L’avvocato di Salvatore Borsellino: “L’agenda rossa l’ha sempre avuta lo Stato”

 

L’intervista di Fanpage.it all’avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino, nel giorno dell’anniversario della strage di via D’Amelio in cui morì il giudice Paolo Borsellino e i suoi agenti della scorta.

 
Era il 19 luglio del 1992. A Palermo la terrà tremò in via D’Amelio, 57 giorni dopo aver già tremato in autostrada allo svincolo per Capaci. In quella calda giornata d’estate siciliana morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Le indagini sulla strage di via D’Amelio vengono considerate il più grande depistaggio della storia d’Italia. Perché non si è mai arrivati a scoprire se vi fossero, e chi fossero, i mandanti esterni di Cosa Nostra della strage? Cosa resta ancora oggi di irrisolto? E chi è ancora vivo e potrebbe parlare? A Fanpage.it spiega tutto l’avvocato di Salvatore Borsellino, il legale Fabio Repici.

Il 26 settembre del 1992 su disposizione del capo della Squadra Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera venne sottoposto a misura cautelare Vincenzo Scarantino, perché considerato uno degli esecutori materiali della strage di via D’Amelio e quindi importante membro di Cosa Nostra. Processi e indagini negli anni non riconosceranno il suo coinvolgimento nella strage, qui è il centro del depistaggio?

Bastava guardare gli atti di polizia e tutti gli archivi della Procura per capire subito che l’ipotesi che Scarantino fosse coinvolto nella strage, e addirittura con ruolo di rilievo, era assurda. Le dichiarazioni sul suo conto erano assolutamente farlocche perché basate sulle parole di Salvatore Candura, in carcere per violenza sessuale, ritenute poi assolutamente non attendibili.

I riscontri sulle dichiarazioni venivano poi ricostruisti dalla Squadra Mobile di Palermo con a capo Arnaldo La Barbera. Qui arriviamo a un altro punto determinante: Arnaldo La Barbera era arrivato a Palermo nell’agosto del 1988 ed era stato già protagonista di un altro depistaggio che riguardava l’omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie incinta Ida Castelluccio. La polizia impostò le indagini dichiarando che l’unica causale di quel delitto era una pista passionale. L’omicidio sarebbe stato voluto dalla famiglia di un’ex fidanzata del poliziotto. A uccidere Nino Agostino e la moglie la storia dirà che sarà Cosa Nostra.

Sulla strage di via D’Amelio le indagini si concentrarono su Scarantino. Nell’estate del 1993 Scarantino, dopo essere stato arrestato, fu portato al carcere di Venezia dove venne messo in cella con un confidente di Arnaldo La Barbera, ovvero un rapinatore veneziano. L’intenzione era quello di provocare delle confessioni, seppur false, a Scarantino. Ma il rapinatore aveva confermato che il suo compagno di cella non sapesse nulla sulla strage. Non contenti, Scarantino fu trasferito al carcere di Busto Arsizio in cella con un ergastolano: quest’ultimo poco dopo ha raccontato di aver raccolto le confessioni di Scarantino dando indicazioni sulla fase esecutive della strage di via D’Amelio. Tutto falso.

Perché quindi tutto questo accanimento su Vincenzo Scarantino?

Perché bisogna trovare qualcuno su cui costruire una falsa collaborazione che servisse a dare vita al più grande depistaggio della storia giudiziaria d’Italia. Non potevano scegliere un vero uomo d’onore di Cosa Nostra a collaborare con la giustizia e fare dichiarazioni false accusando i suoi associati. Ci voleva una persona fragile, estranea a Cosa Nostra: Scarantino era un piccolo criminale siciliano ma nulla a che vedere con l’organizzazione criminale.

La strategia riuscì il 24 giugno 1994 quando Scarantino inizia a rendere dichiarazioni mentre si trovava al carcere di Pianosa. Per convincerlo a dare false collaborazioni venne rinchiuso al 41 bis in condizioni disumane. Tutto confermato poi durante il processo Borsellino Quater da importanti collaboratori di giustizia come Giovanni Brusca e Gaspare Spatuzza: questi dichiararono che Scarantino era stato sottoposto a vere torture pur di farlo parlare.

Chi scoprì il depistaggio?

Lo svelò il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza durante il processo Borsellino Quater: il depistaggio non è stato scoperto dallo Stato ma da un uomo di Cosa Nostra. Spatuzza disse che nel garage dove venne preparata l’auto con l’esplosivo non ci fossero solo gli uomini della mafia, ma anche un (o più) rappresentate dello Stato. Nelle sue dichiarazioni Scarantino parla solo di uomini di Cosa Nostra.

Chi si voleva proteggere con i depistaggi?

Con Scarantino si è costruito un processo in cui scomparivano le deviazioni istituzionali. La sentenza del Borsellino Quater lo conferma: il depistaggio su via D’Amelio è stato finalizzato a tenere nascoste le complicità di esponenti delle istituzioni. Perché è evidente che La Barbera ha potuto fare quello che ha fatto avendo sopra di lui una filiera gerarchia che lo indirizzava in tutto. Grazie a quella attività di depistaggio La Barbera fece una brillante carriera. Non venne mai indagato: morì nel 2002, Spatuzza iniziò a parlare nel 2008.

A distanza di anni quali sono i misteri irrisolti della strage di via D’Amelio? 

Mancano i nomi dei mandanti esterni a Cosa Nostra. Mancano i mandanti dei depistaggi che appartengono ai vertici del Viminale, della polizia.

Chi è che oggi sa questi nomi ed è ancora vivo per parlare?

Uno che ben potrebbe parlare e lo ha dimostrato con la sua strategia di ricatti è Giuseppe Graviano. I comportamenti di Giuseppe Graviano con quelle sue dichiarazioni lanciate a brandelli sono gli ultimi tentativi di ricatto che riesce a fare per cercare di essere salvato da qualcuno che lo ritiene possa essere in grado di farlo uscire dal carcere.

Graviano in alcune sue dichiarazioni ha fatto il nome di Silvio Berlusconi, l’ex premier poteva “salvarlo”? Berlusconi sapeva i nomi dei mandanti esterni a Cosa Nostra su via D’Amelio?

Non c’è dubbio che Graviano abbia fatto il nome di Silvio Berlusconi nella intercettazioni mentre parlava con il suo compagno di cella. Sono convinto però che l’uomo decisivo nello snodo tra il mondo berlusconiano e Cosa Nostra si chiama Marcello Dell’Utri. Lo dice una sentenza della Cassazione: Dell’Utri ha avuto un contatto con i fratelli Graviano.

Oggi c’è una possibilità che qualche uomo politico “salvi” Graviano?

Le richieste partono dall’ultimo anello, da chi dice che non resiste più in carcere. Via via si sale la catena e si può arrivare al centro del potere. La storia ci insegna che la mafia è diventata potente perché è stata il braccio armato del potere politico. In questo Paese, però, il carico di certe lotte ricade quasi sempre sulle spalle dei famigliari delle vittime.

Oggi osservo un fenomeno pericolosissimo. Si è creata una saldatura tra un certo mondo dello stragismo eversivo di estrema destra e un certo mondo della alta mafia, dei vertici di Cosa Nostra e delle altre importanti organizzazioni criminali. E un certo mondo fraudolentemente che si può definire garantista.

Matteo Messina Denaro sa ma non parlerà mai sulla strage di via D’Amelio?

Certo che Matteo Messina Denaro sa, ma per lui sono scattate le manette quando le sue condizioni di salute non gli permetteranno molti altri anni da vivere.

Se potesse fare un’unica domanda sulla strage di via D’Amelio a Matteo Messina Denaro quale sarebbe?

Lui conosce alcuni dei nomi dei responsabili istituzionali della strage. Basterebbe fare questi nomi. Ma non li farà mai.

Altro mistero è l‘agenda rossa, chi l’ha preso subito dopo la strage? 

Sull’agenda rossa abbiamo un elemento indiscutibile: una fotografia e delle immagini video che mostrano un allora militare dei carabinieri prendere la borsa di Borsellino estratta dall’auto in fiamme e portarla fuori da via D’Amelio. Non vi è dubbio quindi che l’agenda rossa sia stata prelevata da mani dell’Arma dei carabinieri.

L’agenda rossa è stata mai utilizzata dopo la strage?

Non vi è dubbio anche che sia stata utilizzata in questi decenni per fare i peggiori ricatti. E non c’è dubbio che sia stata sottratta per questo. Paolo Borsellino è stato ucciso prima di essere sentito dalla Procura di Caltanissetta come testimone della strage di Capaci. Se non fosse stata sottratta l’agenda rossa l’eliminazione di Borsellino sarebbe stato un mezzo fallimento perché le parole del giudice scritte a penna sull’agenda rossa avrebbero avuto un peso devastante.

L’agenda rossa oggi è in mano a Cosa Nostra o allo Stato?

È ovvio che almeno l’originale ce l’ha qualche soggetto istituzionale. Non credo alle dichiarazioni di Graviano e Baiardo sul loro possesso di una copia dell’agenda rossa: è certo che non hanno l’originale e non vedo per quale motivo personaggi del potere legale avrebbero potuto cedere una copia mettendosi così sotto ricatto.

L’agenda rossa dove si trova secondo lei: a Roma o a Palermo?

È stata al centro del potere e lì è rimasta.

 

Giorgia Venturini FANPAGE 19.7.2023