativo erano ripartiti in base ad un criterio di competenza territoriale: al primo spettavano le investigazioni da svolgere nell’ambito territoriale della città di Palermo, nonché dei centri urbani di Misilmeri e Bagheria; il secondo, avente sede a Monreale, era invece titolare delle indagini ricadenti nell’ambito del territorio della Provincia di Palermo.

Il Ros era articolato, per un verso, in un reparto criminalità organizzata, avente sede a Roma, a sua volta suddiviso in quattro sezioni e, per altro verso, nella sezione anticrimine locale, con sede a Palermo, comandata, all’epoca dei fatti, dal cap. Giovanni Adinolfi.

Il reparto criminalità organizzata era strutturato, al suo interno, in base ad un criterio che individuava la competenza di ciascuna sezione con riferimento alla natura del fenomeno criminale oggetto delle investigazioni: alla prima sezione, diretta dal cap. De Caprio, erano demandate le indagini sull’organizzazione mafiosa denominata “cosa nostra”; alla seconda sezione, comandata dall’allora cap. Giuseppe De Donno, spettavano quelle sui circuiti imprenditoriali collegati ad organizzazioni di tipo “mafioso”; la terza e la quarta dovevano, invece, occuparsi, rispettivamente, di organizzazioni criminali di matrice non italiana e del traffico di stupefacenti.

Subranni e Mori al comando del Ros

Il comando del Ros fu assunto, negli anni 1990-1993, dal gen. Antonio Subranni; il vice comandante operativo era il col. Mori, mentre il magg.Mauro Obinu, a far data dal 1 settembre 1992, assunse la carica di comandante del reparto criminalità organizzata.

A luglio 1992, l’allora col. Sergio Cagnazzo (cfr. deposizione resa all’ud. 1.6.05), all’epoca vicecomandante operativo della Regione Sicilia, prese parte ad una riunione che si tenne presso la stazione dei carabinieri di Terrasini, cui parteciparono il comandante di quella stazione mar.llo Dino Lombardo, il superiore gerarchico di quest’ultimo, cap. Baudo, all’epoca comandante della stazione di Carini, il magg. Mauro Obinu (sentito all’ud. 29.6.05), in servizio al Ros, i capitani Sergio De Caprio e Giovanni Adinolfi. Lo scopo era quello di costituire una squadra, composta sia da elementi del Ros che della territoriale, che avrebbe dovuto occuparsi in via esclusiva delle indagini finalizzate alla cattura di Salvatore Riina.

Al mar.llo Lombardo, soggetto ben inserito nel territorio e profondo conoscitore della realtà mafiosa, in grado di disporre di utili canali confidenziali (tra questi, quel Salvatore Brugnano che, successivamente all’arresto del Riina, sarà sospettato dal gotha mafioso – come ha riferito in dibattimento il collaboratore Brusca – di aver contribuito alla cattura del latitante), venne affidato l’incarico di attivare le sue fonti al fine di reperire notizie che potessero essere sviluppate dal Ros, con l’effettuazione delle necessarie e conseguenziali attività di indagine, in direzione della ricerca del boss corleonese.

A quella riunione ne fece seguito una seconda, in settembre, cui parteciparono i medesimi col. Cagnazzo, mar.llo Lombardo, magg. Obinu, cap. De Caprio ed il mar.llo Pinuccio Calvi, in servizio presso la prima sezione del Ros, nella quale il Lombardo indicò in Raffaele Ganci, a capo della famiglia mafiosa del quartiere denominato “Noce” di Palermo, e nei suoi figli le persone più vicine al Riina in quel momento, in quanto incaricate di proteggerne la latitanza.

Sulla scorta di queste informazioni, tra l’altro coincidenti con quelle già in possesso del cap. De Caprio circa il particolare legame che univa i Ganci al Riina, la prima sezione del Ros avviò, a fine settembre 1992, una complessa attività di indagine sul territorio.

A tal fine tutto il gruppo di lavoro, composto da 14/15 elementi, fu distaccato da Milano, ove era stato impegnato in altre attività di indagine, a Palermo per svolgere servizi di intercettazione, pedinamento, osservazione diretta e video ripresa sull’ “obiettivo Ganci”, localizzato in un cantiere edile sito in Palermo ed in un’abitazione in Monreale.

Il servizio di osservazione filmata fu attuato a mezzo di una telecamera, situata all’interno di un furgone posteggiato in pRossimità dei predetti siti sottoposti a controllo.

Il 7 ottobre 92 (cfr. relazione di servizio all. n. 1 della produzione documentale della difesa dell’imputato Mori, acquisita all’ud. 9.5.05) il Ros eseguì un servizio di pedinamento nei confronti di Domenico Ganci, figlio di Raffaele, il quale alle ore 17.05 venne osservato percorrere in auto via Lo Monaco Ciaccio Antonino in Palermo, via Uditore, v.le Regione Siciliana, il controviale in direzione motel Agip per fermarsi nei pressi del bar Licata, sito all’angolo con via Bernini, in conversazione con un soggetto; alle ore 17.12 veniva visto risalire sulla propria auto e percorrere v.le Regione Siciliana, il controviale e via Giorgione, dove si dileguava facendo perdere le sue tracce, probabilmente accedendo ad un garage. EDITORIALE DOMANI