PALERMO, tensioni e scontri senza precedenti il giorno della commemorazione.

 

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Mafia, lettera aperta dei docenti: “La censura del corteo di Palermo una ferita alla Costituzione e alla scuola”

Il 23 maggio 2023 a Palermo, forse per la prima volta nella storia delle manifestazioni antimafia, ad un gruppo di cittadini, tra cui molti studenti e studentesse della scuola secondaria superiore e dell’Università, sindacalisti, membri di varie associazioni del terzo settore, comuni cittadini e cittadine non è stato consentito di esprimere liberamente, così come previsto dal primo comma dell’art. 21 della Costituzione, il loro punto di vista in merito al pericolo di infiltrazioni mafiose in luoghi decisionali del nostro Paese e alla nuova pericolosissima fase di “sommersione” delle mafie.

Siamo docenti che fanno attività educativa antimafia nel contesto del No Mafia Memorial e in molti altri ambiti. Giornalmente ci battiamo affinché i nostri giovani maturino un pensiero critico e autonomo ed esercitino la libertà di espressione nel rispetto della diversità di opinioni.
Esprimiamo il nostro totale sdegno e disappunto per il maldestro tentativo politico che ha costretto le forze di polizia ad intervenire contro gruppi e associazioni che in maniera pacifica, e con semplici creazioni satiriche hanno provato a far riflettere su alcuni comportamenti politici. Immaginiamo facilmente che a nessuno piaccia essere criticato, ma una classe politica che non affronti il libero diritto alla critica da parte dei propri cittadini, non possiede la maturità necessaria per guidare una comunità sia essa locale, regionale o nazionale. Questo tipo di censura esercitata il 23 maggio 2023, decostruisce la partecipazione e lo stesso senso della cittadinanza che la scuola italiana coltiva seguendo la Costituzione, e immagina una comunità divisa in tifosi di chi governa “contro” tifosi di chi ha idee diverse, spaccando in due una società civile che deve concorrere allo stesso obiettivo: combattere la mafia e chi l’accetta direttamente o indirettamente nelle sue forme culturali, politiche, produttive, valoriali.
Da educatori chiediamo alle autorità che si sono assunte la responsabilità di inviare le forze di polizia contro i manifestanti antimafia invece che contro i delinquenti reali, di riflettere su quanto accaduto, evitando, in ogni modo e per amore del nostro Paese, che i fatti del 23 maggio divengano l’inizio di una nuova fase in cui il diritto a manifestare il proprio pensiero sia solo riservato ad una parte.
I giovani che hanno trovato la loro strada sbarrata non hanno ben compreso perché lo Stato li abbia considerati non come la cura per cambiare e sradicare la società ancora mafiogena in cui viviamo, ma come la malattia da trattare con durezza perché pericolosa per la stessa classe politica. Questo può generare in loro un senso di frustrazione che potrebbe inasprire il conflitto e indebolire la partecipazione non-violenta alla vita civile. Se c’è un nemico che dobbiamo combattere non è il pluralismo dentro la società civile, ma la presenza di sacche di mafiosità diffuse dentro un Paese che non riesce a investire le proprie risorse ed energie migliori contro il suo vero nemico: la mafia e i suoi intermediari, sempre pronti a tradire la propria comunità in nome di interessi loschi e criminali. Tutti sappiamo che l’unico modo per sconfiggere le mafie, soprattutto in questa nuova fase di infiltrazione “sommersa”, è far crescere la consapevolezza dei valori di democrazia e il rispetto delle leggi e delle altre persone della comunità. Queste consapevolezze devono crescere a cominciare dall’educazione e in tutte le regioni del Paese perché le infiltrazioni delle mafie non hanno limiti geografici. Bisogna che il sistema educativo e le istituzioni riparino a ferite come quelle del 23 maggio e costruiscano spazi di vera partecipazione.
La libertà di espressione del proprio pensiero è il centro di tali valori ed è ciò che storicamente – dopo i fatti più tragici della nostra storia – ha consentito il superamento delle omertà e della paure e ha dato al Paese tanti risultati nella lotta alle mafie. Su questo non si può tornare indietro.
Il ricordo della strage del 23 maggio è sempre stato vissuto dalla città – con ragazzi e ragazze in prima linea – come uno spazio finalmente liberato dallo strapotere delle mafie, dopo gli anni terribili delle stragi. Uno spazio non solo di commemorazione, ma anche di gioia e di entusiasmo per tutto quello che ancora le nuove generazioni possono immaginare e costruire. Vedere le istituzioni che impediscono ai giovani di esprimere le loro idee ci addolora e ci fa sentire traditi.

Ferdinando Siringo, Fabio D’Agati, Mario Valentini, Renata Colomba, Rosaria Melilli, Anna Maria Balistreri, Antonella Sannasardo, Viviana Conti, Valeria Prezzemolo, Ida Pidone, Isabella Albanese, Rosaria Cascio, Mirella Buttitta, Carmela Di Benedetto, Riccardo Caramanna, Grazia Rita Luparello, Lorenzo Palumbo, Carlo Baiamonte, Teresa Vasi, Rosa De Caro, Erika Li Volsi, Elvira Rosa, Giulia Cordone, Maria Rosalia Miosi, Antonietta Troina, Gloria Patti, Patrizia Monterosso, Lidia Mulé, Elena Scalici Gesolfo, Antonia Neri, Silvia Emma, Giuseppe Messineo, Gabriella Fiore, Pietro Giammellaro, Chiara Buccheri, Maria Teresa Montesanto, Marta Clemente, Nino Termotto, Lia Valenza, Daniele Tomaselli, Paola Visconti, Rosana Rizzo, Marisa Cuffaro, Dario Librizzi, Giovanni Puma, Maurizio Carollo, Antonella Caronia, Gianpiero Tre Re, Adriana Saieva, Emilia Nicosia, Nino Rocca, Roberto Lopes, Benita Vasi, Antonella D’Anna, Augusto Cavadi, Valeria Accetta, Orietta Sansone, Rossana Maragioglio, Caterina Ferro, Claudia Vassallo, Giovanna Somma, Nicoletta Scapparone, Andrea Inzerillo, Chiara Amoruso, Raffaella Plaja, Ignazio Librizzi, Marisa Burrascano, Vito Pecoraro, Giusi Vitale, Giuseppina Salerno, Maria Palumbo, Clelia Lombardo, Anna Maria Catalano, Daniela Musumeci, Marina Sferruzza, Paola Miano.


Il “Coordinamento 23 maggio”, in riferimento ai fatti di ieri 23 maggio 2023.

  • Il comunicato della Questura ricostruisce parzialmente e forzatamente la vicenda determinatasi ieri nel corso della manifestazione del 31° anniversario della strage di Capaci. Per evitare equivoci, premettiamo che non vi è nulla di più falso che affermare che il “corteo non è stato autorizzato”. Segue, per ciò, la ricostruzione dei fatti punto per punto:
  • 1. La prima comunicazione ufficiale del corteo è avvenuta tramite PEC in data 05 aprile 2023, all’interno della quale vi era scritto il percorso del corteo che sarebbe salito “presso Via Emanuele Notarbartolo in direzione dell’Albero Falcone fermandosi all’incrocio di Via Emanuele Notarbartolo e Via Giacomo Leopardi”
  • 2. In data 16 maggio 2023, inoltre, sempre tramite PEC, abbiamo specificato il tipo di amplificazione dell’impianto audio e abbiamo comunicato che vi sarebbe stato anche un Fiorino nel mezzo del corteo, sul quale sarebbe stata installata “una scenografia artistica (un quadro) di dimensioni: 2×1,5m”
  • 3. In data 17 maggio 2023 un nostro portavoce è stato convocato in Questura per sottoscrivere la PEC inerente al Fiorino con l’aggiunta del seguente accordo scritto a mano: “Il Fiorino targato G*****K svolterà in Via Notarbartolo e si allontanerà imboccando la Via Petrarca al termine del corteo”.
  • 4. In data 22 maggio 2023, alle ore 11:30 (c/a), due nostri referenti sono stati convocati in Questura per confermare alcuni dettagli logistici del corteo già concordati tramite PEC. Un incontro formale in cui da parte della Questura non vi era alcun ostacolo al corteo o problema da questionare.
  • 5. Sempre in data 22 maggio 2023, alle ore 13:00 c/a, siamo stati nuovamente convocati dalla Questura – questa volta d’urgenza – per parlare di una “questione”. Durante il colloquio in Questura ci è stato riferito che era giunta un’ordinanza del Prefetto che confermava l’autorizzazione del corteo prescrivendo però che doveva “concludersi entro le ore 17.30 in Via Duca della Verdura prima dell’incrocio con Via Libertà altezza Piazza Alberico Gentili”. Una comunicazione che ha modificato la destinazione del corteo a sole 24 ore dalla manifestazione.
  • 6. Solo nella giornata di ieri, intorno alle 13:00, abbiamo ricevuto l’ordinanza del Questore con cui si prescriveva – tra le altre cose – il cambio della conclusione del corteo.
  • 7. Successivamente, alle ore 16:45 c/a, durante la tappa del corteo in Piazza Castelnuovo alcuni funzionari della Questura di Palermo ci hanno comunicato che vi erano nuove disposizioni all’ultimo minuto in vista delle quali abbiamo concordato di addivenire alle richieste delle forze dell’ordine. Ovvero di interrompere il corteo, all’incrocio tra Via Libertà e via Notarbartolo; di spegnimento l’amplificazione e di posizionare il Fiorino che trasportava la riproduzione di una opera satirica in coda al corteo. Quindi, rispettare l’ordinanza della Questura. L’accordo prevedeva comunque di dare la possibilità ai manifestanti di proseguire e defluire liberamente lungo Via Notarbartolo, senza prevedere dunque uno sbarramento di Polizia.
  • 8. Una volta giunti all’incrocio tra Via Libertà e Via Notarbartolo abbiamo concluso il corteo con un discorso al microfono, riponendo il carretto con l’amplificazione in un angolo e spegnendo il gruppo elettrogeno e l’impianto.
 
Evidentemente, gli accordi presi con i rappresentati della Questura sono stati bypassati da decisioni che, hanno scavalcato anche i funzionari presenti. Prova ne è quella di avere trovato all’incrocio con via Notarbartolo, appunto, un primo schieramento di forze dell’ordine in tenuta antisommossa che ha provocato un “tappo” e una frizione inutile, in quanto era impossibile impedire alle persone di defluire verso Via Notarbartolo. Tra l’altro il corteo ignaro dello sbarramento spingeva le persone presenti nelle prime file, che a quel punto premevano sul cordone di Polizia.
Il successivo riposizionarsi delle forze dell’ordine con i blindati di traverso e nuovi schieramenti in antisommossa muniti di casco, scudi e manganelli non ha prodotto altro che una drammatizzazione della situazione, di cui certamente potevano approfittare elementi estranei (che fortunatamente non vi sono stati). E infatti alcuni manifestanti sono stati duramente colpiti a manganellate riportando lesioni, altri buttati a terra e immobilizzati nonostante fossero inermi e altri ancora spinti violentemente.
Ai numerosi pacifici manifestanti feriti, così come ai due agenti colpiti, va la nostra piena solidarietà non solo per essere stati oggetto di violenza, ma anche per essere stati mal utilizzati.
La situazione determinatasi di fatto è il prodotto di una cattiva gestione dell’ordine pubblico di cui il Questore è certamente responsabile.
Nello stigmatizzare quanto successo, confermiamo il nostro impegno quotidiano per affermare che lotta alla mafia e lotta per i diritti camminano assieme. Concludiamo ribadendo che il nostro corteo si è sviluppato in modo ordinato lungo tutto il percorso, dando vita ad una manifestazione colorata e vivace di donne, giovani, studenti, lavoratrici e lavoratori, ma anche semplici cittadini che si sono uniti allo stesso lungo il percorso. Senza nessun tipo di “fuori programma” o atto violento che potesse giustificare le preoccupazioni per l’ordine pubblico né una reazione violenta delle forze dell’ordine come si è verificata. Quanto avvenuto nei momenti di resistenza tra manifestanti e agenti antisommossa è avvenuto successivamente alla comunicazione della chiusura del corteo. E, per questo motivo, ribadiamo ancora una volta che è falso affermare che il corteo è entrato in Via Notarbartolo e per questo “non era autorizzato”. Bensì si è celebrato nei limiti imposti all’ultimo minuto dalla Questura e, nonostante ciò, i liberi cittadini sono stati ostacolati e aggrediti.
Palermo, 24 Maggio 2023
 
Il Coordinamento 23 Maggio
 
  • 𝗣𝗥𝗢𝗠𝗢𝗧𝗢𝗥𝗜:
  • – Our Voice
  • – Attivamente
  • – Associazione Radio Aut
  • – Officina del popolo
  • – Sindacato studentesco Kiyohara Parlatore
  • – Sindacato studentesco Regina Margherita
  • – Rappresentanti degli studenti dell’I.S. Majorana
  • – Collettivo Studentesco Mario Rutelli
  • – Rete degli Studenti Medi – Palermo
  • – Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato
  • – Cgil Palermo
  • – Casa del Popolo Peppino Impastato
  • – A.Si.D.A. 12 Luglio
  • – UDI Palermo
  • – La Casa di Giulio
  • – Stra Vox
  • 𝗔𝗗𝗘𝗦𝗜𝗢𝗡𝗜:
  • – WikiMafia
  • – Agende Rosse
  • – I Siciliani
  • – Casa di Paolo
  • – Anpi
  • – Mediter
  • – ANTIMAFIADuemila
  • – Telejato
  • – Rete antimafia Brescia
  • – Comitato referendario “Ripudia la guerra”
  • – Comitato “Generazioni Future”

 


 

Maria Falcone sugli scontri del 23 maggio, “Contro ogni violenza, la questura? Non so niente di ordine pubblico”

“Io sono contro ogni forma di violenza. Mi dispiace che siano avvenuti questi scontri di cui non mi sono resa conto dal palco dove mi trovavo per commemorare la morte di mio fratello”. Lo dice Maria Falcone, sorella del giudice ucciso dalla mafia il 23 maggio del 1992 in merito agli scontri tra alcuni manifestanti e la polizia. Negli scontri sono rimasti feriti tre agenti. “Sono decisioni della questura non ho che dire. Non so niente di ordine pubblico”, aggiunge Maria Falcone.

Le polemiche e gli scontri

Scontri, tensioni, un funzionario di polizia e due agenti feriti, anche se in modo lieve, e probabilmente manifestanti presto denunciati per il contatto con il cordone di polizia. Tensione e scontri non solo verbali all’ingresso di via Notarbartolo nel giorno del XXXI anniversario della strage Falcone. Il giorno della memoria e del ricordo diventa il giorno del ‘cattivo esempio’ di una parte della società che si definisce civile.

La nota della Polizia

Fra le diverse iniziative promosse si è registrata anche la presentazione di un preavviso per un corteo, promosso da svariate sigle, che ha registrato la presenza al proprio interno di gruppi riconducibili a frange antagoniste che, partendo dalla Facoltà di Giurisprudenza in via Maqueda, sarebbe dovuto arrivare nei pressi dell’“Albero Falcone”
Considerata la potenziale interferenza che si sarebbe potuta ingenerare dalla concomitanza nel medesimo luogo delle iniziative promosse dalla Fondazione Falcone ed il citato corteo, in sede di Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica si è ritenuto inopportuno far giungere il corteo nei pressi dell’ “Albero Falcone”.

I motivi della limitazione al corteo

“La ragione di tale valutazione in termini di inopportunità – spiega la questura – risiede nell’esigenza di assicurare garantire il diritto Costituzionalmente garantito della Libertà di Manifestazione del Pensiero ad entrambe le parti attraverso un bilanciamento delle contrapposte esigenze considerati i luoghi, il numero di persone partecipanti alle due iniziative, la presenza di diversi striscioni dal contenuto ingiurioso, nonché la presenza di veicoli dotati di strumenti di amplificazione sonora tra cui un mezzo furgonato.
La predisposizione dei servizi di Ordine e Sicurezza Pubblica ha visto un impegno delle Forze dell’Ordine con uomini e mezzi in diversi punti della città, finalizzati a garantire il fluido svolgimento delle diverse iniziative intraprese, la Libertà di Manifestazione del Pensiero ed anche il Diritto al Ricordo, alla Memoria dei caduti che in questa giornata si commemorano.
Per questi motivi è stato individuato come punto di arrivo del corteo Piazza Alberico Gentili, a meno di 500 metri dal luogo inizialmente pensato dai promotori, scelta notificata agli stessi attraverso le prescrizioni del Questore di Palermo, frutto delle ponderazioni e valutazioni maturate in sede di Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica”.

Le trattative per arrivare all’albero Falcone e il contatto

“Una volta giunto in questo punto il corteo, cui hanno preso parte circa 1000 manifestanti, si sono intessute una serie di interlocuzioni tra i promotori e le Forze di Polizia che presidiavano il luogo al fine di non consentire il prosieguo del gruppo lungo via Notarbartolo fino all’Albero Falcone considerata la presenza dei mezzi amplificati che avrebbero gravemente interferito con le iniziative della fondazione Falcone nonché una gigantografia issata sul mezzo furgonato il cui contenuto palesava il chiaro fine di dileggio del corteo nei riguardi dell’altra iniziativa.
È stato proprio durante questo dialogo, in cui si prospettava un ulteriore avvicinamento all’Albero Falcone qualora fossero stati spenti gli strumenti di amplificazione che avrebbero turbato la cerimonia promossa dalla Fondazione Falcone, che un gruppo di circa 100 manifestanti ha forzato il presidio di polizia, causando il ferimento di 1 Funzionario della Polizia di Stato ed altri 2 poliziotti che hanno riportato prognosi che vanno dai 10 ai 15 giorni. Successivamente il corteo è avanzato senza creare turbative e con gli strumenti di amplificazione spenti grazie all’impegno massimamente profuso dalle Forze dell’Ordine, nei pressi dell’Albero Falcone dove ha atteso le ore 17:58 per poi sciogliersi”.

Scatteranno denunce

È in corso l’analisi delle immagini che hanno ripreso le citate scene al fine di ricostruire puntualmente i fatti, delineare i profili di responsabilità penalmente rilevanti ed individuare i responsabili dei disordini che hanno portato al ferimento di 3 poliziotti, proprio nel giorno in cui tutto il Paese fa memoria e ricordo di 3 poliziotti caduti per fare il loro dovere.

C’è chi rivendica di aver forzato il blocco

Ma dal Partito della Rifondazione Comunista rivendicano come un risultato l’aver forzato il blocco pur non parlando minimamente di violenze  “Il tentativo di tenere lontano un pezzo importante della città dalle fronde dell’albero Falcone è fallito. I cordoni delle forze dell’ordine sono stati attraversati da un fiume in piena variamente composto” dicono Frank Ferlisi Segretario della Federazione e Ramo La Torre Segretario cittadino di Rifondazione Comunista Palermo. “Uomini, donne giovani e meno giovani, bambine e bambini, rappresentanze di forze sociali e associazioni, hanno potuto adagiarsi sulla melodia del silenzio fin sotto il ficus di via Notarbartolo per gridare subito dopo a voce alta e per diversi minuscontriti “Fuori la mafia dallo stato”, quando alcune pattuglie delle forze dell’ordine avevano già abbassato lo scudo e scalzato il casco. Non hanno ancora un nome coloro che si sono adoperati in depistaggi funzionali a coprire collusioni e responsabilità. Trent’anni sono troppi e le istituzioni democratiche sono ancora pervase da personaggi che a vario titolo sono entrate in collusione col potere affaristico mafioso. Le nostre voci si uniscono a quello di tutti e tutte coloro che ancora gridano verità”. BLOG SICILIA


 Ricordo un episodio avvenuto tanti anni fa, tra il ’92 e il 97, non ricordo esattamente l’anno, che è rimasto impresso nei miei ricordi e che è riaffiorato ieri, vedendo delle scene che mai mi sarei aspettato di vedere: quelle di un corteo, formato soprattutto da giovani, ai quali è stato impedito, e a forza di manganellate distribuite senza risparmio, di arrivare fino a sotto l’abitazione che era di Giovanni Falcone dove si svolgevano le commemorazioni ufficiali per la strage di Capaci del 23 maggio.
Il corteo organizzato dai ragazzi di Our Voice, ma al quale avevano aderito altre organizzazioni come la CGIL, della società civile e studentesche, era stato regolarmente notificato ed autorizzato ma in extremis era arrivata una notifica da parte della Questura nella quale si imponevano dei limiti alla manifestazione, tutti evidentemente volti, leggendo il comunicato, a non arrecare “fastidio” al contemporaneo corteo organizzato dalla Fondazione Falcone.
Questi limiti non possono che essere stati esplicitamente richiesti dagli organizzatori di questo corteo “ufficiale” per evitare le contestazioni che inevitabilmente sarebbero derivate dal vedere schierati nei posti d’onore, accanto a Maria Falcone, personaggi come Roberto Lagalla e Renato Schifani che non hanno respinto al mittente anzi hanno gradito gli appoggi avuti in campagna elettorale da Marcello Dell’Utri e Salvatore Cuffaro i cui trascorsi e le cui condanne per contiguità alla mafia sono ben noti a tutti.
Eppure in un primo tempo, durante la campagna elettorale, la stessa signora Falcone aveva detto parole come “Lagalla prenda le distanze da Dell’Utri e Cuffaro, non sono limpidi” per poi però cambiare rotta, spinta forse dal timore di perdere i cospicui fondi istituzionali ricevuti dalla sua fondazione, tanto da spingere Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, a chiedersi se “in questa città avere fatto accordi con la mafia viene ritenuto da tutti un fatto disdicevole” ed ancora “Troppo spesso i cittadini ricevono dall’alto segnali che invitano a convivere con ambiente notoriamente in odore di mafia”.
Il sindaco di Palermo, così redento e legittimato, ha quindi non solo potuto partecipare, al posto d’onore, alla commemorazione del 23 maggio, ma anche contribuire a mettere a punto il programma della commemorazione, escludendone e bloccando la partecipazione di chi, come i giovani e gli studenti del corteo alternativo, avrebbe potuto contestarlo.
Mi è così tornato in mente quell’episodio del 23 maggio di tanti anni fa.
Era stata organizzata una messa in memoria di Giovanni Falcone in Piazza Marina, all’interno del Giardino Garibaldi, era ancora viva mia madre, io ero a Palermo e mi recai alla messa insieme alla poetessa Lina La Mattina. Giunti all’ingresso del giardino dove si sarebbe svolta la cerimonia fummo bloccati dal servizio d’ordine che ci chiese di mostrare “l’invito”, poiché non lo avevamo non ci fu permesso di entrare perché ci venne detto che si poteva accedere solo se invitati.
Poi qualcuno dovette riconoscermi, ero il fratello di Paolo Borsellino e a me, ma solo a me, era quindi concesso di entrare, ma da solo, senza la persona che mi accompagnava. Rifiutai, dissi che se a quella messa non potevano entrare tutti i palermitani, ma soltanto le “autorità” allora non era posto per me, e ce ne andammo entrambi via.
Da allora non sono più andato a Palermo in occasione del 23 maggio.
Purtroppo a trenta anni di distanza le cose non sono cambiate, anzi sono, e di molto, peggiorate

La tensioni durante il corteo del 23 maggio. Tre poliziotti feriti da un manifestante.

 

La manifestazione degli studenti ha visto uno scontro con le forze dell’ordine. La replica delle questura di Palermo

I manganelli sui manifestanti. Sullo sfondo la foto di Falcone e Borsellino sorridenti. Gli scontri tra la polizia e i manifestanti del corteo organizzato da Cgil e le sigle del coordinamento 23 maggio hanno segnato questo 31esimo anniversario della strage di Capaci. 
I manifestanti erano partita dalla facoltà di giurisprudenza per un’antimafia più attenta alle emergenze sociali. Per loro inizialmente off limits l’albero Falcone.
L’altro corteo è quello degli studenti, promosso dalla Fondazione falcone, partito dalla cosiddetta “porta dei giganti”, ai piedi dei murales dedicati ai giudici assassinati nel ’92.
I due cortei si sono ritrovati sotto l’albero Falcone alle 17:58, quando 31 anni fa esplosero le cariche di tritolo.

Il giorno dopo l’Anniversario, la questura di Palermo ha reso noto un comunicato nel quale si parla di un corteo che ha registrato “la presenza al proprio interno di gruppi riconducibili a frange antagoniste”. Sulle motivazioni che hanno spinto a non autorizzare il corteo fino all’Albero Falcone, si legge: “Considerata la potenziale interferenza che si sarebbe potuta ingenerare dalla concomitanza nel medesimo luogo delle iniziative promosse dalla Fondazione Falcone ed il corteo, in sede di Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica si è ritenuto inopportuno far giungere il corteo nei pressi dell’Albero Falcone”.
Su piazza Alberico Gentili,  è cominciato un dialogo tra manifestanti e forze dell’ordine. Ed è qui che sono partiti gli scontri. Nella nota della questura, si parla del ferimento di un funzionario della polizia e di due poliziotti, con prognosi da 10 a 15 giorni.  
È in corso l’analisi delle immagini che hanno ripreso gli scontri per ricostruire eventuali responsabilità. RAI NEWS 24.5.2023


“La politica che convive con ambienti in odore di mafia non partecipi al ricordo della strage di Capaci”: la lettera del cognato di Falcone

 

Il ricordo di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino non sia macchiato dalla “rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-sociale con ambienti notoriamente in odore di mafia“. È una lettera durissima quella inviata da Alfredo Morvilloall’edizione palermitana di Repubblica, proprio alla vigilia del trentunesimo anniversario della strage di Capaci. Una lunga analisi in cui il magistrato, fratello di Francesca Morvillo e dunque cognato di Falcone, si scaglia contro una parte della città di Palermo: quella che continua a beneficiare di appoggi mafiosi. “Falcone e Borsellino – scrive Morvillo – appartengono soltanto a una piccola parte di Palermo, quella Palermo che porta avanti con grande impegno i loro ben noti ideali. I nostri cari indimenticabili Giovanni e Paolo non appartengono certamente alla Palermo che convive col ‘puzzo del compromesso morale‘, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Questa Palermo abbia la coerenza di non partecipare alle commemorazioni: non lo merita la città, non meritano Falcone e Borsellino che il loro ricordo sia macchiato dalla rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-sociale con ambienti notoriamente in odore di mafia”.

A chi si riferisce Morvillo? L’ex procuratore capo di Trapani non fa nomi ma parla di” squallido compromesso politico-mafioso, che ha sempre inquinato la vita della città”. E spiega che “se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Paolo Borsellino, dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia. Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare”. Un passaggio che sembra un evidente riferimento ai recenti avvenimenti politici di Palermo e della Sicilia, con Roberto Lagalla e Renato Schifani eletti sindaco e governatore con l’appoggio fondamentale di Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro, rispettivamente condannati in via definitiva per concorso esterno e favoreggiamento alla mafia. All’inizio della sua analisi Morvillo ricorda una frase di Borsellino: “La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte proprio perché meno appesantite dai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici che fanno accettare la convivenza col male, le più adatte cioè a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. E quindi il cognato di Falcone commenta: “Attuare un comportamento eticamente disdicevole, come quello di fare accordi con la mafia, dovrebbe comportare, al di là della sanzione penale, una valutazione negativa del consesso sociale, a patto che quest’ultimo creda in quei principi etici violati”. Poi però Morvillo si pone una domanda retorica: “A Palermo aver fatto accordi con la mafia viene ritenuto da tutti un fatto disdicevole? Aver fatto accordi con la mafia dovrebbe significare aver tradito la propria terra, le proprie origini; chi lo ha fatto dovrebbe essere considerato un traditore. Accade tutto questo a Palermo? Aggiungeva Paolo Borsellino che, in un breve periodo di entusiasmo, conseguente ai numerosi arresti originati dalle dichiarazioni di Buscetta, Giovanni Falcone gli disse: La gente fa il tifo per noi. Oggi, nel 2023, nella terra delle stragi, nella terra dove Cosa nostra ha ucciso tanti uomini delle istituzioni, tutti eccezionali servitori dello Stato, tanti comuni cittadini, persino un bambino e addirittura un sacerdote, possiamo ritenere che la gente faccia il tifo per Falcone e Borsellino, cioè per l’antimafia? Consentitemi di avere seri dubbi”.
Secondo il fratello di Francesca Morvillo “Palermo, per la sua storia che tutti conosciamo, dovrebbe essere la capitale dell’antimafia, la capitale di una vera cultura antimafiosa. Invece continua a essere, nonostante i grandi risultati raggiunti da forze dell’ordine e magistratura, la capitale del solito squallido compromesso politico-mafioso, che ha sempre inquinato la vita della città. Che fine ha fatto ‘la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità’? Credo che se ne sia persa la traccia. Se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Paolo Borsellino, dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia. Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare”. Il magistrato sottolinea che “la cultura mafiosa non riguarda solo la mentalità dei criminali, degli uomini di Cosa nostra, ma ha un’accezione più ampia poiché con essa si intende la negazione delle regole sociali a favore delle regole private e di gruppi, quella rete di rapporti stratificata nel tempo fatta di scambio di favori, appoggi elettorali, gestione del potere amministrativoindirizzata al perseguimento di interessi di singoli o di gruppi, a discapito degli interessi della collettività. In questo cammino nella strada dell’antimafia i cittadini dovrebbero trovare nelle istituzioni, che essi stessi hanno voluto, una guida indiscussa e autorevole, che voglia e sappia indicare loro la direzione da seguire. Purtroppo, invece, troppo spesso i cittadini ricevono dall’alto segnali che invitano a convivere con ambienti notoriamente in odore di mafia. Non c’è alcun segnale che in questa terra sia di primaria importanza liberarsi della cappa mafiosa, a qualunque costo. Dalle nostre parti l’unica cosa che conta è raggiungere il potere, a qualunque costo”.


Strage di Capaci, 31 anni dopo | Polemica tra Alfredo Morvillo e Maria Falcone: “Segnali di convivenza con ambienti mafiosi”, “Basta antimafia per fare carriera”

 

 
Strage di Capaci, 31 anni dopo | Polemica tra Alfredo Morvillo e Maria Falcone: “Segnali di convivenza con ambienti mafiosi”, “Basta antimafia per fare carriera”

Il trentunesimo anniversario della strage di Capaci non è e non sarà come gli altri. Oltre alle commemorazioni quest’anno c’è la polemica, forte. Mentre Palermo è pronta a vivere come sempre il 23 maggio, tra celebrazioni e incontri istituzionali, sulle pagine di Repubblica il cognato e la sorella del giudice ucciso dalla mafia sono protagonisti di un botta e risposta durissimo sul significato stesso dell’antimafia. “In questa città aver fatto accordi con la mafiaviene ritenuto da tutti un fatto disdicevole?” è la domanda posta, sulle pagine del dorso siciliano di Repubblica, da Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, cognato di Giovanni Falcone. “È il tempo di andare avanti – scrive MariaFalcone, sorella di Giovanni, sempre sullo stesso quotidiano – di perseverare nella ricerca della verità e al contempo smettere di usare l’antimafia per fare carriera, per fare passerella”. Ad accendere il dibattito su posizioni diverse tra i familiari di due delle vittime della strage di Capaci c’è il sostegno alla giunta di centrodestra di Palermo del sindaco Roberto Lagalla da parte di Marcello Dell’Utri e Salvatore Cuffaro, politici condannati per fatti di mafia.

“Troppo spesso i cittadini ricevono dall’alto segnali che invitano a convivere con ambienti notoriamente in odore di mafia” dice Morvillo, ex procuratore di Trapani. Chiaro il riferimento critico proprio a Maria Falcone, che durante la campagna elettorale dell’anno scorso si scagliò contro gli impresentabili (“La politica non si può permettere sponsor che non siano adamantini, Dell’Utri e Cuffaro non lo sono”) e che quest’anno ha firmato un accordo con Lagalla per realizzare un nuovo museo dell’antimafia. La risposta della sorella del giudice è sullo stesso tono polemico: “È il tempo di non abbassare la guardia – spiega su Repubblica – e al contempo costruire ponti tra le diverse componenti sociali, pretendere impegni da chi vuole unirsi allo sforzo del cambiamento, senza criticare a priori, magari rianimati da una certa nostrana acida propensione alla presunzione“.

Lo scontro a distanza era stato aperto ieri con una lettera inviata da Alfredo Morvillo a Repubblica Palermo, in cui il fratello della moglie del giudice ha sottolineato che il ricordo di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino non deve essere macchiato dalla “rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-sociale con ambienti notoriamente in odore di mafia“. A chi si riferiva Morvillo? L’ex procuratore capo di Trapani non ha fatto nomi ma ha parlato di” squallido compromesso politico-mafioso, che ha sempre inquinato la vita della città”. E ha spiegato che “se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Paolo Borsellino, dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia. Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare”. Oggi, poi, è arrivata la risposta altrettanto dura di Maria Falcone.

Un botta e risposta, quindi, che non solo cade nel trentunesimo anniversario della strage di Capaci, ma anche nel giorno in cui si insedierà la commissioneparlamentare antimafia. Il centrodestra spinge per nominare presidente la deputata di Fratelli d’Italia Chiara Colosimo, mossa che ha provocato la reazione delle opposizioni e soprattutto dei parenti delle vittime di mafia, che contestano alla rappresentante meloniana i suoi rapporti del passato con personaggi organici dalla destra eversiva. “Se la maggioranza dovesse insistere su Colosimo, il Movimento 5 Stelle non parteciperà al voto in segno di totale contrarietà alla scelta che si vuole portare avanti” dicono i membri M5S della commissione Antimafia, spiegando che “le polemiche di questi giorni rischiano di compromettere la credibilità e l’autorevolezza di un’istituzione delicata e importante per la nostra democrazia“. Il tutto nelle ore in cui, trentuno anni fa, Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta venivano uccisi dal tritolo di Cosa Nostra.

di F. Q.| 23 Maggio 2023

 

 

Da Falcone ai manganelli. La giornata storica della nuova antimafia

di Attilio Bolzoni



Evidentemente Falcone e Borsellino non sono più di tutti. Sono diventati proprietà di quelli che se ne stanno zitti quando sul palco salgono gli amici dei condannati per mafia.
Palermo ormai non sa più neanche che cosa è Palermo fra tutti quei pennacchi e quei manganelli, fra maschere di cera e un po’ di sangue. Ce lo ricorderemo a lungo questo anniversario, in lontananza le foto di Falcone e Borsellino sorridenti e giù in strada i poliziotti che caricano studenti e sindacalisti che sfilano per ricordare i due giudici. Evidentemente loro non sono più di tutti, diventati solo proprietà di qualcuno, quelli che se ne stanno buoni e zitti quando sul palco salgono gli amici dei condannati per mafia. L’antimafia è morta, l’antimafia è viva. Palermo, 23 maggio 2023.
Ce la ricorderemo veramente a lungo questa giornata di vergogna e di resa dei conti, lugubre, sinistra, che cancella ogni ambiguità su ciò che è l’antimafia ufficiale oggi in Sicilia e anche a Roma dopo il golpe di San Macuto, l’elezione di una presidente che non sarà mai la presidente di tutti.
Per chi come me scrive da una decina di anni che una parte di quella antimafia è una farsa (e, a volte, anche un affare) e soprattutto per chi come me ha sempre avuto un’adorazione per i poliziotti di Palermo (avendoli conosciuti uno per uno fra le stanze di quel monumento che è la squadra mobile), le scene viste e riviste nei filmati pochi minuti prima delle 17:58, l’ora esatta della strage di Capaci, mi hanno confermato che fra via Libertà e via Notarbartolo è stato toccato il punto più basso, più ignobile dall’estate del 1992.
Una bella medaglia
Non era mai accaduto prima, né a Palermo né altrove in Sicilia, che una piazza di pacifici manifestanti in un momento di memoria dedicata alle vittime delle mafie – una ventina di sigle e con loro i rappresentanti della Cgil – fosse oggetto di attenzione di agenti in assetto antisommossa. Per ritrovare qualcosa di simile bisogna catapultarsi negli anni Cinquanta, quando i contadini occupavano i feudi dei baroni e dei marchesi e si ritrovavano a sbarrare loro il passo i reparti di pubblica sicurezza del famigerato ministro Mario Scelba insieme ai campieri mafiosi. Una bella medaglia e un bel titolo per il ministero dell’Interno: carica della polizia contro un corteo antimafia. Palermo, 23 maggio 2023.
Ma il questore e il prefetto, hanno solo una vaga idea delle ferite e delle cicatrici che segnano Palermo ancora dopo trentuno anni? Con un maldestro colpo di penna hanno fatto ripiombare la Sicilia nel suo passato più oscuro.
Il “controcorteo” inesistente
“Non manganellate, non manganellate”. Questa è la voce che ha sentito un mio amico che era lì, P. F., ieri l’altro, da una radiotrasmittente della polizia mentre il corteo – e non “controcorteo”, come è stato definito in maniera subdola – voleva raggiungere l’albero Falcone per riunirsi a quell’altro più gradito e mansueto nei confronti di chi dice che la “mafia fa schifo” ma prende volentieri il sostegno di quelli che la mafia l’hanno favorita. Troppo tardi, le manganellate erano già partite. Non sappiamo esattamente se l’ordine di vietare, e “per motivi di sicurezza”, l’afflusso degli studenti e dei sindacalisti fin li  lì sia arrivato dalla prefettura o dalla questura, ma poco importa. È solo un dettaglio burocratico, perché l’ordine è stato impartito in realtà dall’aria che tira in Sicilia e non solo.
Dalla manifestazione negata a Palermo all’elezione di Chiara Colosimo alla commissione parlamentare Antimafia, due vicende che s’intrecciano in un’Italia dove stato e politica sulla questione mafia mostrano il loro volto e avvertono sul futuro che ci aspetta.
L’antimafia ammaestrata
Per certi versi è stata una giornata storica che marchia per sempre un’antimafia ubbidiente e ammaestrata e che, in qualche modo, segna la nascita di un’antimafia che si vuole liberare dai lacci del potere, lontana dalle convenienze, disinteressata a fare cassa con costosissimi “progetti educativi” e “percorsi di legalità” utili solo a mantenere in piedi associazioni e club che per troppo tempo hanno fatto la questua fra comuni e ministeri per spremere contributi. Una giornata che, nel bene e nel male, è diventata confine. Da una parte un’antimafia che si è istituzionalizzata e che ha perso il contatto con chi avrebbe voluto e dovuto rappresentare, intruppata in un variegato circo popolato da tribuni e guru di varia specie. Dall’altra un piccolo popolo che non ci sta, che nonostante tutto ancora ci crede.
Il ricordo ufficiale di Giovanni Falcone nel trentunesimo anniversario è stato affidato all’immagine della sorella Maria sul palco accanto a Roberto Lagalla, proprio lui, il candidato sindaco preferito da Totò Cuffaro e da Marcello Dell’Utri. Sotto, confusi fra la folla, il procuratore capo della Repubblica Maurizio de Lucia e il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo. Non si sono voluti mischiare agli altri.
Di mattina, la posa simbolica della prima pietra per il museo prossimo venturo intitolato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a palazzo Jung, quasi di fronte all’orto botanico che è a pochi passi dalla Kalsa, il quartiere dove sono nati e cresciuti i due giudici. Presente sempre la sorella Maria, di fianco il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il governatore sotto processo per associazione a delinquere Renato Schifani. Palermo, 23 maggio 2023


ANTONINO DI MATTEO

“Lo scorso 23 maggio, a Palermo, davanti all’Albero Falcone, “si è celebrato il ricordo di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e dei valorosi uomini della scorta. Abbiamo saputo, letto, di una manifestazione che è stata bloccata con scontri. Io vi dico che quello che è accaduto a Palermo l’altro giorno è di una gravità inaudita: con i divieti, gli sbarramenti e le manganellate sono stati mortificati la passione civile, il sogno di verità e giustizia dei tanti giovani, dei tanti studenti, dei tanti semplici cittadini che volevano soltanto onorare la memoria di Giovanni Falcone”.


L’Antimafia gode di ottima salute. Chi ti dice che sia una disgrazia?

Un’antica storia cinese racconta che a un contadino che periodicamente elencava le disgrazie che gli stavano accadendo, morte del bestiame, incendio dei campi, gravissimi lutti in famiglia, un vecchio saggio non faceva altro che rispondergli: “E chi ti dice che sia una disgrazia?”. Intendeva dire, in altre parole, che da cosa nasce cosa, e non bisogna mai disperare. In altre parole, tutto scorre.
Occorre infatti attingere alla millenaria cultura cinese per trovare risposta alla catena di vicende paradossali, sconcertanti, autentici fulmini a ciel sereno, che hanno scandito le ultime settimane sul fronte della lotta alla mafia.
Basta scorrere i titoli che aprono, anche in questo momento, le pagine di antimafia duemila. Una raffica di colpi di scena. 
Diamo un’occhiata a volo d’uccello.
A presiedere la diciottesima (se i conti sono esatti) commissione parlamentare antimafia, è stata chiamata una signora, parlamentare di Fratelli d’Italia, che, a prestare fede alla grande stampa (con allegate fotografie incontrovertibili), vanta amicizie eccellenti nella galassia del terrorismo nero e eversivo, coinvolto nella strage di Bologna (85 morti).
E’ scoppiato un putiferio.
I familiari delle vittime delle stragi (alcuni però, non tutti) hanno protestato duramente chiedendo al governo di ritirare quella candidatura.
Salvatore Borsellino ha espresso parole altrettanto chiare. Ex magistrati, pensiamo a Roberto Scarpinato e Gian Carlo Caselli, hanno fatto altrettanto.
In sede politica, parlamentari Pd e 5 Stelle, hanno scelto la via del cosiddetto Aventino (che però come tutti gli antidolorifici alla lunga generano assuefazione), non votando la signora, salvo poi votare il vice della signora (nella persona dell’ex magistrato Federico Cafiero de Raho dei 5 Stelle).
Detto per inciso, abbiamo perfettamente condiviso Paolo Mieli, qualche sera fa a “Otto e mezzo”, quando ha osservato che certi Aventini non possono durare lo spazio di un mattino, quando la posta in gioco è troppo alta, troppo simbolica, troppo indigeribile per l’opinione pubblica. Insomma: le opposizioni avrebbero fatto meglio ad abbandonare baracca e burattini così che gli italiani sapessero che quella sarebbe stata l’antimafia di Fratelli d’Italia. Niente di più e niente di meno.
Ma cosa fatta capo ha.
Pare che la signora sia amica di Giorgia Meloni, della quale è considerata una fedelissima. E la signora si è disinvoltamente schermita dicendo di aver conosciuto quegli ambienti che le vengono contestati, e che obbiettivamente sanno un po’ di fascismo eversivo, in una loro seconda vita, spesa oggi all’insegna della difesa dei diritti dei detenuti. Insomma, li ha conosciuti da redenti.
Galassia, rete, catena, chiamatela come vi pare, mirabilmente descritta in un recente servizio della trasmissione Report di Rai 3 diretta da Sigfrido Ranucci. E che proprio per quel servizio si è beccato una denuncia per diffamazione, da parte dell’avvocato Gian Domenico Caiazza, in nome di un garantismo – a suo dire – calpestato.
Avrebbe detto, a questo punto il saggio cinese: “E chi ti dice che sia una disgrazia?”.
Abbiamo poi assistito a Palermo, in occasione del 23 maggio, a provvedimenti di prefettura e questura che disponevano il divieto all’ingresso in via Notarbartolo, di fronte all’Albero Falcone, a quelle associazioni di giovani non previste e non gradite dalla cerimonia ufficiale.
“Fatto inaudito” lo ha definito il procuratore Nino Di Matteo, e sulla stessa lunghezza d’onda di dichiarazioni sono stati in tanti ai quali – evidentemente – la testa ancora funziona. Che spettacolo, infatti, vedere i poliziotti in assetto antisommossa caricare: nel giorno dell’anniversario della strage di Capaci, giovani e cittadini scesi in piazza a gridare il loro sdegno per la strage di Capaci.
Il fatto è che sul palco, quello ufficiale, quello previsto dalla cerimonia, quello voluto dalla Fondazione che da trent’anni regola il traffico dell’antimafia, stavano la signora Maria Falcone, l’ex senatore Piero Grasso, il capo del governo siciliano Renato Schifani e il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla.
Non si erano invece fatti vedere Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro i quali, ormai completamente riabilitati avendo scontato galera e condanne per mafia – come ha osservato a suo tempo il professor Giovanni Fiandaca -, avrebbero tutti i diritti di questo mondo per esprimersi liberamente a tutto campo.
Ma qui non dobbiamo dare la colpa a quelli che non c’erano.
Infatti, Alfredo Morvillo, cognato di Maria Falcone, nei giorni di vigilia del 23 maggio, aveva ribadito la sua polemica annuale affermando che i politici “chiacchierati” su quel palco non dovrebbero salire.
Ma anche in questo caso cosa fatta capo ha.
Maria Falcone avrebbe poi spiegato che lei invita le istituzioni e non le persone, e che  da lassù (dal palco) non poteva sapere quello che accadeva quaggiù (sul marciapiede)  dove poliziotti e giovani se le davano di santa ragione proprio nel giorno dell’anniversario di Capaci.
Piero Grasso invece, tirato in ballo da una lettera aperta di Giorgio Bongiovanni, direttore di ANTIMAFIADuemila, intervenendo a Mezz’ora in più, da Lucia Annunziata, avrebbe espresso la sua solidarietà a poliziotti e giovani contusi. In casi del genere, non c’è un torto e una ragione? O no?
Avrebbe detto il saggio cinese: “E chi ti dice che sia una disgrazia?’”.
E infatti, per la prima volta negli ultimi anni a Palermo, 80 professori di scuole medie inferiori e superiori hanno preso carta e penna per denunciare tutto il loro sdegno di fronte  alle immagini dei giovani caricati dalla polizia, e di fronte a quell’ordine prefettizio, quindi ministeriale, che vietava l’accesso a via Notarbartolo. 
E ci hanno messo la firma. Nome e cognome. Il che, nella Palermo dell’“aum aum” fa sempre un certo effetto.
Dicevamo di quell’ordine ministeriale perché, forse, qualcuno dovrebbe spiegare al ministro degli interni, Matteo Piantedosi, la differenza che passa fra un raduno rap e quelli in nome del ricordo delle vittime di mafia. Sono cose differenti.
Ora sarebbe bello se ai professori delle scuole medie inferiori e superiori si aggiungessero anche quelli universitari. E segnatamente, per esempio, quelli della facoltà di Giurisprudenza, tempio del diritto palermitano in via Maqueda, dove  i giovani universitari avrebbero anche loro il diritto di sapere che razza di antimafia si studia e si pratica nella loro città. 
O gli studenti devono accontentarsi di alcuni insegnanti che spiegano loro – è accaduto anche questo – che il Maxi processo di Falcone e Borsellino fu un “obbrobrio”?
Possibile che dalla facoltà di giurisprudenza, dove si laurearono Falcone e Borsellino, non venga mai un rombo di tuono a ricordarci che la mafia è ancora tra noi? Ma abbiamo qualche dubbio che questo accadrà.
Accontentiamoci.
Mario Ridulfo, segretario provinciale della Cgil di Palermo (il sindacato ha fatto benissimo a partecipare al corteo) ha dichiarato, rivolto a Maria Falcone: “Per rispetto delle istituzioni avrebbe invitato anche Ciancimino?” e, dimostrando di avere pochi peli sulla lingua, ha rincarato la dose: “Il rispetto per le istituzioni non si misura nemmeno in ragione dei fondi che queste elargiscono, che seppur giusti e necessari per finanziare progetti di legalità, non possono condizionare giudizi e comportamenti”. 
Indiscutibilmente efficace. Non c’è che dire.
Vedete perché non è detto che tutto sia sempre una disgrazia?
Alla luce di tutti questi fatti, noi escludiamo che il prossimo 19 luglio la famiglia Borsellino chiuderà via D’Amelio ai giovani che vorranno manifestare nel ricordo di Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina.
Siamo sicuri di non sbagliare.

 


 

Cgil e studenti manganellati nel giorno del ricordo di Falcone: «Individuare i responsabili»

  • Da un lato l’antimafia dei pennacchi, patinata delle cerimonie istituzionali, dall’altro quella svincolata da ogni tipo d’interesse e lontana dai riflettori che scende in piazza e grida “Fuori la mafia dallo Stato”. Dopo le manganellate che hanno impedito a studenti, sindacalisti, esponenti  dell’Anpi, associazioni antimafia di raggiungere nel giorno dell’anniversario della strage di Capaci l’Albero Falcone, le divisioni tra i due mondi sono più nette.
  • Palermo come trentuno anni fa. «Era dai tempi dei funerali di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli agenti di scorta che non si verificava un evento così grave. Il popolo che era con Falcone doveva essere tenuto fuori. Pochi giorni fa ho rivisto la stessa inquietante scena», dice sconsolato Rosario Rappa, responsabile del dipartimento Legalità della Cgil davanti l’Albero Falcone.
  • L’Anpi, attraverso l’avvocato Armando Sorrentino, vicepresidente della sezione provinciale dell’associazione dei partigiani, chiede «un’interrogazione parlamentare che faccia luce sulla catena di comando che ha portato a concepire l’ordinanza». Per Sorrentino quanto accaduto in via Notarbartolo «è l’ennesimo mattone posto da questo governo che sin dall’inizio si è presentato così violentemente all’opinione pubblica».

A Palermo si respira un’aria pesante. Da un lato l’antimafia dei pennacchi, patinata delle cerimonie istituzionali, dall’altro quella svincolata da ogni tipo d’interesse e lontana dai riflettori che scende in piazza e grida “Fuori la mafia dallo Stato”. Dopo le manganellate che hanno impedito a studenti, sindacalisti, esponenti  dell’Anpi, associazioni antimafia di raggiungere nel giorno dell’anniversario della strage di Capaci l’Albero Falcone, le divisioni tra i due mondi sono più nette.

Marcate dal silenzio del prefetto Maria Teresa Cucinotta, di quello assordante da parte delle più blasonate associazioni antimafia come Libera e il centro Pio La Torre, dall’etichetta di “frange antagoniste” affibbiata dalla questura ai giovani studenti e dalle parole del sindaco Roberto Lagalla che in un’intervista definisce coincidenza elettorale” il sostegno del “signor Dell’Utri” e del “signor Cuffaro”. Nessuna presa di distanza.

Ritorno al passato

Palermo come trentuno anni fa. «Era dai tempi dei funerali di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli agenti di scorta che non si verificava un evento così grave. Il popolo che era con Falcone doveva essere tenuto fuori. Pochi giorni fa ho rivisto la stessa inquietante scena», dice sconsolato Rosario Rappa, responsabile del dipartimento Legalità della Cgil davanti l’Albero Falcone dove oggi pomeriggio si è tenuto un incontro organizzato dal “Coordinamento 23 maggio” per «esprimere il proprio dissenso nei confronti della violenta repressione delle forze dell’ordine nei confronti dei manifestanti avvenuta durante la commemorazione della strage di Capaci». L’Anpi, attraverso l’avvocato Armando Sorrentino, vicepresidente della sezione provinciale dell’associazione dei partigiani, chiede «un’interrogazione parlamentare che faccia luce sulla catena di comando che ha portato a concepire l’ordinanza». Per Sorrentino quanto accaduto in via Notarbartolo «è l’ennesimo mattone posto da questo governo che sin dall’inizio si è presentato così violentemente all’opinione pubblica».

Davanti l’albero Falcone i ragazzi tengono uno striscione che recita “Non siete stato voi ma siete stati voi”. Jarim El Sadi, coordinatore del movimento Our Voice, non esita a dire che «l’aria in questo Paese è cambiata, ci troviamo davanti ad un regime pericoloso che fa della violenza un fatto sistemico ed è ridicolo che il mondo con la patente dell’antimafia rimanga in silenzio dopo quanto accaduto. La situazione che si è determinata è il frutto di una cattiva gestione dell’ordine pubblico di cui il questore è responsabile, di un’ordinanza pensata male e scritta peggio».

Antimafia istituzionale sotto accusa

Il microfono passa di mano in mano e gli interventi dei ragazzi sono ricolmi di preoccupazione ma al contempo di voglia di lottare per affermare la propria libertà d’espressione. Marta Capaccioni, studentessa all’università di Palermo nella facoltà di giurisprudenza, attacca l’ex presidente del Senato Piero Grasso e giudice a latere nel Maxi-processo: «Credo sia inutile che Grasso venga in facoltà a farci le lezioni sul Maxiprocesso, sulla mafia se non ha neanche il coraggio di prendere una posizione chiara su quanto accaduto. Chi non parla deve solo vergognarsi». Gabriele Rizzo, componente del coordinamento 23 maggio e Officine del popolo mostra alle telecamere dei cronisti i segni sulla schiena ancora ben visibili inferti dai manganelli. «La Fondazione Falcone non ha diritto in nome dell’antimafia – dice – di polarizzare un pezzo della città. Non esiste un’antimafia di serie a e una di serie b. Siamo stati censurati ma noi resistiamo». Una resistenza che si fa sempre più complicata soprattutto nelle scuole. Lì dove l’educazione gioca un ruolo fondamentale. Lo ammette Ferdinando Siringo, vicepresidente del Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato e delegato per la formazione e per la scuola del No Mafia Memorial: «Andiamo nelle scuole e le viviamo ogni giorno per parlare di legalità, di coesione negli ideali antimafia e poi in un giorno così importante assistiamo a scontri e manganellate? Cosa dobbiamo dire ai nostri ragazzi? Che Italia dobbiamo raccontare? Per noi non è facile. Vedere le istituzioni che impediscono ai giovani di esprimere le loro idee ci addolora e ci fa sentire traditi». 25 maggio 2023  il DOMANI


«Antimafia», le memorie scordate e le passerelle di un giorno

La narrazione ufficiale e l’ipocrisia di chi isola e attacca chi lotta contro le mafie e sfrutta ogni anniversario. Ingroia: inaccettabile che sia stato impedito a giovani di ricordare Falcone ed esprimere critica e dissenso, «le istituzioni ritengono di stringere intorno a quegli organi politici che rappresentano ed hanno rappresentato la contiguità con la mafia e in questo modo sporcano il ricordo di Falcone e Borsellino sfregiando la loro eredità morale prima ancora che professionale».


Trent’anni fa circa un fumetto raccontò la vita di un illustre personaggio sudafricano. Al suo funerale partecipò un’immensa folla.

Ma, si concludeva il fumetto, al ritorno nella grande casa di colore bianco i familiari erano soli, totalmente soli. Il giorno dopo ogni grande cerimonia e ricorrenza quella scena si ripete. La liturgia anche questa volta è passata, i sermoni e i paroloni sono finiti. Ed è ripartita la giostra del “tornarono a casa soli”.

L’Italia è il Paese orrendamente sporco dei partigiani del 26 aprile, di coloro che non si schierano o si schierano con il Potere. Per poi cambiare carro e mettere cappelli e lucrare su quel che fino al giorno prima si isolava, delegittimava, disprezzava, combatteva. La storia si ripete sempre due volte scrisse Marx, nell’Italia delle liturgie e delle messe cantate, dell’ipocrisia della comoda retorica le due volte sono state abbondantemente superate. E siamo circondati di Catilina che abusano, parafrasando Cicerone, della pazienza, della decenza, della civiltà.

Il 23 maggio siamo stati inondati di ricordi scordati di Falcone, di fiumi e fiumi commoventi inverosimili. Sarà lo stesso il 19 luglio con Borsellino e ad ogni anniversario.

«“Sistemi per battere la mafia ci sono, soprattutto politici. Anzitutto tagliare il rapporto voti-partiti, eliminare cioè il rapporto più grosso tra mafia e potere politico”. “Oggi ogni mafioso è un grande elettore che tende alla strumentalizzazione del potere politico. Riciclare i miliardi dell’eroina non è semplice: c’è bisogno dell’aiuto politico”» disse Giovanni Falcone. Sottolineò, in altra occasione, che la mafia non è un cancro che prolifera per caso su un tessuto sano, di sani tessuti ce ne sono pochi se non quasi niente.

E chi lotta contro le mafie inizia a morire quando viene delegittimato e lasciato solo. Nel proliferare di meme e retoriche queste parole non hanno trovato spazio, non sono diventate – come si suol dire oggi – trend sui social e nell’infosfera. Men che meno nel diluvio di discorsi dei «politici». Eppure raccontano l’Italia di allora e l’Italia di oggi. Il Paese dei partigiani del 26 aprile delle comode messe cantate che poi ripetono, e qua torna Marx, la farsa prima e dopo.

Falcone e Borsellino venivano accusati di fare il male della Sicilia, di cercare di far carriera (poi i veri carrieristi ieri come oggi vengono invece favoriti ed omaggiati nel trionfo della mediocrità nauseante) e si negava che la mafia esistesse. Al massimo considerata una mela marcia che sbuca per caso. Mentre imprenditori, «politici» e tanti altri sedevano al ricco banchetto con sistemi criminali di ogni tipo. Mentre i loro tromboni negavano e minimizzavano, costruivano narrazioni di comodo e allo stesso attaccavano, cercavano di delegittimare, perseguitavano Falcone e Borsellino. Basta cambiare poco ed è anche storia di oggi.

Sui rapporti tra mafia e politica, le connivenze tra pezzi dello Stato e i sistemi criminali mafiosi di balle telecomandate e di «verità» di comodosono menù quotidiano. Mentre si accetta che sfilino nelle messe comandate coloro che trent’anni fa insultavano Falcone e negli anni si son dimostrati più che vicini a coloro che il pool antimafia denunciava.

E se si prova a violare questa narrazione ufficiale, a ribellarsi allo status quo e squarciare il velo si può finire come è accaduto con il corteo «Non siete Stato voi, ma siete stati voi» martedì, documentato qui

Fatti su cui questo il commento di Antonio Ingroia (l’intervento integrale è qui):

«C’è un’aria pesante, con la restrizione degli spazi di libertà, dei diritti, del diritto di espressione, del diritto di opinione. L’informazione è sempre più concentrata nelle mani di pochi per un pensiero a senso unico. L’apice si raggiunge anche con la violazione dei diritti costituzionali che vengono sfregiati: il diritto di opinione e manifestazione per poter esprimere liberamente la propria opinione in modo civile, così come avevano fatto questi giovani con un corteo che è stato bloccato con questa ordinanza prefettizia incomprensibile. Le istituzioni ritengono di stringere intorno a quegli organi politici che rappresentano ed hanno rappresentato la contiguità con la mafia e in questo modo sporcano il ricordo di Falcone e Borsellino sfregiando la loro eredità morale prima ancora che professionale. È  stato impedito ai giovani di ricordare Falcone sotto l’albero ed eventualmente esprimere la loro sacrosanta critica sulle istituzioni in Sicilia, e sul fatto che siano rappresentate da uomini appoggiati apertamente da chi è stato condannato per il sostengo a Cosa nostra. Parlo dell’ex senatore Dell’Utri e dell’ex Presidente della Regione Cuffaro. Mi pare davvero paradossale che non sia stato consentito a questi ragazzi di giungere fino alla fine di via Notarbartolo. Alcuni sono stati anche picchiati e una condotta violenta c’è stata anche verso alcuni ragazzi minorenni del tutto inoffensivi. Questo è inaccettabile. Che sia impedito loro di esprimere lo stesso dissenso che ha espresso Alfredo Morvillo, ex magistrato ed ex Procuratore della Repubblica a Trapani, fratello di Francesca Morvillo e cognato di Falcone che, non a caso, ha disertato la manifestazione ‘istituzionale’ manifestando anche lui critica, disprezzo e indignazione. L’espressione di quella stessa indignazione e disprezzo verso gli uomini che indegnamente rappresentano le istituzioni in Sicilia è stata oggi impedita». WORD NEWS 29.5.2023


 

Corteo 23 maggio, terza interrogazione parlamentare: “Uso sproporzionato della forza nei confronti di studenti e manifestanti”

Nuova interrogazione parlamentare su cariche e botte che hanno sporcato le commemorazioni del 23 maggio a Palermo. A presentarla alla Camera l’ex ministro del Lavoro, Andrea Orlando, e il deputato siciliano Anthony Barbagallo che al ministro Matteo Piantedosi hanno chiesto “immediate spiegazioni” sui “fatti gravissimi” avvenuti a Palermo martedì scorso e “se non ritenga di dover giustificare l’uso sproporzionato della forza nei confronti di studenti e manifestanti”.

II 23 maggio a Palermo, gli scontri tra manifestanti e le forze dell’ordine: ecco i primi video degli studenti

Bloccato da un’ordinanza che ne ha limitato il percorso, il corteo – promosso da Cgil e sindacati e comitati studenteschi e a cui hanno aderito anche Agende Rosse, Anpi, comitati e associazioni antimafia – è stato fermato a via Notarbartolo dove un cordone di agenti in tenuta antisommossa hanno impedito a chi manifestava di raggiungere l’Albero Falcone.
Preceduto dalla rovente polemica fra Maria Falcone e Alfredo Morvillo, che dalle pagine di Repubblica aveva aspramente criticato collaborazioni, rapporti e inviti  alle commemorazioni di politici che hanno incassato il sostegno di condannati per reati di mafia, così come i rapporti e collaborazione con loro, il corteo è stato bloccato con l’ordine di “non disturbare le cerimonie ufficiali”.Appuntamenti a cui hanno partecipato anche amministratori come il sindaco Roberto Lagalla, un anno fa aspramente criticato anche dalla fondazione Falcone per l’endorsement ricevuto dall’ex senatore Marcello Dell’Utri e dall’ex governatore Totò Cuffaro, e meno di un anno dopo ospite sul palco del 23 maggio.

A quel punto, si ricostruisce nell’interrogazione, “La tensione è salita ed è sfociata in manganellate e percosse contro i manifestanti, come risulta anche dai video diffusi dai media, che testimoniano, tra l’altro, di studenti a terra, spintonati e tenuti giù a forza”.

Per la prima volta, sottolineano Orlando e Barbagallo, “le manifestazioni pacifiche che attraversano la città di Palermo il giorno della strage di Capaci sono diventate terreno di scontro e di repressione della libertà di manifestare tutelata dalla nostra Costituzione”.

Da allora sono passati otto giorni, ma su quanto successo nelle strade di Palermo non è arrivato né formalmente, né informalmente alcun tipo di commento, mentre in Sicilia non si fermano né la rovente polemica fra le varie anime dell’antimafia, né le mobilitazioni.

Quella di Orlando e Barbagallo è la terza interrogazione parlamentare presentata sul tema. Nei giorni successivi alla manifestazione, sia il deputato Nicola Fratoianni alla Camera, sia il senatore Roberto Scarpinato a palazzo Madama avevano chiesto al ministro di riferire sull’operato delle forze dell’ordine in piazza, come sull’ordinanza che ha bloccato i manifestanti.


Vincenzo Musacchio scrive a Giovanni Falcone: “Chiunque deve poter arrivare davanti all’albero Falcone”

La mia solidarietà sotto forma di lettera a Giovanni Falcone e alla sua Fondazione per il tentativo delle forze dell’ordine di limitare l’arrivo all’albero dedicato al suo ricordo del corteo di studenti e sindacati con incomprensibili attimi di tensione sicuramente non consoni alla memoria di quella strage.

Gentilissimo dottor Falcone, non ho fatto in tempo a conoscerla personalmente trentuno anni fa a Roma però grazie a lei ebbi la fortuna di entrare in contatto con Antonino Caponnetto e per questo le sarò eternamente grato.

Le scrivo per manifestare a lei e alla Fondazione dedicata alla sua memoria la mia massima vicinanza per i bruttissimi e sconcertanti episodi di alta tensione verificatisi a Palermo tra forze dell’ordine e i manifestanti, proprio nel giorno delle commemorazioni della strage di Capaci.

Era dai tempi del suo funerale, di Francesca Morvillo e degli agenti della sua scorta – e io ero presente – che non c’era uno scontro frontale tra il popolo di Palermo e gli agenti dell’ordine pubblico. Vittime delle aggressioni alcuni partecipanti al corteo alternativo, quello promosso dalla Cgil, da alcune associazioni antimafia e sigle studentesche.

Era una manifestazione organizzata per dire basta “alle passerelle e alle commemorazioni ipocrite dei martiri di questo Paese”. Una voce di dissenso, aggiungerei anche fondata, che in una democrazia dovrebbe essere sempre garantita.

Il corteo avrebbe dovuto sciogliersi a poche centinaia di metri dall’albero Falcone, che è in via Notarbartolo, proprio sotto la casa da lei abitata prima che fosse assassinato in quel nefasto 23 maggio del 1992.

Le voglio far giungere tutta la mia vicinanza, perché il suo nome non può essere mai divisivo per i giovani, deve sempre unirli anche nell’eventuale dissenso. Davanti a quell’albero deve poter arrivare chiunque. Quell’albero appartiene a tutte le persone oneste. Sicuramente sarebbe stata anche la sua volontà.

Sono solidale anche con suo cognato Alfredo Morvillo: “Falcone e Borsellino non possono essere celebrati da chi convive con i collusi”. Perché, come ci ha insegnato Paolo Borsellino: “la lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.

Con immutato affetto, Vincenzo Musacchio.


VITTORIO TERESI “𝗡𝗼𝗻 𝘀𝗮𝗽𝗲𝘃𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗰𝗼𝗿𝘁𝗲𝗼 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗮𝘃𝗿𝗲𝗶 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗲𝗰𝗶𝗽𝗮𝘁𝗼 𝗰𝗼𝗻 𝗶 𝗴𝗶𝗼𝘃𝗮𝗻𝗶. 𝗠𝗮𝗿𝗶𝗮 𝗙𝗮𝗹𝗰𝗼𝗻𝗲? 𝗦𝗼𝘁𝘁𝗼𝘀𝗰𝗿𝗶𝘃𝗼 𝗼𝗴𝗻𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗼𝗹𝗮 𝗱𝗶 𝗔𝗹𝗳𝗿𝗲𝗱𝗼 𝗠𝗼𝗿𝘃𝗶𝗹𝗹𝗼”

 
AM2000 30 maggio 2023
“Il 23 maggio ho avvertito lo stesso clima del giorno dei funerali di Giovanni Falcone nella basilica di San Domenico, 31 anni fa. Allora il grido ‘fuori la mafia dallo Stato’ era la reazione di un popolo che percepiva ma non aveva contezza dei patti e delle commistioni indicibili tra una parte delle istituzioni e Cosa nostra.
Oggi è il grido d’allarme di una fetta della società civile contro il rischio di un ritorno al passato”. A dirlo, in un’intervista a La Repubblica è Vittorio Teresi, ex procuratore aggiunto a Palermo e pm nel processo trattativa Stato-mafia. Il presidente del Centro studi Paolo e Rita Borsellino si è espresso sulla repressione delle forze dell’ordine al corteo antimafia diretto in via Notarbartolo lo scorso 23 maggio per ricordare Giovanni Falcone. “La violenza di via Notarbartolo è intollerabile, rischia di essere l’inizio di una deriva molto pericolosa”, ha affermato Teresi. “È come se qualcuno avesse cercato di trasformare la memoria da momento collettivo a rito per pochi eletti. Episodi come questi aprono la strada al pensiero unico, una delle fondamenta del totalitarismo”.
Secondo Teresi “hanno cercato di mettere a tacere il dissenso. È chiaro che molti giovani erano lì anche per dire la loro sulla presenza sul palco di persone impresentabili. In un Paese democratico non ci si sottrae alle critiche, funziona così”, ha spiegato. “E, giusto per puntualizzare, Maria Falcone continua a sostenere che sotto il palco c’erano i giovani. Anche il corteo alternativo era pieno di ragazzi con una coscienza critica, non era la sfilata degli Alpini”. Dopodiché Vittorio Teresi, che come Centro studi Rita e Paolo Borsellino non è mai andato all’aula bunker o all’Albero di via Notarbartolo per ricordare la strage di Capaci, ha affermato “che quest’anno, se ci avessero contattato, avremmo partecipato al ‘contro-corteo’. Il problema è che non lo sapevamo”.
E sulle dichiarazioni di Alfredo Morvillo in merito alle passerelle dell’ipocrisia: “Sottoscrivo ogni parola dell’intervento di Alfredo Morvillo. Non possiamo consegnare la memoria a personaggi che hanno avuto un passato o hanno un presente di condivisione con la mafia. Il sindaco Lagalla o prende i voti di Dell’Utri e Cuffaro o sale sul palco del 23 maggio. Entrambe le cose non si possono fare e nessuno dovrebbe permettere che accada”, ha affermato l’ex magistrato.
E su Maria Falcone che ha detto che le istituzioni vanno rispettate, invitando chi l’ha criticata a ripassare il diritto costituzionale, Vittorio Teresi ha commentato: “Mandare a ripetizione di diritto costituzionale i magistrati Di Lello e Morvillo è una bestemmia, e mi meraviglia che queste parole arrivino da Maria Falcone. Siamo di fronte a un equivoco di fondo che molto spesso viene utilizzato come scorciatoia: il rispetto è dovuto sempre all’istituzione, non per forza a chi è stato chiamato a rappresentarla, anche se eletto”, ha spiegato l’ex pm. “Senza contare che gli enti pubblici hanno il dovere di rispettare un galateo istituzionale, mentre associazioni o fondazioni private possono scegliere

 

 

1.6.2023 Alziamo la tensione morale. Cuffaro racconti qual é l’errore che ha fatto