VINCENZO SINACORI

DEPOSIZIONI AI PROCESSI

 

 


IL BOSS SINACORI RACCONTA DI COME LA MAFIA VOLEVA UCCIDERE A ROMA FALCONE, COSTANZO E MARTELLI

 

Nell’aula bunker di Rebibbia, a Roma, ha deposto il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, ex appartenente al mandamento di Mazara del Vallo.
La sua deposizione è avvenuta nell’ambito del processo per la strage di Capaci ed è avvenuta davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta. Sinacori ha raccontato che tra l’ottobre e il novembre del 1991 si è tenuto un incontro tra mafiosi a Castelvetrano, in provincia di Trapani, in quell’incontro si è deciso di eliminare il giudice Giovanni Falcone, il ministro di allora Claudio Martelli e Maurizio Costanzo. Sinacori ha raccontato che l’incontro era presieduto da Totò Riina e vi partecipava anche Matteo Messina Denaro e altri mafiosi. Ci sarebbero state anche altre riunioni oltre a quella fatta a Castelvetrano, le altre sarebbero state fatte a casa di Salvatore Biondino, l’autista di Totò Riina e tali riunioni servivano per definire il modus operandi: “Bisognava usare delle armi tradizionali. In caso di attentati bisognava chiedere il permesso a Riina.
A Roma, arrivarono con un camion, armi ed esplosivo”. Sinacori racconta che Falcone era il primo a dover essere ucciso perché era considerato un nemico dopo il maxiprocesso, Maurizio Costanzo invece perché era contro Cosa Nostra durante le sue trasmissioni e Martelli perché era stato eletto con i voti di Cosa Nostra, poi però aveva voltato le spalle alla stessa.
Il boss racconta anche dei luoghi dove dovevano essere uccisi; Falcone per esempio, racconta Sinacori, doveva essere ucciso in un ristorante a Roma che frequentava spesso, Martelli invece dove c’era la sede del ministero di Grazia e Giustizia.
Falcone non fu ucciso a Roma perché il commando d’azione che doveva ucciderlo, nel momento in cui faceva i sopralluoghi, iniziò a fare confusione tra “Il Matriciano” per “La Carbonara”, ristorante dove Falcone era solito andare.
Il Pm Stefano Luciano ha chiesto a Sinacori come mai nel 1996 ha deciso di diventare collaboratore di giustizia, Sinacori ha risposto così: “Lo faccio per problemi miei che non intendo riferire. Non ho nessuna spiegazione da dare. Ho fatto questa scelta”. OSSERVATORIO RETE  ITALIA

 

 

Mafia, ritorna a parlare Sinacori: “La morte di Falcone decisa a Castelvetrano”

 

 Tra l’ottobre e il novembre del 1991 si tenne un summit di mafia a Castelvetrano (Trapani) e in in quella sede fu deciso di eliminare il giudice Giovanni Falcone, l’allora ministro Claudio Martelli, Maurizio Costanzo e altri giornalisti, come Andrea Barbato. All’incontro, ‘presieduto’ da Toto’ Riina, erano presenti anche Matteo Messina Denaro e i fratelli Gravano. Questo ha sostenuto il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, ex capo del mandamento di Mazara del Vallo, che ha deposto oggi nell’aula bukner di Rebibbia a Roma, nell’ambito del secondo processo per la strage di Capaci davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta. Alle domande del Pm Stefano Luciani, il pentito non ha voluto chiarire perche’ dal ’96 ha iniziato la sua collaborazione con la giustizia: “Lo faccio per problemi miei che non intendo riferire. Non ho nessuna spiegazione da dare.
Ho fatto questa scelta”, ha detto l’ex boss. Secondo Sinacori, alla riunione di Castelvetrano ne seguirono altre a Palermo, a casa di Salvatore Biondino, autista di Riina, e del fratello, per definire le modalita’ con cui uccidere le vittime designate. “Bisognava usare delle armi tradizionali. In caso di attentati bisognava chiedere il permesso a Riina. A Roma, arrivarono con un camion, armi ed esplosivo”. Falcone, nella versione del pentito, doveva essere ucciso prima degli altri “perche’ dopo il maxiprocesso era un nemico storico di Cosa nostra. Maurizio Costanzo perche’ durante le sue trasmissioni era contro Cosa nostra e Martelli perche’ era stato eletto con i voti dalla mafia e poi aveva girato le spalle a Cosa nostra.
Il giudice Falcone doveva essere ammazzato in un ristorante che frequentava a Roma mentre Martelli in via Arenula, dove c’era la sede del ministero di Grazia e Giustizia”. Una volta a Roma, il commando inizio’ a fare dei sopralluoghi facendo pero’ confusione e scambiando il ristorante “Il Matriciano” per “La Carbonara”, dove Falcone era solito andare. 28.4.2015 TP24

 


28.1.2014 Natoli in aula: “Borsellino incontrò Mancino due settimane prima di essere ucciso”

 

Con l’allora ministro dell’Interno ebbe “una stretta di mano assolutamente informale”

IL PROCESSO

Con l’allora ministro dell’Interno ebbe “una stretta di mano assolutamente informale”

 “Poco dopo le stragi del ’92, si respirava un’aria molto tesa alla Procura di Palermo”. Lo ha detto Gioacchino Natoli, all’epoca sostituto procuratore a Palermo, che deponendo a Caltanissetta nel processo “Borsellino quater” ha tra le altre cose confermato – come riporta l’Agi – che due settimane prima di essere ucciso nell’attentato di via D’Amelio, il giudice Borsellino presenziò all’insediamento di Nicola Mancino al Viminale e col neo ministro dell’Interno ebbe “una stretta di mano assolutamente informale”.

L’INCONTRO CON MANCINO – Questo breve incontro di Borsellino con Mancino è uno dei punti controversi del processo per la trattativa Stato-mafia, in corso a Palermo. “Gaspare Mutolo aveva manifestato la volontà di collaborare con la giustizia ma intendeva rendere dichiarazioni solo a Paolo Borsellino tuttavia l’allora procuratore Giammanco non voleva affidare la gestione del boss proprio a Borsellino. Avrebbero dovuto occuparsene Aliquò, Lo Forte e Pignatone”, ha riferito il magistrato e ha ricordato che “Mutolo nel dicembre del 91 aveva avuto già dei contatti con Giovanni Falcone. Il primo interrogatorio di Mutolo risale al luglio 92 e venne condotto da Borsellino e da Vittorio Aliquò”.

COLLABORAZIONE DI MUTOLO – Natoli ha anche confermato che il “2 luglio del 92, Borsellino fu costretto ad interrompere l’interrogatorio di Mutolo perché doveva recarsi a Roma per l’insediamento del ministro degli Interni, Nicola Mancino. Mentre era seduto in un salottino, apparvero Bruno Contrada e l’allora capo della Polizia, Vincenzo Parisi. Nell’allontanarsi Contrada gli disse che sapeva che lui si stava occupando di Mutolo e che avendolo ascoltato in passato, di qualsiasi cosa avesse bisogno, poteva rivolgersi a lui”. Un episodio che, ha detto Natoli, “Borsellino raccontò in maniera adirata” sia a lui stesso Natoli sia ad altri colleghi perché la collaborazione di Mutolo era appena iniziata e c’era ancora il massimo riserbo.

STRETTA DI MANO – “La stretta di mano poi, con il ministro fu assolutamente informale”, ha affermato Natoli. Contrada, ex numero tre del Sisde poi condannato per concorso in associazione mafiosa, secondo Natoli non godeva di una buona fama e Falcone aveva invitato gli altri magistrati ad essere prudenti nei loro contatti con lui. “Mutolo, in un interrogatorio – ha spiegato Natoli – a me e a Guido Lo Forte, fece i nomi di Bruno Contrada e Mimmo Signorino (magistrato di Palermo che si suicidò poco dopo quelle rivelazioni, ndr) ma in realtà li aveva già fatti alla presenza di Borsellino”. Il teste ha ricostruito anche che a proposito invece del rapporto su mafia e appalti, Borsellino, dopo la strage di Capaci, aveva fissato un appuntamento con alcuni ufficiali del Ros perché doveva ritirare il relativo dossier.
RAPPORTO – “Alla Procura di Palermo -ha dichiarato Natoli- ritengo fosse arrivata una copia del rapporto, epurato di centinaia di intercettazioni. A Catania arrivò invece una copia più ampia alla quale erano allegate delle intercettazioni che contenevano delle responsabilità di tipo politico che a Palermo non furono consegnate. A Borsellino quel rapporto interessava per capire quale potesse essere stata la genesi della strage di Capaci”.

Redazione online

28 gennaio 2014 CORRIERE DEL MEZZOGIORNO