Lotta ai narcos oltreoceano, scatta l’alleanza anticrimine: il modello Falcone-Borsellino

 

di Sara Gandolfi 4.7.2023 CORRIERE DELLA SERA

Il programma prende il nome dai due giudici simbolo della guerra alle mafie. Iniziativa del ministero degli Affari esteri: 1700 operatori iscritti alla «scuola»

Giovanni Falcone fu il primo ad intuire che era impossibile contrastare Cosa Nostra combattendola solo in Sicilia. Il magistrato ucciso nella strage di Capaci sosteneva anche che non basta fronteggiare la criminalità transnazionale attraverso la cooperazione giudiziaria tradizionale. Rogatorie, estradizioni e via dicendo non riescono a fermare una mafia globalizzata che produce cocaina in America Latina, la stocca in America centrale, poi la trasferisce in Africa, dove la tiene pronta per invadere il mercato europeo nel momento in cui la domanda cresce. Serve una nuova partnership giuridica, fondata sulla fiducia reciproca fra Stati di continenti diversi.

L’America Latina ha dimostrato negli ultimi anni di fidarsi dell’Italia, tanto da decidere di andare a scuola dai nostri esperti di criminalità e sicurezza.
Lo dimostra il successo del programma Falcone-Borsellino, nato tre anni fa su iniziativa del ministero degli Affari esteri, e affidato per la sua esecuzione all’Organizzazione internazionale italo-latino americana (Iila), che oggi è fiore all’occhiello anche della cooperazione finanziata dalla Ue.
«Al primo webinar nel 2020 hanno aderito 275 partecipanti dell’area latino-americana e caraibica: magistrati, funzionari delle forze dell’ordine, servizi d’intelligence – quest’anno erano oltre 1700. E arrivano richiesta da Paesi neppure sollecitati, come Cuba, Nicaragua o Venezuela» spiega il magistrato Nicola Russo, coordinatore esecutivo del programma. «Che rappresentanti dei servizi di sicurezza di Cuba chiedano di partecipare ai nostri webinar è un segnale di apertura enorme».

Sono quattro i livelli di intervento, realizzati attraverso il coordinamento dei ministeri di Esteri, Interno e Giustizia, Iila, Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, Autorità nazionale anticorruzione e Consip: formazione professionale, rafforzamento istituzionale, modifica del quadro normativo e creazione del consenso della collettività, ovvero dare una spinta alla cultura della legalità.
«Il nostro obbiettivo è di portare questi Paesi ad avere un livello standard e omogeneo delle capacità di prevenzione e repressione dei fenomeni criminali», spiega il consigliere Giovanni Tartaglia Polcini, coordinatore scientifico.
«Le manifestazioni della criminalità in America Latina e nei Caraibi sono in alcuni casi identiche a quella della criminalità organizzata nel nostro Paese.
L’unica differenza è che in Italia abbiamo vissuto queste minacce con 30-40 anni d’anticipo, salvo il caso dei Cartelli colombiani attivi contemporaneamente a Cosa Nostra. E con decenni di anticipo abbiamo ammodernato il nostro quadro normativo e rafforzato il sistema istituzionale».

Ecco perché i latino-americani accettano la «lezione» dell’Italia, che ha messo a punto nel tempo strumenti efficaci di prevenzione e contrasto. «Il Costa Ricaci ha chiesto di affiancarli nell’attuazione di una legge che prevede un modello analogo alla nostra Direzione nazionale antimafia.
Il Brasile ha inserito nel codice penale una fattispecie delittuosa che è sovrapponibile al nostro articolo 416 bis del codice penale, associazione per delinquere di stampo mafioso. Ed è la prima volta che un Paese aderisce a questa nostra visione nel solco della convenzione di Palermo.
In Colombia, dove i beni confiscati venivano venduti, ora si è deciso di adottare il nostro modello normativo che destina i beni confiscati a fini sociali», aggiunge Tartaglia Polcini.

Attraverso la diplomazia giuridica e l’assistenza tecnica, si rafforza una nuova cooperazione informale. «I risultati che stanno ottenendo le forze dell’ordine italiane ed europee con sequestri di consistenti quantità di stupefacenti, dimostrano l’efficacia del nostro operato», spiega Russo. Perché “fare rete” ovviamente serve anche all’Italia. «Fino a non molte tempo fa, tranne che per alcuni epifenomeni come Escobar in Colombia o el Chapo Guzman in Messico, non si aveva una percezione reale di quanto la criminalità d’oltreoceano incidesse su giustizia e sicurezza in Europa.
Ora è chiara a tutti la necessità di attivarsi con politiche di sostegno nei confronti dell’America Latina». Con una strategia molto diversa, però, da quella utilizzata dalla Dea statunitense con fumigazioni aeree ed eradicazioni forzate che hanno solo delocalizzato la produzione di coca verso altri Paesi.
Italia ed Europa puntano invece ad affiancare questi Paesi in un rinnovamento normativo e culturale, proponendo anche alternative alla coltivazione della coca.

La globalizzazione economica, d’altra parte, ha spogliato le attività della criminalità organizzata dell’originaria dimensione “rurale”. Ormai le associazioni criminali sono una potenza transnazionale del tutto speculare a quella delle società multinazionali: così proprio il crimine organizzato, la corruzione e il crimine transnazionale siano divenuti tre capitoli fondamentali del diritto penale della globalizzazione.
In questo quadro si inserisce la Terza fase del programma Falcone-Borsellino.
Il magistrato Russo conferma la difficoltà della sfida: «La criminalità organizzata faceva formazione molto prima di noi, e la riceve. Ad esempio, gli attentati realizzati da Escobar sul volo di linea Avianca sono di poco precedenti alle nostre stragi del 1992. Un metodo inusuale per la mafia siciliana: un segnale forte allo Stato, a prescindere dal soggetto colpito».
Il programma non si occupa solo di narcotraffico. Il ministero degli Interni, ad esempio, sta assistendo nella formazione della nuova polizia civile, anche per la tutela dei diritti umani. Una spin-off del programma, lavora nei penitenziari dell’Ecuador. Risultato? In meno di un anno i morti in carcere sono crollati da 400 a meno di 40.


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