FOTO PIZZINI
10.8.2023 Matteo Messina Denaro parla di Vaccarino, l’infiltrato dei servizi segreti
I pizzini erano di Messina Denaro, non della “entità”. Chi ha infangato quell’operazione di Mario Mori?
Matteo Messina Denaro e il depistaggio della grafia nei pizzini
Non era un amanuense a scrivere al posto di Matteo Messina Denaro. Le lettere e i pizzini se li scriveva da solo. La conferma arriva da una perizia calligrafica di 237 pagine disposta dalla criminalista Katia Sartori, su incarico della moglie dell’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino che, nei primi anni del 2000, d’accordo col Sisde aveva agganciato il boss per permetterne la cattura.
Dopo l’arresto di Bernardo Provenzano però l’operazione dei servizi del Sisde, allora presieduti dal colonnello Mario Mori, venne bruciata. E un po’ di tempo dopo si decise che quei pizzini inviati da Alessio (alias del capomafia di Castelvetrano) a Svetonio (nome in codice di Vaccarino) erano falsi, perché la scrittura non era quella di Messina Denaro.
La cosa non era venuta fuori da uno studio televisivo o dalle colonne di un articolo giornalistico, ma da una perizia calligrafica disposta da una Procura e redatta da Susanna Contessini, che in passato era stata chiamata a confrontare le grafie presenti sull’album da disegno sequestrato a Pietro Pacciani nel 1992, per il caso del mostro di Firenze.
Ma, come sottolineano Baldassare Lauria e Giovanna Angelo, già difensori di Vaccarino, questa nuova perizia calligrafica sulla comparazione di cinque diversi documenti inviati da Messina Denaro alla sorella Rosalia, ad Antonio Vaccarino e ai Lo Piccolo, dimostrerebbe che la grafia è proprio quella del boss.
E se le lettere sono vere, allora ci troviamo di fronte ad un altro depistaggio. Certo, involontario, ma che si aggiunge ai tanti altri che hanno inquinato la trentennale ricerca per la cattura di Matteo Messina Denaro.
Si dirà che quella di tanti anni fa era solo una perizia, ma fu fatta in un periodo in cui il credito dei grafologi da parte dei magistrati era molto alto. Oggi ci si trova con un materiale più nutrito, che prima non c’era. Per esempio non c’erano le lettere alla sorella Rosalia.
Ma attenzione, la perizia voluta dalla moglie di Vaccarino prende in considerazione anche la lettera di addio che Matteo Messina Denaro aveva scritto all’allora sua fidanzata. Una lettera scritta trent’anni fa, certamente disponibile all’epoca in cui si colloca la perizia della Contessini. Insomma le si potevano comparare già allora.
Anche perché anche in questa lettera, secondo il corposo studio disposto invece dalla Sartori, sono presenti elementi riscontrabili non solo negli scritti tra Svetonio e Alessio, ma anche in quelli inviati da Messina Denaro ai Lo Piccolo e, più recentemente, alla sorella Rosalia.
E’ vero che la scrittura nel tempo può cambiare, ma i cosiddetti “contrassegni particolari” rimangono. E appartengono “ad un particolare soggetto e solo allo stesso riferibili”, si legge nella perizia voluta dalla moglie di Vaccarino.
E allora occorre porsi delle domande.
E’ verosimile che Matteo Messina Denaro avesse avuto qualcuno che scriveva al posto suo, rivestendo questo ruolo per trent’anni?
Perché, nel corso del tempo, nessuno mise in discussione la perizia calligrafica della Contessini, magari chiedendo una controperizia?
Perché a Rai3, nella puntata di Report del 24 maggio 2021, Paolo Mondani intervista su una barca un tizio di spalle, con la voce contraffatta, che dice che le lettere di Messina Denaro le scriveva un suo amico ex carabiniere, bancario, dei servizi segreti?
Nessuno ha ancora contattato questo misterioso bancario che probabilmente si è preso gioco di Report? Perché non confrontare la sua scrittura con quella dei pizzini attribuiti al boss?
Come mai poi, in decenni di indagini, nessuno è riuscito mai a seguire i pizzini fino al destinatario? Anche se di “postini” ne sono stati arrestati tanti, la tracciabilità si è sempre interrotta sul più bello. Perché non ci sono riusciti nemmeno i servizi che, come si sa, hanno una libertà di movimento maggiore rispetto alla magistratura?
Ma soprattutto, perché il Sisde, nei primi anni del 2000, cercava di catturare Messina Denaro, nonostante Bernardo Provenzano fosse ancora latitante e a capo della cupola? Perché proprio il boss di Castelvetrano, che invece contava molto meno? Era un mezzo per un obiettivo di livello superiore? Qualcosa di grosso anche più dell’arresto di Provenzano? Perché l’operazione fu stoppata e, attraverso la perizia della Contessini, si decise che non era vero che Vaccarino fosse entrato in contatto col boss?
Oggi più che mai, forse, occorrerebbero delle risposte.
Egidio Morici TP24
I “Pizzini” di Messina Denaro ricevuti da ex sindaco di Castelvetrano sono autentici
Una consulenza tecnica, richiesta dalla magistratura, in passato aveva escluso la riferibilità a Matteo Messina Denaro delle missive inviate ad Antonio Vaccarino, durante il periodo in cui quest’ultimo collaborava con il Sisde al fine di arrivare alla cattura del latitante, dicono i legali.
I “pizzini” ricevuti dall’ex sindaco di Castelvetrano Antonino Vaccarino e attribuiti al boss Matteo Messina Denaro sono stati realmente scritti dal boss. Lo ha accertato la criminalista Katia Sartori, che su incarico della moglie dell’ex sindaco ha effettuato una perizia calligrafica con lo studio e la comparazione di cinque diversi documenti inviati dal capomafia alla sorella Rosalia, ad Antonio Vaccarino e ai boss Lo Piccolo.
Gli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo – ex difensori di Vaccarino – partendo dall’ipotesi spesso avanzata che l’allora latitante si servisse di un’altra persona per la sua corrispondenza, a seguito dell’esito delle conclusioni della consulenza ritengono «assolutamente inverosimile che Matteo Messina Denaro avesse bisogno di qualcuno che scrivesse al suo posto persino per le lettere inviate dallo stesso ai familiari».
«I contrassegni particolari riscontrati analogamente in tutti i documenti analizzati – si legge nelle conclusioni della consulenza – sono caratteristici dei singoli individui. A differenza dei connotati salienti, sono personali e riconducibili ad un particolare soggetto e solo allo stesso riferibili». Una consulenza tecnica, richiesta dalla magistratura, in passato aveva escluso la riferibilità a Matteo Messina Denaro delle missive inviate ad Antonio Vaccarino, durante il periodo in cui quest’ultimo collaborava con il Sisde al fine di arrivare alla cattura del latitante, dicono i legali. «Oggi, con la comparazione di più scritti inviati a più soggetti – affermano gli avvocati Lauria e Angelo – possiamo escludere che a Vaccarino scrivesse una persona diversa. Questo ci permette di poter scardinare le teorie complottiste e le fantasie di presunti. LIVE SICILIA
13.4.2023 Da cent’anni di solitudine a trent’anni di latitanza: Macondo e gli altri i riferimenti letterari di Messina Denaro nei pizzini
4.3.2023 I mille pizzini di Matteo Messina Denaro
4.3.2023 I “pizzini” e la “posta” conservata, come è stato arrestato Messina Denaro
4.3.2023 Nei pizzini la “filosofia” di Messina Denaro: la vita, la morte e il rapporto con la figlia “degenerata”
3.3.2023 Messina Denaro, trovati i pizzini “manifesto” della mafia/ “Non sarò mai dimenticato”
3.3.2023 Arrestata una sorella di Messina Denaro. Dentro casa pizzino decisivo per arresto del fratello dentro gamba di una sedia
Messina Denaro, il pizzino alla sorella: “Ti devi incontrare col Parmigiano, ti deve dare 40mila euro”. Il gip: “È un grosso imprenditore”
“Ti devi incontrare col Parmigiano, spiegagli come ti deve dare questi 40mila“. Tra i tanti nomi in codice usati da Matteo Messina Denaro nei pizzini inviati alla sorella Rosalia – arrestata all’alba di venerdì dai Carabinieri del Ros – ce n’è uno che indica un personaggio che all’apparenza ha una grande disponibilità di denaro. Tanto che il capomafia lo ha usato come “bancomat” durante la latitanza. “Che Rosalia fosse chiamata in prima persona a regolare delicate vicende economiche gestite dal capomafia, emerge con inusuale chiarezza dalla copia di un altro importante “pizzino” rivenuto nel covo di Campobello e indirizzato a “Rosalia” alias “Fragolone“”, scrive il gip Alfredo Montalto nell’ordinanza che ha applicato alla donna la custodia cautelare in carcere. “Nello scritto, il latitante dava ordine alla sorella di richiedere il finanziamento di ben “40mila” euro a tale “Parmigiano””, fornendole istruzioni“davvero dettagliate“, aggiunge.
Ecco queste istruzioni: “Ti spiego cosa devi fare, segui alla lettera ciò che ti dico: ti devi incontrare col Parmigiano, solo una volta però, e gli chiedi il prestito a lui, digli che stia tranquillo che nessuno lo vuole impaccare e che avrà restituito il tutto, o appena torna il Complicato oppure appena il Grezzovende un suo bene che è già messo in vendita. Quindi assicuragli che stia tranquillo che gli verrà restituito il tutto“. E ancora: “Spiegagli come ti deve dare questi 4omila. Tu con lui devi parlarci subito, appena ricevi questa mia, e gli dai tre mesi di tempo, lui in questi tre mesi ti deve mandare questi 40mila. In piccole dosi, ma a settembre deve essere tutto concluso. Deve fare dosi da 5mila euro e ogni volta li dà a Fragolina, in estate gli verrà facile vedere a Fragolina, e durante l’estate conclude il tutto”. Anche “il Complicato”, “il Grezzo” e “Fragolina” sono nickname di persone non identificate.
“Quindi”, spiega il boss alla sorella, “parla al parmigiano e gli spieghi il tutto, digli che non può dire di no perché c’è una situazione di bisogno, digli che 40mila non cambiano la vita delle persone, e che lui avrà restituito il tutto”. E nel post scriptum la avverte: “Ah. con il Parmigiano ti ci devi incontrare soltanto una volta per spiegargli il tutto, poi lui li farà avere a Fragolina e tu non ti ci devi incontrare più, perché se ti ci incontri una seconda volta quella seconda volta sarete intercettati, e non deve accadere“. Nell’ordinanza il gip annota che “la consistente somma che Rosalia era chiamata a incassare da “Parmigiano”, il cui importo, e la facilità con cui si comprende che costui potesse averne avuto la disponibilità, lascia presumere che trattasi di grosso imprenditore, e che costui certamente era in affari con Cosa nostra al punto da non potersi rifiutare”. di P. Frosina e G. Pipitone| 3 Marzo 2023 FQ
3.3.2023 Trovata lettera di Matteo Messina Denaro, alla sorella Rosetta
L’occasione fu l’operazione Eden dove frono arrestati la sorella Patrizia e il nipote Francesco
Come i latitanti mafiosi, anche Matteo Messina Denaro per comunicare usava i ‘pizzini’. Uno di questa assomiglia più ad una lettera ed era indirizzata a Rosalia “Rosetta” la sorella arrestata stamane dai Ros.
Era il 15 dicembre 2013, due giorni prima il 13 giorno di Santa Lucia squadra mobile e Dia avevano arrestato Patrizia Messina Denaro nell’ambito dell’operazione antimafia “Eden”, in quella occasione era stato arrestato anche il nipote del cuore dell’ex boss, Francesco Guttadauro. Matteo Messina Denaro prese carta e penna e scrisse a Rosetta (arrestata oggi) un paio di righe che i carabinieri hanno ritrovato in queste settimane di indagini.
“Essere incriminati di mafiosità, arrivati a questo punto, lo ritengo un onore. Siamo stati perseguitati come fossimo canaglie, trattati come se non fossimo della razza umana, siamo diventati un’etnia da cancellare.
Eppure, siamo figli di questa terra di Sicilia, stanchi di essere sopraffatti da uno Stato prima piemontese e poi romano che non riconosciamo.
Siamo siciliani e tali volevamo restare”. Una sorta di inno alla mafia quello dell’allora latitante stragista. Ed ancora: “Hanno costruito una grande bugia per il popolo. Noi il male, loro il bene.
Hanno affossato la nostra terra con questa bugia. – proseguiva – Ogni volta che c’è un nuovo arresto si allarga l’albo degli uomini e delle donne che soffrono per questa terra. Si entra a far parte di una comunità che dimostra di non lasciare passare l’insulto, l’infamia, l’oppressione, la violenza. Questo siamo ed un giorno sono convinto che tutto ci sarà riconosciuto e la storia ci restituirà quel che ci ha tolto la vita”.
Decine i pizzini scoperti dopo l’arresto dell’ex latitante. Messaggi arrotolati, sigillati con il nastro adesivo, spesso avvolti in piccoli pacchetti, e indirizzati a destinatari indicati con nomi in codice di “Fragolone, soprannome della sorella Rosalia, Fragolina, Condor, Ciliegia, Reparto, Parmigiano, Malato, Complicato, Mela”.
Pizzini che venivano veicolati attraverso una catena di fedelissimi, che Messina Denaro, nei suoi scritti, definiva ‘tramiti’. Nel sistema del latitante finora ancora più impenetrabile di quello degli altri capi, però, c’era una falla.
Per anni Messina Denaro ha adottato mille cautele, prima fra tutte quella di non Iasciare traccia dei biglietti che venivano rigorosamente distrutti dopo la lettura.
Stavolta però il boss è stato il primo a non osservare la regola “avendo la necessità di dialogare in termini più brevi e con minori precauzioni con i suoi familiari, – scrive il gip – e talvolta di conservare la posta, soprattutto quella in uscita, come promemoria delle innumerevoli faccende che gli venivano sottoposte”.
Un errore che ha commesso anche la sorella Rosalia che, si legge nella misura cautelare, “ha colpevolmente evitato di distruggere alcuni dei pizzini ricevuti dal fratello o comunque, ne ha trascritto il contenuto su appunti manoscritti e occultati nella sua abitazione a Castelvetrano e nella sua casa di campagna a Contrada Strasatti di Campobello di Mazara”. Errori che hanno consentito ai carabinieri di acquisire “preziosissimi elementi probatori da cui potere documentare con certezza il ruolo di tramite e di fedele esecutrice degli ordini del latitante svolto dalla donna nel corso di diversi anni”.
Erano custoditi su un minipc e non si trovano dal 2015. Nei file scomparsi anche numeri di telefono e verbali
La scomparsa dei file su Matteo Messina Denaro dà una nuova scossa ai veleni dell’antimafia siciliana. Si tratta dei testi sacri sulla caccia all’ultimo latitante, custoditi in un minipc da 10 pollici e due pendrive, ed evaporati nel 2015 dall’ufficio della Procura di Palermo, utilizzato dal magistrato Teresa Principato che in quegli anni coordinava la caccia e dal finanziere Carlo Pulici, suo stretto collaboratore. Tra questi, due documenti excel, con una sfilza di numeri telefonici incasellati con nomi, date e tipologia di intercettazioni: quelle cessate e quelle all’epoca ancora in corso. Ma anche un dossier con tutti i pizzini sequestrati. Come quelli che vedete in queste pagine trovati il 26 ottobre 1996 a due picciotti di Campobello di Mazara. Lettere simili a rapporti di intelligence su una soffiata, un passaporto falso per il Venezuela, nuove falle nella cosca apprese dalla moglie di un poliziotto «da noi c’è un altro pentito». La scomparsa dei dispositivi ha interrogato anche la commissione Antimafia, che allo scadere dell’ultima legislatura, ha ascoltato Pulici in seduta segreta.
Ma l’episodio è tuttora insoluto, nonostante due inchieste della magistratura. Una prima indagine a modello 45 «priva di notizia di reato», è stata archiviata dalla Procura di Palermo. Adesso anche il secondo fascicolo, avviato a Caltanissetta, su esposto dell’avvocato Antonio Ingroia (ex pm della Dda di Palermo) è stato archiviato. Anzi, secondo il gip nisseno, da una lettura complessiva «emerge l’infondatezza della notizia criminis». Inoltre, «non si è in grado di stabilire se il materiale informatico non più trovato, fosse all’interno degli uffici della Procura di Palermo o altrove». Considerazioni che finiscono per rovesciare il mistero, sollevando ombre proprio sull’uomo che ha denunciato la scomparsa dei dispositivi. E che si è già trovato, suo malgrado, al centro del ciclone giudiziario e mediatico nato dalle intercettazioni all’hotel Champagne attraverso il trojan installato nel telefonino di Luca Palamara che hanno colpito un ignaro Marcello Viola, bloccato nella corsa a capo della Procura di Roma e di rimbalzo la pm Teresa Principato, con il risultato di azzerare il lavoro investigativo svolto sul superlatitante.
Pulici ha potuto lavorare nell’ufficio di Principato fino all’estate 2015, quando fu allontanato con un provvedimento del procuratore Francesco Lo Voi, per il «venir meno del rapporto fiduciario». Era stato denunciato dalla moglie di un collega e indagato per «molestie telefoniche»: l’indagine venne archiviata, ma soltanto nel 2018. Ciò nonostante, l’appuntato continuò a lavorare con la pm, fuori dalla Procura. A tre mesi dall’allontanamento dall’ufficio, il 10 dicembre 2015, chiese ai vertici locali della Finanza di poter recuperare i suoi oggetti dall’ufficio del pm Antimafia. Ottenendo risposta positiva in pochi giorni. Ma del minipc, utilizzato anche per la verbalizzazione dei colloqui con testimoni e collaboratori di giustizia, nessuna traccia: soltanto una scatola vuota nella libreria.
Durante l’accesso con due funzionari della Procura, inoltre, emerse che «dal portapenne era stato asportato un mazzo di chiavi legate con un anello metallico al quale erano ancorate anche le pendrive nelle quali erano riversati i file dal computer della dottoressa». Una parte dei medesimi backup, conservata in altri hardisk, è stata ritrovata dai militari della Finanza, nel corso delle perquisizioni al collega del maggio 2016. Nei verbali c’è un massiccio elenco di dispositivi, ma tra questi, nessun minipc da 10 pollici. «La mia fiducia nei suoi confronti era totale. Non vi erano documenti che consideravo troppo riservati per condividerli con Pulici», ha chiarito Teresa Principato, tagliando corto sulla integrità del finanziere. Sulla sparizione dei file resta però il mistero.
I pizzini di Messina Denaro ai suoi uomini: «Io sono qua, anche più di prima»
Messina Denaro, pizzini a Provenzano: “Ricevuto nome politico, non fanno niente per niente…”
La riverenza per il capo, il ‘rispetto delle regole’ di ‘Cosa Nostra’ e la consapevolezza che davanti a tanti arresti compiuti nella ‘guerra’, condotta da magistratura e forze dell’ordine contro la criminalità organizzata, “sono nato in questo modo e morirò in questo modo”. E’ una delle frasi contenute nei pizzini scritti da Matteo Messina Denaro e ritrovati nel covo di Bernardo Provenzano, quando venne catturato l’11 aprile 2006 in una masseria a Corleone, in provincia di Palermo. Dai messaggi scambiati tra i due mafiosi stragisti tra il 2003 e il 2006, una decina di comunicazioni che Adnkronos ha rimesso in fila, emerge lo spaccato di quel mondo. “Lei mi dice che i soldi nella vita non sono tutto e che ci sono cose buone che con i soldi non si possono comprare – scriveva Messina Denaro a ‘zio Bernardo’ in uno dei messaggi firmati “suo nipote Alessio” – sono d’accordissimo con lei, perché io ho sempre pensato che si può essere uomini senza una lira e si può essere pieni di soldi ed essere fango”.
“Le dico che io ho fatto della correttezza la mia filosofia di vita – aggiunge – ed il fatto che io mi sia rivolto a lei dimostra proprio ciò, ora mi affido completamente nelle sue mani e nelle sue decisioni, tutto ciò che lei deciderà io l’accetterò senza problemi e senza creare problemi, questa per me è onestà”. Messaggi in cui viene sempre sottolineata la riverenza per il boss, come si legge in un altro passaggio del pizzino: “Qualsiasi sua decisione andrà benissimo perché lei può disporre di me come un figlio”. E ancora: “Mio caro zio, nella sua lettera ho trovato delle belle parole, lei mi dice che siamo tutti e due sulla stessa barca dobbiamo fare di tutto per non farla affondare, mi dice pure di studiare come superare per non essere criticati ma apprezzati, io la ringrazio immensamente di questa fiducia che mi dà, posso dirle che io mi affido nelle sue mani, quello che fa lei per me è ben fatto e se fa lei possiamo solo essere apprezzati”.
Nello stesso pizzino, rispondendo a una richiesta di Provenzano, Messina Denaro spiegava: ‘’Purtroppo non posso aiutarla perché a Marsala al momento non abbiamo più a nessuno, sono tutti dentro, pure i rimpiazzi e i rimpiazzi dei rimpiazzi, non c’è più a chi metterci, c’è solo di aspettare nella speranza che esca qualcuno che ha cose più leggere per potere riprendere tutti i discorsi. Si figuri che anche T mi ha chiesto un favore di Marsala e non lo posso aiutare, infatti ho dato a lui la stessa risposta che ho dato a lei, nella speranza che lui comprenda la situazione che si è venuta a creare su Marsala e anche su altri paesi, purtroppo qua le batoste sono state a ruota continua e tra l’altro non accennano a finire – sottolinea il capomafia – credo che alla fine arresteranno pure le sedie quando avranno finito con le persone. Dunque sarà compito mio appena ci sarà qualcuno a Marsala di informarla e quindi di risolvere ciò di cui lei e T avete bisogno, credo che lei mi comprenderà perché avendo a che fare un po’ con tutti di sicuro sa che ci sono altre zone al momento combinate come Marsala’’.
In una situazione di grande difficoltà per ‘Cosa Nostra’, colpita sempre più duramente da magistratura e forze dell’ordine, Messina Denaro manifesta scarsa ‘fiducia’ verso la ‘politica’. In un pizzino inviato tra il 2004 e il 2005, scrive a Provenzano: ‘’Noi sappiamo come sono i politici che non fanno niente per niente e noi non abbiamo più alcuna forza di contrattualità, ecco perché non credo che ci sia qualche politico che si vada a sporcare la bocca per noi, comunque come si suole dire staremo a vedere. Per il nome del politico lo scriva a parte e lo fa avere a 121, poi sarà 121 a dirlo a me e io capirò’’. E dopo aver ricevuto la risposta da Provenzano, Messina Denaro in un altro pizzino risponde: “Si ho gia’ ricevuto il nome del politico”. In un messaggio al boss, infine, c’è una vera e propria ‘professione di fede’, quasi un testamento: ‘’Vorrei umilmente dirle che io non sono meglio di lei, preferisco dire che io appartengo a lei, per come d’altronde è sempre stato, io ho sempre una via che è la.
Messina Denaro, nei pizzini a Provenzano il suo ‘testamento’
“Io appartengo a lei, per come d’altronde è sempre stato, io ho sempre una via che è la vostra, sono nato in questo modo e morirò in questo modo, è una certezza ciò”. Gli ossequi e la “fratellanza”, con i linguaggi tipici della mafia, in cui vige il “rispetto delle regole”. E poi la consapevolezza di appartenere a un mondo in cui “non c’è felicità”. Dai pizzini (leggi) scritti tra il 2003 e il 2006 da Matteo Messina Denaro e ritrovati nel covo di Bernardo Provenzano emerge il ‘profilo’ del boss catturato la scorsa settimana dopo oltre 30 anni di latitanza. Una decina di messaggi che Adnkronos ha rimesso in fila e che oltre ad aver contribuito alle indagini di questi anni, delineano la figura dello stragista di Castelvetrano.
“I soldi non sono tutto” perché “si può essere uomini senza una lira e si può essere pieni di soldi ed essere fango” scrive Messina Denaro in uno dei pizzini firmandosi “suo nipote Alessio”. Sul fronte opposto, le indagini di magistratura e forze dell’ordine che cercano di fare terra bruciata attorno a ‘Cosa Nostra’. “Purtroppo non posso aiutarla perché a Marsala al momento non abbiamo più a nessuno, sono tutti dentro, pure i rimpiazzi e i rimpiazzi dei rimpiazzi” spiega il boss in un messaggio a ‘Zio Bernardo’, ricercato per 40 anni e catturato l’11 aprile 2006 in una masseria a Montagna dei Cavalli vicino a Corleone dopo le indagini degli investigatori guidati da Renato Cortese, allora a capo della Sezione Catturandi della Squadra Mobile di Palermo e dai magistrati Michele Prestipino, Marzia Sabella e Giuseppe Pignatone.
Provenzano, con già una decina di ergastoli sulle spalle, ritenuto mandante delle stragi più atroci, da quella di Capaci a quella di via d’Amelio, nel 1992, in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e degli attentati ‘politici’ del ’93, con le autobombe a Firenze, di Roma e Milano, viene trovato in un rifugio, arredato in modo spartano, in cui c’è anche una macchina da scrivere con la quale scriveva i suoi pizzini.
Si leggono parole come “onestà” e “comprensione” scorrendo i messaggi scambiati fra gli stragisti, parole che suonano grottesche davanti agli omicidi commessi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia. E poi gli auguri a poche settimane da Natale e a pochi mesi dalla cattura di Provenzano, a cui Messina Denaro si rivolge così: “spero che per lei e i suoi affetti sia un annuo nuovo migliore”.
Per Messina Denaro, ‘zio Bernardo’ è “il garante di tutti e di tutto” che si adopera “per l’armonia e la pace per tutti noi” e per questo inizia a scrivergli, per esporgli un problema ‘personale’ che era nato fra un uomo a lui vicino – “il mio paesano” nei pizzini, ovvero il re dei supermercati – che aveva ricevuto richieste di pizzo da un altro mafioso. “La ringrazio di cuore che lei si sta interessando a questo mio problema” scrive Messina Denaro chiudendo tutti i pizzini manifestando la sua vicinanza e amicizia per Provenzano: “Lei è sempre nel mio cuore e nei miei pensieri, se ha bisogno di qualcosa da me è superfluo dire che sono a sua completa disposizione e sempre lo sarò. La prego di stare sempre molto attento, le voglio troppo bene”.
PROVENZANO ‘GARANTE DI TUTTI’ – “Io mi rivolgo a lei come garante di tutti e di tutto”: è una completa devozione per ‘zio Bernardo’ quella che emerge dalla decina di pizzini scritti da Matteo Messina Denaro e ritrovati nel covo di Provenzano nel giorno della sua cattura, l’11 aprile 2006, in una masseria a Corleone, in provincia di Palermo.
“I suoi contatti sono gli unici che a me stanno bene, cioè di altri non riconosco a nessuno, chi è amico suo è e sarà amico mio, chi non è amico suo – sottolinea il capomafia – non solo non è amico mio ma sarà un nemico mio, su questo non c’è alcun dubbio”’. E poi l’ossequio e la riverenza per il boss, che viene sempre evidenziata: “Io la ringrazio di cuore che lei si sta interessando a questo mio problema e la ringrazio per adoperarsi per l’armonia e la pace per tutti noi’”.
In un pizzino, Matteo Messina Denaro esprime poi tutto il suo modo di pensare, parlando del suo passato per sottolineare i lunghi trascorsi in ‘Cosa Nostra’: ‘‘Le regole le conosco e le rispetto, la prova che io conosco le regole e che le sto rispettando sta proprio nel fatto che io mi sto rivolgendo a lei per sistemare questa spiacevole vicenda, questo per me è rispettare le regole. Ci fu un tempo in cui io ad Ag ho pulito tanti angoli, lo feci perché mi fu ordinato da chi era più in alto di me, e lei sa di chi parlo e lo feci anche perché era giusto e doveroso aiutarli, parlo dell’83 in poi, mi fu detto di sistemargli ciò di cui avevano bisogno e io nell’arco di anni mi resi sempre disponibile per tutto ciò di cui avevano bisogno, capirà che vivendo ripetutamente certe esperienze si instaura oltre un rapporto di amicizia anche un sentimento di fratellanza, bene, io anche in quegli anni di fratellanza non mi permisi mai di dire una parola in più ad Ag, cioè sono rimasto sempre nei limiti di amico e fratello. Ora di tutti quelli con cui avevo rapporti di fratellanza ad Ag, non ce n’è più nemmeno uno in giro, sono tutti dentro, chi c’è ora io non li conosco e mi rendo conto che non sanno nulla del passato, si figuri se io vado a dire parole in più agli amici di Ag di ora”.
Chiudendo il pizzino, Messina Denaro esprime tutto il suo ‘amore’ per il boss: ”So che lei non ha bisogno di alcuna raccomandazione perché è il nostro maestro ma è il mio cuore che parla e la prego di stare sempre molto attento, le voglio tanto bene”. E ancora, in un pizzino del 1 febbraio 2004 afferma: ”Da parte mia mi sono trovato sempre più che bene con lei perché ho sempre trovato onestà, serietà e comprensione”. Con l’avvicinarsi del Natale, nel 2005, Messina Denaro rivolge gli auguri a ‘zio Bernardo’, con parole che sono quelle di un capomafia latitante già da oltre dieci anni: ”A breve sarà il Santo Natale e spero che lei e i suoi cari lo possiate trascorrere almeno con serenità, non dico in modo felice perché per noi la felicità non c’è. Ma in modo sereno e ve lo auguro dal profondo del mio cuore, così come spero che per lei e i suoi affetti sia un anno nuovo migliore. Sappia che lei è sempre nel mio cuore e nei miei pensieri, se ha bisogno di qualcosa da me, me ne parli senza alcun problema perché è superfluo dire che sono a sua completa disposizione e sempre lo sarò. La prego di stare sempre molto attento, le voglio troppo bene” conclude firmando il pizzino ”suo nipote Alessio”.
NUOVA PERQUISIZIONE – E’ intanto in corso un’altra perquisizione a Campobello di Mazara nell’ambito dell’inchiesta sui fiancheggiatori del boss. L’abitazione che viene perquisita si trova in via San Giovann
Messina Denaro, i pizzini a Provenzano: «Lei è il mio maestro. Non mi fido dei politici, non fanno niente per niente»
Nei pizzini al capo dei corleonesi emerge la personalità del boss di Castelvetrano arrestato pochi giorni fa
«I suoi contatti sono gli unici che a me stanno bene, cioè di altri non riconosco a nessuno, chi è amico suo è e sarà amico mio, chi non è amico suo – sottolinea il capomafia – non solo non è amico mio ma sarà un nemico mio, su questo non c’è alcun dubbio». E poi l’ossequio e la riverenza per il boss, che viene sempre evidenziata: «Io la ringrazio di cuore che lei si sta interessando a questo mio problema e la ringrazio per adoperarsi per l’armonia e la pace per tutti noi». In un pizzino, Matteo Messina Denaro esprime poi tutto il suo modo di pensare, parlando del suo passato per sottolineare i lunghi trascorsi in ‘Cosa Nostra’: «Le regole le conosco e le rispetto, la prova che io conosco le regole e che le sto rispettando sta proprio nel fatto che io mi sto rivolgendo a lei per sistemare questa spiacevole vicenda, questo per me è rispettare le regole. Ci fu un tempo in cui io ad Ag ho pulito tanti angoli, lo feci perché mi fu ordinato da chi era più in alto di me, e lei sa di chi parlo e lo feci anche perché era giusto e doveroso aiutarli, parlo dell’83 in poi, mi fu detto di sistemargli ciò di cui avevano bisogno e io nell’arco di anni mi resi sempre disponibile per tutto ciò di cui avevano bisogno, capirà che vivendo ripetutamente certe esperienze si instaura oltre un rapporto di amicizia anche un sentimento di fratellanza, bene, io anche in quegli anni di fratellanza non mi permisi mai di dire una parola in più ad Ag, cioè sono rimasto sempre nei limiti di amico e fratello. Ora di tutti quelli con cui avevo rapporti di fratellanza ad Ag, non ce n’è più nemmeno uno in giro, sono tutti dentro, chi c’è ora io non li conosco e mi rendo conto che non sanno nulla del passato, si figuri se io vado a dire parole in più agli amici di Ag di ora». Chiudendo il pizzino, Messina Denaro esprime tutto il suo ‘amore’ per il boss: «So che lei non ha bisogno di alcuna raccomandazione perché è il nostro maestro ma è il mio cuore che parla e la prego di stare sempre molto attento, le voglio tanto bene». E ancora, in un pizzino del 1 febbraio 2004 afferma: «Da parte mia mi sono trovato sempre più che bene con lei perché ho sempre trovato onestà, serietà e comprensione». Con l’avvicinarsi del Natale, nel 2005, Messina Denaro rivolge gli auguri a ‘zio Bernardo’, con parole che sono quelle di un capomafia latitante già da oltre dieci anni: «A breve sarà il Santo Natale e spero che lei e i suoi cari lo possiate trascorrere almeno con serenità, non dico in modo felice perché per noi la felicità non c’è. Ma in modo sereno e ve lo auguro dal profondo del mio cuore, così come spero che per lei e i suoi affetti sia un anno nuovo migliore. Sappia che lei è sempre nel mio cuore e nei miei pensieri, se ha bisogno di qualcosa da me, me ne parli senza alcun problema perché è superfluo dire che sono a sua completa disposizione e sempre lo sarò. La prego di stare sempre molto attento, le voglio troppo bene» conclude firmando il pizzino «suo nipote Alessio».«Lei mi dice che i soldi nella vita non sono tutto e che ci sono cose buone che con i soldi non si possono comprare – scriveva Messina Denaro a ‘zio Bernardo’ in uno dei messaggi firmati “suo nipote Alessio” – sono d’accordissimo con lei, perché io ho sempre pensato che si può essere uomini senza una lira e si può essere pieni di soldi ed essere fango». «Le dico che io ho fatto della correttezza la mia filosofia di vita – aggiunge – ed il fatto che io mi sia rivolto a lei dimostra proprio ciò, ora mi affido completamente nelle sue mani e nelle sue decisioni, tutto ciò che lei deciderà io l’accetterò senza problemi e senza creare problemi, questa per me è onestà». Messaggi in cui viene sempre sottolineata la riverenza per il boss, come si legge in un altro passaggio del pizzino: «Qualsiasi sua decisione andrà benissimo perché lei può disporre di me come un figlio». E ancora: «Mio caro zio, nella sua lettera ho trovato delle belle parole, lei mi dice che siamo tutti e due sulla stessa barca dobbiamo fare di tutto per non farla affondare, mi dice pure di studiare come superare per non essere criticati ma apprezzati, io la ringrazio immensamente di questa fiducia che mi dà, posso dirle che io mi affido nelle sue mani, quello che fa lei per me è ben fatto e se fa lei possiamo solo essere apprezzati». Nello stesso pizzino, rispondendo a una richiesta di Provenzano, Messina Denaro spiegava: «Purtroppo non posso aiutarla perché a Marsala al momento non abbiamo più a nessuno, sono tutti dentro, pure i rimpiazzi e i rimpiazzi dei rimpiazzi, non c’è più a chi metterci, c’è solo di aspettare nella speranza che esca qualcuno che ha cose più leggere per potere riprendere tutti i discorsi. Si figuri che anche T mi ha chiesto un favore di Marsala e non lo posso aiutare, infatti ho dato a lui la stessa risposta che ho dato a lei, nella speranza che lui comprenda la situazione che si è venuta a creare su Marsala e anche su altri paesi, purtroppo qua le batoste sono state a ruota continua e tra l’altro non accennano a finire – sottolinea il capomafia – credo che alla fine arresteranno pure le sedie quando avranno finito con le persone. Dunque sarà compito mio appena ci sarà qualcuno a Marsala di informarla e quindi di risolvere ciò di cui lei e T avete bisogno, credo che lei mi comprenderà perché avendo a che fare un pò con tutti di sicuro sa che ci sono altre zone al momento combinate come Marsala». In una situazione di grande difficoltà per ‘Cosa Nostrà, colpita sempre più duramente da magistratura e forze dell’ordine, Messina Denaro manifesta scarsa ‘fiducia’ verso la ‘politica’. In un pizzino inviato tra il 2004 e il 2005, scrive a Provenzano: «Noi sappiamo come sono i politici che non fanno niente per niente e noi non abbiamo più alcuna forza di contrattualità, ecco perché non credo che ci sia qualche politico che si vada a sporcare la bocca per noi, comunque come si suole dire staremo a vedere. Per il nome del politico lo scriva a parte e lo fa avere a 121, poi sarà 121 a dirlo a me e io capirò». E dopo aver ricevuto la risposta da Provenzano, Messina Denaro in un altro pizzino risponde: «Si ho già ricevuto il nome del politico». In un messaggio al boss, infine, c’è una vera e propria ‘professione di fede’, quasi un testamento: «Vorrei umilmente dirle che io non sono meglio di lei, preferisco dire che io appartengo a lei, per come d’altronde è sempre stato, io ho sempre una via che è la vostra, sono nato in questo modo e morirò in questo modo, è una certezza ciò». LEGGO 25.1.2023
I pizzini di Messina Denaro ai suoi uomini: «Io sono qua, anche più di prima
Piero Di Natale, quarantunenne di Castelvetrano, considerato dagli investigatori uno dei principali affiliati del clan guidato Franco Luppino (solo omonimo di Giovanni, l’autista di Messina Denaro arrestato insieme a lui), ne parlava conMarco Buffa, cinquant’anni, inquisito per traffico di droga, concorso in associazione mafiosa e porto illegale di armi. Accusandolo di aver messo in giro quella voce sulla fine del padrino; una bugia e un pericolo per lui, giacché al boss — chiamato Ignazieddu — non faceva piacere. E Buffa negava.
Di Natale: «Vedi che è arrivata la notizia di questo discorso… Non parlare in giro di questo fatto che hai detto tu che è morto… Perché già la notizia gli è arrivata… Che c’è stato qualcuno sta dicendo che Ignazzieddu è morto…Vedi che a quello quando pare che non gli arriva… Perché ha sempre sette-otto persone che lo informano…».
Buffa: «Non accusate a me perché vi vengo ad ammazzare tutti e due là… Io non l’ho detto mai questa cosa… Io a te l’ho detto… Ti ho detto: “Secondo me è così”… Finisce a coltellate… Non diciamo minchiate…». Di Natale rivelava a Buffa di aver parlato di questo incidente con Franco Luppino, consigliandogli di «chiedere scusa», e confermava che Ignazieddu era «vivo e vegeto». Con Buffa che si raccomandava: «Appena ci vai… Glielo dico a lui personalmente… Io non le ho mai dette queste cose… Io ho detto solo “secondo me, per me”, gli ho detto “per me non c’è… È morto… Per me…”».
Il capomafia, insomma, impartiva ordini e distribuiva incarichi sul territorio «a questo e questo». Rassicurava gli affiliati sulla sua presenza — anche fisica, si scopre adesso — avvertendo che «io sono qua come prima, più di prima». E aveva disegnato una sorta di organigramma del clan indicando i nomi al suo luogotenente Luppino. Di cui Di Natale riferiva: «La stima che c’è e la fede che fanno sopra di questo io non me l’aspettavo… Sino a oggi». Franco Luppino era stato scarcerato da qualche tempo, aveva ripreso in mano le redini di Campobello sotto l’egida di Messina Denaro e a settembre scorso è tornato in carcere nel blitz dei carabinieri che con microspie e telecamere avevano stretto d’assedio il paese. Senza però intercettare né riprendere il superlatitante che viveva a poche centinaia di metri dagli altri indagati. Dopo il suo arresto gli investigatori hanno cominciato a riguardare tutte le immagini registrate per verificare se in qualche fotogramma sia individuabile un volto o una figura che possa riconoscersi in Matteo Messina Denaro. Al quale si fa riferimento, sempre per invocarne un intervento, in un altro dialogo fra due sospetti mafiosi. Il 15 marzo 2021 il settantaduenne Antonino Pace, inquisito per l’affiliazione al clan ed estorsione, parlava con un altro indagato degli equilibri interni a Cosa nostra nella zona di Mazara. Solo una parola del padrino latitante, spiegava, poteva mettere fine ai contrasti: «Tutt’al più può succedere questo… Affinché affacciare quello là, lu siccu, affaccia iddro…». Mentre ascoltavano e trascrivevano, gli investigatori pensavano a contatti diretti con l’inafferrabile che si nascondeva chissà dove, senza riuscire — in quell’operazione antimafia — ad afferrare il filo giusto per arrivarci. Poi a settembre, su ordine della Procura, hanno tirato su la rete togliendogli altri riferimenti sul territorio, a cominciare proprio da Luppino. Il latitante era lì, e con ogni probabilità non s’è mosso nemmeno dopo il blitz. Restando invisibile sebbene visibilissimo sotto le mentite spoglie del suo alias. Fino a una settimana fa. CORRIERE DELLA SERA
Il “testamento” di Messina Denaro nei pizzini inviati a Provenzano: “Sono nato così e morirò così”
Cosa c’è scritto nei pizzini inviati tra il 2003 e il 2006 a Bernardo Provenzano da Matteo Messina Denaro: in alcuni di questi messaggi, come riporta l’AdnKronos, c’è una vera e propria professione di fede del boss arrestato la scorsa settimana.
I famosi pizzini sono stati ritrovati nel covo di Provenzano, catturato nel 2006 in una masseria a Montagna dei Cavalli vicino a Corleone, ed hanno di certo contribuito alle indagini di questi anni, che hanno portato all’arresto del boss di Castelvetrano lo scorso 16 gennaio dopo 30 anni di latitanza.
Come riporta l’AdnKronos, che ha rimesso in fila i bigliettini scritti da Messina Denaro, ad emergere è prima di tutto il rispetto per il suo interlocutore. “Io appartengo a lei, per come d’altronde è sempre stato, io ho sempre una via che è la vostra, sono nato in questo modo e morirò in questo modo, è una certezza ciò”, si legge.
Addirittura ci sarebbero anche gli auguri a poche settimane da Natale e a pochi mesi dalla cattura di Provenzano, a cui Messina Denaro si rivolge così: “Spero che per lei e i suoi affetti sia un annuo nuovo migliore”.
Per Messina Denaro Provenzano è il garante di tutto, si adopera “per l’armonia e la pace per tutti noi” e per questo inizia a scrivergli, per esporgli un problema ‘personale’ che era nato fra un uomo a lui vicino – “il mio paesano” nei pizzini, ovvero il re dei supermercati – che aveva ricevuto richieste di pizzo da un altro mafioso.
“La ringrazio di cuore che lei si sta interessando a questo mio problema” si legge nei messaggi di Messina Denaro, che chiude così: “Lei è sempre nel mio cuore e nei miei pensieri, se ha bisogno di qualcosa da me è superfluo dire che sono a sua completa disposizione e sempre lo sarò. La prego di stare sempre molto attento, le voglio troppo bene“.
Ancora, in un altro pizzino, Messina Denaro esprime poi tutto il suo modo di pensare, parlando del suo passato per sottolineare i lunghi trascorsi in Cosa Nostra: “Le regole le conosco e le rispetto, la prova che io conosco le regole e che le sto rispettando sta proprio nel fatto che io mi sto rivolgendo a lei per sistemare questa spiacevole vicenda, questo per me è rispettare le regole. Lei mi dice che i soldi nella vita non sono tutto e che ci sono cose buone che con i soldi non si possono comprare. Sono d’accordissimo con lei, perché io ho sempre pensato che si può essere uomini senza una lira e si può essere pieni di soldi ed essere fango”, scriveva Messina Denaro a “zio Bernardo” in uno dei messaggi firmati “suo nipote Alessio”
Infine, sottolinea l’AdnKronos, in un messaggio al boss, infine, c’è una vera e propria professione di fede, quasi un testamento: “Vorrei umilmente dirle che io non sono meglio di lei, preferisco dire che io appartengo a lei, per come d’altronde è sempre stato, io ho sempre una via che è la vostra, sono nato in questo modo e morirò in questo modo, è una certezza ciò”. FANPAGE
Messina Denaro, da un covo all’altro «pizzini interessanti». L’autista resta in cella
Prosegue senza sosta la caccia degli inquirenti ai fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro e ai covi usati dal boss per nascondersi. Dalle perquisizioni in corso stanno emergendo elementi ritenuti “importantissimi” dagli investigatori: ‘pizzini’, nomi, numeri di telefono e sigle potrebbero dare un’accelerazione alla indagine coordinata dalla Procura di Palermo per tracciare la rete di protezione che ha garantito per trent’anni la latitanza del capomafia.
OLTRE A GIOIELLI E PIETRE preziose di consistente valore, il ritrovamento di effetti personali stanno permettendo agli esperti di arricchire il profilo di Messina Denaro, che nel primo covo aveva affisso in una parete il poster di Marlon Brando nel ruolo del “Padrino” di Francis Ford Coppola, e in un’altra il ritratto di Joker, lo psicopatico della saga di Batman, con sotto la scritta: “C’è sempre una via d’uscita ma se non la trovi sfonda tutto”.
LE CASE IN VIA CB31, via Maggiore Toselli e via San Giovanni, passate al setaccio dai Ris dei carabinieri, dallo squadrone dei ‘Cacciatori di Sicilia’ e dalla scientifica della polizia, si trovano a poca distanza l’una dall’altra, in uno spazio di poche centinaia di metri e tutte a pochi minuti a piedi dal bar Vito, il ritrovo dei fedelissimi del capomafia, dove 35 persone furono arrestate appena quattro mesi fa.
GLI INVESTIGATORI STANNO lavorando anche all’interno dell’abitazione sequestrata alla madre di Andrea Bonafede, l’alias di Messina Denaro: anche questa abitazione si trova vicino ai covi individuati, al piano terra con due ingressi in via Marsala e via Cusmano. E ieri gli investigatori hanno controllato altre tre case, appartenenti all’avvocato Antonio Messina. Le prime due si trovano a Campobello di Mazara: una in via Galileo Galilei e l’altra all’angolo tra via Scuderi e Via Selinunte, di fronte all’abitazione di Salvatore Messina Denaro, fratello del boss già perquisita lunedì scorso; la terza a Torre Granitola, sul litorale di Mazara del Vallo, residenza estiva dell’avvocato, nei pressi della sede dello Ias Cnr. Antonio Messina, 77 anni, è un personaggio noto alle cronache giudiziarie. Fu condannato per traffico di droga negli anni Novanta. Assieme a lui erano imputati l’ex sindaco del Comune di Castelvetrano Antonio Vaccarino, che per conto dei servizi segreti intavolò una corrispondenza con Messina Denaro con il nome di “Svetonio”, e gli uomini d’onore Nunzio Spezia e Franco Luppino. Messina, radiato dall’ordine professionale, vicino alla massoneria, nel giugno del 2021 era stato assolto dall’accusa di traffico internazionale di stupefacenti nell’ambito dell’inchiesta “Eden 3” che ruotava proprio attorno alla figura di Matteo Messina Denaro.
ACCOGLIENDO LA RICHIESTA del pm della Dda di Palermo Piero Padova, il gip Fabio Pilato intanto ha disposto la custodia cautelare in carcere per Giovanni Luppino, l’agricoltore di olive che ha fatto da autista a Messina Denaro e arrestato lunedì insieme al capomafia. Luppino, interrogato dal gip nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto in flagranza, ha negato di essere stato a conoscenza dell’identità del “passeggero” che aveva accompagnato alla clinica privata La Maddalena, luogo in cui è scattato il blitz del Ros. Al giudice ha raccontato di aver conosciuto l’uomo che ha portato in clinica alcuni mesi prima perché gli era stato presentato da un compaesano, Andrea Bonafede, come suo cognato. Da allora non avrebbe mai più visto il boss fino a domenica, quando questi, che lui conosceva con il nome di Francesco, gli aveva chiesto di dargli un passaggio a Palermo dove avrebbe dovuto fare la chemioterapia. Una versione che, secondo la Procura, sarebbe completamente inventata.
L’AGRICOLTORE RISPONDE di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena aggravati dal metodo mafioso. All’agricoltore sono stati sequestrati un coltello a serramanico della lunghezza di 18,5 centimetri, due cellulari posti in modalità aereo prima di essere spenti, oltre a una lunghissima serie di biglietti e fogli manoscritti con numeri di telefono, nominativi e appunti di vario genere, dal contenuto oscuro “e di estremo interesse investigativo”. Per il gip è “necessario un approfondimento investigativo sul rinvenimento dei numerosi pizzini dal contenuto opaco, che potrebbero schiudere lo sguardo a nuovi scenari”. E’ proprio rivolgendosi a Luppino, quando ha capito di essere ormai in trappola perché circondato dagli uomini del Ros nella clinica, Messina Denaro avrebbe esclamato: “È finita”.