Mafia-appalti, quel fascicolo archiviato su Gardini
Mafia- appalti. Inviato ad agosto del ’ 91 dalla procura di Massa Carrara, ma il primo giugno del 1992 fu archiviato e le relative intercettazioni furono smagnetizzate
Dietro le stragi del 1992- 93 ci sarebbe stata la volontà di Cosa nostra di impedire ogni inchiesta sul monopolio degli appalti, ed è quello che era emerso in una vecchia inchiesta della Procura di Caltanissetta che però chiese l’archiviazione in mancanza di elementi idonei a sostenere in giudizio l’accusa a carico dei cosiddetti “mandanti occulti”.
L’inchiesta sul famoso dossier mafia- appalti subì la stessa sorte a Palermo a pochi giorni dalla strage di via D’Amelio.
A questo si aggiunge un altro fascicolo, arrivato nell’agosto del 1991 alla Procura di Palermo a firma di Augusto Lama, l’allora sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa Carrara, che riguardava presunti rapporti tra la mafia siciliana e il gruppo Ferruzzi, all’epoca proprietario della Sam- Imeg, due società che controllavano il 65% delle cave e della lavorazione del marmo di Carrara.
Anche questo fascicolo, però, fu archiviato a Palermo il primo giugno del 1992, subito dopo la strage di Capaci e le relative intercettazioni furono smagnetizzate.
L’ipotesi che dietro le stragi ci sia stata la volontà di fermare le inchieste sui rapporti tra imprenditori e mafia rimane ancora a galla, confermata d’altronde nella sentenza n. 24/ 2006 della Corte di Assise di Appello di Catania e confermata in Cassazione. Parliamo di una sentenza che riguarda esattamente i processi per le stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Scrivono i giudici che Falcone e Borsellino erano “pericolosi nemici” di Cosa nostra in funzione della loro «persistente azione giudiziaria svolta contro l’organizzazione mafiosa» e in particolare con riguardo al disturbo che recavano ai potentati economici sulla spartizione degli appalti.
Motivo della “pericolosità” di Borsellino? La notizia che egli potesse prendere il posto di Falcone nel seguire il filone degli appalti. Tale ipotesi è stata anche riportata, come oramai è noto, nella motivazione della sentenza di primo grado del Borsellino quater.
A differenza, però, della motivazione della sentenza di primo grado sulla presunta trattativa Stato- mafia dove si legge che non vi è la «certezza che Borsellino possa aver avuto il tempo di leggere il rapporto mafiaappalti e di farsi, quindi, un’idea delle questioni connesse».
I fatti però sembrano dire altro.
Non solo Borsellino, quando era ancora alla procura di Marsala, chiese subito copia del dossier mafia- appalti redatto dagli ex Ros e depositato nella cassaforte della Procura di Palermo sotto spinta di Giovanni Falcone, ma mosse dei passi concreti per indagare informalmente sulla questione, tanto da incontrarsi in caserma con il generale dei Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno per ordinargli di proseguire le indagini e riferire esclusivamente a lui.
MAFIA – IMPRESE NAZIONALI E LE BOMBE
Il dossier – mafia appalti fu archiviato dopo la strage di via D’Amelio. Dagli atti emerge che la richiesta, scritta nel 13 luglio 1992 dalla Procura palermitana, fu vistata dal Procuratore Capo e inviata al Gip il 22 luglio.
L’archiviazione fu disposta il successivo 14 agosto dello stesso anno, con la motivazione «ritenuto che vanno condivise le argomentazioni del Pm e che devono ritenersi integralmente trascritte»
Nel dossier compaiono diverse aziende che avrebbero avuto legami con la mafia di Totò Riina, comprese quelle nazionali. Tra le quali emerge anche il coinvolgimento della Calcestruzzi Spa di Raul Gardini. Tra l’altro, lo stesso Borsellino, ebbe conferma del coinvolgimento di tale impresa durante l’interrogatorio del primo luglio del 92 reso dal pentito Leonardo Messina.
Viene alla mente la frase pronunciata dal suo amico Falcone quando il gruppo Ferruzzi venne quotato a Piazza Affari: «La mafia è entrata in borsa».
Fu il periodo in cui il gruppo Ferruzzi – in pochi anni comprato e trasformato da Raul Gardini in un gruppo prevalentemente industriale -, unito con la Montedison divenne il secondo gruppo industriale privato italiano con ricavi per circa 20.000 miliardi di lire, con 52.000 dipendenti e più di 200 stabilimenti in tutto il mondo.
I rapporti tra Ferruzzi e mafia sono stati ben argomentati nelle 45 pagine della richiesta di archiviazione presentata il 9 giugno 2003 dall’allora procuratore capo di Caltanissetta Francesco Messineo al gip nisseno per uno dei filoni di inchiesta sulle stragi di Capaci e via D’Amelio, nel quale si è affrontato, tra l’altro, anche il suicidio di Gardini.
In questo atto la Procura di Caltanissetta ha affermato che per interpretare gli omicidi dei due giudici risultano importanti le dichiarazioni del pentito Angelo Siino, considerato il ‘ ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra’, che indicavano la Calcestruzzi come la società che si prestava a favorire gli interessi della mafia.
La ditta, in particolare, avrebbe partecipato alla maxi speculazione di Pizzo Sella, la magnifica collina che sovrasta il golfo di Palermo, costruendovi 314 ville completamente abusive, simbolo dello strapotere mafioso sulla città.
Sembra che Falcone e Borsellino avessero scoperto l’interesse strategico nutrito da Cosa Nostra per la gestione degli appalti pubblici. Gli appalti pare fossero così importanti per la mafia anche ai magistrati nisseni che, nell’inchiesta chiamata “mandanti occulti”, gettarono un’ombra sul timore che Cosa nostra sembrava avere sulla prosecuzione delle indagini.
D’altronde, ricordiamo, l’ex pm Antonio Di Pietro ricevette l’informativa di essere sotto minaccia mafiosa.
Lui che, in piena tangentopoli, avrebbe dovuto sentire Raul Gardini, ma quest’ultimo si suicidò il 23 luglio del 1993.
La bomba mafiosa di Milano, esplosa all’indomani dei funerali in via Palestro, ha qualche legame con ciò? Non si sa, ma dagli atti risulta che gli attentatori sbagliarono bersaglio di alcune centinaia di metri. E Palazzo Belgioioso, residenza di Gardini, era poco lontano.
A guidare Gardini in quest’affare tutto ancora da chiarire sarebbe stato un vecchio socio di suo suocero Serafino Ferruzzi, Lorenzo Panzavolta, detto ‘ Il Panzer’, comandante partigiano, dirigente delle cooperative rosse di Ravenna e presidente della Calcestruzzi, il quale gli avrebbe spiegato che per questa società c’era la possibilità di prendersi tutti gli appalti pubblici siciliani, alleandosi, però, con i fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, molto legati a Totò Riina, che dal 1982 entrarono direttamente nella proprietà della ditta.
In ballo c’erano investimenti miliardari e relazioni fondamentali per il potere mafioso, che andavano quindi difese a tutti i costi.
DA MASSA CARRARA A PALERMO
Ritornando agli inizi anni 90, mentre era già stato depositato il dossier mafia- appalti dove, appunto, compariva la Calcestruzzi Spa, ovvero il colosso delle opere pubbliche, leader italiano del settore posseduto dall’ancora più potente famiglia Ferruzzi ma, secondo anche il pentito Messina, controllato da Totò Riina -, arrivò sul tavolo della procura di Palermo un secondo fascicolo a firma di Augusto Lama, l’allora sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa Carrara.
Cosa aveva scoperto? Intuì il legame tra la mafia siciliana ed il gruppo Ferruzzi, all’epoca proprietario della Sam- Imeg, due società che controllavano il 65% delle cave e della lavorazione del marmo di Carrara.
All’epoca Gardini ebbe dall’Eni un’offerta di favore.
Il primo grande affare si presentò con un contratto per la desolfazione delle centrali Enel, per cui il carbonato di calcio di Carrara era essenziale.
Valore del contratto era di tremila miliardi di lire di allora. Eravamo alla fine degli anni Ottanta. Ma poi, invece, tutto precipitò.
A Carrara, le cose non andavano bene.
Antonino Buscemi aveva preso il controllo delle cave e a gestirle aveva mandato il cognato, Girolamo Cimino.
Più un altro parente, Rosario Spera. I siciliani cominciarono a porre condizioni vessatorie ai cavatori, che trovarono come unico difensore il loro presidente onorario, il comandante partigiano della zona, Memo Brucellaria. Fu allora che il procuratore Augusto Lama cominciò ad indagare.
Per competenza, nell’agosto del 1991, il fascicolo fu trasferito alla Procura di Palermo. ll procedimento iniziato a Massa Carrara, a carico di Antonino Buscemi, fu però archiviato a Palermo il primo giugno del 1992, subito dopo la strage di Capaci e le relative intercettazioni furono smagnetizzate.
Sempre nell’inchiesta “mandanti occulti”, il pm nisseno ha sottolineato che la magistratura palermitana, in quel periodo ben preciso «probabilmente per il limitato bagaglio di conoscenze a disposizione, non attribuì soverchia importanza alla connessione Buscemi- Gruppo Ferruzzi».Damiano Aliprandi IL DUBBIO 15.11.2019 aggiornato 17.2.2023
Il giudice Augusto Lama, all’epoca pm, ripercorre gli anni bui delle infiltrazioni delle cosche alle cave a fine Anni ’80
CARRARA. «Il dottor Lama era un uomo tutto d’un pezzo, grande investigatore ed eccellente pubblico ministero, che per le indagini poste in essere in quei tempi fu accusato (per avere coinvolto la stampa) da poteri forti, da esponenti di logge massoniche ed addirittura da politici di spicco e anche dal Consiglio Superiore della Magistratura, dai cui procedimenti disciplinari ne è uscito sempre a testa alta. Erano palesi le pressioni politiche contro un Magistrato che non aveva guardato in faccia a nessuno e si era messo contro le più importanti famiglie industriali del tempo, legate (…) a Cosa Nostra e ad esponenti apicali dell’allora partito socialista».
Così l’ex maresciallo della Guardia di Finanza Piero Franco Angeloni descrive il giudice Augusto Lama nel suo libro “Gli anni bui della Repubblica“, edito da Book Sprint. Il volume, riproducendo molti documenti estremamente interessanti, ricostruisce l’indagine sulle infiltrazioni mafiose alle cave di Carrara, che Lama, all’epoca sostituto procuratore della Repubblica a Massa, aveva avviato nei primi anni ’90.
Angeloni era stato braccio destro di Lama in questa inchiesta, che fu bloccata quando il ministero della giustizia, guidato all’epoca dal socialista Claudio Martelli, aprì un procedimento disciplinare contro il magistrato, sulla base di un esposto che censurava le sue esternazioni su possibili coinvolgimenti del gruppo Ferruzzi con la mafia.
Abbiamo chiesto un approfondimento su questa delicata vicenda allo stesso Lama, ancora oggi in servizio a Massa, come giudice tributario e del lavoro.
Raggiungiamo il magistrato in Tribunale, dove, tra un’udienza e l’altra, ci accoglie con estrema cortesia e disponibilità, accettando volentieri di tornare su quei fatti e su altre importanti inchieste da lui condotte in qualità di pubblico ministero.
Giudice Lama lei è stato il primo ad intuire il legame tra la mafia siciliana ed il gruppo Ferruzzi, all’epoca proprietario della Sam-Imeg, due società che controllavano il 65% delle cave carraresi. Come ricorda quella fase della sua carriera?
«Quella sulla presenza della mafia a Carrara è un’indagine che per è stata fonte sia di soddisfazioni che di amarezze. Le prime derivano dal fatto che, come è stato in seguito riconosciuto anche dalla procura di Palermo e dalla Direzione nazionale antimafia, la pista da me seguita era quella giusta.
Le amarezze, invece, furono conseguenti all’essere finito a mia volta sotto inchiesta, con l’accusa di aver rivelato ai giornalisti alcuni particolari dell’indagine».
Come finì?
«Alla fine emerse la correttezza del mio operato e venni assolto. L’avvocato che mi difese era Vito Francesco Palma, oggi senatore di Forza Italia».
Nel libro di Angeloni si parla anche di un’altra indagine di portata nazionale legata al sequestro di una nave, che 30 anni fa la vide ancora protagonista in veste di sostituto procuratore di Massa-Carrara. Di cosa si trattava?
«Era un’inchiesta sul terrorismo mediorientale collegato al traffico di armi e droga, avviata dopo il sequestro del Boustany, un mercantile libanese bloccato al largo di Bari ad inizio settembre del 1987, con a bordo armi, eroina e hashish. Al Boustany era poi legato anche un vasto traffico di titoli di Stato».
Quali erano i risvolti apuani di questa vicenda?
«Nel corso dell’indagine fu arrestato anche il titolare di un’agenzia di import-export di Marina di Carrara».
Su quali altri grossi casi ha lavorato?
«Quando ero pm a Massa siamo stati una delle prime procure ad indagare sul traffico illecito di rifiuti tossici e sullo sfruttamento delle prostitute nigeriane. Rilevante fu anche l’operazione che nel 1985 portò alla scoperta di una centrale internazionale della droga sulle colline di Montignoso, con il sequestro di 150 chili di cocaina. Nel 1991, quando a Cinquale fu arrestato Marco Camenisch, ho indagato sugli anarchici e sugli attentati ai tralicci dell’energia elettrica. Nella seconda metà degli anni ’90 ho lavorato anche a Lucca, dove mi sono occupato dei Casalesi».
Ha mai subito attentati o ricevuto minacce?
«Nel 1987 ho viaggiato per qualche tempo con la scorta. Una volta si temette che vi fosse una bomba piazzata sotto la mia auto, ma l’allarme, per fortuna, si rivelò infondato».
Oggi lei si occupa di giustizia tributaria e del lavoro, ma in qualità di cittadino che idea si è fatto riguardo al rischio di nuove infiltrazioni mafiose nella nostra provincia? Il pericolo esiste ancora?
«Negli ultimi anni alla mafia sono stati inflitti duri colpi. Questo la obbliga a tenere un basso profilo, impedendole di agire come faceva un tempo. Tuttavia, è chiaro che occorre restare vigili, perché quello delle infiltrazioni è un rischio che non si può escludere».
IL TIRRENO 24.1.2017
FABIO Trizzino: MAFIA-APPALTI e il GRUPPO FERRUZZI