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L’auto ha il motore spento. In un anonimo parcheggio di Losone, a ridosso del motel dove ha prenotato una stanza, un uomo aspetta e fuma.
Nel buio della notte si avvicina qualcuno. Si fa aprire la portiera e spara.
Un colpo di pistola alla nuca. Un’esecuzione. Sul selciato a ridosso della portiera il killer lascia un proiettile destinato a chi era scampato a quella mattanza: un poliziotto ticinese, Fausto Cattaneo, infiltrato nei cartelli della droga. L’ultimo che lo aveva visto vivo poche ore prima.
Lui si chiama Alessandro Troja. Ha una somiglianza straordinaria con l’attore Jean Gabin e un passato giudiziario pesante, ma da qualche tempo è passato dall’altra parte della barricata. È diventato un informatore della polizia.
Si capisce subito che quella esecuzione è un omicidio di mafia, il primo e l’unico mai avvenuto in Ticino. Era il 1990. Da noi la mafia non uccide, non regola i suoi conti, agisce in silenzio.
Il Ticino e le sue fiduciarie servivano a un grande disegno: riciclare i soldi della droga.
Valigie piene di dollari stropicciati provenienti dagli Stati Uniti attraversano la dogana di Chiasso per raggiungere le casseforti di banche e fiduciarie. Quel fiume di soldi nasconde un’attività gestita dalla mafia, sulla quale indagano i magistrati svizzeri e italiani. Un’indagine dal nome bizzarro: Pizza Connection.
Un’inchiesta articolata che si svolge dalla fine degli anni 80 tra gli Stati Uniti, l’Italia e la Svizzera. Una rete di pizzerie controllate dai boss della mafia funge da terminale del traffico di droga.
I soldi, come d’abitudine, arrivano in Svizzera. In quegli anni nella Confederazione non esisteva il reato di riciclaggio e quel fiume in piena di denaro che passava sotto gli occhi di tutti finiva nelle nostre banche.
Tutto alla luce del sole. Fino a quando un giovane procuratore, Paolo Bernasconi, tenta un azzardo giuridico: punire i trasportatori e i cambisti di valuta alla stregua dei trafficanti di droga.
L’obiettivo: riuscire a dimostrare che quelle transazioni di denaro, apparentemente legali, servivano a finanziare il narcotraffico che collegava la Svizzera alla Turchia, all’Italia e agli Stati Uniti.
Tra l’85 e l’86 si aprono i processi. A New York, a Palermo e a Lugano. Processi che portano alle condanne di mafiosi di primo piano come Gaetano Badalamenti.
Ma anche di gregari di tutto rispetto, i riciclatori di denaro sporco sulla piazza di Lugano e Zurigo: tra loro i trasportatori di valuta ticinesi e gli organizzatori del traffico collegati alle organizzazioni mafiose.
Tra i condannati anche un siciliano, attivo da anni in Ticino e vicino alle organizzazioni mafiose. Dopo l’arresto però non sconterà tutta la sua pena nel carcere della Stampa: un anno dopo la condanna – è il 1986 – ottiene un permesso premio e fugge in Sudafrica con un passaporto svizzero intestato al suo compagno di cella.
Oggi, dopo avere scontato una lunga pena detentiva in Italia, è tornato a commerciare in diamanti, ma non ha mai svelato i tanti segreti del riciclaggio ticinese e della Pizza Connection. RSI 11.12.2023
In quegli anni nella Confederazione non esisteva il reato di riciclaggio e quel fiume in piena di denaro che passava sotto gli occhi di tutti finiva nelle nostre banche. Tutto alla luce del sole. Fino a quando un giovane procuratore, Paolo Bernasconi, tenta un azzardo giuridico: punire i trasportatori e i cambisti di valuta alla stregua dei trafficanti di droga. L’obiettivo: riuscire a dimostrare che quelle transazioni di denaro, apparentemente legali, servivano a finanziare il narcotraffico che collegava la Svizzera alla Turchia, all’Italia e agli Stati Uniti. Tra l’85 e l’86 si aprono i processi. A New York, a Palermo e a Lugano. Processi che portano alle condanne di mafiosi di primo piano come Gaetano Badalamenti. Ma anche di gregari di tutto rispetto, i riciclatori di denaro sporco sulla piazza di Lugano e Zurigo: tra loro i trasportatori di valuta ticinesi e gli organizzatori del traffico collegati alle organizzazioni mafiose. Tra i condannati anche un siciliano, attivo da anni in Ticino e vicino alle organizzazioni mafiose. Dopo l’arresto però non sconterà tutta la sua pena nel carcere della Stampa: un anno dopo la condanna – è il 1986 – ottiene un permesso premio e fugge in Sudafrica con un passaporto svizzero intestato al suo compagno di cella. Oggi, dopo avere scontato una lunga pena detentiva in Italia, è tornato a commerciare in diamanti, ma non ha mai svelato i tanti segreti del riciclaggio ticinese e della Pizza Connection.