Cosa Nostra e le cave. AUGUSTO LAMA: “L’indagine meritava più attenzione dai colleghi di Palermo”

 

L’ex pm replica al collega Natoli: “L’inchiesta siciliana su mafia e appalti avrebbe potuto partire prima se avessero approfondito la nostra. Erano stati informati ad agosto ’91 e poi ad aprile ’92”. Il caso è ancora aperto.

 

“Ho sempre ritenuto, e continuo a ritenere, che una maggiore attenzione agli esiti della nostra indagine apuana e, soprattutto, al rapporto del Ros dell’Arma dei carabinieri del 1991-1992, e un conseguente approfondimento investigativo, che io non riuscii a svolgere, avrebbero consentito di avviare l’inchiesta sulla questione ’Mafia-Appalti’ con qualche anno di anticipo”.
Lo afferma Augusto Lama che, all’epoca, era il pm che aveva mosso l’indagine sulle infiltrazioni mafiose alle cave di marmo e quindi sui nascenti rapporti tra Cosa Nostra e le imprese. Lama risponde così al collega Gioacchino Natoli, anche lui ascoltato in questi giorni dalla Commissione parlamentare antimafia, che ha affermato come certi ’rapporti’ tra mafia e imprese siano emersi in seguito, grazie alle dichiarazioni di alcuni boss. In precedenza, davanti alla Commissione, oltre a Lama e Natoli, c’era stata l’audizione dell’avvocato Fabio Trizzino, genero di Borsellino, che da anni si occupa della strage di via D’Amelio per conto della famiglia del giudice assassinato.
Il caso relativo alle infiltrazioni mafiose alle cave necessita però di alcune puntualizzazioni. In primo luogo stiamo parlando di un’inchiesta ancora attuale e alla ribalta, perchè la Procura di Caltanissetta sta indagando, dopo oltre 30 anni, sui rapporti mafia-appalti (e qui rientra anche l’indagine di Massa) in relazione alle stragi di Capaci e soprattutto di via D’Amelio.
Lo stesso Lama è stato interrogato dai magistrati siciliani, capitanati da Salvatore De Luca, nel marzo scorso. In secondo luogo, il fascicolo di quella indagine massese dei primi anni ’90, con tanto di nastri e intercettazioni, è passato dalla Procura di Massa a quella di Lucca nel febbraio del ’92 e poi da qui alla Procura di Roma nel gennaio ’93 dove venne archiviato nel 1995.
E’ probabile, quindi, che adesso quelle registrazioni non esistano più.
I nastri ritrovati adesso – come ha annunciato la presidente della Commissione antimafia – sono quelli relativi all’inchiesta condotta negli stessi anni dalla Procura di Palermo sui fratelli Buscemi, peraltro di scarso interesse ai fini delle indagini.
“Non c’è stata alcuna smentita da parte del collega Natoli
– dice Lama – su quanto io ho dichiarato davanti alla stessa Commissione. Avevo già chiarito il fatto che il ’nostro’ fascicolo d’inchiesta, con tanto di nastri, non era mai giunto a Palermo, ma era stato tarsmesso ’per competenza’ dall’allora procuratore di Massa , Duino Ceschi, alla Procura di Lucca il 10 aprile 1992, rilevando solo la presunta sussistenza di reati societari e fiscali”. Il fascicolo non giunse mai a Palermo, ma gli atti di quell’indagine arrivarono comunque sul tavolo dei magistrati palermitani, che avrebbero potuto (dovuto?) interessarsi della cosa e magari richiedere il fascicolo.
“Sì, perchè alla Procura di Palermo e a quella di Firenze fu trasmessa la mia informativa finale dove c’erano tutti gli elementi dell’indagine – spiega Lama –. Del resto oltre all’informativa dell’aprile ’92 la Procura di Palermo aveva già ricevuto una mia nota sull’inchiesta il 26 agosto 1991“.
L’avvocato Trizzino ha parlato di “superficialità” da parte dei magistrati di Palermo, sospettando anche l’esistenza di qualche ’talpa’ che aveva l’interesse a non indagare.
Lama non dice questo, ma parla di “scarsa attenzione” dei colleghi siciliani in merito alla sua inchiesta. Anche perchè i fatti successivi hanno dimostrato che il teorema della Procura di Massa era corretto. LA NAZIONE 25 gennaio 2024


VIA D’AMELIO: l’audizione dell’ex giudice AUGUSTO LAMA all’antimafia: non so ancora che fine ha fatto la mia inchiesta

 

VIDEO audizione


Infiltrazioni mafiose nelle cave negli anni ’90: da Massa a Lucca al tribunale di Roma

Massa-Carrara «Io, ancora oggi, non so dirvi esattamente che fine abbia fatto il fascicolo relativo all’indagine che ho svolto sulla presenza della mafia corleonese alle cave di Carrara nei primi anni ‘90. Solo dopo aver presentato diverse richieste scritte, ho appreso che dalla procura di Massa le mie carte sono finite a quella di Lucca e poi al tribunale di Roma, ma non so esattamente in quale ufficio. Dopo lo spiacevole “incidente” professionale che mi costrinse ad astenermi dall’inchiesta, io non ho più avuto accesso alle carte. Se ho potuto scrivere la relazione che vi leggo oggi, è stato grazie alle informazioni raccolte nelle procure di Massa e Lucca, in cui ho lavorato e al prezioso aiuto fornitami dall’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, primogenita del magistrato ucciso dalla mafia e dell’allora maresciallo della Guardia di finanza Piero Franco Angeloni, che fu il mio braccio destro in quell’inchiesta».
L’audizione È quanto ha dichiarato l’ex giudice Augusto Lama nella sua audizione alla Commissione parlamentare antimafia, presieduta dalla deputata di Fratelli d’Italia Chiara Colosimo, la quale, in apertura della seduta, ha ricordato che, indagando sulla strage di via D’Amelio, avvenuta a Palermo il 19 luglio 1992, in cui perirono il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, tale commissione si è trovata più volte a far riferimento all’inchiesta condotta tra 1990 e 1992 da Lama, all’epoca sostituto procuratore della Repubblica di Massa. Si tratta del periodo in cui la più grande azienda mondiale di marmo finì nelle mani della famiglia Buscemi, legata a Totò Riina, dopo che la Calcestruzzi Spa (impresa capofila del gruppo Ferruzzi) comprò la Sam-Imeg, le società (una la cassaforte delle concessioni, l’altra lo stabilimento operativo) che controllavano il 60% delle cave e della lavorazione del marmo di Carrara.
“Far West” A riaccendere l’attenzione su quei fatti, di recente, sono state anche due puntate di “Far West”, condotta da Salvo Sottile su Rai tre, in cui è intervenuto anche l’avvocato Trizzino, sostenendo che se la procura di Palermo avesse dedicato la giusta attenzione all’inchiesta avviata da quella di Massa sulle infiltrazioni mafiose in territorio apuano, si sarebbe potuto far luce sulla presenza di Cosa nostra in certi appalti pubblici e, forse, salvare le vite dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Seduto accanto dell’onorevole Colosimo, Lama, per oltre un’ora, ha raccontato nel dettaglio l’indagine che lo vide protagonista, ricordando che dal 1982, attraverso una società di Palermo, entrarono nell’azionariato di Calcestruzzi i fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, molto legati a Totò Riina. «Antonino Buscemi -ha ricordato Lama- aveva preso il controllo delle cave e a gestirle aveva mandato suo cognato, il geometra Girolamo Cimino, in veste di amministratore delegato della Sam-Imeg». Ma le cose precipitarono. I siciliani, infatti, avrebbero imposto condizioni vessatorie ai cavatori e ai rappresentanti delle ditte consorziate. Lama ha riferito di aver iniziato ad indagare su questi fatti dall’estate 1990, sostenendo di essersi dovuto astenere dall’inchiesta il 15 febbraio 1992, dopo un’ispezione disposta dall’allora ministro della giustizia Claudio Martelli, socialista ed un procedimento disciplinare avviato su richiesta del giudice Francesco Castellano, all’epoca procuratore generale della Corte d’appello di Genova, sulla base di un esposto che censurava le sue esternazioni sui possibili coinvolgimenti del gruppo Ferruzzi con la mafia.
Una lettera molto lunga e dettagliata, inviata da Lama alla procura di Palermo il 26 agosto 1991, ripercorreva le indagini espletate sulla Imeg durante la gestione Buscemi, chiedendo approfonditi accertamenti bancari e patrimoniali. La magistratura di Palermo, però, pur avendo disposto una serie di intercettazioni ambientali, non sarebbe riuscita ad ottenere subito le prove decisive.
Palermo «Il procedimento iniziato a carico di Antonino Buscemi nel capoluogo siciliano -ha spiegato Lama- fu archiviato. In seguito, però, le indagini in Sicilia furono riaperte e Buscemi venne arrestato e condannato definitivamente nel 1996. Al riguardo l’ex magistrato ha ricordato anche un incontro avuto nel 1994 con il collega del tribunale di Palermo Giuseppe Pignatone, futuro procuratore capo di Roma.
«Quello che mi rammarica -ha detto Lama- è il fatto che la procura di Massa-Carrara decise di tramettere il fascicolo della mia indagine a quella di Lucca, sostenendo che quest’ultima fosse la giurisdizione territorialmente competente, visto che la sede della Imeg si trovava a Massarosa. Ma trattandosi di un’inchiesta su infiltrazioni della mafia siciliana, sarebbe stato più opportuno che ad occuparsi delle mie carte fosse la procura di Palermo, che, forse, avrebbe potuto fare buon uso delle intercettazioni che io avevo già disposto ed evitare l’archiviazione del primo procedimento a carico di Buscemi. Dopo aver presentato diverse richieste scritte, ho saputo che nel 1993 il mio fascicolo è finito al tribunale di Roma, ma non so esattamente in quale ufficio ed io non ho più potuto accedervi. Se fossi rimasto il titolare dell’indagine, -ha concluso Lama- avrei sicuramente fatto tutto il possibile per arrivare in fondo alla vicenda».
La genesi Nella sua audizione, l’ex pm Augusto Lama ha ricordato anche come nacque la sua inchiesta: «Era l’estate ’90, le prime segnalazioni arrivarono da Franco Ravani, presidene del Consorzio Cave Carrara, il quale mi scrisse, e poi lo sentii, che Imeg e Sam erano cadute sotto il controllo di personaggi siciliani vicini alla mafia. Ad aiutarmi a ricostruire i vari passaggi fu il rgionier Alessandro Palmucci, ex Montecatini ed ex Imeg, che mi spiegò anche la singolarità per cui al momento della privatizzazione del comparto, che dall’Iri era passato all’Egam poi all’Eni e Samim, insomma di fatto pur vivendo un momento positivo il settore, ci fu una svalutazione del materiale in deposito di circa 10 miliardi».
Ha spiegato anche la composizione societaria della Generali Impianti di Palermo dei fratelli Buscemi e di un altro socio. «Inizialmente aprii un fascicolo senza indagati, sentii uno dei pentiti rimasti in Italia, Antonino Calderone, il quale sostanzialmente confermò che i Buscemi erano legati alla mafia di Passo di Rigano-Uditore».
Le perquisizioni È il gennaio del 92 quando scattano le perquisizioni alle sedi Sam (a Carrara) e Imeg (a Montramito), notizia che arriva anche alla stampa. «Forse fui ingenuo – ammette il dottor Lama – non rivelai nessun segreto d’ufficio, come poi a distanza di tempo mi è statop riconosciuto, perché fui “assolto” nel procedimento disciplinare, ma sulla base di un esporto dell’avvocato Striano, il ministro Martelli mandò un’ispezione, partì il procedimento della procura generale di Genova e così il 15 febbraio ’92 mi astenni. Di conseguenza non venni neppure a sapere sul momento delle intercettazioni che aveva disposto il dottor Gioacchino Natoli della procura di Palermo». Ma le indagini sulla strage di via D’Amelio non si sono fermate. Il giudice Lama ha raccontato di essere stato ascoltato anche a marzo dell’anno scorso dalla procura di Caltanissetta. David Chiappuella IL TIRRENO 19.1.2024

 

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