per rispondere dei delitti meglio in epigrafe indicati. Gli imputati venivano accusati – in concorso con Scarantino Vincenzo (giudicato separatamente nell’ambito del proc. n. 1595/2008 R.G.N.R. mod. 21, processo c.d. Borsellino quater) e, il solo BO’ MARIO, anche con La Barbera Arnaldo (deceduto) – di calunnia pluriaggravata e continuata, perché, con una pluralità di azioni ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, inducevano Scarantino Vincenzo nel corso degli interrogatori e degli esami dibattimentali resi nell’ambito dei precedenti procedimenti per la strage di via D’Amelio, ad incolpare falsamente, pur sapendoli innocenti, una pluralità di soggetti, poi condannati per concorso nell’eccidio del 19 luglio 1992.
In particolare, come meglio riportato in rubrica (capo A), BO’ MARIO, dapprima effettuando colloqui investigativi prima che Scarantino Vincenzo iniziasse a collaborare falsamente con l’autorità giudiziaria nel corso dei quali gli rappresentava le circostanze che avrebbe dovuto riferire agli inquirenti, successivamente fornendogli le indicazioni necessarie al riconoscimento di luoghi e persone, nonché aiutandolo nel corso delle pause degli interrogatori sostenuti con l’autorità giudiziaria a superare le contraddizioni in cui incorreva nelle dichiarazioni rese, induceva Scarantino ad accusare falsamente, Profeta Salvatore, Scotto Gaetano, Vernengo Cosimo, Gambino Natale, La Mattina Giuseppe, Murana Gaetano ed Urso Giuseppe, tutti poi condannati all’ergastolo, di aver partecipato, a vario titolo, alle fasi preparatorie ed esecutive dell’attentato di via D’Amelio; fatti contestati come commessi a Pianosa (Livorno), a Caltanissetta, in luogo imprecisato ed, ancora, a Torino ed a Roma, nell’arco temporale fra il 24 giugno 1994 e il 24.05.1995.
MATTEI FABRIZIO e RIBAUDO MICHELE, invece, come meglio descritto in rubrica (capo B), su direttiva ed in accordo con BO’ MARIO, mentre si trovavano nella località protetta di San Bartolomeo al Mare con il compito di vigilare sulla sicurezza dello Scarantino e dei suoi familiari, aiutando quest’ultimo nello studio dei verbali delle dichiarazioni da questi già rese all’autorità giudiziaria al fine di eliminare in previsione della sua escussione dibattimentale nell’ambito del processo c.d. “Borsellino uno” le contraddizioni in cui era incorso in merito alla descrizione delle fasi esecutive della strage di via D’Amelio, inducevano Scarantino Vincenzo a non ritrattare ed a reiterare
le dichiarazioni non veritiere già rese in fase di indagine così concorrendo nell’incolpare falsamente
pur sapendoli innocenti Profeta Salvatore e Scotto Gaetano, poi condannati all’ergastolo, di aver partecipato, a vario titolo, alle fasi preparatorie ed esecutive dell’attentato di via D’Amelio; fatti contestati come commessi a Roma il 24.05.1995.
Per tutti e tre gli imputati la Procura della Repubblica di Caltanissetta ha contestato l’aggravante dell’agevolazione mafiosacui all’art. 416 bis.1. comma 1 c.p. – cioè, “di avere agito per occultare le responsabilità di altri soggetti nella ideazione, istigazione al compimento e alla materiale esecuzione della strage di via D’Amelio, anche esterni all’organizzazione denominata Cosa Nostra e al tempo, e in accordo, e in convergenza di interessi con i suoi appartenenti, così garantendo il mantenimento nel tempo di simili rapporti e dunque al fine di agevolare le attività dell’associazione mafiosa e la realizzazione dei suoi fini. Dalle Motivazioni alla Sentenza “Processo depistaggio primo grado”.