Matteo Messina Denaro poteva già essere catturato da tempo

 

 


Questa è la conclusione alla quale si arriva dopo aver visto la puntata di ieri di Report, che mostra un documento dal quale si apprende che gli investigatori sapevano della presenza di Matteo Messina Denaro a Campobello di Mazara già dal 2021.

Un documento del novembre 2021 illustrato dal giornalista Marco Bova, autore del libro “Matteo Messina Denaro latitante di Stato”.

Un’annotazione di una fonte anonima riferiva al comandante dei Carabinieri di Campobello di Mazara che Matteo Messina Denaro si trovava a Torretta Granitola.

A Torretta Granitola, spiega il giornalista, c’è un parco acquatico di cui uno dei soci è Andrea Bonafede, l’uomo che ha prestato la propria identità al latitante.

Ma già a far data dal 2017, diversi testimoni avevano sostenuto di aver visto in quella località il boss latitante.

Come mai – si chiede il magistrato Massimo Russo – in provincia di Trapani sono passati i vertici di “Cosa nostra” e non sono mai stati catturati?

Russo sciorina diversi nomi di  mafiosi di primo piano di “Cosa nostra” che sono stati presenti in quella provincia, e spiega la mancata la cattura anche dell’ultimo boss corleonese con la rete di protezione che ne ha garantito la latitanza.

Che usasse ogni escamotage per rimanere fuori da tutto e non essere catturato lo conferma anche un altro ex magistrato, Teresa Principato.

Ma anche di sabotaggio delle indagini, nel momento in cui ci si trovava vicino alla cattura, parla Massimo Russo, al quale fa seguito Teresa Principato che racconta della cattura di Leo Sutera, il boss che incontrò più volte Messina Denaro e che seguivano per arrivare al latitante.

Nonostante l’opposizione della Principato e degli altri pm del pool, l’allora procuratore capo, Francesco Messineo, ne dispose l’arresto nell’ambito di un’indagine minore.

Sfuma così la pista più calda trovata in due decenni.

Secondo l’allora procuratore non era possibile rimandare l’arresto, poiché in materia di mafia vige l’obbligatorietà dell’azione penale.

Messineo viene denunciato al CSM, e nonostante il procedimento venga archiviato, decide di andare in pensione con due anni di anticipo.

L’ennesima pista bruciata. Un’indagine stoppata secondo la Principato.

La Principato a quel punto si concentra sulla massoneria, grazie a un collaboratore cooptato nella loggia di Castelvetrano che parla dell’interesse di Matteo Messina Denaro nella creazione di una loggia coperta.

Un collaboratore che fa i nomi di avvocati, medici, appartenenti alle forze dell’ordine e altri professionisti ,che sarebbero legati a questa nuova Loggia, ma nel momento in cui si inizia a seguire questa pista scoppia un nuovo conflitto.

Francesco Lo Voi, il nuovo capo della procura di Palermo, invita la Principato a interrompere la collaborazione con l’architetto massone Giuseppe Tuzzolino – questo il nome del collaboratore –  ritenendolo non attendibile.

Eppure quanto sia importante il ruolo della massoneria in questa vicenda, ce lo conferma un nome ormai noto alle cronache dopo la cattura di Matteo Messina Denaro.

Quello del medico Alfonso Tumbarello, medico di base di Andrea Bonafede, ma anche medico dell’Andrea Bonafede-Matteo Messina Denaro.

Del professionista di Campobello di Mazzara,  ne ha parlato Report ricostruendone il ruolo di mediatore per un contatto tra Salvatore Messina Denaro e Antonio Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano che, collaborando con il Sisde di Mario Mori, entrò in contatto con Matteo Messina Denaro.

Il latitante, con il nome di “Alessio”, scambiò diverse lettere con Vaccarino al quale aveva dato il nome di “Svetonio”.

Nel corso di un’udienza, nel 2012, Vaccarino aveva già fatto il nome di Tumbarello, come quello di colui a cui si sarebbe rivolto per entrare in contatto con Salvatore Messina Denaro, il fratello del boss.

Fu Tumbarello a organizzare un incontro nel suo studio, a seguito del quale l’ex sindaco di Castelvetrano riuscì ad entrare in contatto con il latitante.

Report ha recuperato la registrazione dell’interrogatorio.

Appena ho sentito il nome del medico, ho fatto un balzo sulla sedia, perché Alfonso Tumbarello non è un personaggio da poco”, ha dichiarato nel corso della puntata  di Report l’ex procuratore aggiunto della Dda Teresa Principato.

Eppure Vaccarino, da alcuni magistrati palermitani è stato indicato come il doppiogiochista vicino a “Cosa nostra”.

Avrebbe mai fatto il nome di Tumbarello se così fosse stato?

Quella di Vaccarino, della sua collaborazione con il Sisde di Mori, della fuga di notizie che fece scoprire il suo ruolo di infiltrato che collaborava alla cattura del mafioso latitante, è una storia che andrebbe riscritta anche alla luce di questi nuovi fatti che sembrano smentire le ipotesi della procura di Palermo.

È bene infatti ricordare l’uso giudiziario, anche recente, delle dichiarazioni che a suo tempo fece Vincenzo Calcara contro Antonio Vaccarino, dando valore alle propalazioni di quello che anche al processo contro Matteo Messina Denaro per le stragi dei primi anni ’90, è stato definito “un inquinatore di pozzi” e “pentito eterodiretto”.

E su quello che accadeva quando ci si avvicinava troppo all’ex latitante, mi piace ricordare Damiano Aliprandi (uno dei pochi giornalisti che ha il coraggio di andare controcorrente) che così chiudeva un suo articolo pubblicato da Il Dubbio, dopo la morte in carcere di Vaccarino:  A proposito di giustizia c’è la quarta beatitudine del Vangelo che recita così: «Beati gli affamati e gli assetati di giustizia perché saranno saziati». Da tempo il giornalista Frank Cimini, che grazie al prolungato contatto con i magistrati, ha preso in prestito questa beatitudine del Vangelo per coniare una nuova massima che, anche in questa terribile vicenda, trova fondamento: «Beato chi ha fiducia nella giustizia perché sarà giustiziato».

Una domanda che viene spontaneo porsi, è cosa abbiano fatto i magistrati che secondo Report già dal 2012 sapevano che il tramite tra Vaccarino e il fratello del boss, era stato il medico Tumbarello, del quale tanto si parla in questi giorni.

Ma la storia sembra risalire ancora a qualche anno prima, quando la stessa narrazione, Vaccarino la fa a due noti magistrati: Giuseppe Pignatone e Roberto Scarpinato.

Secondo quanto appreso da testimoni, il Tumbarello, dopo che venne resa nota la collaborazione tra Vaccarino e il Sisde, troncò i rapporti con l’ex sindaco.

Un effetto secondario alla fuga di notizie che aveva fatto scoprire il ruolo del sindaco 007, bruciando di fatto qualsivoglia possibilità di continuazione dell’operazione Svetonio-Alessio, che – come si evince da documenti del 2007 – Vaccarino manifestava ai magistrati di voler continuare, nonostante l’elevato rischio per la sua vita e forse quella dei suoi cari.

Se la Principato ritenne stoppata l’indagine che riguardava la massoneria, non meno perplesso e deluso si dovette sentire l’allora procuratore di Trapani, che come lei, e talvolta insieme a lei, batteva la stessa pista.

Tra gli affari del boss, i magistrati ritengono di individuare il villaggio Valtur di Favignana.

Un luogo dove i politici svolgevano le cene a base di aragosta e champagne, tutto gratis compreso il soggiorno.

La7, nel corso del programma Piazza Pulita, mostra i documenti di questi soggiorni e cene gratuite di cui usufruivano molti politici.

Vacanze e cene gratuite fatte con il proprietario della Valtur, Carmelo Patti.

Tra i nomi, quello di Renato schifani, che una vacanza di poco meno di 20.000 euro, non la pagò neppure un centesimo.

Così come a costo zero è l’incontro di governo tra La Loggia, Schifani e D’Alì, anche questo offerto da Patti.

Non manca Salvatore Cuffaro, che usufruisce della benevolenza del patron della Valtur, con un capodanno alle Maldive da 15.000 euro a costo zero.

Sono gli anni in cui ai vertici della procura di Trapani c’è un magistrato, quando le indagini sugli interessi economici di Matteo Messina Denaro portano a richieste di sequestro beni per miliardi di euro.

Inchieste che vedono coinvolti nomi importanti dell’economia non solo isolana, dinanzi i quali, Marcello Viola, all’epoca procuratore di Trapani e  attuale procuratore di Milano, non arretra di un passo.

Eh sì, ma Viola non si ferma lì.

Vuole indagare sulla latitanza di Matteo Messina Denaro, sulle coperture di cui gode, sulla massoneria trapanese.

Nel 2016 – come riporta Report – Viola deposita una lista con 460 massoni, tra banchieri, politici, imprenditori e appartenenti alle forze dell’ordine.

Tra i tanti, anche il nome di Tumbarello.

Un magistrato che per molti – non solo per il braccio armato della mafia – rappresenta un serio pericolo.

La strada spianata per una carriera brillante?

Macchè, poco ci manca che lo arrestano.

A condurre le indagini è la Guardia di Finanza che mette nel mirino due magistrati, Maria Teresa Principato e Marcello Viola, accusati di violazione del segreto d’ufficio con l’aggravante di aver favorito la mafia, avendo ostacolato la Dda di Palermo svolgendo le loro indagini.

Sì, proprio quelli che indagavano sulla massoneria e sulla latitanza di Matteo Messina Denaro.

Con loro, anche l’appuntato della Guardia di Finanza Calogero Pulici, assistente della Principato.

Una storia che abbiamo narrato più volte, a partire dalle assoluzioni di Pulici, per arrivare al furto del suo computer all’interno di una delle stanze più blindate della procura di Palermo, che pare però non rappresenti reato.

Ma non finisce lì. Quantomeno non finisce lì per Viola.

Archiviata la vicenda dell’accusa di violazione del segreto d’ufficio (inesistente), per il magistrato, nel frattempo nominato procuratore generale di Firenze, sembra aprirsi la strada per una nomina a capo della procura di Roma.

Sì, proprio quella che vale un paio di ministeri.

Viola a Roma?

Non scherziamo con le cose serie.

Sulla successione dell’uscente Giuseppe Pignatone, si apre uno scontro violento, a colpi di fughe di notizie, ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato, per arrivare  – nonostante Viola li avesse vinti tutti – a mettere fuori gioco quello che era già il procuratore in pectore e garantire la successione di Pignatone.

Di Viola, indicato come l’unico non ricattabile, Sabrina Pignedoli, europarlamentare e giornalista antimafia, dirà:

Certamente a ricoprire il ruolo di procuratore capo di Roma non poteva andare Marcello Viola: purtroppo ha un brutto vizio quel magistrato, fa le indagini e le fa in maniera indipendente. Addirittura a Trapani ha osato indagare sulle logge massoniche e i loro collegamenti con le mafie: cattivo, cattivo, cattivo!!! Non adatto per una procura delicata come Roma, dove tra palazzi del potere, potentati economici, logge di vari colori e Vaticano bisogna sapersi giostrare con la ‘giusta’ cautela

«Beato chi ha fiducia nella giustizia perché sarà giustiziato».

Ma come fa un magistrato a non avere fiducia nella giustizia?

Gian J. Morici LA VALLE DEI TEMPLI 24.1.2023

 


Matteo Messina Denaro, un latitante protetto dallo Stato

 

È il titolo del libro del giornalista d’inchiesta Marco Bova, che analizza i 28 anni di latitanza di Matteo Messina Denaro – l’ultimo dei “corleonesi” – ricostruendo gli intrecci affaristici, le connivenze, e gli “errori” che hanno permesso a “Diabolik” (Matteo Messina Denaro) di rimanere uccel di bosco per tutto questo tempo.

Una lunga storia di depistaggi e piste colpevolmente abbandonate che per la prima volta vedono messo in discussione il modus operandi dei “cacciatori” del figlioccio di Totò Riina, impegnati in una guerra intestina scaturita da gelosie interne, senza esclusione di colpi bassi contro chi lavorava alla cattura del latitante, lasciandosi dietro vittime e fallimenti investigativi, nonostante i continui proclami dell’imminente cattura del criminale e il fiume di denaro speso inutilmente.

Fallimenti investigativi che secondo l’autore sono anche il risultato di una fitta

coltre di sovrapposizioni tra strutture investigative, procure, forze dell’ordine e qualche magistrato compiacente come emerge dalla riproduzione inedita di una intercettazione.

E se da un lato i depistaggi e gli ostacoli a chi conduceva onestamente le indagini, ha comportato una lunga serie di fallimenti, dall’altro si sarebbe rivelato una panacea per una fitta lista di personaggi che ne hanno comunque beneficiato in termini di carriera.

C’è chi infatti dopo aver indagato investigatori e magistrati impegnati nella caccia al latitante – nonostante tali brillanti attività approdate nel nulla – si è ritrovato ad essere “promosso” con prestigioso incarico nel cuore pulsante dell’antimafia togata.

Eh sì, accade anche questo.

“Tra «covi caldi» e «cerchi che si stringono» –  scrive nella sua recensione Enrico Bellavia, caporedattore centrale del settimanale “L’Espresso” – le cronache riattizzano periodicamente l’attenzione su un latitante che riesce a farla franca da 28 anni, avendo contro, sulla carta, praticamente tutti: polizia, carabinieri, finanza, perfino i forestali. E, naturalmente gli 007 che fissano pure sostanziose taglie che alimentano un indotto della ricerca già di suo consistente. Mettere d’accordo tutti i cacciatori è il primo problema, per evitare sovrapposizioni. È accaduto anche che nella foga di spiare le mosse dei sodali dell’imprendibile i finanzieri abbiano sorvegliato dei poliziotti e poliziotti e carabinieri si siano trovati in contemporanea sullo stesso teatro di osservazione.

Per il resto, cimici che smettono di funzionare, che i familiari di Messina Denaro rintracciano con provvidenziali bonifiche, talpe che soffiano dettagli salvifici, punteggiano interi paragrafi di questa «corsa avvelenata».

Nel suo lavoro, Bova ricostruisce con l’aiuto del protagonista, morto nel maggio scorso, il carteggio epistolare intrattenuto tra Alessio, alias Matteo Messina Denaro e Svetonio, lo pseudonimo affibbiato dal latitante all’ex sindaco della sua città, Castelvetrano, il professore Antonino Vaccarino, infiltrato dai servizi con l’obiettivo della cattura ma poi inspiegabilmente bruciato.

Una delle vittime incruente, almeno tante quante quelle lasciate per strada con il piombo, del sistema Messina Denaro. Capace di stritolare e annichilire gli avversari anche con l’arma della legalità, vera o presunta”.

E alle “vittime incruente” – per sua fortuna ancora in vita – si può ascrivere Carlo Pulici, il finanziere che per anni collaborò alle indagini condotte dal pm, poi procuratore aggiunto, Teresa Principato, fin quando nel 2015 venne denunciato per molestie (denuncia poi archiviata) e punito con l’allontanamento dal suo ufficio dalla procura di Palermo guidata da Franco Lo Voi.

Una vicenda che ha visto coinvolti la stessa Principato e l’allora procuratore di Trapani Marcello Viola, triturati con accuse infondate, così come quelle a Pulici che lo hanno visto cinque volte assolto.

Magistrati e investigatori impietosamente triturati in un gioco al massacro che sembra più colpire chiunque dia la caccia al latitante che non quanti ne hanno favorito la latitanza.

Ma anche un gioco sporco di mani leste capaci di trafugare il computer di Pulici dalla stanza della Principato per far sparire anni di indagini su Messina Denaro.

Pulici per la prima volta racconta il suo punto di vista in un’intervista a Marco Bova.

Un racconto inquietante che apre a tantissimi interrogativi non soltanto sulle vicende che hanno personalmente travolto il finanziere, e con lui i due magistrati, ma anche su come così vennero ostacolate le indagini sulla massoneria trapanese e le protezioni eccellenti di cui gode Matteo Messina Denaro.

Il libro, tra i tanti inediti, contiene anche un elenco di massoni a oggi ignoti all’opinione pubblica.

Una serie di inediti destinati a fare discutere a lungo, dall’ultima intervista a Vaccarino per arrivare alla storia inedita sulla disputa giudiziaria più grave degli ultimi anni sulla caccia a Matteo Messina Denaro.

Piste estere, piste colpevolmente affossate, ufficiali demansionati, fonti e indagini bruciate, che contribuiscono a spiegare  il perché sia stata improficua la lunghissima caccia al latitante più ricercato del mondo.

 La sconcertante scomparsa dei dispositivi di Pulici, custoditi all’interno dell’ufficio della pm Teresa Principato, è stata denunciata dall’avvocato Antonio Ingroia alla Procura di Caltanissetta, per “gravi omissioni” della Procura di Palermo.

Secondo l’avvocato, infatti, i pm palermitani avrebbero dovuto trasmettere l’inchiesta ai colleghi nisseni, anziché trattenerla e archiviarla a modello 45, cioè i fascicoli privi di notizia di reato.

La vicenda si va a intersecare al subdolo gioco delle piste (che potevano portare alla cattura di Messina Denaro) svelato in un capitolo del libro; piste via via affossate, fatte cadere o abbandonate e nel quale per certi versi rientra anche la vicenda sin qui rimasta inedita per il modo in cui viene raccontata da Antonio Vaccarino che a Bova ha rilasciato la sua ultima intervista  prima di morire di Covid in carcere.

Mentre infatti era in corso la caccia a Provenzano, si era tentata l’opportunità di afferrare Matteo tramite l’ex sindaco.

Questa vicenda è svelata in modo inedito con verbali e interviste che nella loro contraddizione mettono a nudo una parte ancora oscura degli anni legati alle stragi degli anni 90.

Questo libro, arricchito dalla prefazione dell’inviato di Report, Paolo Mondani, narra di una mafia in evoluzione, anzi già  trasformatasi in una Cosa Nuova, dei suoi  legami con la massoneria e con i «salotti buoni», di cui Matteo Messina Denaro, erede della mafia rozza e brutale dei corleonesi, ne è il simbolo.

Una mafia che lo Stato non riesce e a volte non vuole comprendere. Un latitante che lo Stato non sa o non vuole arrestare.

 “Matteo Messina Denaro, latitante di Stato” di Marco Bova per la collana inchieste di Ponte alle Grazie, da domani sarà in vendita in tutte le librerie e disponibile qui su Amazon.

Un libro da leggere per chi non si accontenta di proclami sull’imminente cattura di “Diabolik”, ma vuol capire il perché sia stata possibile, per quasi trenta anni, la latitanza del boss che è stato tra i mandanti della strage di Capaci e di quella di via D’Amelio.

Marco Bova (Erice, 1989) è giornalista freelance e videomaker, collaboratore di AGI (Agenzia Italia) e il Fattoquotidiano.it per cui segue cronaca e approfondimenti dalla Sicilia occidentale.

Autore e regista di documentari ha pubblicato su numerose testate italiane e internazionali.