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Seduta n. 27 di Giovedì 18 gennaio 2024. TESTO DEL RESOCONTO STENOGRAFICO
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CHIARA COLOSIMO
La seduta comincia alle 14.15.
Audizione del dottor Augusto Lama
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione del dottor Augusto Lama, che ringrazio per la disponibilità. Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell’audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione. I lavori potranno proseguire in forma segreta, a richiesta dell’audito o dei colleghi. In tal caso non sarà più consentita la partecipazione da remoto e verrà interrotta la trasmissione via streaming sulla web-tv.
Dottor Lama, il motivo per cui abbiamo ritenuto di audirla è che all’inizio degli anni Novanta lei ha condotto un’indagine riguardante le infiltrazioni mafiose nelle zone di estrazione del marmo di Massa Carrara. Nel corso dell’inchiesta che la Commissione sta svolgendo in merito alla strage di via D’Amelio, si è più volte fatto riferimento a questa sua indagine e vorremmo che lei ci spiegasse com’è nata la sua indagine, come si è svolta e quali esiti ha prodotto.
Do dunque la parola al dottor Lama.
AUGUSTO LAMA. Ringrazio anzitutto per l’invito a questa audizione. Passo senz’altro a spiegare ciò che mi è stato richiesto, non mancando peraltro di precisare in premessa che eventuali omissioni o difformità rispetto a qualche mia precedente dichiarazione sono motivate dal fatto che ho dovuto faticosamente ricostruire le carte di questo procedimento, perché, dopo l’incidente professionale del 1992 con l’apertura di un procedimento disciplinare a mio carico, l’inchiesta che promosse l’allora Ministro di grazia e giustizia, onorevole Martelli, e le vicende che l’accompagnarono, io dovetti astenermi, come spiegherò diffusamente più avanti. Dopo la mia astensione, le carte mi furono sottratte e soprattutto non mi fu più consentito di averne alcun accesso, salvo per una relazione finale al mio allora procuratore capo, dottor Duino Ceschi. Per cui le carte le ho dovuto ricostruire con qualche mia iniziativa personale, presso il mio ex ufficio della Procura di Massa e presso quello della Procura di Lucca, e con l’aiuto dell’avvocato Trizzino e del maresciallo Pierfranco Angeloni, che è un po’ una memoria storica di questa indagine, perché ha continuato a occuparsene anche successivamente e ne ha fatto come un suo punto di onore. Per me, invece, vuoi le amarezze personali che mi avevano accompagnato, vuoi il lunghissimo tempo trascorso da allora, oltre trent’anni, su questa vicenda era sceso un po’ di oblio e quindi ho dovuto piano piano ricostruirla nelle modalità che ho spiegato. Eventuali distinzioni, integrazioni o anche difformità si spiegano dunque per i motivi che vi ho illustrato. Ciò premesso, oggi sono in grado di ricostruire abbastanza diffusamente quello che accadde anche se – preciso anche questo, e sembrerà strano – ancora oggi non sono in grado di dire esattamente che fine abbia fatto questa mia indagine perché, come spiegherò meglio più avanti, questo fascicolo processuale fu trasmesso dalla procura della Repubblica di Massa Carrara a quella presso il tribunale di Lucca e poi da Lucca è andato a finire alla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, dove, francamente, io non ho scritto per cercare di sapere che cosa fosse successo, vuoi perché non ne ho avuto il tempo, vuoi soprattutto perché non ritenevo opportuno fare questo passo. Non penso, date le dimensioni della procura di Roma, che qualcuno avrebbe mai avuto il tempo di andare a cercare questo fascicolo. Per quanto riguarda invece gli altri due uffici, sia pure accompagnato da regolari richieste scritte con cui, ai sensi dell’articolo 116 del codice di procedura penale, è stata già tratta fotocopia, ho potuto sfruttare la conoscenza di colleghi con cui avevo illo tempore lavorato.
Venendo all’argomento per cui mi trovo qui, durante l’estate del 1990, all’ufficio della procura di Massa, arrivò, da parte di un certo signor Franco Ravani, presidente di un Consorzio cave, il quale quindi raccoglieva gli umori della piazza degli estrattori e dei produttori di marmo della zona di Carrara, notizia, inizialmente di tipo ufficioso, confidenziale – poi Ravani fu anche sentito in via testimoniale – relativa al fatto che le società Industria marmi e graniti, IMEG, e Apuana marmi, SAM, che avevano in gestione fra il 50-60 per cento degli agri marmiferi a monte della città di Carrara, erano in qualche modo sotto controllo di personaggi siciliani sospetti di vicinanza alla mafia.
Io allora mi mossi anzitutto sentendo il Ravani, ma soprattutto assumendo a informazioni tale ragioniere Alessandro Balducci, ex funzionario della Montecatini marmi S.p.A. per molti anni, poi della stessa Industria marmi e graniti, cioè dell’IMEG, e che quindi era a conoscenza della vicenda. L’assunzione di questo signor Alessandro Palmucci ci cominciò a chiarire i termini della vicenda. Lui disse che queste società erano appartenute inizialmente al settore lapideo pubblico, precisamente al gruppo IRI, e, in particolare, fra le controllate dell’IRI, all’EGAM, cioè all’Ente gestione attività minerarie. Sotto il controllo dell’Istituto per la ricostruzione industriale, su questi bacini marmiferi era stata costituita la IMEG, come società controllante, con il 100 per cento di capitale sociale controllato dall’ente pubblico, e, a sua volta, controllante il 65 per cento della società Apuana marmi, mentre il 35 per cento era proprietà privata di un tale dottor Giacomo Caruso, titolare e amministratore della ditta Marmi e graniti d’Italia. Poi, nel 1982, con lo scioglimento dell’EGAM, la partecipazione pubblica nel settore lapideo era stata trasferita all’Ente nazionale idrocarburi, cioè all’ENI, e per esso alla società capogruppo per il settore minerario, SAMIM, S.p.A. attività minerarie e metallurgiche. La stranezza, al cuore delle dichiarazioni del ragionier Palmucci, era che, nonostante i buoni risultati conseguiti nell’attività estrattiva e i programmi di sviluppo allora pianificati, l’ENI, allora diretto dal professor Reviglio, decise di rinunciare alle partecipazioni nel settore lapideo e procedette alla privatizzazione, nominando dirigenti della SAMIM gli ingegneri Vito Gamberale e Vito Piscicelli, proprio con il compito di preparare la suddetta privatizzazione, con l’accantonamento dei piani di sviluppo accennati e soprattutto con privatizzazioni ottenute mediante una consistente svalutazione dei materiali, delle merci e dei prodotti in giacenza presso i magazzini IMEG e SAM.
Dopodiché, il Palmucci disse che era uscito dalla IMEG, ma sapeva che essa era stata ceduta a un’impresa siciliana di medio-piccole dimensioni, la Generali S.p.A. di Palermo, la quale però a sua volta era stata controllata dalla Calcestruzzi Ravenna S.p.A. e quindi dal gruppo Ferruzzi Finanziaria, che costituiva in effetti un potentato dell’Italia economica dei tempi.
A seguito di queste dichiarazioni delegai ampie e articolate indagini alla questura di Massa Carrara, alla squadra mobile, e soprattutto al Nucleo polizia tributaria della Guardia di finanza di Massa Carrara, con subdelega ai collaterali uffici di Bologna e di Ravenna, per quanto riguarda appunto Calcestruzzi Ravenna e Ferruzzi, e di Palermo, per quanto riguarda le imprese siciliane, con l’ausilio altresì delle nostre sezioni di polizia giudiziaria della procura della Repubblica, l’aliquota polizia di Stato e l’aliquota Guardia di finanza. Indagini che furono molto complesse e durarono circa un anno. Il tutto – dopo un iniziale allocamento del fascicolo nell’allora esistente modello 45, cioè «Atti registrati non costituenti reato» – fu passato ad «Atti relativi a presunte infiltrazioni mafiose nelle zone marmifere di Carrara, attraverso il controllo delle aziende SAM e IMEG, eccetera». Fu quindi tenuto nel modello 21, anche senza iscrizione di persone come indagate. Prevengo una possibile obiezione perché qui, tra chi mi ascolta, ci sono il senatore Scarpinato e il già Procuratore nazionale antimafia, onorevole Cafiero De Raho, che potrebbero chiedermene la ragione. Eravamo ai primi tempi di applicazione del nuovo codice di procedura penale e ancora si procedeva un po’ «alla garibaldina». Ovviamente oggi non sarebbe più possibile.
Come ripeto, furono indagini durate oltre un anno che permisero di accertare quanto adesso cercherò di sintetizzare. La Generale Impianti S.p.A. di Palermo, di cui il Palmucci aveva parlato, risultò esistente e facente capo a un gruppo di consimili aziende, tutte operanti nel settore edile estrattivo, e tutte facenti capo alla famiglia Buscemi e alla famiglia Bonura. In particolare, a Buscemi Antonino, Buscemi Salvatore, Buscemi Giuseppe e Bonura Francesco. Queste persone, secondo le indicazioni che provenivano dalle indagini, erano state indicate dai pentiti storici di Cosa nostra, quindi Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno, Antonino Calderone e Francesco Marino Mannoia, come facenti parte e reggenti della famiglia del mandamento mafioso Passo di Rigano-Uditore, quartiere di Palermo, che, insieme ad altre famiglie – la segnalazione era questa – facevano capo al noto capomafia Salvatore Inzerillo, che poi era stato ucciso nel corso della prima guerra di mafia, (fine anni Settanta-primi anni Ottanta) ed erano diventati i reggenti della famiglia stessa per conto del gruppo vittorioso, il gruppo corleonese. In quel momento, ebbi un breve collegamento con l’ufficio istruzione del tribunale di Palermo, con il collega dottor Guarnotta, e poi procedetti direttamente a interrogare il collaboratore di giustizia, signor Antonino Calderone, l’unico dei cosiddetti dichiaranti che si trovasse, almeno all’epoca, ancora in Italia, il quale confermò tutte queste indicazioni che mi erano state date nelle informative di polizia giudiziaria da parte degli uffici che avevo delegato. Fu chiaro inoltre che la Generale Impianti proveniva da varie trasformazioni societarie. Nel 1977 era la D’Amico Costruzioni, con sede in Palermo in via Notarbartolo 38, poi veniva incorporata, con aumento di capitale sociale, nella ditta Buscemi Cava Billiemi, poi diventata Cava Billiemi S.p.A. Il capitale poi passava alla Finsavi S.r.l. e alla fine tutte queste società erano incorporate in questa Generale Impianti S.p.A. C’era anche la ditta Buscemi, di Buscemi Antonino e fratelli S.n.c., che poi confluiva nella Finsavi S.r.l. Qui il capitale veniva ripartito per il 50 per cento tra la Calcestruzzi Ravenna S.p.A., che aveva rilevato la parte di capitale appartenente a Buscemi Salvatore, e per il restante 50 per cento tra i due fratelli Buscemi, Antonino e Giuseppe, nella misura di 200 e 400 milioni di lire. La suddetta società risultava controllare il 100 per cento della cava Billiemi S.p.A. e della Generale Impianti. C’era poi un’altra società, la Calcestruzzi Palermo S.p.A., che era di proprietà di Buscemi Antonino, Chiovaro Aurelia e Bonura Francesco, che, con atto del 24 ottobre 1984, aveva ceduto il 100 per cento del pacchetto azionario alla Calcestruzzi Ravenna S.p.A. Infine, come abbiamo detto, fra il 1987 e il 1988, IMEG e SAM erano state oggetto di quella privatizzazione di cui ho parlato. Dopodiché la Calcestruzzi Ravenna S.p.A. che, come abbiamo visto, già controllava la Generale Impianti S.p.A. e la Finsavi S.r.l. aveva acquistato anche il pacchetto azionario della IMEG e della SAM, compreso anche quel 35 per cento che era rimasto alla Marmi e graniti d’Italia del dottor Caruso. Quindi, di fatto, la Calcestruzzi Ravenna controllava il completo pacchetto azionario sia dell’Industria marmi e graniti sia della società Apuana marmi. Parallelamente alla privatizzazione delle ditte IMEG e SAM e al conseguente passaggio sotto il controllo della Calcestruzzi Ravenna S.p.A., si registrava un’intensificazione dei rapporti commerciali fra le stesse aziende di cui sopra e la Generale Impianti S.p.A. di Palermo sopracitata, con tutte le trasformazioni che abbiamo visto, la quale diventava la principale, se non addirittura l’unica, destinataria della produzione marmifera delle due citate industrie apuo-versiliesi. Inoltre, gli interessi siciliani della gestione degli agri marmiferi venivano fisicamente assicurati dalla presenza di tale geometra Girolamo Cimino quale amministratore unico della SAM S.p.A. Questo geometra Girolamo Cimino risulta coniugato con Buscemi Giuseppa Maria, nata a Palermo il 19 marzo 1954, sorella di Buscemi Maria Luisa, che a sua volta è moglie del Buscemi Antonino, di cui sopra già parlavamo, indicato dalle indagini antimafia dell’autorità giudiziaria di Palermo come il capo, insieme al fratello Salvatore e a Bonura Francesco, di questa famiglia mafiosa Passo di Rigano-Uditore. Al fine di chiarire meglio l’importanza di questo geometra Cimino all’interno del gruppo SAM-IMEG – e a questo punto si cominciava a capire perché negli ambienti di Carrara si parlasse di presenze siciliane – venivano disposte, dapprima in via preventiva su richiesta dell’ufficio dell’Alto Commissario per la lotta alla mafia, poi in via ordinaria giudiziaria, delle intercettazioni sulle utenze telefoniche delle anzidette aziende, cioè della IMEG e della SAM. Preciso che la IMEG ha sede in Massarosa, località Montramito, che è una piccola città della Versilia interna, mentre la società Apuana marmi ha sede in Carrara, via Provinciale 158. Demmo quindi il via alle intercettazioni sulle varie utenze di queste due società. Il dato più significativo di queste intercettazioni era quello che permetteva di riscontrare che il geometra Cimino era effettivamente il vero dirigente responsabile sia della società controllata SAM e, ciò che più conta, di quella controllante IMEG. Dopo un periodo di intercettazioni telefoniche che avevano già dato contezza dell’importanza del geometra Cimino all’interno della direzione delle due aziende, tanto che si poteva dire che le due società di fatto rappresentassero un unicum fisico e organizzativo, il dato più significativo è che quando, nel novembre del 1991, il settimanale «Epoca» pubblicava un dossier riservato o almeno stralci di un dossier riservato del ROS dell’Arma dei carabinieri inerente a una presunta mappa delle cosche mafiose e in cui fra l’altro venivano citati questi personaggi e questo mandamento mafioso, sui telefoni intercettati si notava una certa agitazione. Venivano udite almeno due conversazioni fra i dirigenti delle società relative al fatto che, dopo la suddetta pubblicazione, la leadership siciliana sulle società sarebbe stata messa in discussione e si capiva che si poteva arrivare a scoprire chi effettivamente le dirigesse.
Faccio un passo indietro, perché qui parliamo del novembre del 1991, ma io, dopo aver ricevuto tutti questi rapporti di indagine, avevo scritto, in data 26 agosto 1991, alla procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo, una lunga missiva in cui spiegavo esattamente tutto quello che avevamo scoperto. Quindi gli intrecci societari, i personaggi che gravitavano intorno alle società, quello che avevamo accertato su Buscemi e Bonura, quanto avevano dichiarato i pentiti e soprattutto l’opportunità di accertare bene quali fossero i reali rapporti tra la famiglia di Passo di Rigano-Uditore con queste società controllate, la Calcestruzzi Ravenna e, più in generale, la Ferruzzi finanziaria, apparendo possibile che ciò rappresentasse un momento di infiltrazione mafiosa nel senso di creare collegamenti fra aziende controllate dalla mafia e grandi aziende del Nord. Chiedevo quindi di mettere sotto attenzione investigativa e sotto controllo le utenze della Generale Impianti e, più in genere, delle altre società che vi facevano capo e dei personaggi che vi gravitavano, in attesa eventualmente di sviluppare indagini più particolareggiate. Per quello che ho potuto accertare, l’indagine presso la procura del tribunale di Palermo veniva affidata al collega Gioacchino Natoli, che, in data 18 novembre 1991, mi riferì che questa mia informativa era stata inquadrata in un fascicolo recante il numero 3589/91 notizie di reato, con l’iscrizione a indagati delle persone di Buscemi Antonino, Buscemi Salvatore, Bonura Francesco e Cimino Girolamo. Mi spiegava altresì il collega che, in data 14 novembre 1991, il GIP presso il tribunale di Palermo aveva autorizzato intercettazioni telefoniche per la durata di giorni venti prorogabili, su tutta una serie di utenze che facevano capo, immagino, a quelle aziende e personaggi di cui ho parlato. Il collega mi spiegava altresì che, per indisponibilità delle linee, le suddette intercettazioni non potevano essere subito attivate, riservandosi di comunicare la data di attivazione delle stesse. A questa notizia ne è poi seguita un’altra comunicazione, manoscritta sempre dal collega, in cui diceva che erano state attivate le intercettazioni su una serie di utenze. Di questa non posso però riferire la data perché il foglio non la reca. Da quello che però ho poi potuto vedere nelle informative della Guardia di finanza, credo che le utenze siano state attivate tra la seconda metà del mese di dicembre 1991 e i periodi di gennaio-febbraio o primi di marzo del successivo anno 1992. Tornando però alla mia relazione, dicevo che da alcune telefonate intercettate sulle utenze nostre, oltre a preoccupazioni per questo dossier del ROS che aveva pubblicato il settimanale «Epoca», si notavano alcune intercettazioni in cui si diceva, da parte dei personaggi gravitanti sulle due aziende apuo-versiliesi, che vi era un’autorità giudiziaria che stava indagando sui collegamenti mafiosi all’interno del gruppo SAM e IMEG e che, dopo le ricordate pubblicazioni, sarebbe risultato chiaro che dietro a tutta questa operazione vi era proprio il signor Buscemi Antonino. Questo francamente è un aspetto un po’ misterioso della vicenda, perché, nel novembre 1991 io naturalmente operavo ancora del tutto cripticamente e quindi quello che mi ha interessato è tutto successivo. Pertanto, non si sa bene chi poteva avere avvertito le aziende toscane che c’era un’autorità giudiziaria che stava operando per accertare eventuali legami e infiltrazioni mafiose. Però, era evidente che, posto che dopo questo fatto i telefoni cominciavano a tacere, era il momento di passare a una fase palese dell’attività investigativa. Così nel mese di gennaio del 1992, procedetti a emanare una serie di decreti di perquisizioni locali presso le sedi delle già ricordate SAM, IMEG, Calcestruzzi Ravenna S.p.A., Finsavi S.r.l., Calcestruzzi Palermo oltre che della Generale Impianti, provvedimenti cui veniva data esecuzione il giorno 28 gennaio 1992. Il dato più interessante che emerse da questa fase investigativa è stato il sequestro presso gli uffici IMEG e SAM in Montramito dei contratti relativi alla cessione del pacchetto azionario dall’ENI-SAMIM alla Calcestruzzi Ravenna S.p.A. e agli atti che lo hanno accompagnato negli anni 1987 e 1988. In particolare, emergeva con tutta evidenza che, sulla base del confronto con i dati degli anni immediatamente precedenti e successivi, proprio nel 1987, con l’approssimarsi della privatizzazione, le giacenze di magazzino avevano subito una svalutazione quantificabile intorno al 30 per cento, circa 10 miliardi di lire, sulla base della semplice estrapolazione di alcune fatture IMEG, relative a forniture risultate passive, cioè quelle in cui la società non aveva recuperato per intero il proprio credito, e della generalizzazione arbitraria di tali criteri. Sul punto ci fu un’ampia informativa della Guardia di finanza di Massa Carrara. Cosa ancora più interessante di questa ricostruzione è che chi si era occupato specificamente di questo aspetto della vicenda era proprio il geometra Cimino: era lui che aveva fatto la svalutazione che aveva preparato l’operazione. A questo punto si potevano fare alcune considerazioni conclusive, cioè che la Calcestruzzi Ravenna dal 1984 si riteneva avesse posto in essere un piano di introduzione nel mercato edile estrattivo siciliano, attraverso una serie organica di alleanze e collegamenti societari con rilevamenti dei pacchetti azionari delle varie imprese siciliane di cui ho parlato, e che, nell’ambito di questo piano, – almeno noi ritenevamo – al fine evidente di sdebitarsi per qualche favore ricevuto, quindi per aver avuto l’ingresso in Sicilia della Calcestruzzi Ravenna, avesse operato per fare la cosiddetta privatizzazione e quindi con la possibilità di acquisire a prezzi estremamente ridotti le due aziende apuo-versiliesi, e che, attraverso la presenza del geometra Cimino, di fatto fosse stata data la possibilità alle imprese siciliane di controllare le aziende apuo-versiliesi, cioè la IMEG e la SAM, non solo per la fornitura di marmi e graniti ma anche per il cosiddetto affare dei «ravaneti». Che cosa sono i ravaneti? Sono quelle zone dove vengono accumulati i materiali di scarto delle lavorazioni del marmo che solo apparentemente sembrerebbe roba da buttare. Chiedo scusa del paragone un po’ triviale, ma il marmo è un po’ come il maiale, non si butta via niente, nel senso che i ravaneti possono essere utilizzati per la desolforazione nei processi industriali, in cosmetica per la produzione delle ciprie e di altri prodotti, e per altre attività. Quindi il controllo, oltre che delle forniture marmifere, anche dei ravaneti, avrebbe costituito veramente un grosso affare per la mafia. Il problema fu che non ebbi la possibilità di seguire tutte queste cose né di intensificare i rapporti che avrei voluto tenere con la procura di Palermo perché successe che la stampa locale – come abbiamo visto la stampa qualcosa evidentemente aveva già saputo – aveva saputo di questi decreti di perquisizione e quindi mi chiese contezza dei decreti che avevo emesso. E qui, confesso la mia ingenuità, invece di tacere, pensando che in qualche modo i telefoni avrebbero potuto riprendere a parlare, lasciai trapelare qualcosa – naturalmente non certo tutte queste notizie che ho riferito – dicendo che ci poteva essere qualche cosa che avesse a che fare con la mafia. Però questo, con i titoli di stampa che lo accompagnarono, sollevò un putiferio notevole e io mi trovai al centro di iniziative e attacchi importanti. L’avvocato Striano, che difendeva la Calcestruzzi Ravenna e non so se anche la Ferruzzi finanziaria, presentò un esposto al Ministero di grazia e giustizia e l’allora Ministro iniziò un’attività ispettiva, mandando un ispettore presso la Procura di Massa, perché secondo l’esposto la mia indagine sarebbe stata tesa addirittura a screditare la Calcestruzzi Ravenna, e quindi la Ferruzzi finanziaria, per scopi non chiari o comunque per favorire magari maestranze interne di Carrara. Però questa indagine, ancorché risonante all’inizio, finì abbastanza presto, perché l’ispettore venne, prese contezza dei documenti e degli atti d’indagine, mi interrogò lungamente e concluse che l’indagine era pulita. Rimaneva però il fatto dell’illecito disciplinare di aver parlato alla stampa e questo portò la Procura generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Genova a inviare subito una segnalazione. Noi come Massa Carrara siamo toscani amministrativamente, ma siamo liguri dal punto di vista del distretto giudiziario, questa è una vecchia cosa che risale ai tempi dell’Unità d’Italia ma ora non ci interessa. Qui devo dire che scontavo la conflittualità interna all’autorità giudiziaria, cioè avevo se non l’ostilità, quanto meno la aperta diffidenza della mia linea superiore, cioè lo stesso Procuratore della Repubblica e la Procura generale di Genova, perché in passato avevo fatto altre indagini. Avevo lavorato sin dal 1985 su un traffico di droga molto pesante dal Pakistan agli Stati Uniti, avevo lavorato nel 1987 su infiltrazioni di palestinesi in Italia, su traffici di armi dal e per il Medio Oriente, avevo lavorato su infiltrazioni campane del crimine organizzato nel traffico di rifiuti verso la Campania – la «famosa» storia della Terra dei fuochi – avevo lavorato sull’introduzione di cittadine nigeriane da avviare alla prostituzione quando il discorso dell’immigrazione clandestina era ancora di là da venire, quindi io per il distretto di Genova era un po’ il «rompiscatole». Non che avessi mai trascurato il quotidiano, perché l’ho sempre fatto con il massimo dell’impegno, però se avevo la possibilità di interloquire e di ampliare il raggio delle mie indagini lo facevo. Avevo lavorato sul terrorismo delle Brigate Rosse con l’allora procuratore di Firenze Piero Luigi Vigna, insomma avevo fatto tante indagini, ed ero quello che «rompeva le scatole». Quindi chiaramente al mio procuratore e soprattutto al procuratore generale della Corte d’appello di Genova non parve vero di fare un bel rapporto, una bella segnalazione, mettendoci dentro tutto, che parlavo troppo e che tendevo a espandermi, come se fossero tutte sciocchezze. Quindi dovetti difendermi, prima davanti alla Procura generale della Corte di cassazione, poi soprattutto davanti alla sezione disciplinare del CSM, sino al novembre del 1993, quando finalmente fui sentito, processato e assolto, nel senso che mi fu riconosciuto il fatto che non aveva rivelato niente di essenziale, quindi potevo aver fatto una cosa che sarebbe stata meglio non fare, ma non una rivelazione di segreti d’ufficio.
Come accennavo all’inizio del mio dire, questo mi ha messo poi in condizioni di non avere più notizie del mio procedimento, tantomeno accesso agli atti, salvo una relazione che, su richiesta dello stesso procuratore della Repubblica, feci, perché era una vicenda effettivamente complessa. Dopodiché, ho saputo che il fascicolo era stato trasmesso per competenza alla procura di Palermo e che notizie del fatto furono inviate anche a Lucca e, mi sembra, a Roma o a Firenze. Viceversa, e qui torniamo agli accertamenti che ho fatto io, naturalmente dietro regolare richiesta scritta, ho potuto avere accesso ai brogliacci – allora ovviamente non c’era ancora l’informatizzazione dei registri, quindi era fatto tutto a mano. Io mi astenni il 15 febbraio dell’anno 1992, quindi non ho saputo anzitutto l’esito che avevano avuto le intercettazioni telefoniche che invece aveva disposto il collega Natoli presso la procura di Palermo. Ho potuto poi accertare, sia tramite gli atti che ha trovato Angeloni sia tramite quelli che mi ha mandato l’avvocato Trizzino, che il collega, dopo una iniziale proroga di indagini, aveva effettivamente intercettato tutta una serie di utenze telefoniche rispetto alle quali però, come da un rapporto finale della Guardia di finanza del 26 marzo 1992, pur riscontrando tutti gli intrecci e i collegamenti societari di cui ho parlato, quindi il controllo di Calcestruzzi Ravenna e delle due società e la riconduzione delle società a tutti quei personaggi di cui ho parlato prima, non era riuscito a trovare elementi di prova che in qualche modo dimostrassero che dietro questi collegamenti societari vi fosse un vero e proprio sodalizio mafioso. Questa informativa è del 26 marzo 1992. Non so se poi il collega Natoli ebbe a trasmettere qualcosa, ma io a quel punto non avevo più nessun accesso e nessun rapporto con gli atti. A seguito di questo, il collega chiese e ottenne dal GIP presso la procura di Palermo, nel giugno del 1992, l’archiviazione del fascicolo 3589/91 che aveva aperto a carico di Bonura Antonino, eccetera. Per quanto riguarda invece il mio fascicolo, come ripeto, sono riuscito a risalire alla trasmissione che fece l’allora mio procuratore dottor Duino Ceschi per competenza alla procura della Repubblica di Lucca, in cui ipotizzava la competenza di quella autorità giudiziaria. Egli diceva che le società IMEG e SAM avevano sede in Massarosa via Montramito, località San Rocchino, il che non è del tutto preciso perché la SAM aveva sede a Carrara, ma quello conta poco. Prosegue dicendo che ogni atto di trasferimento di azioni o quote societarie si è quindi realizzato in tale luogo compreso nel circondario del tribunale di Lucca. È profilabile l’ipotesi di falso in bilancio e di scritture contabili, articolo 2621 del codice civile, e frode fiscale, articolo 4, primo comma, punto 7, della vecchia legge n. 516 del 1982, oltre altre ravvisabili. Questa missiva, insieme con l’informativa da cui ho tratto la relazione che vi ho fatto, fu mandata poi ai signori procuratori della Repubblica presso i tribunali di Firenze e di Palermo per l’eventualità che si verificasse la loro competenza. Si accompagnava l’invio della memoria fatta da me, che in parte vi ho letto e da cui in parte ho tratto la relazione che vi ho fatto.
Questa trasmissione, lungi da me naturalmente la volontà di polemizzare a trent’anni di distanza con il mio allora procuratore capo, ormai le cose sono andate così, formalmente è corretta perché se prendiamo i reati societari si può seguire questa traccia. Posto però che sul tutto si ipotizzava quantomeno una possibile partecipazione interna o addirittura partecipazione diretta ad associazione mafiosa e posto che a Palermo pendeva un procedimento, il 3589/21, quello del collega Natoli, con indagati già iscritti e che a Palermo si andava a costituire la DDA – parliamo degli inizi del 1992 quando il complesso normativo, decreto-legge e legge di conversione, che istituiva le direzioni distrettuali antimafia e la Direzione nazionale antimafia, entrava in efficacia, pur essendo vero che non era un decreto retroattivo per cui si poteva indagare ancora – credo che sarebbe stato più logico, come in buona fede ritenevo, che il fascicolo fosse mandato a Palermo. Invece fu mandato a Lucca e a Lucca, come ho potuto accertare anche qui con regolare richiesta scritta al collega Manzione che in oggi la dirige, il fascicolo fu assegnato all’allora procuratore della Repubblica presso il tribunale di Lucca, dottor Angelo Antuofermo, e poi al sostituto, dottor Gabriele Ferro. Esso fu poi a sua volta inviato, a quanto risulta dagli atti del registro di passaggio della procura di Lucca, senza ancora iscrizione di indagati, alla procura della Repubblica di Roma, in data 22 gennaio 1993.
Questo è il fascicolo che da 697/90, registro modello 21 – quello che aveva da noi alla procura di Massa – era diventato 637/92, registro modello 21, presso la procura della Repubblica di Lucca, dove andò a confluire anche il fascicolo 445/92, modello 45, della procura di Firenze che aveva ricevuto la nota del dottor Ceschi, cui ho fatto riferimento insieme alla mia informativa, e da Lucca è andato a Roma. Non so a Roma che fine abbia fatto. Questa onorevole Commissione che ha i poteri dell’autorità giudiziaria inquirente potrà sicuramente farne di più. Non ho scritto, sia perché non ne ho avuto il tempo in riferimento al momento della mia convocazione, sia perché onestamente l’ho ritenuto abbastanza inutile. Qui, ripeto, ho potuto sfruttare la conoscenza di colleghi che hanno velocizzato le mie richieste, sempre dietro autorizzazione scritta, ma a Roma francamente penso sarebbe stata qualcosa di molto difficile e sicuramente questa Commissione potrà accertarlo meglio di me. L’argomento che forse più interessa questa onorevole Commissione è il discorso del collegamento con le stragi. In proposito, posso riferire che già nell’anno 2000, esattamente l’11 maggio, fui convocato presso la Direzione nazionale antimafia dove fui interrogato da un collega della Procura della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta, di cui non ricordo il nome, che volle conoscere tutti i particolari della mia indagine, quello che vi ho testé spiegato. Naturalmente feci presente che si trattava di una indagine che poi tra l’altro nel 1997 aveva sfogato. Questo almeno ero riuscito a saperlo perché la stampa aveva pubblicato la notizia che nel 1997 c’era stata una grossa indagine sui rapporti tra mafia e Calcestruzzi che aveva portato anche a delle condanne, quindi in qualche modo il lavoro che avevo fatto era stato considerato e non era proprio finito al macero. Il collega mi spiegò che ritenevano che questa mia indagine, nel coacervo della più generale indagine mafia-appalti, avesse potuto costituire la motivazione o una delle motivazioni che avevano portato poi l’organizzazione di Cosa nostra a programmare e attuare la strage di via D’Amelio. La procura della Repubblica di Caltanissetta mi ha convocato anche molto più recentemente, il 24 marzo 2023. Sono stato interrogato direttamente dal procuratore capo e da due sostituti della Direzione distrettuale antimafia, oltre che da un membro della Direzione nazionale antimafia, che veniva da Siracusa. Si trattava del collega dottor Salvatore Dolce, dei sostituti procuratori Davide Spina e Claudia Pasciuti e del procuratore capo della Repubblica, dottor De Luca. Naturalmente su questo atto devo mantenere riserbo, perché c’è un’indagine in corso, ma credo di non violare nessun segreto istruttorio se dico che volevano ancora una volta sapere cosa fosse successo nel 1992 e tutti gli atti che lo avevano accompagnato. Quello che mi fa piacere è di aver trovato, fra gli atti che mi ha mandato l’avvocato Trizzino, copia della richiesta di archiviazione formulata nel 2003 dalla procura della Repubblica di Caltanissetta, direzione distrettuale antimafia, dove si dà ampio riferimento ai rapporti fra gruppo Ferruzzi e in particolare Calcestruzzi S.p.A. e famiglia Buscemi con quelle varie aziende di cui ho parlato e, attraverso il controllo degli appalti, si fa riferimento a una sentenza di condanna nei confronti del Buscemi, del tribunale di Palermo, sezione quinta penale, del 2 marzo 1994, divenuta poi irrevocabile il 29 febbraio 1996. Si fa riferimento alle mie dichiarazioni del 2000 sul discorso dell’esposto Martelli e poi sul procedimento disciplinare. Si fa poi riferimento a un altro fatto e questo chiaramente penso sia un errore di conoscenza. Il procedimento iniziato a Massa Carrara a carico di Buscemi Antonino, fu archiviato a Palermo il primo giugno 1992, subito dopo la strage di Capaci e le relative intercettazioni furono smagnetizzate. Qui chiaramente si tratta di un errore perché, come abbiamo visto, il fascicolo a Palermo non c’è mai stato, e quindi l’archiviazione riguardava il fascicolo 3589/91, quello che era stato gestito dal collega Natoli, e le smagnetizzazioni, che poi sembra non siano avvenute, riguardavano le intercettazioni che aveva disposto quell’ufficio e non quello di Massa Carrara. Come ripeto, non sono in grado di dirvi purtroppo che fine abbia fatto il mio fascicolo perché, a quanto ho saputo, è poi finito al tribunale di Roma. Questo in sintesi è quello che posso riferire. Se ci sono domande sarò ben lieto di rispondere se sono in grado di farlo.
PRESIDENTE. Grazie mille dottor Lama. Ci sono quattro iscritti a parlare. Proverei per l’organizzazione dei lavori a concludere entro le 15.45. Prima di dare la parola ai colleghi, approfitto per riassumere per me e per i colleghi quello che lei ha detto soltanto su un passaggio. Lei il 26 agosto 1991 aveva delineato un quadro di rapporti tra i mafiosi e il gruppo Ferruzzi.
AUGUSTO LAMA. La Calcestruzzi Ravenna facente parte della galassia Ferruzzi.
PRESIDENTE. Essendosi lei astenuto il 15 febbraio del 1992 e avendo Leonardo Messina iniziato a parlare il primo luglio, lei non seppe o comunque non ha saputo nemmeno in fase successiva che Leonardo Messina disse a Borsellino che Riina era direttamente interessato alla calcestruzzi S.p.A.?
AUGUSTO LAMA. L’ho saputo qualche anno fa leggendo il noto libro, che sicuramente conoscerete tutti, sull’agenda rossa di Paolo Borsellino che rievoca tra l’altro l’ultimo mese e mezzo di vita del collega. Sono un po’ saltato quando ho letto che Leonardo Messina disse che la Calcestruzzi Ravenna S.p.A. era cosa di Totò Riina. Questo l’ho dunque saputo dal libro.
PRESIDENTE. Sono iscritti a parlare i colleghi Michelotti, Scarpinato, Russo e Cafiero De Raho. Farei intervenire due colleghi alla volta. La parola all’onorevole Michelotti.
FRANCESCO MICHELOTTI. Grazie presidente e buonasera dottor Lama. La ringrazio per la sua dissertazione. Farò un paio di domande e poi magari, con il permesso del presidente, visto che ho un treno prenotato, ascolterò la risposta in collegamento. Ho ascoltato con attenzione e la ringrazio, lei è stato molto preciso. Credo sia tuttora permanente la competenza tabellare per i magistrati toscani rispetto a Genova, lo dico da avvocato toscano.
AUGUSTO LAMA. Sì ancora esiste.
PRESIDENTE. Facciamo terminare l’intervento dell’onorevole Michelotti.
FRANCESCO MICHELOTTI. Lei ha parlato di questo suo procedimento disciplinare che poi si è concluso con l’assoluzione. Volevo che lei fosse un po’ più preciso riguardo agli aspetti che le contestavano e che le hanno contestato, al momento in cui glieli hanno contestato in correlazione a quando lei ha avviato la sua indagine. Lei era titolare di questo fascicolo, poi arriva questo doppio procedimento disciplinare su input dell’allora Ministro di grazia e giustizia Martelli. Le chiedo se ci potesse focalizzare bene il timing in cui avviene questa accusa nei suoi confronti rispetto alla fase delle indagini che lei stava conducendo e le chiedo le doglianze del Ministero di grazia e giustizia e quindi l’attività che ha svolto l’ispettore riguardo a lei e soprattutto come mai, a suo avviso, dopo che si è concluso con epilogo fausto per quanto riguarda questo procedimento, non è poi stato messo a conoscenza del fascicolo di cui lei comunque era titolare, e per il quale ci ha invitato giustamente a fare un supplemento di indagine presso la procura di Roma. C’è da chiedersi però come mai poi lei non sia stato messo a conoscenza di un fascicolo di cui era titolare. Ci risulta, ma ce l’ha confermato lei, che questo fascicolo fu trasmesso per competenza territoriale a Lucca. Lei ci ha spiegato che formalmente questa scelta sembrava essere corretta, ma che sarebbe stato forse più funzionale alle indagini agganciare questo fascicolo al filone palermitano che in quel momento era in corso grazie all’attività del dottor Natoli. Ci può spiegare quali secondo lei sono le ragioni per le quali il suo successore ha deciso di radicare invece questo fascicolo su Lucca e se lei magari avrebbe fatto, se fosse rimasto titolare del fascicolo, una scelta diversa, oltre a delinearci in maniera un po’ più precisa cosa fino a quel momento era riuscito a carpire riguardo alle infiltrazioni mafiose nelle società del gruppo Ferruzzi operanti nell’attività estrattiva? La ringrazio.
PRESIDENTE. La parola al senatore Scarpinato.
ROBERTO MARIA FERDINANDO SCARPINATO. Lei ha detto di avere appreso nel 1997 che era stata emessa una sentenza di condanna nei confronti di Buscemi. Le chiedo se lei ha saputo che nell’ottobre 1992 la procura della Repubblica di Palermo ha chiesto il sequestro e la confisca di tutto il patrimonio di Buscemi Antonino, comprese le quote che aveva insieme a Ferruzzi, e se le risulta che nel maggio 1993 Buscemi Antonino fu tratto in arresto su richiesta proprio di Palermo, per 416-bis e manipolazione degli appalti, sulla base delle dichiarazioni di Leonardo Messina e che in quella richiesta furono esposti i rapporti che Buscemi Antonino aveva con Ferruzzi. Questa è la prima domanda.
La seconda domanda riguarda un chiarimento perché lei ha iniziato la sua esposizione dicendo che aveva avuto un incidente professionale quando è stato iniziato il procedimento disciplinare da Martelli e poi ha detto che le carte le furono sottratte. Premesso, per chi non è un tecnico, che l’azione disciplinare può essere promossa o dal Ministero della giustizia o dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione, dalla sentenza disciplinare risulta che il Ministero di grazia e giustizia non propose alcuna azione disciplinare e che l’azione disciplinare fu proposta dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione su input del Procuratore generale di Genova, il quale era stato investito dall’avvocato della Ferruzzi perché lei aveva fatto intervista alla stampa mentre le indagini erano in corso. Quindi non è vero che Martelli intervenne per il procedimento disciplinare: questo bisogna chiarirlo. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie. Dottor Lama, può rispondere a entrambi i colleghi.
AUGUSTO LAMA. Vorrei rispondere subito al senatore Scarpinato perché la risposta è più semplice. È corretto quello che dice lei. L’onorevole Martelli, allora Ministro di grazia e giustizia, propose un’ispezione e venne un ispettore che mi interrogò, a cui non fece seguito nulla. Viceversa è vero che la segnalazione a mio carico pervenne dall’allora Procuratore generale presso la Corte d’appello di Genova, dottor Francesco Castellano, che, ripeto, come ho già accennato, fece tutta quella serie di valutazioni, i motivi li ho già spiegati. Quindi l’azione prese luogo dalla segnalazione del Procuratore generale, poi Procura generale presso la Cassazione e CSM.
Quanto alla prima cosa che mi ha chiesto, so che nel gennaio-febbraio del 1993 – sono riuscito a ricostruire il documento – l’allora procuratore di Palermo, dottor Caselli, chiese la riapertura delle indagini a carico di Buscemi Antonino e degli altri. So, ma non ho la documentazione, che a seguito di questo il Buscemi Antonino fu sottoposto ad arresto e mi risulta che sia stato condannato con sentenza irrevocabile nel 1996, mentre il 2 luglio 2002, quando andò a sentenza il complesso dei rapporti con la Calcestruzzi, in cui alcuni dirigenti, non so se lo stesso Panzavolta e altri furono condannati – perché quella sentenza non sono riuscito a trovarla – il Buscemi Antonino fu dichiarato non procedibile per ne bis in idem essendo già stato condannato. Questo risulta a me, e fondamentalmente è quello che ha detto anche lei.
Circa le motivazioni, quello che avevo scoperto è quello che le ho detto, cioè che c’erano queste cointeressenze societarie che secondo me apparivano estremamente sospette. Non sapevo nulla all’epoca del nascente rapporto del ROS e di quello che poi si è saputo in quegli anni e che aveva interessato anche il collega Borsellino con i rapporti difficili con il procuratore Giammanco. Queste sono tutte cose che ho saputo dopo, però a me apparivano molto sospette già all’epoca. È chiaro che se io avessi avuto ancora la titolarità del fascicolo avrei sicuramente proceduto anch’io a delle iscrizioni e avrei sicuramente approfondito le indagini prendendo contatti con il collega Natoli. Al momento, sapevo solo che il collega Natoli aveva sottoposto ad ascolto con intercettazioni telefoniche, però non avevo contezza del loro esito. Se avessi avuto ancora il fascicolo sicuramente avrei approfondito. All’epoca io mi muovevo molto, già altre volte ero andato a Palermo per prendere contatti. Credevo molto nel contatto diretto con il collega, quindi sarei andato a Palermo per collaborare. Mi rammarico quanto al fatto della trasmissione degli atti a Lucca, su cui ho già detto, formalmente corretta, ma nel momento in cui si ipotizza un 416-bis, mi è sembrata una lettura molto sminuente, molto formale e limitata agli aspetti societari della vicenda. Mi ha rammaricato molto perché penso che se tutto il fascicolo, comprese le famose bobine delle intercettazioni telefoniche, le nostre, che, non tanto, ma qualcosa avevano detto, fossero state mandate a Palermo, probabilmente non ci sarebbe stata l’archiviazione del giugno 1992 e forse ci sarebbe stata una prosecuzione di indagine che, incartate le dichiarazioni di Leonardo Messina, poteva aprire la via poi a quelle che furono le dichiarazioni. Ho letto in questo atto della procura di Caltanissetta le dichiarazioni di Siino e le dichiarazioni di Giovanni Brusca che invece aprono tutto uno scenario che naturalmente non potevo conoscere ma che avevo intuito, perché una grande azienda come questa che si mette a fare tali operazioni, mi suonava molto strano. Spero di aver risposto esaurientemente.
PRESIDENTE. Grazie mille. Prima di dare la parola al senatore Russo e poi al vicepresidente Cafiero De Raho, le chiedo, solo per consentire a tutti di capire, se il fascicolo le fu sottratto per effetto dell’ispezione o a seguito del procedimento disciplinare a suo carico.
AUGUSTO LAMA. Il procedimento non mi fu fisicamente sottratto però, a seguito della prima ispezione Martelli e della prospettazione della segnalazione disciplinare del Procuratore generale, ritenni di astenermi sia perché a questo punto prevaleva la necessità di difendersi e quindi avere più mano libera nel difendermi, sia e soprattutto, devo essere sincero, perché io in questa indagine credevo molto e quindi non volevo che scivolasse nel disinteresse e, essendo un fascicolo che scottava, che fosse meglio accantonarlo. Ritenevo che invece fosse necessario un approfondimento serio. Visto che ero diventato «poco credibile» e che mi portavo appresso questa diceria, preferivo se ne occupasse qualcun altro. Questa è la risposta.
PRESIDENTE. Grazie dottor Lama. Prego senatore Russo.
RAOUL RUSSO. Vorrei che rispondesse con precisione sul fatto se questi passaggi formali di inchiesta al tribunale di Palermo portavano a contatti diretti con magistrati della procura di Palermo e nello specifico del dottor Natoli.
Altra domanda. Lei ha affermato di aver svolto anche altre indagini per cui è stato considerato un «rompiscatole» dalla Procura di Genova. Volevo sapere se da queste indagini ci siano poi state in qualche caso delle risultanze importanti.
PRESIDENTE. Prima che risponda, facciamo fare le domande anche al vicepresidente Cafiero De Raho.
FEDERICO CAFIERO DE RAHO. Grazie al presidente, e al dottor Lama per la sua rappresentazione. È evidente che allora non si usava iscrivere immediatamente l’indagato, si usava «persone da identificare». Detto questo, pongo due sole domande.
Il 26 agosto 1991 lei invia la missiva a Palermo. Questa missiva che lei invia a Palermo è corredata anche di una copia dei verbali di intercettazione, dei brogliacci, delle bobine o è solo missiva? Successivamente, eventualmente non fosse stata già la prima missiva corredata di questi atti, lei inviò altri atti a Palermo in cui bobine e copie dei verbali fossero a integrazione di ciò che aveva mandato precedentemente? Questa è la prima domanda.
Successivamente lei sa, anche dopo la sua astensione, se siano mai state mandate bobine e verbali delle intercettazioni a Palermo direttamente da Massa Carrara? Grazie.
PRESIDENTE. La parola al dottor Lama.
AUGUSTO LAMA. Rispondendo alle prime domande, no, contatti diretti con la procura della Repubblica di Palermo non ce ne furono. Ci fu soltanto lo scambio epistolare. Come ho detto prima, sicuramente, se fossi rimasto titolare del fascicolo, avrei preso contatti con il collega Natoli o con chiunque in quella procura fosse stato assegnatario di fascicoli, per coordinare delle indagini più approfondite. Quanto al resto, alcune delle indagini che ho fatto hanno avuto esiti, se non direttamente a Massa Carrara, presso altre autorità giudiziarie dove sono andate a finire. Per esempio, quella a cui ha accennato sul traffico di stupefacenti dal Pakistan agli Stati Uniti, si è conclusa con una sentenza della Corte d’assise di Massa che condannò diverse persone per omicidio e traffico internazionale di droga perché era ancora cosa di cui si occupavano il tribunale e la procura ordinaria. Un altro fascicolo, quello a cui ho accennato su rifiuti e traffico di cocaina, poi è andato a Napoli dove ho saputo che indagini e condanne sono state comminate. Un altro caso a cui non ho accennato – probabilmente qualcuno dei meno giovani se ne ricorderà – fu quello della navi dei veleni, la Zanobia, che si concluse con delle condanne. È chiaro che quando si lavora a volte si va a centro, altre volte si lavora a lungo e poi magari i risultati non vengono, però l’importante è operare. Di sicuro quell’indagine, se fosse rimasta a me, non l’avrei lasciata morire così e avrei preso contatti con Natoli, anche perché io con la procura di Palermo aveva già lavorato. Ad esempio, nel procedimento per traffico di stupefacenti, ebbi ripetuti contatti di indagine con i colleghi Ayala e Di Pisa. Ebbi anche un colloquio su questo con il dottor Pignatone, che però non era ancora diventato procuratore capo della Repubblica di Roma. Io mi muovevo. Nella indagine sul traffico di armi non so con quanti sostituti procuratori ho parlato. Non ero di quelli che l’indagine la coltivavano da soli, per me gli apporti dei colleghi erano importanti.
RAOUL RUSSO. È una prassi normale? Non poteva il collega Natoli prendere contatto con lei? Un’indagine così importante poteva rimanere a livello di un puro e semplice scambio epistolare? Non sarebbe stato normale che la procura di Palermo le chiedesse maggiori chiarimenti sul punto?
AUGUSTO LAMA. A parte che forse andrebbe chiesto a lui, di fatto però devo stare anche io zitto, perché anche io nel novembre 1991 potevo prendere il telefono e parlare. Ripeto, era una cosa che sicuramente avrei fatto se avessi avuto ancora la possibilità di svolgere opportunamente indagini, ma purtroppo per le vicende che ho narrato, tale possibilità mi fu tolta.
Rispondendo alle domande del vicepresidente, le posso dare conto di quello che mandai in prima battuta con le prime notizie. Io mandai al collega della procura di Palermo copie delle annotazioni di servizio della locale sezione PG, aliquote polizia di Stato e Guardia di finanza. Non escludo però che in queste annotazioni fosse contenuto anche qualche brogliaccio di telefonate, è possibile perché di fatto erano loro che, con gli apparecchi presso la procura, seguivano le intercettazioni telefoniche. Mandai invece copia delle informative di PG del Comando nucleo polizia tributaria-Guardia di finanza di Massa Carrara, del Comando nucleo polizia tributaria-Guardia di finanza GICO, seconda sezione Palermo, e del Nucleo regionale polizia tributaria-Guardia di finanza di Bologna. Insomma, mandai ampia informativa. Se avrà occasione di leggerla, non è che ho mandato semplicemente gli atti, ho fatto tutto il resoconto di quello che ho trovato e di quello che avevo scoperto. Il collega aveva quindi un ampio e dettagliato quadro per poter operare. Certo rimane il rammarico, ripeto, che se avessimo mandato, come io pensavo, tutto il fascicolo, forse qualcosa magari poteva cambiare.
PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, ringrazio il dottor Lama per averci permesso questo approfondimento e dichiaro conclusa l’audizione.
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