Il legale della famiglia Borsellino all’Antimafia: indagare sulla procura di Palermo nel 1992

 


Trizzino: «Il giudice morto nella strage di via D’Amelio diceva “i colleghi mi vorranno morto”. Mai scuse dai magistrati»

 

Il «nido di vipere» potrebbe aver favorito la morte di Paolo Borsellino e avrebbe agito dall’interno degli uffici della stessa procura di Palermo.
Fabio Trizzino, l’avvocato della famiglia del magistrato assassinato da Cosa Nostra trentuno anni fa, in audizione alla commissione parlamentare antimafia alza il tiro e punta il dito contro gli ambienti della Procura di Palermo di allora, nel 1992, ponendo sullo sfondo le vicende collegate all’ormai noto dossier «mafia appalti», che sarebbe il movente delle strage di via D’Amelio.

 

Il legale (che è anche il marito di Lucia, la figlia di Paolo) riporta una dichiarazione già conosciuta ma che – dice – restava sempre incompleta. La testimonianza è quella resa dalla vedova Agnese Piraino, moglie di Borsellino, in cui lui dice: “mi uccideranno ma non sarà una vendetta della mafia.
La mafia non si vendica, forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno i miei colleghi e altri”. «Quel riferimento a “i miei colleghi” è stato costantemente espunto – sottolinea Trizzino – . Se noi incrociamo questa confidenza di Borsellino con la testimonianza del 2009 in cui si dice che lui definiva il suo ufficio “un nido di vipere”, allora dobbiamo andare a cercare dentro l’ufficio della procura di Palermo per vedere se allora si posero in atto condotte che in qualche modo favorirono quel processo di isolamento, delegittimazione, indicazione come target e obiettivo di Paolo Borsellino: sono quelle condizioni essenziali che hanno sempre proceduto gli omicidi eccellenti a Palermo».
Per questo secondo l’avvocato bisogna ora «andare a vedere se già nel ‘92 vi erano elementi sulla cui base ricostruire le dinamiche comportamentali che avevano potuto giustificare quell’affermazione incredibile.
Dinamiche che, messe in atto dall’allora procuratore di Palermo Pietro Giammanco (morto nel 2018 – ndr), resero di fatto impossibile la vita di Borsellino.
La cosa gravissima è che Giammanco non è mai stato sentito nell’ambito dei procedimenti per strage». Poi un’altra accusa, più attuale: «anche la magistratura deve essere pronta a guardare dentro di sé e a quello che ha combinato in quel frangente della storia repubblicana. In questi anni non ho mai sentito un mea culpa“
Nella sua lunga audizione, durata oltre un’ora e mezza, Trizzino cita inoltre i rapporti redatti dai carabinieri del Ros all’epoca fin dall’89, l’informativa sulla società Sirap da cui emerse lo scandalo sull’intreccio corruttivo tra ambienti politico-amministrativi e mafia, intercettazioni, sentenze e documenti inediti: insomma una serie di elementi del dossier ’mafia appaltì a cui Borsellino si stava interessando e di cui dallo scorso anno si è tornata ad occupare la procura di Caltanissetta dopo aver riaperto l’inchiesta. «Vedremo se la morte di Borsellino era veramente inevitabile», avverte il legale riferendosi alla centralità che il dossier avrebbe nella vicenda della strage di via D’Amelio. «Siamo convinti che le altre piste solcate non hanno del tutto o per niente considerato atti, documenti e prove testimoniali che potessero fornire elementi indispensabili per comprendere il contesto nel quale mio padre operava e il profondo stato di prostrazione che mio padre ha vissuto nella sua vita», ha aggiunto Lucia Borsellino, anche lei intervenuta in Antimafia. E la presidente Chiara Colosimo ha commentato: «credo che noi dovremmo chiedere perdono se non siamo riusciti in tutti questi anni a dare una risposta alle tante domande che fin qui ci avete posto. Vorrei che di questa commissione non si avesse mai a dire che non si è fatto quello che si doveva fare». GIORNALE DI SICILIA 27.9.2023