Il collaboratore di giustizia siciliano, ex killer del mandamento di palermitano di Brancaccio che uccise tra gli altri don Pino Puglisi e partecipò alla strage di via D’Amelio, spiega come maturò la sua decisione di parlare con i magistrati e rendere conto della quarantina di omicidi che gli vengono contestati
«Per me la detenzione equivaleva all’espiazione delle mie colpe. E poi ero legato a Giuseppe Graviano, mi sarei fatto esplodere per loro, pensi un po’ se non mi sarei fatto tutto il carcere in santa pace».
Gaspare Spatuzza, uno dei killer più feroci del mandamento palermitano di Brancaccio, interrogato da Giuseppe Lombardo nel processo ‘ndrangheta stragista, ripercorre le tappe che lo convinsero, a distanza di diversi anni dal suo arresto in un ospedale di Palermo, ad intraprendere un percorso di collaborazione di giustizia.
Le sue dichiarazioni sono state fatte ascoltare nella quinta puntata di Mammasantissima – Processo alla ‘ndranghetaandato in onda martedì 14 febbraio.
«Era arrivato il momento di mettermi a posto con la coscienza – racconta – e quando sono stato trasferito nel carcere di Ascoli, dove le maglie della detenzione erano più larghe, ho iniziato un percorso spirituale. Ad Ascoli mi sono avvicinato al cappellano e ho avuto un rapporto più diretto con gli assistenti sociali. Ho conosciuto un linguaggio che prima non avevo mai conosciuto e lì ho preso una decisione netta: o di qua o di là, o la vita o la morte, e io ho scelto la vita».
E così, “u tignusu”, l’uomo che colpì a morte don Pino Puglisi e che rubò la 126 che uccise Paolo Borsellino e la sua scorta, racconta della sua decisione di saltare il fosso e rendere conto della quarantina di omicidi che gli vengono contestati. E se la decisione di pentirsi era arrivata nel carcere di Ascoli nel 2006 e si era concretizzata un paio di anni dopo, i primi segni che qualcosa nella vita di Spatuzza era cambiata, il collaboratore di giustizia aveva iniziato a percepirli diverso tempo prima, quando dopo anni di attesa, era finalmente riuscito a scovare a Roma il fantasma del passato che più lo tormentava, Totuccio Contorno. Contorno, prima di divenire a sua volta uno dei collaboratori chiave del maxi processo di Palermo, era stato uno dei sicari più violenti della fazione dei palermitani usciti sconfitti dalla guerra con i Corleonesi di Riina e Messina Denaro. Lo stesso contorno sospettato di avere ucciso il fratello maggiore di Spatuzza e di avere ucciso il padre dei fratelli Graviano.
«Quando è iniziato questo mio rapporto d’amicizia e di amore per Graviano – racconta Spatuzza in aula – gli chiesi se potevamo ritrovare le ossa di mio fratello, che non avevamo più niente. Le volevo farle avere a mia madre. Graviano mi disse che effettivamente Contorno era coinvolto nella morte di mio fratello e mi raccontò anche che aveva partecipato all’uccisione di suo padre. Era un nostro nemico. Quando ho trovato contorno a Roma, ero convinto che saremmo risaliti con i carrarmati, ma Graviano, in un summit in Sicilia a cui partecipò anche Matteo Messina Denaro, mi rispose che c’erano altre priorità. Lì, in quell’occasione, qualche malessere iniziò a partire. Rimasi amareggiato. Ma come? Io, vi ho dato la vita ce lo abbiamo a portata di mano e non facciamo niente?».
Vincenzo Imperitura LACNEWS24 20.2.2023