MESSINA DENARO risponde (ad alcune domande) ai magistrati

 

 

INTERROGATORIO MATTEO MESSINA DENARO – Verbale interrogatorio


10.8.2023 Matteo Messina Denaro parla di Vaccarino, l’infiltrato dei servizi segreti


8.8.2023 Matteo Messina Denaro è stato ricoverato in ospedale: «Mi avete preso per la malattia, non mi pentirò mai»

Dalla sua cella del supercarcere di L’Aquila, dove è detenuto in regime di 41 bis, il boss Matteo Messina Denaro è stato portato all’ospedale San Salvatore del capoluogo abruzzese. Da oggi, infatti, le sue condizioni di salute sono peggiorate. L’ormai ex superlatitante di Cosa nostra, arrestato il 16 gennaio all’interno della clinica privata La Maddalena di Palermo, ha un tumore al colon che sarebbe al quarto stadio. Stando a quanto emerge, già non riuscirebbe più né a parlare né a camminare. Per il trasferimento del nosocomio, dove è stato ricoverato nel reparto di Chirurgia, sono state necessarie imponenti misure di sicurezza. Nelle scorse settimane, Messina Denaro aveva subito un piccolo intervento per problemi urologici ed era però rientrato nell’istituto di pena in giornata.  
«Io non mi farò mai pentito». Lo dice senza esitazioni il boss Matteo Messina Denaro interrogato dopo l’arresto dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido. L’interrogatorio in cui il boss nega di avere commesso stragi e omicidi e di avere trafficato in droga, ma ammette di avere avuto una corrispondenza con il capomafia Bernardo Provenzano. Un documento che è stato depositato oggi. «Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante. Voi mi avete preso per la mia malattia». Il capomafia ha raccontato che, fin quando ha potuto, ha vissuto rinunciando alla tecnologia, sapendo che sarebbe stato un punto debole. Ma poi ha dovuto cedere. Ai magistrati, per spiegare il cambio di passo sulla gestione della latitanza il 13 febbraio ha citato un proverbio ebraico: «Se vuoi nascondere un albero, piantalo in una foresta».  
«Ora che ho la malattia e non posso stare più fuori e debbo ritornare qua…», si è detto dopo avere scoperto di avere il tumore «allora – ha raccontato Messina Denaro – mi metto a fare una vita da albero piantato in mezzo alla foresta, allora se voi dovete arrestare tutte le persone che hanno avuto a che fare con me a Campobello (la cittadina del Trapanese dove l’ex primula rossa di Cosa nostra ha trascorso l’ultimo periodo della sua trentennale latitanza, ndr), penso che dovete arrestare da due a tremila persone: di questo si tratta». Ma il boss originario di Castelvetrano ha anche precisato che, in paese, sarebbero stati in pochi a conoscere la sua vera identità. Per anni, in prestito avrebbe preso quella del geometra Andrea Bonafede, almeno per le richieste e gli esami medici. «A Campobello mi sono creato un’altra identità: Francesco. Giocavo a poker, mangiavo al ristorante», ha spiegato Messina Denaro. Insomma, una vita normale per cercare di passare inosservato il più possibile.  
«Io mi sento uomo d’onore ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali», ha aggiunto poi Messina Denaro. «La mia vita non è stata sedentaria, è stata una vita molto avventurosa, movimentata», ha detto ammettendo la latitanza e di avere comprato una pistola, ma di non averla mai usata e di non avere fatto omicidi e stragi. «Una cosa fatemela dire. Forse è la cosa a cui tengo di più: Io non sono un santo, ma con l’omicidio del bambino non c’entro». Ancora una volta Messina Denaro afferma senza nessuna esitazione di essere del tutto estraneo all’omicidio di Giuseppe Di Matteo, il figlio adolescente del pentito Santino Di Matteo, che è stato rapito e sciolto nell’acido.


9.5.2023 L’interrogatorio di Matteo Messina Denaro in carcere: «Sono un agricoltore apolide. Ho dei beni, ma non vi dico dove»

La lettera con le minacce

Dal canto suo, declina ogni responsabilità sostenendo di essersi limitato a scriverle una lettera per riavere un terreno che sarebbe stato suo. Emerge anche un mistero: riferisce di avere dei beni, ma non rivela dove. «Ascolti, questo terreno è stato comprato da mio padre nel 1983. Mio padre era amico del papà della signora, che oggi è morto. E allora gli ha chiesto se poteva fare il favore di intestarsi questo bene. E lui ha detto di sì», spiega Denaro. Tanti anni dopo, la figlia di Passanante voleva venderlo quel terreno. «E io lo vengo a sapere quando – aggiunge il boss – l’affare era quasi concluso, sotto prezzo. E allora cosa ho fatto? Alla signora ho mandato una lettera. E gliel’ho pure firmata. Perché credevo di essere nella ragione dei fatti».OPEN


16.4.2023 “Messina Denaro sta tentando di sminuire la gravità degli omicidi che ha commesso”. Il delitto Bonomo, le stragi e i segreti del boss


SOPPRESSIONE DEL PICCOLO GIUSEPPE DI MATTEO: «Ma davvero nega?


24.3.2023 “Senza la malattia non mi avreste preso”: così parla Messina Denaro LIVE SICILIA

Cosa ha detto ai magistrato il capomafia trapanese

 La sua “sfortuna” è stata la “malattia”, altrimenti “non mi avreste trovato”. Così ha detto Matteo Messina Denaro. È stato interrogato due volte ed ha accettato di rispondere alle domande del procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dell’aggiunto Paolo Guido, e poi a quelle del giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto. In entrambi gli interrogatori era presente la nipote e avvocato Lorenza Guttadauro, figlia della sorella di Matteo Messina Denaro, Rosalia, arrestata per mafia. Il capomafia ha fatto capire che c’è uno spartiacque nella sua clandestinità. Ha raccontato di essere “uscito allo scoperto” a causa della malattia. Si è dovuto dotare di una identità vera. A cominciare dalle piccole cose di una vita normale. Non si può andare in una clinica sanitaria, ad esempio, senza indicare il numero di un cellulare per farsi ricontattare. Anche il padrino, così ha detto, che stava “lontano dai telefonini”, accorto e guardingo com’era, ha dovuto adeguarsi.  Atteggiamento narcisista, il suo, di chi si compiace della lunga latitanza. Certo non se n’è stato rintanato. A Campobello di Mazara ci ha vissuto negli ultimi anni, ma vi ha fatto tappa anche nel passato più lontano. Girava molto e spesso è stato a Palermo. La malattia lo ha spinto ad abbassare la guardia. È stata una scelta obbligata nel tentativo di contrastare una malattia che da solo o contando sulla cerchia di fedelissimi non era in grado di affrontare. Messina Denaro ha negato la sua appartenenza a Cosa Nostra, ma lo ha fatto con atteggiamento ambiguo. Disponibile, si è mostrato cortese, ma ha negato ogni accusa.
Da quella meno grave, come una tentata estorsione, all’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. La vicenda dell’estorsione risale al 2013. Matteo Messina Denaro avrebbe scritto e inviato una lettera per dirimere, a modo suo, la questione sull’utilizzo di un terreno.
Terreno che in passato era stato anche nella disponibilità di Totò Riina, e che era passato al boss di Campobello di Mazara, Alfonso Passanante. L’intervento era essenziale anche per risolvere dissidi per l’utilizzo di alcuni fondi agricoli e per il pascolo nelle campagne di Castelvetrano. Bisognava convincere gli eredi del defunto Passanante a cedere la proprietà di un vasto appezzamento di terreno in contrada Zangara.
Le minacce dalla cosca mafiosa di Campobello di Mazara furono avallate anche da una lettera intimidatoria attribuita a Messina Denaro. Il 29 dicembre 2013 la figlia del boss Passannante fu intercettata mentre chiedeva al boss di Campobello di Mazara, oggi deceduto, Vito Gondola informazioni sulla missiva che gli era stata consegnata da Vincenzo La Cascia.
Nella lettera si faceva riferimento ai figli della donna. “I vostri figli che c’entrano..”, chiedeva Gondola e la donna rispondeva: “Nella lettera così c’era scritto, zu Vito”. “Ma quale ammazzare – replicava Gondola – nessuno si è presentato da me”.
“Ma quale estorsione?”, ha detto Messina Denaro che se non può negare, ad esempio, il rapporto epistolare con personaggi come Bernardo Provenzano, lo ha ricondotto al rapporto di conoscenza che il padrino corleonese ha avuto con suo padre, don Ciccio Messina Denaro.



15.2.2023 Matteo Messina Denaro, «Ecco perché non collaborerà»

Secondo l’avvocato dei pentiti Luigi Li Gotti, l’ex boss «non ha convenienza, lui deve difendere il suo patrimonio e pensare alla sua salute»

L’ex boss Matteo Messina Denaro non collaborerà con la giustizia. È l’opinione dell’avvocato Luigi Li Gotti, storico legale dei pentiti di Cosa nostra (come Tommaso Buscetta, Gaspare Mutolo e Giovanni Brusca): in un’intervista all’AdnKronos, ha spiegato che, a suo parere, ci sono «zero possibilità che Matteo Messina Denaro stia collaborando o inizi a collaborare con la giustizia, perché non ha convenienza, lui deve difendere il suo patrimonio e pensare alla sua salute, il suo problema principale».
L’ex latitante, secondo l’analisi del legale, non avrebbe alcun interesse ad avviare una collaborazione, «che significa anche disvelare tutti i beni posseduti», perché «la prima cosa che viene chiesta è questa».
Matteo Messina Denaro è anche molto malato, oltre ad essere stato condannato definitivamente a più ergastoli. «Dunque, qualora collaborasse, per poter accedere a chiedere dei benefici alternativi ci vogliono dieci anni dal momento in cui viene arrestato. Prima di dieci anni, anche se collabora, non può nemmeno chiedere i benefici. Un collaboratore di giustizia, infatti, prima di poter accedere ai benefici deve superare una certa soglia di espiazione di condanna, non è che inizia a collaborare e il giorno dopo accede ai benefici, no, la legge impone dei tetti». 
La malattia, quindi, «è uno stimolo a non collaborare, perché se è vero, com’è vero, che per ottenere benefici devono trascorrere dieci anni, uno che ha una malattia grave, almeno così hanno detto, non ci arriva a vivere altri dieci anni. Dunque, che benefici avrebbe Messina Denaro? Zero, e zero, a mio parere, sono le possibilità che collabori. Poi tutto può essere, però, francamente…».
Lunedì, per la prima volta, i magistrati di Palermo (il capo della Procura di Palermo Maurizio de Lucia e l’aggiunto Paolo Guido) hanno interrogato il boss: l’interrogatorio è durato poco più di un’ora e l’ex latitante ha risposto alle domande dei magistrati, anche se per ora non è trapelato nulla sul contenuto delle sue dichiarazioni. di Monica Coviello VANITYFAIR


13.2.2023 – Messina Denaro, il boss ha parlato per un’ora con i magistrati di Palermo: «È lucido e sta bene»

Poco più di un’ora. È la durata dell’interrogatorio avvenuto nel carcere di massima sicurezza dell’Aquila nei confronti del boss Matteo Messina Denaro, arrestato il 16 gennaio scorso a Palermo dopo una latitanza lunga trent’anni. Sentito dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, ha risposto ad alcune domande alla presenza del suo legale, l’avvocatessa Lorenza Guttadauro.
L’incontro è avvenuto nel carcere «Le Costarelle» dell’Aquila dove il boss è detenuto al 41 bis. Qui i magistrati – come riporta il Corriere della Sera – sono arrivati intorno alle 14,30 con un seguito di cinque auto di scorta.
«È lucido, sta bene ed è in totale isolamento senza contatti con nessuno e viene sottoposto alle terapie oncologiche all’interno della struttura carceraria», ha detto Paolo Guido, il magistrato che insieme a de Lucia ha coordinato l’inchiesta che ha portato all’arresto del capomafia. L’interrogatorio a Messina Denaro, secondo quanto scrive l’Ansa, non è stato secretato. Il 19 gennaio, pochi giorni dopo la sua cattura, l’ex latitante avrebbe potuto comparire in video davanti ai giudici di Caltanissetta per la prima udienza del processo ai mandanti delle stragi di Capaci e via d’Amelio. Tuttavia, il boss, aveva deciso di non partecipare, spingendo i giudici a posticipare al 9 marzo la prima udienza del suo processo.


13.2.2023 Messina Denaro, un’ora d’interrogatorio in carcere coi pm di Palermo: il boss ha risposto ad alcune domande dei magistrati

Matteo Messina Denaro ha risposto alle domande dei magistrati della procura di Palermo. È durato oltre un’ora l’interrogatorio del boss delle stragi: il primo della sua lunga carriera criminale. Per interrogarlo il procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, e l’aggiunto Paolo Guido sono andati nel carcere di L’Aquila, dove il mafioso è recluso da quasi un mese. Arrestato il 16 gennaio scorso, dopo 30 anni di latitanza, fino a questo momento il boss di Castelvetrano non era mai stato formalmente sentito dai magistrati. All’incontro era presente anche la sua legale, l’avvocatessa Lorenza Guttadauro, che è sua nipote.

L’interrogatorio non è stato secretato – A sorpresa il boss ha risposto ad alcune domande degli inquirenti: il verbale dell’interrogatorio non è stato secretato. “Matteo Messina Denaro sta bene, è in totale isolamento senza contatti con nessuno ed è curato nel migliore dei modi”, ha detto l’aggiunto Guido, uscendo dal penitenziario abruzzese. L’interrogatorio si è svolto in una stanza attigua alla camera in cui il capomafia è detenuto al 41bis. Si tratta della stessa stanza in cui il boss si sottopone alla chemioterapia. Il corteo di scorta a De Lucia e Guido, composto da cinque auto, era arrivato nel carcere de L’Aquila poco dopo le 14 e 30. Le blindate erano ripartite dopo circa tre ore, anche se l’interrogatorio è durato molto meno. Ma gran parte del tempo è stato impiegato per la preparazione del confronto. Secondo l’agenzia Ansa le risposte del padrino non hanno dato alcun contributo importante, o almeno significativo, al quadro dell’inchiesta. Tanto è vero che tutto si è risolto in poco tempo e al verbale non è stato opposto il segreto. Se ne deduce che non contenga colpi di scena né elementi decisivi. Il riserbo degli inquirenti, però, è rimasto strettissimo.

L’incontro in carcere – I pm avevano già parlato con Messina Denaro a Palermo, la sera dell’arresto, poco prima che l’ex inafferrabile fosse trasferito dall’aeroporto di Boccadifalco per essere poi portato a Pescara e da lì a L’Aquila. “Non voglio collaborare”, è il senso di quello che aveva detto il padrino al capo della procura e all’aggiunto. “Nelle mani dello Stato e riceverà piena assistenza medica”, era stata la risposta del procuratore De Lucia. Il boss aveva replicato con una sorta di ringraziamento. Lo stesso aveva fatto con i carabinieri, mentre era in attesa nell’hangar di Boccadifalco: “I carabinieri del Ros e del Gis mi hanno trattato con grande rispetto e umanità. Palermo, 16 gennaio”, aveva scritto il capomafia, dopo aver chiesto carta e penna. Arrivato nel carcere di L’Aquila, invece, ha commentato così le operazioni di rito alle quali è stato sottoposto all’Ufficio matricola del penitenziario di L’Aquila: “Fino a stamattina ero incensurato”.


13.2.2023 La prima volta di Messina Denaro davanti ai Pm

Interrogatorio nel carcere dell’Aquila senza colpi di scena. Il boss ha risposto ad alcune domande

Nel primo vero faccia a faccia con i magistrati Matteo Messina Denaro non ha scelto il silenzio.

Per oltre un’ora ha risposto alle domande del procuratore Maurizio De Lucia e dell’aggiunto Paolo Guido, venuti da Palermo per interrogare il boss arrestato il 16 gennaio alla clinica La Maddalena.

I due magistrati sono arrivati intorno alle 14.30 nel carcere dell’Aquila dove Messina Denaro è detenuto e curato nella stessa saletta dove si è svolto il colloquio. E sono andati via dopo circa tre ore. Ma gran parte del tempo è stato impiegato per la preparazione del confronto.

Pare che le risposte del padrino non abbiano dato alcun contributo importante, o almeno significativo, al quadro dell’inchiesta. Tanto è vero che tutto si è risolto in poco tempo e il verbale non è stato neppure secretato. Se ne deduce che non contenga colpi di scena né elementi decisivi. Ma non per questo il velo del riserbo da parte dei magistrati si è allargato. Se per la forma questo era il vero interrogatorio del boss dopo 30 anni di latitanza va ricordato che Messina Denaro aveva già visto per pochi minuti i magistrati subito dopo l’arresto. Il tempo necessario perché De Lucia potesse dirgli che era “nelle mani dello Stato” e che “riceverà piena assistenza medica”. Cosa che si sta realmente facendo nel carcere aquilano di massima sicurezza.

Anche se non ci sono indiscrezioni sul contenuto del colloquio, è facile ritenere che le domande dei magistrati abbiano cercato di approfondire il tema delle protezioni, con particolare attenzione alla rete di complicità che l’inchiesta sta giorno dopo giorno rivelando. Uno dei punti da chiarire è il ruolo del medico Alfonso Tumbarello il quale ha curato e assistito, con 137 prescrizioni, il boss che andava in giro con l’identità del geometra Andrea Bonafede. Tumbarello, affiliato a una loggia massonica di Campobello di Mazara dalla quale è stato sospeso, sostiene di non avere mai avuto sospetti sull’uso di un nome di comodo. Ma gli investigatori hanno messo sempre in discussione la credibilità del medico, che per questo è stato arrestato.

Un altro focus dell’inchiesta prende di mira il covo di Campobello di Mazara, messo a disposizione da Bonafede, dove sono state trovate molte tracce della vita clandestina, ma vissuta alla luce del sole, dell’uomo più ricercato d’Italia. Oltre a indumenti femminili, appartenuti a donne con cui Messina Denaro si incontrava, sono stati ritrovati documenti e “pizzini”: uno era in una busta indirizzato alla figlia, ma mai giunto alla destinataria. Non è da questi elementi che sarà possibile ricomporre la rete di relazioni che hanno assicurato al boss la lunga latitanza. Ma servono a delineare un quadro di scambi e di contatti, un terreno nel quale Messina Denaro non sembra disposto a portare i magistrati e gli investigatori. Qualche traccia può dare invece il senso e la natura di alcune relazioni. Indicativa la dedica stampigliata nel portachiavi che il boss portava in tasca nel giorno dell’arresto. La persona che glielo aveva regalato aveva fatto incidere la frase: “L’uomo, il mito, la leggenda sei tu”. ANSA