Paolo Borsellino, la figlia Lucia: “Buio istituzionale sull’agenda rossa e niente esame del Dna subito, perché?”


“I silenzi degli uomini delle istituzioni non hanno aiutato gli apparati investigativi che lavoravano sulla strage a risalire alla verità”

– “Qualunque ricostruzione dei fatti” relativi alla strage del 19 luglio 1992, nella quale persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta, “non può prescindere da riscontri documentali e testimonianze documentali raccolti con assoluto rigore metodologico: è passato troppo tempo da quella strage, per cui non siamo più disposti ad accettare verità che non rispondano a questo rigore”. Lo ha detto la figlia di Paolo Borsellino, Lucia, rivolgendosi alla presidente della commissione Antimafia, Chiara Colosimo, e ai commissari che stanno ascoltando la sua audizione a Palazzo San Macuto. “Una ricostruzione anche solo sul piano storico delle vicende che hanno caratterizzato prima e dopo la strage di via D’Amelio sconta degli ostacoli che, a nostro avviso, per il tempo trascorso sono divenuti ormai insormontabili”, ha continuato aggiungendo però: “Spero di essere smentita in questo”. Lucia Borsellino ha poi evidenziato: “Il primo ostacolo è il buio istituzionale che avvolge la vicenda della sottrazione dell’agenda rossa dalla borsa che mio padre aveva con sé il giorno della strage. Sottrazione della quale, naturalmente, risentono le indagini perché sarebbe stata una fonte inoppugnabile di informazioni che ci avrebbe consentito di avere tutti i tasselli mancanti di questa storia”.

“Quella che ci è stata consegnata in tutti questi anni, nei quali abbiamo assistito a svariate vicende processuali con sentenze passate in giudicato attraverso i tre gradi di giudizio, è la verità della menzogna: non abbiamo trovato altre frasi per appellare il depistaggio consumato sulla strage di via D’Amelio”, ha aggiunto la figlia del magistrato ucciso dalla mafia nella strage del 19 luglio 1992, nel corso della sua audizione in commissione nazionale Antimafia.

“Nonostante tutto – ha sottolineato – il nostro rispetto e la nostra fiducia nei confronti della magistratura, degli apparati investigativi e delle istituzioni nel loro complesso è stata massima e non è mai venuta meno. Noi siamo cresciuti a pane e istituzioni, siamo figli e nipoti di un magistrato – ancora Lucia Borsellino -. La magistratura è stata la nostra casa e non potevamo venire meno al principio che ha guidato la nostra vita, ma dopo 31 anni di riserbo non possiamo vederci negato il diritto di porci e di porre domande”.

FIGLIA LUCIA: SILENZI UOMINI ISTITUZIONI NON HANNO AIUTATO

 “Un altro aspetto che abbiamo constatato in tutti questi anni sono il silenzio e i ‘non ricordo’ di molti uomini delle istituzioni che non ci hanno consentito risalire ai veri responsabili del depistaggio sulla strage di via D’Amelio”, puntualizza Lucia Borsellini. “Questi silenzi non hanno aiutato gli apparati investigativi che lavoravano sulla strage a risalire alla verità, ai responsabili del depistaggio stesso, ai mandanti occulti e ai responsabili morali della strage”. La figlia del magistrato ha poi evidenziato: “Non ci è dato sapere come mai non fu fatto, nell’immediato della strage, l’esame del Dna sulla borsa di mio padre, visto che l’esplosione non l’aveva distrutta“.

E ancora: “Mi risulta che per la strage di Capaci questo esame venne fatto. Dopo venti anni, però, la nostra famiglia fu sottoposta a un prelievo salivare per eseguire un esame che dopo tutto quel tempo era assolutamente inattendibile. Ad ogni modo – ha aggiunto – non abbiamo avuto neanche l’esito”.

FIGLIA LUCIA: ABBIAMO RICEVUTO MINACCE ANCHE DOPO LA STRAGE

 “La nostra famiglia non è stata mai risparmiata dalle minacce”, ha raccontato la figlia del magistrato. “Mio padre ci teneva spesso all’oscuro della lettura di queste minacce, alcune delle quali sono arrivate anche a casa, ma sicuramente, nel modo scherzoso come lui sapeva fare, ce ne rendeva edotti”. Lucia Borsellino ha poi ricordato: “Noi avevamo rifiutato di vedere la nostra vita blindata. La scorta proteggeva papà, mentre noi la maggior parte delle volte camminavamo da soli, ma lui riteneva giusto che fossimo pienamente consapevoli che i rischi che potevamo correre da adolescenti non erano gli stessi dei nostri coetanei”. La figlia di Paolo Borsellino ha infine evidenziato che un episodio di minacce si verificò “anche dopo la strage del 19 luglio”: fu “fortunatamente isolato” e accadde “nell’immediato periodo successivo alla strage”. Tra le “varie lettere di solidarietà arrivate da tutto il mondo – ha ricordato – ne è arrivata anche qualcuna con delle croci segnate con il carbone”. Una di queste “fu consegnata alla Procura ma, trattandosi di anonimi, potevano anche essere dei mitomani”.

BORSELLINO. FIGLIA LUCIA: ASINARA UNO DEI POCHI MOMENTI CON STATO VICINO

“Il periodo del soggiorno all’Asinara, che ci vide coinvolti con la famiglia di Giovanni Falcone, fu uno dei pochi momenti in cui abbiamo sentito lo Stato vicino”, ricorda la figlia del magistrato ucciso nella strage di via D’Amelio, che nel corso della sua audizione in commissione Antimafia è tornata con la mente ai giorni nei quali la sua famiglia, e quella di Giovanni Falcone, furono trasferite per motivi di sicurezza sull’isola dell’Asinara. “Un’esperienza traumatica, perché la prima volta fummo prelevati da casa e portati in una località segreta”, ha aggiunto Lucia Borsellino che poi ha aggiunto: “Quando si è cominciato ad avvertire fortemente il rischio per la vita di papà, fummo noi a dirgli, con grande consapevolezza, che era arrivato forse il momento di chiedere di andare via da Palermo, anche per un certo periodo, visto che nessuno ce lo diceva“. La figlia di Paolo Borsellino ha quindi riportato la risposta del padre a quella sollecitazione: “Lui ci disse che avrebbe accettato purché gli avessero consentito di portare con sé anche la madre, mia nonna”. Una circostanza che ha portato la figlia del magistrato a concludere: “Da quella frase ho capito che mio padre aveva anche paura. Non è vero che non avesse paura, era un uomo come gli altri e accanto al coraggio aveva anche la normale paura del distacco dai propri cari”.

SCARPINATO: DAL LEGALE TRIZZINO PAROLE IN PIÙ PUNTI INESATTE

 “Non farò alcuna domanda sulle parti delle dichiarazioni dell’avvocato Trizzino nelle ha fatto riferimento alla mia persona: questo per ragioni di eleganza istituzionale e anche perché, tenuto conto dell’esiguo tempo a mia disposizione, ritengo di dovermi concentrare soltanto sulle questioni rilevanti. Ho fatto questa premessa affinché il mio silenzio non venga frainteso come acquiescenza alle dichiarazioni dell’avvocato Trizzino, che ritengo in più punti inesatte”. A dirlo è stato il senatore del Movimento cinque stelle, Roberto Scarpinato, intervenendo nel corso dell’audizione della figlia di Paolo Borsellino, Lucia, e del legale della famiglia del magistrato ucciso in via D’Amelio, Fabio Trizzino, in commissione parlamentare Antimafia.

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