Sono sei fascicoli. Dentro ci sono parecchi fogli, frasi fino ad oggi “inedite” del “falso pentito” Vincenzo Scarantino, frammenti a puntate di un dialogo telefonico con i magistrati che lo gestivano, quando era in auge e raccontava la sua versione sulla strage di via D’Amelio, poi clamorosamente crollata e bollata come non veritiera. Le sei carpette con le trascrizioni sbobinate di recente a Roma dai carabinieri del Racis per conto della Procura di Messina, che da mesi indaga su un “pezzo” di quella storia ancora oscura del depistaggio, sono state trasmesse alla Procura di Caltanissetta. E sono passati ventisette anni. In quei fascicoli c’è tutto il contenuto che è stato possibile trascrivere dalle 19 bobine audio-video che, in originale, la Procura di Messina nei mesi scorsi aveva recuperato non senza fatica negli archivi del Tribunale di Caltanissetta. Materiale inspiegabilmente mai trattato prima, mai depositato in un processo, e che altrimenti sarebbe rimasto in un sottoscala, impolverato, per sempre. La procedura di trascrizione era cominciata il 19 giugno al Racis di Roma, e nei giorni scorsi si è conclusa. Si è trattato di un lavoro molto complesso per i superspecialisti dei carabinieri. In concreto il pool coordinato dal procuratore Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Vito Di Giorgio ha disposto il riversamento di 19 supporti magnetici contenenti registrazioni prodotte con strumentazioni dalla Radio Trevisan. L’operazione potrebbe aver comportato la distruzione di parte degli originali. A giugno la Procura di Messina retta da Maurizio De Lucia aveva notificato due informazioni di garanzia come atto dovuto, per accertamenti tecnici non ripetibili, cioè le trascrizioni effettuate a Roma, all’attuale procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia e ad Annamaria Palma, oggi avvocato generale della Corte d’appello di Palermo. Entrambi fecero parte del pool che a Caltanissetta indagò sull’attentato del 19 luglio 1992. Con l’accusa di calunnia in concorso con il falso pentito Scarantino, aggravata dal “vecchio” art. 7 della legge n. 203/91, ovvero quella di aver favorito Cosa nostra. E a quanto pare nelle trascrizioni che compaiono adesso per la prima volta e sono finalmente a disposizione di due procure, Messina e Caltanissetta, ci sarebbero prevalentemente raccolte, nero su bianco, una serie di telefonate che Scarantino ebbe all’epoca con il pm Carmelo Petralia. Nell’ipotesi accusatoria, in concorso con i tre poliziotti sotto processo a Caltanissetta, ovvero Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, i due magistrati indagati a Messina avrebbero depistato le indagini sulla strage. Un depistaggio definito clamoroso nella sentenza di primo grado del processo Borsellino quater, costato l’ergastolo a sette innocenti. Il reato contestato ai magistrati e ai funzionari di polizia è la calunnia perché i pm e i poliziotti avrebbero imbeccato tre falsi pentiti, costruiti “a tavolino”, tra cui Vincenzo Scarantino, suggerendo loro di accusare falsamente dell’attentato persone estranee. L’atto notificato a giugno era firmato dal procuratore capo di Messina Maurizio De Lucia, dall’aggiunto Vito Di Giorgio, e dagli altri due magistrati che compongono il pool creato dal capo dell’ufficio peloritano, i sostituti Liliana Todaro e Antonio Carchietti. Era un passaggio obbligato da espletare per consentire agli indagati di partecipare alle operazioni di trascrizione, dopo gli accertamenti investigativi della Dia di Catania che iniziarono a gennaio scorso, quando la Procura di Caltanissetta inviò gli atti del depistaggio sulla strage, per competenza territoriale, a Messina. Sulla strage di via D’Amelio, in quegli anni convulsi e frenetici, indagarono anche altri magistrati, come l’allora capo della Procura di Caltanissetta Giovanni Tinebra, che è deceduto, e poi anche Nino Di Matteo e Ilda Boccassini. Ma allo stato, questi mesi intensi d’indagine, secondo la Procura di Messina, hanno cristallizzato solo possibili riferimenti ai magistrati Petralia e Palma. Ilda Boccassini lasciò poi il pool in polemica con l’allora capo, Giovanni Tinebra, proprio per via della gestione di Vincenzo Scarantino. E in questi mesi, a Messina, è stato svolto parecchio lavoro per ricongiungere pezzi probabilmente ancora inediti di questa storia. Sono state sentite numerose persone informate sui fatti. Anche Fiammetta Borsellino, la figlia del magistrato ucciso, oppure lo stesso Scarantino, o ancora, in trasferta dagli Stati Uniti, il pentito Francesco Marino Mannoia. E di recente, a quanto pare, anche il magistrato Nino Di Matteo, all’epoca nel pool che indagava a Caltanissetta e oggi siede a Palazzo dei marescialli come componente del Csm. Intanto al processo sul depistaggio che si sta celebrando a Caltanissetta è un continuo susseguirsi di colpi di scena, rivelazioni, passi indietro. E si ipotizza persino la trasmissione di atti alla procura per una eventuale incriminazione di un poliziotto per le dichiarazioni rese in aula. Un altro filone, uno dei tanti, su quanto accadde prima e dopo la strage in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Che viaggia in parallelo con il processo d’appello del cosiddetto Borsellino “quater” che oggi arriva a sentenza. Alla sbarra ci sono tre poliziotti che facevano parte del gruppo investigativo “Falcone e Borsellino”, il gruppo di poliziotti che hanno indagato sul dopo stragi.MSi tratta di Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, tutti accusati di calunnia in concorso aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. Sono sempre presenti in aula, non perdono una sola udienza per seguire l’evolversi del dibattimento. L’ultimo colpo di scena è arrivato la scorsa settimana, quando un poliziotto, Angelo Tedesco, che finora aveva sempre negato di avere fatto un sopralluogo con l’ex pentito Vincenzo Scarantino a Palermo, dopo la strage Borsellino, cambia versione e annuncia di essersi ricordato “solo in questi ultimi anni” di avere fatto un sopralluogo con l’ex collaboratore di giustizia. L’ennesima rivelazione. 15.11.2019